Definizioni matematiche

Sk_Anonymous
Tutti i libri universitari di Matematica che ho avuto modo di consultare si limitano a presentare tale disciplina semplicemente enunciando definizioni, teoremi e relative dimostrazioni.
Tra tutti i libri che ho consultato, nessuno si "preoccupa" di spiegare in che modo i matematici sono giunti ad elaborare una certa definizione.
Mi spiego meglio. Non è che un matematico un giorno si è alzato dal letto è ha scritto all'improvviso una definizione; secondo me tutte le definizioni che compaiono sui libri hanno una "storia" dietro, che però non viene mai raccontata. Io credo che essere a conoscenza della storia di una definizione sia fondamentale, in quando tale conoscenza permetterebbe di essere più consapevoli della definizione stessa e della Matematica in generale. Voi che ne pensate? Siete d'accordo sul fatto che ogni definizione ha una storia dietro? E siete d'accordo sul fatto che, se uno studente conoscesse la storia che si porta dietro una definizione, riuscirebbe a vederla in modo più naturale?
Grazie per le risposte!

Risposte
fab_mar9093
"gugo82":

P.S: (riguardo la firma) Quella è una questione puramente soggettiva... Ti posso assicurare che esistono persone che traggono piacere ad azionare la lavatrice o il forno a microonde anche quando non servirebbe. :lol:


Oggi ho fatto la mia seconda lavatrice: sarei stato tutto il tempo ad osservarla lavorare
ahhhhhh.... che spettacolo

Sk_Anonymous
"seven":

Oggi ho fatto la mia seconda lavatrice: sarei stato tutto il tempo ad osservarla lavorare
ahhhhhh.... che spettacolo

Ahahah :-D Beh, io invece preferisco andarmi a fare un giro sull'alfa piuttosto che osservare una lavatrice in funzione :D

smaug1
"lisdap":

Ahahah :-D Beh, io invece preferisco andarmi a fare un giro sull'alfa piuttosto che osservare una lavatrice in funzione :D


è sempre un piacere :-D

fab_mar9093
"lisdap":
[quote="seven"]
Oggi ho fatto la mia seconda lavatrice: sarei stato tutto il tempo ad osservarla lavorare
ahhhhhh.... che spettacolo

Ahahah :-D Beh, io invece preferisco andarmi a fare un giro sull'alfa piuttosto che osservare una lavatrice in funzione :D[/quote]

questione di gusti..

Sk_Anonymous
Una definizione matematica, come un teorema, è fatta da delle ipotesi?

Altra domanda. Consideriamo la seguente definizione di derivata:
"Sia $f:(a,b)->RR$ e sia $x_0 in (a,b)$. La derivata prima di $f$ nel punto $x_0$ è il limite per $h->0$ di $(f(x_0+h)-f(x_0))/h$, purché esista finito".
Consideriamo ora una funzione che non rispetta le ipotesi della definizione, ad esempio la funzione $x$, $x in [2,3]$ che ha per dominio un intervallo chiuso (e non aperto, come richiesto dalla definizione) e chiediamoci di calcolare la sua derivata prima nel punto 2,5. La domanda posta (non rispettando $f$ i requisiti richiesti dalla definizione) è priva di senso?
Grazie!

Sk_Anonymous
Nel mio libro il dominio della funzione può essere un qualunque \(I\subseteq \mathbb{R}\), e dunque basta che sia $x_0 \in I$ (per poter calcolare $f(x_0)$) e punto di accumulazione per $I$ (per poter calcolare il limite).
Comunque, non so quanto la dicitura "ipotesi" sia calzante: dopotutto, una definizione non è altro che: "Una roba che rispetta queste condizioni la chiamo Pallino".
EDIT. Comunque, se \(f: [a,b] \to \mathbb{R}\), mi pare che sia anche tranquillamente \(f: (a,b) \to \mathbb{R}\). Insomma, \((a,b) \subset [a,b]\).

Luca.Lussardi
Una definizione non è un teorema, ma ha certamente delle "ipotesi" per sussistere. Nel tuo esempio la definizione di derivata si può usare ancora se tu consideri la tua funzione $f(x)=x$ in $(2,3)$ invece che in $[2,3]$, tanto scegli un punto interno; non ha invece senso, per come è scritta, se tu chiedi la derivata in un punto di frontiera.

fireball1
"Luca.Lussardi":
Una definizione non è un teorema, ma ha certamente delle "ipotesi" per sussistere. Nel tuo esempio la definizione di derivata si può usare ancora se tu consideri la tua funzione $f(x)=x$ in $(2,3)$ invece che in $[2,3]$, tanto scegli un punto interno; non ha invece senso, per come è scritta, se tu chiedi la derivata in un punto di frontiera.


Vero; si può però definire la derivata destra (sinistra) nell'estremo sinistro (destro) dell'intervallo (altrimenti scritture del tipo \(\displaystyle \left.\partial_\mathbf{n} f\right|_{\partial\Omega}\) nei problemi al bordo non avrebbero senso).

gugo82
"lisdap":
Una definizione matematica, come un teorema, è fatta da delle ipotesi?

Non le chiamerei ipotesi, però il ruolo è più o meno simile.
Quelle che si premettono alle definizioni vere e proprie sono "assunzioni" di carattere generale sugli oggetti cui è possibile applicare le definizioni e/o sugli oggetti che figurano nelle definizioni.
Ad esempio, se vuoi definire un garofano rosso, dirai:

"Sia \(G\) un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora \(G\) è un garofano rosso."

"lisdap":
Altra domanda. Consideriamo la seguente definizione di derivata:
"Sia $f:(a,b)->RR$ e sia $x_0 in (a,b)$. La derivata prima di $f$ nel punto $x_0$ è il limite per $h->0$ di $(f(x_0+h)-f(x_0))/h$, purché esista finito".
Consideriamo ora una funzione che non rispetta le ipotesi della definizione, ad esempio la funzione $x$, $x in [2,3]$ che ha per dominio un intervallo chiuso (e non aperto, come richiesto dalla definizione) e chiediamoci di calcolare la sua derivata prima nel punto 2,5. La domanda posta (non rispettando $f$ i requisiti richiesti dalla definizione) è priva di senso?

Questa definizione non ha senso... O meglio, è posta male, perché fa credere al lettore che esista un legame di qualche tipo tra l'insieme di definizione della funzione e la proprietà di derivabilità.
Ciò, evidentemente, non è vero, o meglio non è completamente vero.

Una definizione corretta è la seguente.
Siano \(X\subseteq \mathbb{R}\) non vuoto, \(f:X\to \mathbb{R}\) ed \(x_0\in X\).

Si dice che \(f\) è derivabile (secondo Cauchy) in \(x_0\) se si verificano entrambe le condizioni:


    [*:3mhz4v03] \(x_0\in X\) è un punto interno ad \(X\);

    [/*:m:3mhz4v03]
    [*:3mhz4v03] esiste finito il:
    \[ \tag{D}
    \lim_{x\to x_0} \frac{f(x)-f(x_0)}{x-x_0}\; .
    \][/*:m:3mhz4v03][/list:u:3mhz4v03]

    In tal caso, il valore del limite (D) si chiama derivata prima di \(f\) in \(x_0\) e si denota indifferentamente con uno dei simboli seguenti:
    \[
    f^\prime (x_0),\ \dot{f}(x_0),\ f^{(1)}(x_0),\ \frac{\text{d} f}{\text{d} x}(x_0),\ f_x(x_0),\ \partial_x f(x_0)\; .
    \]

Come vedi, non c'è alcun legame "stretto" tra il concetto di derivabilità e l'insieme di definizione della funzione.
L'unica restrizione che uno deve porre su tale insieme è che esso abbia qualche punto interno, altrimenti non ha senso parlare di derivata (per com'è definita qui).

Ma ci sono altre definizioni di derivata che sono analogamente buone e hanno le stesse conseguenze di quella riportata sopra: ad esempio, c'è la cosiddetta definizione di Carathéodory:
Siano \(X\), \(f\), \(x_0\) come sopra.
Si dice che \(f\) è derivabile (secondo Carathéodory) in \(x_0\) se esiste una funzione \(\phi :X\to \mathbb{R}\) continua in \(x_0\) tale che:
\[
f(x)=f(x_0)+\phi(x)\ (x-x_0)
\]
per ogni \(x\in X\).
In tal caso, il numero reale \(\phi(x_0)\) si chiama derivata prima di \(f\) in \(x_0\) e si denota co uno dei simboli introdotti più sopra.

che avevo proposto tempo fa in un thread in Pensare un po' di più... Tuttvia, usando queste definizioni alternative, c'è sempre il rischio che gli enunciati "semplici" dei teoremi "importanti" del Calcolo Differenziale non siano più veri e che si debbano aggiungere delle ipotesi per recuperarli (cfr. sotto).


@ fireball: Ok, per la derivata destra e sinistra.
Ma, come diceva Luca, se introduci la derivabilità nei punti di bordo allora i teoremi "importanti" del Calcolo Differenziale non funzionano più "come si deve" e si devono introdurre ipotesi aggiuntive (e.g., il teorema di Fermat non vale, a meno di non aggiungere che il punto di estremo è interno all'intervallo).
Lo stesso vale per la derivata a la Carathéodory.

Sk_Anonymous
"gugo82":


"Sia \(G\) un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora \(G\) è un garofano rosso."


Intanto grazie per la risposta. SUlle definizioni in generale mi è venuto un altro dubbio. Supponiamo che l'oggetto tirato in ballo dalla definizione non goda della proprietà richiesta dalla definizione. Ad esempio, supponiamo che il nostro garofano non gode della proprietà che " lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri". Mi chiedo: cosa posso concludere? Cioè, cosa posso dire a proposito del garofano? La risposta esatta, secondo me, è che non posso dire nulla a proposito del garofano. Intuitivamente mi verrebbe da dire che il garofano "non è rosso", però io trovo che ciò sia sbagliato. Non posso associare nessuna proprietà al garofano. E dire che il garofano "non è rosso" è scorretto. Sei d'accordo?

Rigel1
Non puoi dire che il garofano è rosso.

Volendo, si può modificare la definizione di gugo in questo modo:
Sia \(G\) un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora diremo che \(G\) è un garofano rosso; in caso contrario, diremo che \(G\) è un garofano non-rosso.

In questo modo, dato un garofano \(G\), puoi sempre dire che è rosso oppure che è non-rosso.

Sk_Anonymous
"Rigel":
Non puoi dire che il garofano è rosso.

Ok, non posso dire che il garofano è rosso. E se dicessi che il garofano è giallo? Non starei sbagliando, visto che la mia unica definizione è quella di garofano rosso?

"Rigel":

Volendo, si può modificare la definizione di gugo in questo modo:
Sia \(G\) un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora diremo che \(G\) è un garofano rosso; in caso contrario, diremo che \(G\) è un garofano non-rosso.

In questo modo, dato un garofano \(G\), puoi sempre dire che è rosso oppure che è non-rosso.

Ok, perfetto. Però io ho il diritto di dire che il garofano non è rosso a patto che nella definizione sia specificato quello che hai scritto sopra, e cioè che "in caso contrario, diremo che \(G\) è un garofano non-rosso", giusto?
Vale a dire, se io ho solo la definizione "Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora diremo che \(G\) è un garofano rosso" e dimostro che lo spettro della luce riflessa da un certo garofano non ha i requisiti richiesti, non posso dire che il garofano "non è rosso". Sei d'accordo?
Grazie.

EDIT: forse ho fatto confusione: c'è differenza tra dire che un garofano non è rosso e che un garofano è non rosso?

gio73
"lisdap":


EDIT: forse ho fatto confusione: c'è differenza tra dire che un garofano non è rosso e che un garofano è non rosso?


Good Sunday morning Lisdap, how are you?
Did you study Latin at hight school?

Well

"Non è un garofano rosso"
"Il garofano non è rosso"

Are both sentences equivalent?

gugo82
"lisdap":
[quote="Rigel"]Non puoi dire che il garofano è rosso.

Ok, non posso dire che il garofano è rosso. E se dicessi che il garofano è giallo? Non starei sbagliando, visto che la mia unica definizione è quella di garofano rosso?[/quote]
Certo che sbaglieresti.
Al massimo potresti dire che il garofano non è rosso... Ma perché deve essere proprio giallo?
Perché non blu? O bianco? O indaco?

"lisdap":
[quote="Rigel"]
Volendo, si può modificare la definizione di gugo in questo modo:
Sia \(G\) un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora diremo che \(G\) è un garofano rosso; in caso contrario, diremo che \(G\) è un garofano non-rosso.

In questo modo, dato un garofano \(G\), puoi sempre dire che è rosso oppure che è non-rosso.

Ok, perfetto. Però io ho il diritto di dire che il garofano non è rosso a patto che nella definizione sia specificato quello che hai scritto sopra, e cioè che "in caso contrario, diremo che \(G\) è un garofano non-rosso", giusto?
Vale a dire, se io ho solo la definizione "Se lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 e 760 nanometri, allora diremo che \(G\) è un garofano rosso" e dimostro che lo spettro della luce riflessa da un certo garofano non ha i requisiti richiesti, non posso dire che il garofano "non è rosso". Sei d'accordo?[/quote]
Non so Rigel come la pensi, ma io concordo con te.

Infatti, il "se" delle definizioni è sempre un "se e solo se", un'equivalenza logica, (e si scrive "se" solo per risparmiare spazio); ergo il non valere della proprietà definente equivale sempre al non valere della proprietà definita.
Nel caso in esame, se la proprietà definente "lo spettro della luce riflessa da \(G\) cade tra i 630 ed i 760 nanometri" non è verificata, allora non puoi dire che "\(G\) è rosso": pertanto dirai (a norma del Principio del Terzo Escluso) che "\(G\) non è rosso".

Insomma, se non si introduce la differenza artificiale tra le due locuzioni "non è rosso" ed "è non-rosso" (il che si fa, in fin dei conti, definendo la non-rossità come proprietà a sé, proprio come nel post di Rigel)*, allora quando non si verificano le condizioni per cui vale la proprietà definente puoi sempre affermare che l'oggetto della definizione non soddisfa la proprietà definita.


__________
* Questa distinzione, seppur "artificiale", è utile alcune volte.

Sk_Anonymous
Ok gugo, allora, faccio un riassunto di quello detto a partire da ieri sera per ricapitolare la questione.
Consideriamo la definizione
"Sia G un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da G cade tra i 630 e 760 nanometri, allora G è un garofano rosso."
Supponiamo di prendere un oggetto che renda falsa l'"ipotesi" preliminare "sia G un garofano". Allora ovviamente non ha senso chiedermi se quest'oggetto goda o meno della proprietà definita, e cioè che sia rosso. Quindi nel caso in cui un oggetto non soddisfa le ipotesi preliminari di una definizione, non ha senso procedere oltre nell'applicazione della definizione.
Prendiamo ora un oggetto che rende vera l'ipotesi preliminare. Fatto questo, supponiamo che l'oggetto soddisfi la proprietà definente; possiamo allora associare all'oggetto in questione la proprietà definita.
Prendiamo infine un oggetto che soddisfi l'ipotesi preliminare (cioé sia G un garofano), ma che non soddisfa la proprietà definente; allora, non posso associare a quest'oggetto la proprietà definita, cioè dire che è rosso. In quest'ultimo caso, dal punto di vista logico, non posso associare all'oggetto alcuna proprietà. Tuttavia, nella lingua comune, con abuso di linguaggio dico che l'oggetto "NON E' ROSSO". Dire che il garofano NON E' ROSSO non significa associarli la proprietà "NON E' ROSSO" (infatti, abbiamo appena detto che in questo caso il nostro oggetto non gode di alcuna proprietà). E' semplicemente una frase che si pronuncia così per riempire il "vuoto" causato dal fatto che all'oggetto non è possibile associare nulla. Inoltre, dire che il garofano NON E' ROSSO (e con questo rispondo a gio73), è diverso dal dire che il garofano E' NON ROSSO. Possiamo dire che il garofano E' NON ROSSO a patto che la definizione di gugo sia ampliata nella maniera di rigel. SPero di aver detto cose corrette!

gugo82
"lisdap":
Ok gugo, allora, faccio un riassunto di quello detto a partire da ieri sera per ricapitolare la questione.
Consideriamo la definizione
"Sia G un garofano.
Se lo spettro della luce riflessa da G cade tra i 630 e 760 nanometri, allora G è un garofano rosso."
Supponiamo di prendere un oggetto che renda falsa l'"ipotesi" preliminare "sia G un garofano". Allora ovviamente non ha senso chiedermi se quest'oggetto goda o meno della proprietà definita, e cioè che sia rosso. Quindi nel caso in cui un oggetto non soddisfa le ipotesi preliminari di una definizione, non ha senso procedere oltre nell'applicazione della definizione.
Prendiamo ora un oggetto che rende vera l'ipotesi preliminare. Fatto questo, supponiamo che l'oggetto soddisfi la proprietà definente; possiamo allora associare all'oggetto in questione la proprietà definita.

Esatto.

"lisdap":
Prendiamo infine un oggetto che soddisfi l'ipotesi preliminare (cioé sia G un garofano), ma che non soddisfa la proprietà definente; allora, non posso associare a quest'oggetto la proprietà definita, cioè dire che è rosso. In quest'ultimo caso, dal punto di vista logico, non posso associare all'oggetto alcuna proprietà.

L'ultima affermazione non è vera.
Infatti, dal punto di vista logico comunemente accettato (leggi: per il Principio del Terzo Escluso), puoi associare ad ogni garofano che non soddisfa la proprietà definente la proprietà complementare a quella definita, cioè la proprietà espressa dalla locuzione "non è rosso".

"lisdap":
Tuttavia, nella lingua comune, con abuso di linguaggio dico che l'oggetto "NON E' ROSSO". Dire che il garofano NON E' ROSSO non significa associarli la proprietà "NON E' ROSSO" (infatti, abbiamo appena detto che in questo caso il nostro oggetto non gode di alcuna proprietà). E' semplicemente una frase che si pronuncia così per riempire il "vuoto" causato dal fatto che all'oggetto non è possibile associare nulla.

Non c'è nessun vuoto da riempire, perché vale il PTE.
Comunemente, dire "non è rosso" o "è non rosso" dovrebbe essere la stessa cosa; tuttavia nel linguaggio naturale la seconda forma non è molto bella e viene esclusa.

"lisdap":
Inoltre, dire che il garofano NON E' ROSSO (e con questo rispondo a gio73), è diverso dal dire che il garofano E' NON ROSSO. Possiamo dire che il garofano E' NON ROSSO a patto che la definizione di gugo sia ampliata nella maniera di Rigel. SPero di aver detto cose corrette!

La diversità non sussiste, se non c'è una definizione esplicita di "non-rosso".

Ad esempio, di una funzione \(f\) che non soddisfa per tutti gli scalari e per tutti i vettori una proprietà del tipo \(f(\alpha \vec{u}+\beta \vec{v}) = \alpha f(\vec{u})+\beta f(\vec{v})\) puoi benissimo dire che "non è lineare" e che "è non lineare". La seconda espressione è grammaticalmente brutta e perciò non la useresti mai.
Però, puoi comincia ad usarla una volta che hai definito formalmente la proprietà di non-linearità come contrario di linearità (approccio a la Rigel).

Sk_Anonymous
Ah ok, grazie!
Quindi, quando un oggetto non soddisfa la proprietà definente, per convenzione, anziché non associargli un bel niente come ho fatto io, lo si caratterixzza con la proprietà opposta a quella definita. Insomma, il principio del terzo escluso (di cui ignoravo l'esistenza fino a qualche minuto fa, e perciò ti ringrazio per avermi detto questa cosa), colma automaticamente il vuoto che si verifica quando un oggetto non soddisfa la proprietà definente, giusto?

Sk_Anonymous
"lisdap":
per convenzione

Ma non è per convenzione... È per il principio del terzo escluso. O è così, o non è così, non c'è una via di mezzo.

jpg
Prendi come proprietà di un numero la "nullità". Definizione: "$ x = 0 hArr x$ nullo".
Se dici che $x$ non è nullo, o non-nullo, gli stai sì assegnando una proprietà, cioè $x != 0$, la proprietà opposta alla "nullità".
Il Principio del Terzo Escluso ti dice semplicemente che o $x$ è nullo, oppure $x$ è non-nullo. Nessun'altra possibilità.
"gio73":
[quote="lisdap"]
"Non è un garofano rosso"
"Il garofano non è rosso"
Are both sentences equivalent?
[/quote]
Tecnicamente no, la prima ammette la possibilità che sia un'orchidea :-D

Rigel1
Mi rendo conto (forse) di avere generato un po' di confusione.

Come ha detto gugo, una definizione è sempre del tipo:
"Diremo che \(G\) è un sarchiapone se (e solo se) soddisfa la proprietà \(P\)".
Va da sé che se \(G\) non soddisfa la proprietà \(P\), allora non è un sarchiapone.
Ciò che talvolta si fa, però, è dire qualcosa del tipo:
"Diremo \(G\) è un sarchiapone se (e solo se) soddisfa la proprietà \(P\); in caso contrario, diremo che \(G\) è un dis-sarchiapone".
In tal modo, al posto di dire che \(G\) non è un sarchiapone, puoi dire che \(G\) è un dis-sarchiapone. (Ho usato il prefisso "dis" al posto di "non" per evitare di generare equivoci linguistici).

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