Equadiff a variabili separabili e metodo urang-utang©

Fioravante Patrone1
E' in rete l'ultima versione sulle equazioni differenziali a variabili separabili, con la descrizione del metodo urang-utang©:


http://www.fioravante.patrone.name/mat/ ... _intro.htm

NB: ho messo il link corretto (la pagina originariamente linkata non esiste più)

Risposte
gugo82
"lisdap":
Consideriamo le scritture $ dV $, $ dS $, $ dm $, $ dT $ che in Fisica frequentemente si incontrano. Sei d'accordo sul fatto che $ V $, $ m $, $ S $, $ T $ debbano stare per "certe cose"? Ad esempio, $ T $ potrebbe stare per "temperatura di un corpo".

Beh, no.
Il più delle volte, in ambito euristico/applicativo, il simbolo \(\text{d}T\) è usato semplicemente per denotare una variazione "molto piccola" di una fissata quantità e non qualcosa di legato alla quantità stessa. In tal senso, \(\text{d}T\) è da intendersi come un unico simbolo, non come giustapposizione di due simboli distinti (i.e., il simbolo \(\text{d}\) ed il simbolo \(T\)).

"lisdap":
la prima difficoltà che incontro quanto leggo un testo tecnico è capire per cosa stiano precisamente quei simboli. Spesso il libro non li definisce. Scrive direttamente una formulona senza dirmi ad esempio che cos'è di preciso $ T $.

Proprio da questo si misura la prontezza e la preparazione di un ingegnere... Se ancora non capisci certe notazioni in un tempo sensato, vuol dire che non hai ancora compreso lo spirito dei ragionamenti ingegneristici; devi solo leggere di più e cercare di capire il contenuto, più che formalizzarti sulla sintassi.

magliocurioso
Sakve a tutti. Mi intrometto anch'io nella discussione
"gugo82":
Il più delle volte, in ambito euristico/applicativo, il simbolo \(\text{d}T\) è usato semplicemente per denotare una variazione "molto piccola" di una fissata quantità e non qualcosa di legato alla quantità stessa. In tal senso, \(\text{d}T\) è da intendersi come un unico simbolo, non come giustapposizione di due simboli distinti (i.e., il simbolo \(\text{d}\) ed il simbolo \(T\))
Ma io mi chiedo, sarebbe invece troppo fuorviante o addirittura scorretto interpretare i vari "(\text{d}qualchecosa\)" come forme differenziali? Nel senso, questo approccio permetterebbe di identificare in maniera univoca e senza ambiguità i simboli usati, quanto meno dal punto di vista operativo dei conti e bene o male permetterebbe anche un'interpretazione geometrica del problema.

Sk_Anonymous
A Gugo: mi ero svegliato felice stamattina, poi pero` ho letto la tua risposta e...

Tu dici che $dT$ e` un tutt`uno.....pero` poi quando si va ad integrare si risale alla $T$! E se la vedessimo cosi`?
$T$ sta per "temperatura della Terra". $T$ puo` essere vista come funzione dello spazio e del tempo, io pero`la vedo come funzione di se stessa. Considero dunque il differenziale di $T$ $dT$ (nel senso dell`analisi odierna). Per definizione, $dT$ coincide con $1*DeltaT$. Ora sempre per definizione $DeltaT$ coincide con un qualunque numero positivo diverso da zero. A questo punto i libri di fisica impongono delle limitazioni ai valori di $dT$, imponendo che sia infinitesimo (nel senso di leibniz). Che ne pensi?

gugo82
Penso che è meglio che tu faccia come vuoi.
Sinceramente, non ho più nulla da dirti.
L'unica, è augurarti di arrivare al più presto ad uno stato di equilibrio, con te stesso e con la Matematica.

Sk_Anonymous
a magliocurioso: in momenti disperati me lo sono chiesto anche io non saprei....

se io dico "l`angolo che un pendolo forma con la verticale", la roba che ho scritto e` una variabile?

magliocurioso
"lisdap":
se io dico "l`angolo che un pendolo forma con la verticale", la roba che ho scritto e` una variabile?
Per esercizio/esperimento si potrebbe provare ad assumere questa ipotesi e vedere dove conduce. L'angolo potrebbe anche essere una variabile reale [o magari in qualche particolarissimo caso applicativo persino una variabile complessa] oppure anche una funzione con tutte le possibili conseguenze che comporterebbe quest'ultima ipotesi.

Però temo che siamo a rischio riprensione da parte dei moderatori perché secondo me stiamo andando OT rispetto all'argomento principale di questa discussione. Se vuoi possiamo continuare a parlarne in privato.

Sk_Anonymous
a gugo: credo a quanto dici sul simboletto $dV$ nelle applicazioni.
Ora ti faccio questa domanda fondamentale: quando si passa da una uguaglianza contenente le "d" USATE NEL SENSO DA TE INDICATO a un` equazione "normale" contenente le variabili liberate dalla "d", la giustificazione che i libri danno (integro ambo i membri blablabla) e` rigorosa?

Sk_Anonymous
Le espressioni differenziali in fisica sono relazioni approssimate alle quali si giunge applicando il teorema del differenziale alle espressioni incrementali?

Sk_Anonymous
La portata massica infinitesima di un fluido che fluisce attraverso un piccolo elemento di area $dA$ su una sezione trasversale del flusso è direttamente proporzionale a $dA$ stesso, alla densità del fluido $rho$ e al modulo del componente della velocità di flusso nella direzione normale all'elemento di area $dA$, che verrà denotato con $w_n$, ed è espressa come $delta p_m=rho w_n dA$.

Questo è un passo ripreso dal mio libro.

Ti chiedo, gugo82: potresti spiegarmi perché $delta p_m$, cioè la portata massica infinitesima, non è un differenziale esatto? Vorrei che mi fornissi la dimostrazione matematica.
Io già ho la mia spiegazione, e se coincide con la tua significa che ho fatto progressi. La formula riportata è una delle tante che si incontrano nelle applicazioni, ed è una relazione approssimata, cioé è vera solo per valori di $dA$ abbastanza piccoli. A rigore non sarebbe vera mai, però vabbé chiudiamo un occhio. Giusto? E in quella formula è stato sostituito il $Delta p_m$ con $d p_m$, usando il teorema del differenziale (in virtù del fatto che i $dA$ sono presi piccoli), giusto? Anzi, non si usa la $d$ ma $delta$ per significare che quella forma differenziale non è esatta, giusto?
Mi faresti vedere con degli esempi in quali casi scritture come $dm$ vengono usate non con la loro definizione matematica (l'hai detto tu nel tuo intervento lungo sopra)? Sento di aver fatto enormi progressi però prima di stendere una mia risposta definita aspetto una tua risposta in modo da mantenere accesi i miei lumi di speranza. Ciao.

Sk_Anonymous
A gugo:
Sia per le funzioni di una variabile che di più variabili, dovrebbe valere un teorema che dice che l'incremento della funzione può essere visto come la somma del differenziale della funzione ed altra "roba" che è un infinitesimo di ordine superiore rispetto agli incrementi delle variabili da cui la funzione dipende. Un libro di analisi che ho letto ultimamente dice che questo teorema che ho enunciato (in modo molto rozzo) si applica di continuo nelle matematiche applicate, spesso tacitamente.
Dal teorema che ho enunciato si deduce la formula di approssimazione che consente di approssimare l'incremento col differenziale quando gli incrementi delle variabili indipendenti sono sufficientemente piccoli. Giusto?

gugo82
"gugo82, CINQUE mesi fa, ":
[quote="lisdap"]Quanto all'uso dei differenziali nelle applicazioni, tu dici che si tratta di "scappatoie formali". Ho riflettuto a lungo su queste tue parole però davvero non riesco a comprenderne il contenuto. Cosa intendi quando dici che si tratta solo di manipolazioni formali ecc...?

Quelle manipolazioni sono solo formali e si basano sull'interpretazione euristica del Calcolo Differenziale ed Integrale.
Ad esempio, il fatto euristico che \(f(x+\text{d} x)-f(x)=\text{d} f=f^\prime (x)\ \text{d} x\) si basa sul teorema del differenziale, il quale garantisce che (fintantoché \(f\) è sufficientemente regolare) puoi approssimare l'incremento subito dalla \(f\) in un intervallo "piccolo" con un multiplo dell'ampiezza di tale intervallo.
Questo è un esempio banale; ma tanto basta per far capire come vanno intese le approssimazioni scritte sui testi di Fisica, Chimica, Ingegneria, Economia, etc...[/quote]
fonte

Sk_Anonymous
Io sono un pò ritardato Gugo, e non so se la tua risposta è positiva oppure no. Visto che dopo mesi hai ripreso a rispondere ai miei topic immagino che ho detto cose giuste.

Comunque la storia è questa. C'è questo teorema, che dice che
"l'incremento della funzione è uguale al differenziale più infinitesimi di ordine superiore." (1)
Ok? Sono venuto a conoscenza di questo teorema solo pochi giorni fa.................
Da questo teorema si deduce che,
"se gli incrementi delle variabili da cui la funzione dipende sono abbastanza piccoli, l'incremendo e il differenziale diventano molto simili." (2)

La conclusione (2) viene spesso usata nelle applicazioni, e sostituendo l'incremento col differenziale si giunge alla fine del ragionamento a delle equazioni differenziali. Questo modo di procedere però non è rigoroso, perché si giunge a relazioni esatte servemdosi di approssimazioni. Tuttavia è comodo, perché permette di giungere a scrivere un'equazione differenziale in pochi passaggi. Ok? Ancora mi rimane da capire perché questo procedimento funziona ma per ora mi accontento.

Questo procedimento euristico l'hai utilizzato tu quando ad esempio 5 mesi fa sei arrivato alla formula $dV=dxdydz$.


Il procedimento corretto e rigoroso per arrivare a scrivere le equazioni differenziali fisiche è quello di applicare il teorema (1) e sostituire all'incremento della funzione il suo differenziale più l'infinitesimo di ordine superiore. Questa sostituzione è esatta e non ho fatto nessuna approssimazione. Poi per mezzo di passaggi al limite ecc. si perviene correttamente all'equazione differenziale.

Abbiamo detto sopra che tu sei giunto alla formula $dV=dxdydz$ applicando il procedimento intuitivo (2). Potresti arrivarci invece in modo rigoroso? Lo stesso discorso vale poi per altre formule comuni tipo $dS=dxdy$. Che ne dici?

Dalla proposizione vera $dV=dxdydz$ integrando è possibile giungere a qualche altra verità? Potrei fare l'integrale triplo del secondo membro su un certo dominio....tuttavia se poi considero la stessa srittura al primo membro, ciò che ottengo non ha senso!
Ho il sospetto che esistano teoremi che collegano gli integrali definiti con gli integrali tripli.....è possibile?

FrancescoMi1
Impossibile trovare il file o la directory :(

Sk_Anonymous
Volevo dimostrare perché la formula che ho scritto nel post di sopra, e cioé $delta p_m=rho*w_n*dA$ non è un differenziale esatto. Osserviamo innanzitutto che, nella forma in cui è stata scritta, $delta p_m$ non è una forma differenziale, in quanto le variabili $rho$ e $w_n$ non sono una funzione di $A$. Tuttavia, possiamo osservare che $dA=ydx+xdy$, e quindi la formula iniziale diventa $delta p_m=y*rho*w_n*dx+x*rho*w_n*dy$. Quest'ultima è una forma differenziale, poiché $rho$ e $w_n$ stavolta possono essere chiaramente espresse come funzioni di $x$ e $y$. Ora, se si fanno le derivate parziali rispettivamente rispetto a $y$ e $x$ di $y*rho*w_n$ e $x*rho*w_n$, si scopre che esse sono diverse, e dunque non essendo $delta p_m$ chiusa, non sarà nemmeno esatta. Quando i differenziali non sono esatti si sostituisce la $d$ con $delta$.

Fioravante Patrone1
"FrancescoMi":
Impossibile trovare il file o la directory :(

Se ti riferisci al link indicato nel primo post di questo thread, effettivamente non esisteva più.

L'ho sostituito con il link aggiornato:
http://www.fioravante.patrone.name/mat/ ... _intro.htm

Sk_Anonymous
Ho fatto enormi progressi sotto questo punto di vista e scommetterei tranquillamente un mio rene sulla validità della seguente affermazione:
nella trattazione odierna delle scienze applicate, si fa uso di concetti matematici che non vengono più fatti studiare nei moderni corsi di matematica. Questi concetti sono il concetto di infinitesimo (non nel senso attuale dell'analisi odierna) e la definizione di differenziale (diversa rispetto a quella che si da oggi).
Il concetto di infinitesimo e di differenziale su di esso basato non mi da fastidio, anzi mi piace molto, vista la sua potenza e comodità. L'unica cosa che mi da fastidio è che oggi nei corsi di analisi non si pone più l'attenzione su un concetto così delicato come quello di infinitesimo (che come ho detto continua ad essere presente nel modo di esporre le scienze applicate).
La conseguenza di ciò è che lo studente che apre il libro di fisica dopo aver dato l'esame di analisi rimane spiazzato.
Secondo me, soprattutto per gli studenti di fisica e di ingegneria o architettura ecc...., bisogna riprendere nei corsi di matematica il concetto di infinitesimo e far capire in che modo il ricorso a quantità infinitamente piccole permette di risolvere difficoltà concettuali e giungere facilmente a proposizioni vere.

Plepp
[ot]Lisdap, da quanto tempo :-) Noto che gli infinitesimi e differenziali non hanno ancora smesso di disturbarti il sonno :-D E per certi versi ti capisco, nel senso che sto per spiegare.[/ot]
"lisdap":

bisogna riprendere nei corsi di matematica il concetto di infinitesimo e far capire in che modo il ricorso a quantità infinitamente piccole permette di risolvere difficoltà concettuali e giungere facilmente a proposizioni vere.

Come già ti avrà ripetuto qualcun'altro, il ricorrere a "quantità infinitamente piccole" nasconde sempre un passaggio al limite. Gli infinitesimi sono oggetti privi di senso nell'Analisi Standard. Nell'Analisi Non Standard, per esempio, si cerca invece di recuperarne l'idea originaria.

Recentemente ho leggiucchiato qualche dispensa introduttiva all'Analisi Non Standard. Ingenuamente, ho avuto come l'impressione che un linguaggio simile si presti meglio a descrivere determinati concetti come la derivata e l'integrale e le relative teorie: tutto pare più naturale e intuitivo. Ma poi ci penso e mi rendo conto che, forse, un "numero" non nullo più piccolo di qualunque altro ha ben poco di intuitivo.

Credo che per potersi fare un'idea degna di essere chiamata tale sulla faccenda sia necessario andare fino in fondo, e che ciò richieda tanta, tanta conoscenza. Morale: per ora non ritengo di avere gli strumenti giusti per comprendere/apprezzare appieno l'Analisi Non Standard, quindi sospendo il giudizio.

Sk_Anonymous
Ciao Plepp, eh si il tempo passa ma i problemi restano:-)
Io ho seguito un approccio un pò diverso dal tuo. Innanzitutto ho quasi colmato le mie lacune in matematica, condizione necessaria per capire queste cose. E poi ho seguito un approccio un pò diverso dal tuo. Non sono andato a leggermi cose di analisi non standard, bensì ho ritenuto opportuno (aiutandomi con i libri vecchi presi da google libri) capire il funzionamento del calcolo basato sulle quantità infinitamente piccole. Cioè, ho fatto finta di ritornare di 300 anni indietro nel tempo e sono andato a studiarmi l'analisi a quei tempi. E ho capito grosso modo come funzionava questo concetto. Poi ho fatto un confronto tra quella matematica e quella odierna. Le definizioni di funzione sono più o meno le stesse. Le definizioni di incrementi di una funzione sono anch'essi sostanzialmente le stesse. Prima esistevano due definizioni di differenziale, una per le variabili indipendenti ed una per le funzioni, mentre oggi ne esiste una sola per le funzioni. Prima il differenziale di una variabile indipendente x, indicato con dx, era un semplice cambiamento infinitesimo che x poteva subire. E il differenziale di una funzione f(x) era definito come df(x)=f(x+dx)-f(x). Applicando quest'ultima formula, si ottengono le stesse uguaglianze che si ottengono applicando la definizione odierna di differenziale. Ad esempio, $dx^2=2xdx$ ecc......Quindi, a livello esclusivamente formale, vecchia e nuova definizione di differenziale danno la stessa uguaglianza (dal punto di vista estetico). Tuttavia le due definizioni sono diverse a livello di contenuto, visto che usando la vecchia def. d(2x) ha un certo significato, cioé una quantità infinitamente piccola, mentre usando la nuova, $d2x$ ne ha un altro ben diverso. A livello di integrali definiti, il vecchio calcolo si riferiva a somma infinita di termini infinitesimi, mentre il nuovo calcolo lo intende come un limite di somme. I risultati però sono gli stessi. Nel vecchio calcolo si risaliva dal differenziale alla funzione che lo genera. Per risalire da un differenziale terzo si integrava tre volte (integrale triplo senza dominio di integrazione, indefinito diciamo). Oggi invece è abitudine risalire da derivate a funzioni. I concetti di forma differenziale esistevano anche 300 e passa anni fa, e con ciò smentisco dissonance che riteneva che le forme differenziali erano nate in tempi recenti per fare non so che cosa.
Il concetto di infinitesimo è molto più intuitivo e semplice da gestire rispetto ai modi di procedere odierni. Inoltre, le equazioni differenziali fisiche scritte usando il concetto di infinitamente piccolo valgono anche interpretando i differenziali sulla base delle odierne definizioni perché a livello formale le definizioni di differenziale vecchia e nuova non differiscono.
Ovviamente la faccenda è tutt'altro che conclusa ma sono contento di aver fatto questi progressi

dissonance
"lisdap":
Oggi invece è abitudine risalire da derivate a funzioni. I concetti di forma differenziale esistevano anche 300 e passa anni fa, e con ciò smentisco dissonance che riteneva che le forme differenziali erano nate in tempi recenti per fare non so che cosa

cito da http://en.wikipedia.org/wiki/Differential_form
Differential forms provide a unified approach to defining integrands over curves, surfaces, volumes, and higher-dimensional manifolds. The modern notion of differential forms was pioneered by Élie Cartan.


http://en.wikipedia.org/wiki/Elie_cartan

Altrimenti mi fai passare per un cretino.

Epimenide93
Se non si capisce un problema, non è possibile capirne la soluzione. Credo che il nocciolo della faccenda stia nel fatto che tu, lisdap, non hai capito il problema di cui le formulazioni "moderne" sono soluzione. Rifletti un attimo. Nelle scienze si tende il più possibile ad applicare il Rasoio di Occam, un principio che, in breve, si può enunciare così: "se ci sono due o più modi del tutto equivalenti di fare la stessa cosa, bisogna operare col più semplice dei due". A volte si viene meno a questo principio se uno dei modi si è imposto storicamente, ed è troppo tardi per cambiare la cosa senza stravolgere l'impianto matematico. Ora l'approccio con gli infinitesimi è più intuitivo di quello "moderno", e storicamente viene prima. Dovresti facilmente arrivare alla conclusione che evidentemente se la comunità matematica ha deciso di rifiutarlo e di adottarne un altro, quello nuovo non è equivalente al primo, al quale è per qualche ragione preferibile. Di che ragioni si tratta?

Prima di tutto cerchiamo di capire cos'è un infinitesimo. Intuitivamente, si tratta di una quantità molto piccola. Ma, cercando di essere più precisi, quanto piccolo è "molto piccolo"? Nelle applicazioni si considera molto piccola una quantità trascurabile rispetto alle grandezze in gioco in un particolare ambito. L'ambito in cui noi lavoriamo nella fattispecie è quello delle funzioni reali a valori reali. Il fatto è che i numeri reali possono essere molto, molto, molto piccoli. Se hai studiato il modo in cui Leibniz faceva le derivate avrai sicuramente visto che gli infinitesimi a volte sono considerati come quantità con una loro dignità di contenuto, a volte sono considerate trascurabili. Tanto per fare un esempio, ecco che aspetto avrebbe la "dimostrazione" della derivazione della funzione \(f(x) = x^2\) in un contesto in cui sono ammessi gli infinitesimi (indico con \(\varpi\) una "quantità infinitesima"):

si vede come \(\varpi\) inizialmente viene considerato abbastanza "sostanziale" da rendere sensato lo sviluppo del quadrato, poi improvvisamente, essendo una quantità infinitesima, diventa del tutto trascurabile, come se valesse zero. Già questo rende ridicolo rispetto al rigore matematico l'utilizzo di un sistema del genere al giorno d'oggi. Ma facciamo finta di niente e andiamo avanti, ipotizzando che esista un modo per codificare rigorosamente il "buon senso" usato per discriminare se lo stesso infinitesimo sia "piccolo, ma non nullo" o "piccolo, praticamente nullo" a seconda di dove compare. Come dicevo i numeri reali possono essere dannatamente piccoli. Supponiamo di avere un reale \(\varepsilon\) dell'ordine di \(10^{-10^{10}}\), se voglio derivare formalmente la funzione \(\varepsilon \sin(x)\) usando la definizione di derivata dovrò usare un numero reale talmente piccolo da essere trascurabile rispetto alle grandezze in gioco; e se volessi, poi, derivare la funzione seno scalata con un fattore dell'ordine di grandezza di quell'infinitesimo, mi servirebbe un infinitesimo ancora più infinitesimo, o no? Questa possibile discesa infinita, e questa gerarchia degli infinitesimi costituiscono due problemi seri perché se lavoro in un ambito puramente simbolico non posso conoscere le grandezze in gioco, devo garantire la massima generalità (in fondo è per questo che è nato il calcolo simbolico), inoltre è una cosa davvero troppo raffazzonata considerare che un numero reale possa essere un infinitesimo rispetto ad una funzione, ma non esserlo rispetto ad un'altra. Allora bisogna cambiare la definizione di infinitesimo, e prenderne una che valga sempre, per quanto piccole siano le grandezze in gioco. Leibniz caratterizzò gli infinitesimi come "una quantità non nulla, ma più piccola (in modulo) di qualsiasi altro numero reale". Peccato che la chimera che nasce da questa definizione non può esistere come elemento del campo dei numeri reali, in quanto questi costituiscono un campo archimedeo, ovvero vale il seguente teorema (proprietà di Archimede)
\(\forall a \in \mathbb{R}, \ a>0, \ \forall b \in \mathbb{R}, \ b>0 \ \exists n \in \mathbb{N} : \ na > b\)


ovvero non esistono numeri reali troppo piccoli per essere "commensurati" con numeri di grandezza arbitraria.

Quindi gli infinitesimi sono complicati da codificare e quel che è peggio non esistono nell'insieme numerico che ci siamo proposti di utilizzare. Bisogna rinunciare a qualcosa. I primi a risolvere la questione furono Cauchy e Weierstrass, introducendo la nozione di limite e salvando le sorti del calcolo infinitesimale. Tale nozione si è in seguito rivelata potentissima anche in ambiti molto diversi da quello in cui nacque. Il prezzo da pagare fu che alcuni concetti diventarono meno intuitivi in fase di apprendimento, il guadagno fu spropositato. Funzionava tutto, con una coerenza logica esemplare e come ho detto molte cose si estendevano ben oltre quel che gli stessi Cauchy e Weierstrass potevano immaginare quando formularono le loro definizioni. Non c'è bisogno di dire che la nuova fondazione del calcolo infinitesimale venne universalmente adottata. A più di duecento (!) anni di distanza qualche analista mattacchione volle recuperare il concetto di infinitesimo. Non volendo rinunciare agli infinitesimi dovette rinunciare ai numeri reali, nacque l'analisi non standard che si sviluppa sul campo dei numeri iperreali. Ora, al di là del fatto che gli iperreali non sono neanche un campo completo, quindi non è che ci si fa su analisi in maniera proprio indolore, la costruzione degli iperreali è qualcosa di incredibilmente complicato (e non è che i numeri reali siano caramelle) sia matematicamente, sia per quanto riguarda il loro fondamento logico. Per avere delle definizioni più semplici, si lavora su un insieme numerico incasinatissimo e piuttosto difficile da gestire. Mi pare di ricordare che sia stato dimostrato che le due teorie siano del tutto equivalenti, ma una è arrivata con duecento anni di ritardo, non aggiunge nulla a quella già presente, e sebbene permetta di spiegare ad una matricola più facilmente cosa sia una derivata, rende un'impresa spiegargli come funziona l'insieme numerico sul quale lavora. C'è da dire che nonostante tutto c'è una sparuta minoranza di matematici che continua a sviluppare roba nell'ambito dell'analisi non standard.

Spero che tu ora abbia capito perché non si può fare analisi con gli infinitesimi, a meno di lavorare in maniera completamente insensata, o di lavorare in una teoria alternativa alquanto complicata e poco condivisa. In trecento anni la derivata di un polinomio non è cambiata, ma la matematica sì, e per delle ottime ragioni.

La distinzione tra variabile indipendente e funzione è in prima analisi del tutto inutile (salvo una certa utilità didattica, che rende la nozione di variabile indipendente ancora utilizzata ad esempio da parte di alcuni insegnanti delle scuole superiori), e in altri contesti si rivela del tutto fuorviante, ma parliamo di contesti diversi dall'analisi reale elementare. Da uno dei capolavori dell'analisi:
"Dieudonné":
The student should as soon as possible become familiar with the idea that a function \(f\) is a single object, which may itself “vary” and is in general to be thought of as a “point” in a large “functional space”; indeed, it may be said that one of the main differences between the classical and the modern concepts of analysis is that, in classical mathematics, when one writes \(f (x)\), \(f\) is visualized as “fixed” and \(x\) as “variable,” whereas nowadays both \(f\) and \(x\) are considered as “variables” (and sometimes it is \(x\) which is fixed, and \(f\) which becomes the “varying” object).


Sul rapporto tra le scienze applicate e l'analisi ti è stato spiegato più di una volta in un paio dei migliaia di topic che hai aperto sull'argomento come stanno le cose, quindi non ho la minima voglia di spendere parole al riguardo.

Ti posso solo dire che se pensi che la fisica elementare segua un modello matematico vecchio di trecento anni ti sbagli di grosso, e se vuoi ricrederti ti propongo di seguire un corso di meccanica razionale in un CdL in matematica. Poi ne riparliamo.

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