Dibattito sulla riforma Gelmini
apro questo topic per sentire le vostre opinioni in merito a questa scellerata "riforma" che porterà alla rovina le nostre università.
a voi la parola!
a voi la parola!
Risposte
"maxsiviero":
Fini vuole portare la tassazione delle rendite finanziarie dal 12,5% al 25% e con quei soldi finanziare la riforma Gelmini. Cosa ne pensate?
Che vuole bloccare la riforma Gelmini ma non può farlo apertamente ed, allora, pretende che vi siano dei fondi per attuarla come condizione necessaria affinché FLI dia il suo appoggio, fondi che sa benissimo non verranno mai trovati: in tal modo ha una scusa per non votarla.
Penso che, forse, Fini andrebbe ringraziato.
P.S. Ovviamente i fondi per la ricerca comunque dovrebbero essere trovati (utopia).
Fini vuole portare la tassazione delle rendite finanziarie dal 12,5% al 25% e con quei soldi finanziare la riforma Gelmini. Cosa ne pensate?
Salve a tutti ancora una volta.
Di certo è una notizia inutile da riportare, anche se è bene in ogni caso dare una testimonianza di quanto accaduto:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 12336.html
Molte università hanno ritardato sia per i problemi noti, sia per vedere come andava a finire il DDL alla camera.
E adesso, cosa accadrà ?
Di certo è una notizia inutile da riportare, anche se è bene in ogni caso dare una testimonianza di quanto accaduto:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 12336.html
Molte università hanno ritardato sia per i problemi noti, sia per vedere come andava a finire il DDL alla camera.
E adesso, cosa accadrà ?
"hee136":[/quote]
@Fabbro: ti riporto un mio commento, siccome sei l'unico che ha commentato il ddl.
[quote="hee136"]La riforma in discussione introduce l'obbligo di attività didattica per il ricercatore.
A prima vista si potrebbe dire che se chi può svolgere attività didattica aumenta (professori + ricercatori), (considerando solo quest'ultimo dato) allora aumenterà anche l'offerta formativa.
Però così non sarà perchè i requisiti per aprire nuovi corsi sono tarati sul numero di professori.
Quindi l'offerta formativa non aumenterà però ci saranno i ricercatori che dovranno svolgere necessariamente attività didattica quindi i professori avranno un carico minore di attività da svolgere.
Per questi motivi a mio parere questa riforma farà piacere ai cosidetti baroni.
Vi sembra che possa filare come ragionamento?
Io personalmente credo che l' obbligo dell' attività didattica per il ricercatore è stata introdotta per regolare una pratica già molto diffusa negli atenei: cioè quella che vede i ricercatori svolgere le lezioni anche se non sono tenuti a farlo da contratto. E ce ne siamo accorti in questi giorni cosa comporta per l' università e specie per noi studenti la scelta dei ricercatori di astenersi dalla didattica: un peggioramento dell' offerta formativa.
Quindi qualora i ricercatori siano tenuti legalmente a svolgere didattica credo che l' offerta formativa rimanga quella degli anni passati, in cui i ricercatori facevano sempre lezione però gratis.
A mio giudizio perchè questa riforma potrebbe agevolare pratiche di baronato? Intanto perchè la composizione delle commissioni di concorso è ristretta ai soli professori ordinari (legge 1/2009, c.d. "Riforma Gelmini dell'Università"), per i maggiori tagli agli stipendi di ricercatori e associati mentre rimangono quasi intatti quelli degli ordinari e per la famigerata tenure-track.
Infatti la possibile assunzione di ricercatori a tempo determinato(li chiamerò RTD) come associato dipenderà anche dalle risorse disponibili dell' ateneo( all' estero invece c'è la tenure-track ma l' università assicura anche la copertura finanziaria per i posti che gli servono) oltre che dall' effettivo merito del candidato: questa condizione precarizzerà ancora di più la posizione del RTD con purtroppo a mio avviso inevitabile sottomissione al professore di turno "in grado" di aiutarlo.
E infine ,ancora una volta,i membri esterni previsti nel CDA: chi vieta che tra questi possa (ri)entrare un professore ordinario neopensionato ?
Una mia proposta per contenere il baronato? Eliminare la distinzione tra associato e ordinario e costituire un' unica fascia di professore con scatti stipendiali legati esclusivamente al merito e non all' anzianità. Ma con il progressivo definanziamento delle università è per il momento impossibile attuare una qualsiasi politica del genere( basti pensare che gli scatti sono stati tutti bloccati per il prossimo triennio).
[ultimo OT]
@Gugo82
Credo ora di capire quello che intendevi. Sicuramente è il desiderio di tutti (almeno anche mio) di avere insegnanti che oltre a snocciolarti le solite nozioni abbiano anche a cuore la nostra formazione scientifica e umana.
E' triste prendere atto che oggi forse non è più così ma che fare? Cercare di ripristinare un' idea di università che abbia come scopo principale l'istruzione e la realizzazione della popolazione piuttosto che quella di un ente delegato solo a rilasciare un pezzo di carta utile (?!) per il lavoro o ad offrire un certo tipo di carriera?E come fare tutto ciò? Io nel mio piccolo,anzi piccolissimo, mi limito ad aiutare, a rassicurare, a dare spiegazioni a studenti magari più giovani e inesperti di me.
[/OT]
[OT, ultimo, prometto]
@Fabbro: Come detto, quello che tu chiami "asservimento" già c'è; anzi, sarebbe anacronistico se non ci fosse. Basta guardare la distribuzione dei finanziamenti tra le diverse facoltà delle nostre università.
Per quanto riguarda la "tecnica", spendo un po' di parole in più. (Nel seguito parlo del mio campo, ovviamente.)
Per rendersi conto delle differenze, basta confrontare lo spessore culturale di un ordinario/associato/ricercatore di oggi con un ordinario/assistente degli anni 50-60.
Per mia fortuna ho avuto a che fare con entrambe le categorie e mi rendo conto che tra i settantenni di oggi ci sono molti "maestri", mentre tra i cinquantenni ci sono molti "insegnanti" e tra i trentenni ci sono solo "tecnici".
La differenza è quella che ho detto; mi pare ci fosse una massima (di non so chi) che diceva più o meno così: Per fare sapere bastano gli insegnanti; per fare cultura servono i maestri.
La tecnica è certamente una forma di cultura; però è una cultura "a basso contenuto umano".
Per essere un buon tecnico devi essere altamente specializzato, e ciò non consente di cogliere la complessità di molte questioni umane. Se vai da un tecnico con un conticino che non torna, lui è in grado di farlo e ti dà una mano; però, non appena gli cominci a parlare delle tue preoccupazioni, lui non riesce nemmeno a capire di che si parla.
Il rapporto docente-discente è un rapporto prima di tutto umano, quindi lasciarlo in mano a gente che non "capisce di che si parla" è alquanto pericoloso.
Ma, come già detto, tant'è... Ormai publish or perish è la regola e le università preferiscono i dottorini.
Non mi lamento perchè è giusto sia così; ma non posso fare a meno di constatarlo con una certa dose di tristezza.
[/OT]
@Fabbro: Come detto, quello che tu chiami "asservimento" già c'è; anzi, sarebbe anacronistico se non ci fosse. Basta guardare la distribuzione dei finanziamenti tra le diverse facoltà delle nostre università.
Per quanto riguarda la "tecnica", spendo un po' di parole in più. (Nel seguito parlo del mio campo, ovviamente.)
Per rendersi conto delle differenze, basta confrontare lo spessore culturale di un ordinario/associato/ricercatore di oggi con un ordinario/assistente degli anni 50-60.
Per mia fortuna ho avuto a che fare con entrambe le categorie e mi rendo conto che tra i settantenni di oggi ci sono molti "maestri", mentre tra i cinquantenni ci sono molti "insegnanti" e tra i trentenni ci sono solo "tecnici".
La differenza è quella che ho detto; mi pare ci fosse una massima (di non so chi) che diceva più o meno così: Per fare sapere bastano gli insegnanti; per fare cultura servono i maestri.
La tecnica è certamente una forma di cultura; però è una cultura "a basso contenuto umano".
Per essere un buon tecnico devi essere altamente specializzato, e ciò non consente di cogliere la complessità di molte questioni umane. Se vai da un tecnico con un conticino che non torna, lui è in grado di farlo e ti dà una mano; però, non appena gli cominci a parlare delle tue preoccupazioni, lui non riesce nemmeno a capire di che si parla.
Il rapporto docente-discente è un rapporto prima di tutto umano, quindi lasciarlo in mano a gente che non "capisce di che si parla" è alquanto pericoloso.
Ma, come già detto, tant'è... Ormai publish or perish è la regola e le università preferiscono i dottorini.
Non mi lamento perchè è giusto sia così; ma non posso fare a meno di constatarlo con una certa dose di tristezza.
[/OT]
@Fabbro: ti riporto un mio commento, siccome sei l'unico che ha commentato il ddl.
"hee136":
La riforma in discussione introduce l'obbligo di attività didattica per il ricercatore.
A prima vista si potrebbe dire che se chi può svolgere attività didattica aumenta (professori + ricercatori), (considerando solo quest'ultimo dato) allora aumenterà anche l'offerta formativa.
Però così non sarà perchè i requisiti per aprire nuovi corsi sono tarati sul numero di professori.
Quindi l'offerta formativa non aumenterà però ci saranno i ricercatori che dovranno svolgere necessariamente attività didattica quindi i professori avranno un carico minore di attività da svolgere.
Per questi motivi a mio parere questa riforma farà piacere ai cosidetti baroni.
Vi sembra che possa filare come ragionamento?
"gugo82":
[OT, anche se non di troppo]
[quote="Fabbro"]Secondo voi quali benifici può trarre l' università dal fatto che membri privati (a cui non viene richiesta alcuna competenza o quantomeno una specifica conoscenza delle università) prendano decisioni riguardo la didattica dei corsi di laurea?
Credete che in Italia ci siano privati "illuminati" che decidano di entrare nelle università per promuovere la cultura?
Ritenete che ciò non potrebbe comportare il rischio di un asservimento intellettuale alle logiche di mercato?
Sveglia, ragazzi.
Sono almeno trent'anni che non si fa più "cultura" dentro le università.
Le università ormai insegnano solo delle tecniche, e perciò la stragrande maggioranza dei docenti/ricercatori è fatta di semplici tecnici.
Per fare cultura servono maestri, ma quelli scarseggiano da tempo nell'università (come nelle scuole di ogni grado).
Ma questo fatto, seppur disdicevole, è segno che è mutata la nostra società; ormai il "saper fare" ha un valore molto più grande del "saper dire" nell'economia del "sapere" e ciò si riflette sulla struttura dell'università. Tutti vogliono il brillante ricercatore, il dottorino che pubblica sulle riviste più quotate, e se ne fregano se il tizio non sa fare null'altro e non pensa a null'altro... Ma tant'è. Come detto, è segno di una società che cambia.
Inoltre, se si vuole invogliare la grande industria (detto a fil di voce, verrebbe da chiedersi "quale industria?", visto che industriali veri in Italia non ce ne sono...) ad investire nell'istruzione, è evidente che le si deve dare almeno l'illusione di poter controllare i propri investimenti. Insomma, do ut des, anche se sembra ci siano ben pochi che vogliano dare all'università.
[/OT][/quote]
[0T?]
Credo tu abbia frainteso. Io non mi riferisco alla "cultura" personale di ciascuno di noi intesa nel suo senso più generale e trasversale: quella probabilmente come dici tu oggi non si apprende più dalla scuola (purtroppo) e forse dipende principalmente anche dai nostri percorsi di vita individuali e dalla nostra volontà piuttosto che dai maestri.
Ma io non volevo riferirmi affatto a questo quando ho usato il termine cultura.
Volevo riferirmi a quello che credo tu chiami "insegnamento di tecniche": non credi che anche questo è parte della nostra cultura e del nostro sapere? O pensi che ci sia una così netta differenza tra ciò che ti insegna l' università e il tuo bagaglio culturale? Io credo che quello che apprendo come studente di fisica all' università entra a far parte della mia cultura scientifica. Pensi che il saper come si risolve un problema di matematica o fisica non significhi possedere una certa forma di cultura? Che poi la "cultura" non sia solo quello siamo tutti d'accordo.
Tu dici "Tutti vogliono il brillante ricercatore, il dottorino che pubblica sulle riviste più quotate, e se ne fregano se il tizio non sa fare null'altro e non pensa a null'altro..." : mi sembra naturale e non vedo perchè non debba essere così. Si spera infatti che tale "dottorino" abbia una cultura e competenze ad esempio scientifiche(o comunque nel suo campo) superiori agli altri se pubblica sulle riviste più quotate.
Inoltre io non voglio invogliare le industrie ad interessarsi alle università: ci deve pensare lo stato. E non giudicherei con leggerezza l' entrata di queste nei CDA: altro che illusione di poter controllare i propri investimenti, sarà realtà purtroppo. Pensi ad esempio che un privato incentivi di più una ricerca scientifica che possa fargli comodo o una sulla filologia romanza ad esempio?
Se si vuole costruire un ponte tra industria e università perchè non farlo in qualche modo(non so quale) al livello personale dei ricercatori, creando magari collegamenti tra dottori di ricerca e industrie, offrendo magari più possibilità ad un ricercatore di spendersi nel mondo industriale, ed eliminando invece l' intrusione dei privati già al livello delle lauree inferiori?
[/OT?]
"maxsiviero":
[quote="Steven"]
MaxSiviero, citare le tasse universitarie non è di alcuna utilità: le tasse che lo studente paga non coprono assolutamente i costi della struttura, altrimenti non ci sarebbe alcun bisogno di finanziamento.
Bisogna capire che l'università è un servizio allo studente e un investimento per il futuro: un utente improduttivo, gravoso e senza motivazioni va messo alla porta.
Ricordiamoci che per studiare non è necessario essere iscritti all'università, e ancor di più, non è necessario nemmeno per seguire le lezioni, essendo queste aperte.
E' ovvio che le sole tasse universitarie (che però non ammontano a 500/1000 euro visto che io iscritto a tempo parziale a matematica ne pago più di 1500) non possono coprire i costi dell'Università. Però conferiscono a chi le paga il diritto di accedere ai servizi dell'Università. Infatti stavo rispondendo a chi voleva "mandare a casa" chi è fuori corso oltre un certo limite. Io però credo fermamente nel fatto che lo studio debba essere un diritto in uno stato che si professa democratico. Poi sono d'accordo sulla valorizzazione delle eccellenze dove ci sono, ma questo non deve andare a scapito dell'accesso che deve essere aperto a tutti (a mio parere). Sul mettere un limite ragionevole al numero di anni passati senza dare esami, sono d'accordo se questo significa per esempio dover ricominciare tutto da capo dopo un certo numero di anni di inattività. Ma senza mandare a casa nessuno.[/quote]
Ma infatti lo scopo del "mandare a casa" e' quello di far capire allo studente se e' ancora in grado di finire gli studi, eventualmente rivedendo un po' la sua situazione e rivalutando se e' il caso di riiniziare da capo validando alcuni esami, oppure se e' inutile per lui pagare continuamente le tasse... (almeno quei soldi li usa per altro).
Sul fatto che l'istruzione deve essere un diritto di tutti direi che non ci piove, e pensavo si fosse capito il mio pensiero

Una cosa e' certa e che bisogna evitare gli sprechi ed ottimizzare quanto c'e' di buono, come ad esempio dirottare dei corsi di studio molto specifici presso sedi piu' adatte, mentre e' inutile avere dei doppioni a pochi km di distanza.
Riguardo ai problemi culturali dell'italiano medio credo che al momento non ci sia, da parte del governo, nessun interesse in tal senso... basti vedere come siano tutti interessati a tutelarsi dalle proprie vicende giudiziarie (e questo secondo me influisce negativamente su molte persone che vedono la giustizia (e le regole) "un optional"....), quando invece bisognerebbe riformare la coscienza collettiva volta verso un benessere comune nazionale... istruzione e ricerca, senso civico e di appartenenza sono giusto un paio di cose che mi vengono in mente.
"3.1415":
leggendo in questo discussione ho l'impressione che molte persone abbiano un'idea del mondo del lavoro e dell'economia rimasta ferma agli inizi del secolo scorso ...
Sollievo: pensavo di essere l'unico ad avere questa impressione, e che fosse il pensiero dominante, mi era venuta una tristezza...

Ribadisco che pensare di ridurre il sistema universitario italiano come ad una soluzione dei suoi problemi equivale a gettar via il bambino con l'acqua sporca. O in modo equivalente, adattare l'università italiana al "sistema italia" ed escludere bamboccioni e svogliati solo perché si iscrivono, con la conseguenza di escludere per definizione altri che non lo sono, e peggiori conseguenze (fra l'altro, svogliati e fuoricorso di lunga data non incidono sul "budget").
[ Mi torna in mente il dibattito di (ormai sembrano milioni di) anni fa, quando i Radicali e Pannella in testa si scagliarono contro le preferenze elettorali, rimarcando come - cosa peraltro vera - la criminalità organizzata ed il sistema clientelare dei partiti facesse di queste preferenze "merce di scambio" per ottenere favori e prebende. Strilla oggi strilla domani, tutti o quasi si convinsero a togliere le preferenze dalla legge elettorale, con le conseguenze che sappiamo, fra le quali non ultima è stata la riduzione di una libertà individuale. ]
L'università - lo Stato, noi tutti - deve avere come obiettivo una popolazione istruita, più che si può, ovvero il maggior numero di laureati possibile. Che NON vuole dire dare la laurea o il dottorato a tutti, ma permettere a tutti di avere una possibilità. Certo serve anche altro: istruzione migliore dal basso, migliore scuola superiore, ammissioni con esame, e anche cambiamento di mentalità di molti giovani.
La cosa che mi fa sorridere (fino ad un certo punto) è il credere che togliendo sedi universitarie si mandino a spasso i professori titolari che hanno magari una cattedra senza merito e quindi alla fine si risparmi; è un sogno, svegliatevi. Semmai mandate a spasso ricercatori precari a contratto, che facevano didattica seriamente, e studenti pendolari: il risparmio monetario c'è... ma a che prezzo?
[OT, anche se non di troppo]
Sveglia, ragazzi.
Sono almeno trent'anni che non si fa più "cultura" dentro le università.
Le università ormai insegnano solo delle tecniche, e perciò la stragrande maggioranza dei docenti/ricercatori è fatta di semplici tecnici.
Per fare cultura servono maestri, ma quelli scarseggiano da tempo nell'università (come nelle scuole di ogni grado).
Ma questo fatto, seppur disdicevole, è segno che è mutata la nostra società; ormai il "saper fare" ha un valore molto più grande del "saper dire" nell'economia del "sapere" e ciò si riflette sulla struttura dell'università. Tutti vogliono il brillante ricercatore, il dottorino che pubblica sulle riviste più quotate, e se ne fregano se il tizio non sa fare null'altro e non pensa a null'altro... Ma tant'è. Come detto, è segno di una società che cambia.
Inoltre, se si vuole invogliare la grande industria (detto a fil di voce, verrebbe da chiedersi "quale industria?", visto che industriali veri in Italia non ce ne sono...) ad investire nell'istruzione, è evidente che le si deve dare almeno l'illusione di poter controllare i propri investimenti. Insomma, do ut des, anche se sembra ci siano ben pochi che vogliano dare all'università.
[/OT]
"Fabbro":
Secondo voi quali benifici può trarre l' università dal fatto che membri privati (a cui non viene richiesta alcuna competenza o quantomeno una specifica conoscenza delle università) prendano decisioni riguardo la didattica dei corsi di laurea?
Credete che in Italia ci siano privati "illuminati" che decidano di entrare nelle università per promuovere la cultura?
Ritenete che ciò non potrebbe comportare il rischio di un asservimento intellettuale alle logiche di mercato?
Sveglia, ragazzi.
Sono almeno trent'anni che non si fa più "cultura" dentro le università.
Le università ormai insegnano solo delle tecniche, e perciò la stragrande maggioranza dei docenti/ricercatori è fatta di semplici tecnici.
Per fare cultura servono maestri, ma quelli scarseggiano da tempo nell'università (come nelle scuole di ogni grado).
Ma questo fatto, seppur disdicevole, è segno che è mutata la nostra società; ormai il "saper fare" ha un valore molto più grande del "saper dire" nell'economia del "sapere" e ciò si riflette sulla struttura dell'università. Tutti vogliono il brillante ricercatore, il dottorino che pubblica sulle riviste più quotate, e se ne fregano se il tizio non sa fare null'altro e non pensa a null'altro... Ma tant'è. Come detto, è segno di una società che cambia.
Inoltre, se si vuole invogliare la grande industria (detto a fil di voce, verrebbe da chiedersi "quale industria?", visto che industriali veri in Italia non ce ne sono...) ad investire nell'istruzione, è evidente che le si deve dare almeno l'illusione di poter controllare i propri investimenti. Insomma, do ut des, anche se sembra ci siano ben pochi che vogliano dare all'università.
[/OT]
ho letto tutta la discussione e vorrei riportare l'attenzione su alcune innovazioni previste da questo decreto.
Questione della governance: il senato accademico viene esautorato dall' esercizio di ogni funzione didattica poichè le sue decisioni devono essere approvate dai consigli di amministrazione. Questi devono essere composti da massimo 11 persone e devono essere presenti 2 o 3 membri esterni(ovvero privati) a seconda che il CDA sia composto rispettivamente da più o da meno di 11 persone. Inizialmente il ddl prevedeva la presenza del 40% di privati, ovvero 5 membri, nei CDA che insieme al rettore avrebbero avuto la maggioranza assoluta nelle decisioni.
Secondo voi quali benifici può trarre l' università dal fatto che membri privati( a cui non viene richiesta alcuna competenza o quantomeno una specifica conoscenza delle università) prendano decisioni riguardo la didattica dei corsi di laurea?
Credete che in Italia ci siano privati "illuminati" che decidano di entrare nelle università per promuovere la cultura?
Ritenete che ciò non potrebbe comportare il rischio di un asservimento intellettuale alle logiche di mercato?
Questione dei ricercatori a tempo indeterminato: il ddl semplicemente li ignora.Il loro ruolo è implicitamente in rottamazione.
Non mi sembra giusto il comportamento del governo nei loro confronti.Evidentemente sono stati stupidi a sobbarcarsi gratuitamente l' onere della didattica durante questi anni
Questione dei ricercatori a tempo determinato: dopo 6 anni possono entrare come associati ma, leggete l'articolo 21 comma 5, nell' ambito delle risorse disponibili. Quindi la valutazione non dipenderà solo dal merito effettivo del candidato ma anche dalle risorse disponibili. Considerando i tagli cui le università sono sottoposte quanti saranno allora effettivamente i posti disponibili?
Cosa vedo di positivo? Sicuramente la responsabilizzazione dei dipartimenti ottenuta legando l’assegnazione di fondi alle strutture ad una valutazione ex-post( a posteriori) del reclutamento come unico modo per prevenire chiamate guidate da criteri che non siano il valore dei candidati.
I tagli cui le università pubbliche sono sottoposte non consentono a molte di queste di pareggiare il bilancio. Come conseguenza di questo verrà bloccato il turnover delle assunzioni. I ricercatori non sono tenuti a fare didattica, quando i professori andranno in pensione, evidentemente l' offerta fornativa andrà a farsi benedire. E questo penalizzerà tutti gli studenti, anche quelli più bravi e volenterosi.
Alla Sapienza a giurisprudenza 29 prof. in pensione quest' anno, chi li rimpiazzerà?
Ci sono sprechi di denaro? Allora perchè non iniziamo ad eliminare la distinzione tra associato e ordinario e costituiamo un' unica fascia di professori con scatti stipendiali legati esclusivamente al merito scientifico,accademico... e non all' anzianità?
Io sono studente di fisica alla Sapienza che, tra l'altro è nel CHE Excellence Group per fisica appunto, e devo purtroppo vedere questo mio dipartimento meritevole per la qualità della didattica e della ricerca, così come altri dipartimenti meritevoli, penalizzati dai tagli indiscriminati e indistinti.
I soldi rimanenti dai tagli al FFO servono primariamente a pagare gli stipendi di chi all' università ci lavora e solo successivamente destinati alle risorse per gli studenti(vedi borse di studio ad esempio). Con conseguente innalzamento di tasse universitarie e introduzione di pagamenti anche per sostenere un test di ingresso.
Purtroppo sono molto pessimista: non credo che questa riforma migliorerà di molto la situazione.
Il problema dei ricercatori a tempo indeterminato viene eliminato eliminando i ricercatori.
Il ddl prevede circa 170 norme e decine di regolamenti che gli atenei dovranno emanare in seguito per poter procedere alla copertura delle future assunzioni.
Una riforma a mio avviso che rischia di rimanere impantanata nella burocrazia che essa stessa prevede. Ma soprattutto un ddl che non può pensare di rivelarsi efficace a costo zero.
Vi invito a leggere questo documento http://www.phys.uniroma1.it/DipWeb/pdf_ ... ersita.pdf
Questione della governance: il senato accademico viene esautorato dall' esercizio di ogni funzione didattica poichè le sue decisioni devono essere approvate dai consigli di amministrazione. Questi devono essere composti da massimo 11 persone e devono essere presenti 2 o 3 membri esterni(ovvero privati) a seconda che il CDA sia composto rispettivamente da più o da meno di 11 persone. Inizialmente il ddl prevedeva la presenza del 40% di privati, ovvero 5 membri, nei CDA che insieme al rettore avrebbero avuto la maggioranza assoluta nelle decisioni.
Secondo voi quali benifici può trarre l' università dal fatto che membri privati( a cui non viene richiesta alcuna competenza o quantomeno una specifica conoscenza delle università) prendano decisioni riguardo la didattica dei corsi di laurea?
Credete che in Italia ci siano privati "illuminati" che decidano di entrare nelle università per promuovere la cultura?
Ritenete che ciò non potrebbe comportare il rischio di un asservimento intellettuale alle logiche di mercato?
Questione dei ricercatori a tempo indeterminato: il ddl semplicemente li ignora.Il loro ruolo è implicitamente in rottamazione.
Non mi sembra giusto il comportamento del governo nei loro confronti.Evidentemente sono stati stupidi a sobbarcarsi gratuitamente l' onere della didattica durante questi anni
Questione dei ricercatori a tempo determinato: dopo 6 anni possono entrare come associati ma, leggete l'articolo 21 comma 5, nell' ambito delle risorse disponibili. Quindi la valutazione non dipenderà solo dal merito effettivo del candidato ma anche dalle risorse disponibili. Considerando i tagli cui le università sono sottoposte quanti saranno allora effettivamente i posti disponibili?
Cosa vedo di positivo? Sicuramente la responsabilizzazione dei dipartimenti ottenuta legando l’assegnazione di fondi alle strutture ad una valutazione ex-post( a posteriori) del reclutamento come unico modo per prevenire chiamate guidate da criteri che non siano il valore dei candidati.
I tagli cui le università pubbliche sono sottoposte non consentono a molte di queste di pareggiare il bilancio. Come conseguenza di questo verrà bloccato il turnover delle assunzioni. I ricercatori non sono tenuti a fare didattica, quando i professori andranno in pensione, evidentemente l' offerta fornativa andrà a farsi benedire. E questo penalizzerà tutti gli studenti, anche quelli più bravi e volenterosi.
Alla Sapienza a giurisprudenza 29 prof. in pensione quest' anno, chi li rimpiazzerà?
Ci sono sprechi di denaro? Allora perchè non iniziamo ad eliminare la distinzione tra associato e ordinario e costituiamo un' unica fascia di professori con scatti stipendiali legati esclusivamente al merito scientifico,accademico... e non all' anzianità?
Io sono studente di fisica alla Sapienza che, tra l'altro è nel CHE Excellence Group per fisica appunto, e devo purtroppo vedere questo mio dipartimento meritevole per la qualità della didattica e della ricerca, così come altri dipartimenti meritevoli, penalizzati dai tagli indiscriminati e indistinti.
I soldi rimanenti dai tagli al FFO servono primariamente a pagare gli stipendi di chi all' università ci lavora e solo successivamente destinati alle risorse per gli studenti(vedi borse di studio ad esempio). Con conseguente innalzamento di tasse universitarie e introduzione di pagamenti anche per sostenere un test di ingresso.
Purtroppo sono molto pessimista: non credo che questa riforma migliorerà di molto la situazione.
Il problema dei ricercatori a tempo indeterminato viene eliminato eliminando i ricercatori.
Il ddl prevede circa 170 norme e decine di regolamenti che gli atenei dovranno emanare in seguito per poter procedere alla copertura delle future assunzioni.
Una riforma a mio avviso che rischia di rimanere impantanata nella burocrazia che essa stessa prevede. Ma soprattutto un ddl che non può pensare di rivelarsi efficace a costo zero.
Vi invito a leggere questo documento http://www.phys.uniroma1.it/DipWeb/pdf_ ... ersita.pdf
"Camillo":
Percentuale di laureati : leggo che in Danimarca e Olanda è superiore al 30 % della popolazione ( maschile ) di età compresa tra 25 e 64 anni .
Mi viene un dubbio : non sono troppi ? come è possibile che tutti abbiano un lavoro soddisfacente in relazione alla laurea che possiedono ?
Nel lavoro non servono solo colonnelli e generali anzi....
ci sono già 1 miliardo di cinesi pronti a fare i lavoratori a bassissimo costo e dopo di loro gli Indiani e in ultima alternativa le popolazioni africane . Come pensi che i nostri lavoratori possano competere con loro ?
leggendo in questo discussione ho l'impressione che molte persone abbiano un'idea del mondo del lavoro e dell'economia rimasta ferma agli inizi del secolo scorso . Oggi le imprese delocalizzano in paesi con bassissimo costo della forza lavoro e con una simile concorrenza l'unica alternativa è specializzare l'industria nazionale nella ricerca e nell'innovazione : noi sviluppiamo nuovi prodotto , loro costruiscono . Ma per fare una cosa del genere non bastano pochi geni , ai nostri giorni qualunque scoperta richiede il lavoro di gruppo di molte persone e anni di studio con ingenti capitali .
L'unico modo che abbiamo noi europei per sopravvivere ad un simile mutamento del mercato è puntare sull'istruzione superiore di buona parte della popolazione .
"Steven":
MaxSiviero, citare le tasse universitarie non è di alcuna utilità: le tasse che lo studente paga non coprono assolutamente i costi della struttura, altrimenti non ci sarebbe alcun bisogno di finanziamento.
Bisogna capire che l'università è un servizio allo studente e un investimento per il futuro: un utente improduttivo, gravoso e senza motivazioni va messo alla porta.
Ricordiamoci che per studiare non è necessario essere iscritti all'università, e ancor di più, non è necessario nemmeno per seguire le lezioni, essendo queste aperte.
E' ovvio che le sole tasse universitarie (che però non ammontano a 500/1000 euro visto che io iscritto a tempo parziale a matematica ne pago più di 1500) non possono coprire i costi dell'Università. Però conferiscono a chi le paga il diritto di accedere ai servizi dell'Università. Infatti stavo rispondendo a chi voleva "mandare a casa" chi è fuori corso oltre un certo limite. Io però credo fermamente nel fatto che lo studio debba essere un diritto in uno stato che si professa democratico. Poi sono d'accordo sulla valorizzazione delle eccellenze dove ci sono, ma questo non deve andare a scapito dell'accesso che deve essere aperto a tutti (a mio parere). Sul mettere un limite ragionevole al numero di anni passati senza dare esami, sono d'accordo se questo significa per esempio dover ricominciare tutto da capo dopo un certo numero di anni di inattività. Ma senza mandare a casa nessuno.
@Steven;
è vero sui disagio dei posti e tutto....
già mi piace il tuo discorso , è molto più serio..... del discorso del costo
è vero sui disagio dei posti e tutto....
già mi piace il tuo discorso , è molto più serio..... del discorso del costo

Mistake, io ritengo che una persona di vent'anni o giù di lì che vuole accollarsi 5 anni di studio serio debba avere la maturità di dire: a cause della scuola superiore che ho frequentato (o altre ragioni) non ho le basi adeguate per iniziare a studiare Fisica, allora mi metto in pari da solo.
Ponendo sempre che i test dovrebbero essere base.
Erroneamente si pensa: facciamoli passare e poi se non ce la fanno affari loro.
Noi a Matematica non dobbiamo scordare di stare in un'oasi felice; io ho sentito storie di colleghi, in altri dipartimenti, che non trovano posto a sedere nelle aule perché piene. O disagi simili per le esercitazioni in laboratorio.
Non vedo perché una persona che si segna all'università così per gioco debba arrecare questi disagi a chi intende invece seguire con profitto.
Non vedo perché i nostri istituti di istruzione, dalle medie all'università, debbano sempre facilitare la vita a queste persone.
Purtroppo sentire di meritarsela non significa meritarlo davvero.
Non vedo perché non farlo decidere ad un test sulle conoscenze di base.
Il metro di giudizio, purtroppo e per fortuna, deve tener conto dell'effettivo, e non di quello che piacerebbe che fosse.
Ponendo sempre che i test dovrebbero essere base.
Erroneamente si pensa: facciamoli passare e poi se non ce la fanno affari loro.
Noi a Matematica non dobbiamo scordare di stare in un'oasi felice; io ho sentito storie di colleghi, in altri dipartimenti, che non trovano posto a sedere nelle aule perché piene. O disagi simili per le esercitazioni in laboratorio.
Non vedo perché una persona che si segna all'università così per gioco debba arrecare questi disagi a chi intende invece seguire con profitto.
Non vedo perché i nostri istituti di istruzione, dalle medie all'università, debbano sempre facilitare la vita a queste persone.
"mistake":
Diamo la possibilità a tutti quelli che sentono di meritarsela (in piena coscienza), che si scontrassero con la realtà e vediamo se questa possibilità trarrà profitto oppure no.
Purtroppo sentire di meritarsela non significa meritarlo davvero.
Non vedo perché non farlo decidere ad un test sulle conoscenze di base.
Il metro di giudizio, purtroppo e per fortuna, deve tener conto dell'effettivo, e non di quello che piacerebbe che fosse.
"Cheguevilla":
meglio tante università in ogni angolo.... ma con la certezza di un egregia qualità di studio.
Ogni università ha tanti costi fissi, che vanno pagati indipendentemente dal numero di studenti. Per far studiare lo stesso numero di studenti, 10 università costano un'infinità di più di una grossa.
E posso garantire che con il risparmio effettuato, si potrebbero costruire campus e alloggi per studenti, in modo da consentire a chi vive fuori sede (in Danimarca chiunque) di avere un alloggio. Non mi sembra una soluzione fantascientifica, ma in Italia la percentuale di studenti che riesce a sopravvivere senza la mamma che gli fa il letto e gli lava le mutande è piuttosto bassa.
Utopia.... peggio di fantascienza ;
più che le mutande o ste sciocchezze che nomini in continuazione... direi i costi ; 300+€ solo di affitti , sono da pazzi.
e non devi campare, non devi mangiare...
quindi finiamola;
io rispetto tutte le idee... l'università è un luogo di Cultura non di speculazione ... giusto che fanno le riforme per i 1000.000. ricercatori, giusto che tagliano;
ma non devono precludere il futuro ai giovani .....
e dico; finiamola con la leggenda... poverino lo Stato che deve mantenere le università con tutti questi studenti...
è ridicolo,,, chiudo quì che è meglio.
"F@bri":
@mat100
Ma allora la selezione dove sta?Chiunque voglia sedersi per 10 anni e ottenere un pezzo di carta faccia pure.. ecco l'università
Allora non mi sembra che quel titolo abbia un grande valore...
Ma lo capite o no che il pezzo di carta non te lo regala nessuno ?
cioè ma stiamo scherzando?... io ho posto un problema relativo ai pezzi dicarta che vanno date da altre università " private o pseudoprivate" ; quello si che è un problema di tutti, problema per cui tutti possono essere superati in una gradutatoria statale da uno che ha una laurea così, problema di tutti perchè quel pezzo di carta qualcosa vale.
E' giusto che ci sia un limite di tempo per una questione più che altra logistica, e giusto che ci sia una selezione, ma è assurdo pensare che la causa sia la qualità e il costo dello studio;
fidatevi non è da toccare il discorso costo di uno studente sono cose/informazioni che aprirebbero un dibattito molto vario ;
il problema non è il cittadino o lo studente; non mi fate dire cose che non voglio....
trovo deplorevole e ignorante coloro che ricercano la soluzione della Qualità dell'ordine e dell'istruzione rigida , tramite barriere, tagli , corsi a numero programmato e ostacoli che violano il diritto di ognuno di noi ad una educazione che noi in parte paghiamo anche senza andare all'università.
non penso che la moda di andare all'università sia una questione di vita o di morte, chi è questo imbecille che sta 10 anni in facoltà senza far niente ?
quì stiamo intaccando la libertà di ogni singolo .... penso che nessuno possa parlare di costi, sono stato io ad accennare , ma non ne voglio parlare è una questione molto delicata.
io come molti altri miei colleghi sono per la Libera istruzione regolamentata , è giusto limitare il numero di studenti per corsi inerenti la medicina per esempio ma sono questione soggettive;
mi pare anche buona la scelta che fu fatta di inserire tutte le materie con l'obbligo di propedeuticità ;
siamo un paese con la mentalità arretrata con la passione per la raccomandanzione e discorsi del genere e riforme del genere non fanno altro che confermarlo.
Le università serie non danno niente a nessuno; o ci sono 300 iscritti o ce ne sono 900.
finiamola con queste leggende
[quote] L'università non deve essere un luogo per tuttiQuesta è pazzia che porterà all'estinzione dell'Università pubblica a vantaggio di quella privata (quello che vuole la Gelmini peraltro). Lo studio deve essere un diritto, punto e basta. Sta poi all'Istituzione universitaria valutare chi merita e chi no.
[/quote]Veramente, in Danimarca funziona così da sempre, eppure l'università è solo pubblica, interamente gratuita (anzi gli studenti vengono pagati), di livello elevato ed il numero di laureati è maggiore rispetto all'Italia.
Ma perchè negare a chi non ha capacità eccelse (ma magari tanta volontà) e a chi non ha disponibilità economica e/o vari problemi la possibilità di istruirsi ed essere prima di tutto una persona migliore?Infatti, come ho detto sopra, bisognerebbe studiare cose alternative, riportando l'esempio delle Folkehøjskoler.
Per me la cultura e l'istruzione superiore, rende prima di tutto persone migliori.
Anche a me piacerebbe correre la discesa libera di Kitzbuhel in coppa del mondo. Non posso farlo, ma se voglio vado a Kitzbuhel e scendo dalla Straif, comodamente.
meglio tante università in ogni angolo.... ma con la certezza di un egregia qualità di studio.Ogni università ha tanti costi fissi, che vanno pagati indipendentemente dal numero di studenti. Per far studiare lo stesso numero di studenti, 10 università costano un'infinità di più di una grossa.
E posso garantire che con il risparmio effettuato, si potrebbero costruire campus e alloggi per studenti, in modo da consentire a chi vive fuori sede (in Danimarca chiunque) di avere un alloggio. Non mi sembra una soluzione fantascientifica, ma in Italia la percentuale di studenti che riesce a sopravvivere senza la mamma che gli fa il letto e gli lava le mutande è piuttosto bassa.
Ma il cittadino ti paga la tassa?, ti paga tutto e di più?.... gli dai la possibilità di istruirsi a spese sue, se non è capace cazzi suoi ; non passa? , per una triennale ci sta 6 anni? cazzi suoi...Come ha già fatto notare Steven, i costi non sono esclusivamente diretti.
Il costo dell'università è condiviso tra parte pubblica (ottenuta tramite la fiscalità generale) e la parte appropriabile (ottenuta tramite le tasse universitarie). I non iscritti all'università pagano (e non poco) attraverso la tassazione generale per sostenere l'università. Se io fossi un contribuente italiano, mi girerebbero parecchio le scatole sapendo che tante persone vanno in università impiegando anni per dare pochi esami, provando a dare gli esami ad ogni sessione possibile (e questo è un costo notevole).
Percentuale di laureati : leggo che in Danimarca e Olanda è superiore al 30 % della popolazione ( maschile ) di età compresa tra 25 e 64 anni .Io sono dell'idea che la qualità della formazione individuale sia strettamente correlata alla qualità del lavoro prodotto, indipendentemente dal tipo di lavoro svolto. Cioè, la produttività di un laureato è tendenzialmente maggiore di quella di un non laureato.
Mi viene un dubbio : non sono troppi ? come è possibile che tutti abbiano un lavoro soddisfacente in relazione alla laurea che possiedono ?
Nel lavoro non servono solo colonnelli e generali anzi....
Potrebbe, ad esempio, non essere casuale il fatto che Danimarca e Olanda sono stati in cui il livello salariale è molto più elevato che in Italia.
In genere il laureato europeo è più colto, nel senso che ha frequentato una scuola superiore in cui le materie "culturali" avevano uno spazio più ampio.
Da un punto di vista professionale, invece, direi che sono abbastanza equivalenti.
Da un punto di vista professionale, invece, direi che sono abbastanza equivalenti.