Lo Spazio

maurer
E' una domanda che mi sta letteralmente ossessionando in questo periodo.

Esiste un modo, al meglio delle nostre attuali conoscenze, di pensare il concetto di "spazio" in modo che risulti essere a priori, ossia tale che non sia soggetto ad ulteriori significative generalizzazioni?

Più terra terra, per voi che cos'è lo spazio?

Preciso che non mi riferisco a spazi strani (anche se la mia attuale risposta è parecchio "strana"), ma vorrei proprio parlare di "spazi geometrici", ovvero luoghi idonei per fare "geometria".

Risposte
yellow2
So benissimo che quello che cercavi era una risposta oggettiva e che la mia non fosse una risposta. :P
Anzi lo era nel senso che quello che mi verrebbe istintivo da pensare adesso è che non c'è motivo di avere una definizione "a priori" di geometria, ma è un pensiero che si fonda su un'ignoranza in materia praticamente totale. L'ho scritto più che altro perché il discorso mi stava piacendo e ogni tanto anche un punto di vista "infantile" può essere uno stimolo alla discussione.
E' il genere di domanda che di solito nemmeno mi pongo, ma sono in ogni caso piuttosto incuriosito dalle vostre idee e da tutta la teoria che c'è dietro. Con calma cercherò di capirne qualcosina.

maurer
"yellow":
[quote="killing_buddha"]
"parlare di geometria come qualcosa che mantiene dei legami con lo spazio che conosciamo" e' qualcosa di semplicemente mal posto, se non si risolvono preventivamente questi problemi. Molto meglio sospendere il giudizio e rimetterlo alla clemenza dei filosofi, noi si fa cose divertenti intanto :D

Ahah è mal posto se si vuole dare una risposta oggettiva, cosa che almeno per il momento io evito per manifesta ignoranza. L'idea di fondo comunque è che, senza uno spazio fisico che percepiamo attorno a noi, non sentiremmo nemmeno il bisogno di chiamare qualcosa "geometria". Per cui per forza di cose quando si va a definirla secondo me ci si sta implicitamente confrontando anche con esso.
Adesso mi leggo i papiri. Forse.[/quote]
Beh, in fondo era la "consegna" del thread. Dare una risposta oggettiva (i.e. a priori) alla domanda "che cos'è lo spazio?". Quello che dici tu è vero, ma è vero in modo banale. E' come dire: io sto scrivendo queste parole perché il mio cuore batte e mi tiene in vita. Senz'altro, se fossi morto di sicuro non potrei pigiare i tasti del mio computer, ma è un'affermazione priva di profondità perché la correlazione tra i due fatti è troppo lasca.

Il punto è che, come ritengo di aver spiegato abbastanza bene nel mio ultimo papiro, la realtà e i nostri sensi tendono ad ingannarci: non ci rivelano l'essenza del noumeno, ma solo il fenomeno. Sta alla nostra mente, ricevuto l'input primordiale, saper staccarsi dalla fallacia di ciò che sembra per arrivare a ciò che è. Attenendosi a quello che dici, si correrebbe il rischio di rimanere davvero attaccati ai nostri sensi, e allora non avremmo altro che gli spazi affini. E la relatività dove la mettiamo? Cito dall'articolo di L. Barbieri Viale:

"L. Barbieri Viale":

In conclusione, Grothendieck come Einstein, attraverso una “mutazione della concezione che noi abbiamo dello spazio, in senso matematico da una parte e fisico dall’altra” e l’innovazione del nostro sguardo sul mondo mediante una visione unificatrice della matematica da una parte e della fisica dall’altra, s’impongono ai nostri occhi come il matematico e il fisico che hanno rivoluzionato il pensiero scientifico mediante il concetto di relatività.

Inutile dire che sottoscrivo col sangue queste parole.

maurer
Ahah, ineff: hai una capacità di sintesi invidiabile! Sì, i papiri combinati di killing_buddha e miei sono efficacemente riassunti da queste tue parole:

"ineff":
uno spazio è un prefascio!!!

Spero soltanto che le parole mie e di killing_buddha abbiano chiarito e chiariranno anche a qualche altro lettore (che avrà la pazienza e, forse, il coraggio di leggerci per intero) il Perché questa affermazione può essere correttamente definita come "il Verbo".
Io mi sono rifatto esattamente a quel link per strutturare il mio discorso. Sottolineiamo anche che quella pagina è ispirata a questo articolo di Lawvere (come d'altra parte è esplicitamente detto su nLab). Io lo sto studiando proprio in questi giorni! :D

ineff
"killing_buddha":
Non credo di aver mai visto una descrizione piu' pulita della dualita' di Isbell :D me la riciclo!

Continui a soprendermi, hai la risposta a portata di mano per tutto questo tempo e non l'hai data???

Ecco il verbo(firmato dallo zio Bill): uno spazio è un prefascio!!!
Ecco qui un link.

yellow2
"killing_buddha":

"parlare di geometria come qualcosa che mantiene dei legami con lo spazio che conosciamo" e' qualcosa di semplicemente mal posto, se non si risolvono preventivamente questi problemi. Molto meglio sospendere il giudizio e rimetterlo alla clemenza dei filosofi, noi si fa cose divertenti intanto :D

Ahah è mal posto se si vuole dare una risposta oggettiva, cosa che almeno per il momento io evito per manifesta ignoranza. L'idea di fondo comunque è che, senza uno spazio fisico che percepiamo attorno a noi, non sentiremmo nemmeno il bisogno di chiamare qualcosa "geometria". Per cui per forza di cose quando si va a definirla secondo me ci si sta implicitamente confrontando anche con esso.
Adesso mi leggo i papiri. Forse.

killing_buddha
Non credo di aver mai visto una descrizione piu' pulita della dualita' di Isbell :D me la riciclo!

maurer
"killing_buddha":
[...] Pecchero' forse di ingenuita', ma il mio "risveglio" dal sonno dogmatico e' avvenuto cosi', estasiato dalla presenza dei punti esclamativi ad apice, e da parole come "coomologia cristallina": qualsiasi ente con un nome del genere non puo' che brillare di eternita' nell'universo.


Clap clap clap! =D> Uno splendido discorso, incredibilmente lucido e acuto. Esattamente la risposta che volevo.
Approfitto per aggiungermi a te nel consigliare la lettura dell'articolo di Barbieri Viale. Inoltre, vorrei esprimere tutta la mia gratitudine verso questa persona eccezionale; io sono stato più lento di te a svegliarmi dal mio sonno dogmatico: ho avuto bisogno di assistere alle spettacolari lezioni di Algebra Commutativa tenute da Barbieri Viale stesso per riscuotermi ed iniziare a guardarmi intorno meravigliato.

Lasciatemi però aggiungere qualcosa. Se avrete voglia di leggere con la dovuta pazienza ed attenzione quello che ha scritto killing_buddha comprenderete senz'altro che i fasci sono la sonda perfetta per analizzare e sussumere tutte le proprietà di uno spazio, a tal punto che diventa ragionevole chiamare spazio proprio il dato di un sito e di un fascio (come diceva killing_buddha, se studiamo varietà differenziabili i nostri spazi saranno varietà con un fascio strutturale, il fascio delle funzioni differenziabili, se facciamo geometria algebrica considereremo il fascio delle funzioni polinomiali ecc.). Infatti, per la maggior parte delle situazioni che emergono dalla matematica classica possono essere agevolmente codificate nel concetto di spazio anellato [tex](X,\mathcal O_X)[/tex]: [tex]X[/tex] è uno spazio topologico, mentre [tex]\mathcal O_X[/tex] è un fascio di anelli. A me piace pensare a [tex]X[/tex] come all'involucro dello spazio ed a [tex]\mathcal O_X[/tex] come all'anima dello spazio (come un Silmaril, per chi ha letto Tolkien).

Tuttavia, tutta questa ragionevolezza pecca in intuizione geometrica. Come recuperarla? Proviamo a ripercorrere brevemente l'evoluzione del concetto di spazio nella storia. Inizialmente lo spazio era inteso come spazio euclideo (per dirla in termini moderni). Questo cattura ciò che noi percepiamo in modo immediato; la codificazione di Euclide è una sostanzialmente perfetta descrizione del fenomeno che si manifesta ai nostri sensi. Ma Possiamo essere sicuri che questo catturi l'essenza del noumeno? Kant dice di no, ma, ironia della sorte, è Kant stesso ad elevarsi come sostenitore dello spazio inteso alla maniera di Euclide. Fortunatamente all'epoca di Kant i tempi erano ormai maturi per la vera rivoluzione copernicana che colpì il mondo della matematica: la geometria può essere curva. Concettualmente non è difficile; si tratta di un semplice processo di relativizzazione. Noi possiamo immaginare di vivere su uno spazio curvo; anche se i nostri sensi ci ingannano, la nostra mente è avulsa dalla realtà e può tranquillamente ignorare ciò che la realtà fallacemente suggerisce. Chiunque abbia letto Flatlandia (di Abbott) capirà molto bene ciò di cui sto parlando.
Il passo decisivo in questo senso, tuttavia, non è certamente lo sviluppo sintetico delle geometrie non euclidee: quello è stato il primo passo, ma la svolta definitiva è senz'altro dovuta alle idee di Riemann. Lo spazio può essere astratto! Noi possiamo descrivere uno spazio localmente, a prescindere da una sua immersione in uno spazio euclideo! Si capisce immediatamente che la portata filosofica di una simile scoperta è vastissima. Un nuovo mondo si apre, moltissime nuove tecniche diventano disponibili all'orizzonte (il teorema di immersione di Whitney è uno specchietto per le allodole; l'embedding non è canonico e quindi usarlo rischia di sporcare le acque, di farci vedere proprietà che non sono intrinseche e di cui, conseguentemente, non ci interessa niente!).

Di qui i progressi sono stati rapidi. L'idea di varietà è a mio avviso la data di inizio della matematica moderna. Passa qualche decennio, Zariski dà i suoi contributi fondamentali alla geometria algebrica. Si capisce finalmente che sono le funzioni polinomiali a dover essere studiate per fare geometria algebrica in astratto. E poi arriva Grothendieck e, con una facilità incredibile, se ne esce con la teoria degli schemi. Converrete con me, però, che i tempi erano ormai maturi: che cos'è uno schema? Semplicemente una varietà, dove però non sono più fogli euclidei ad essere incollati, ma fogli "affini", ovvero spettri di un anello. Ora, si capisce che il metodo generale di costruzione di una varietà è grandemente generalizzabile. Quali sono i concetti cardine? Da un lato, si ha una famiglia di oggetti elementari, che conveniamo di chiamare spazi affini; dall'altro abbiamo gli oggetti che sono ottenuti "incollando" questi spazi affini, che chiameremo genericamente varietà.

D'altra parte ci si può spingere ancora un pochino più in là: invece di chiedere che uno spazio sia determinato come "incollamento" di spazi affini, possiamo indebolire questa nostra richiesta e limitarci a volere che uno spazio sia determinato dalla sua interazione con una "famiglia" (meglio, categoria) di spazi test. Bene, ma allora siamo pronti: si fissa una categoria [tex]\mathbf C[/tex], la categoria degli spazi affini. Uno spazio "astratto" [tex]X[/tex] è determinato dall'azione degli oggetti di [tex]\mathbf C[/tex] su di lui; cosa vuol dire? Semplicemente, per ogni [tex]U \in \mathbf C[/tex], vorremo una famiglia di oggetti [tex]X(U)[/tex] che rappresentano le funzioni da [tex]U[/tex] a [tex]X[/tex]. Questo assegnamento deve essere compatibile con la struttura interna di [tex]\mathbf C[/tex], il che significa che vogliamo che [tex]X[/tex] sia un funtore controvariante da [tex]\mathbf C[/tex] a [tex]\mathbf{Set}[/tex], ossia un prefascio! E se la categoria [tex]\mathbf C[/tex] è dotata di una struttura più raffinata (precisamente, di una nozione di rivestimento, ossia di una topologia di Grothendieck), vorremo che anche questa struttura addizionale venga conservata. Pertanto, vorremo che [tex]X[/tex] sia un fascio (su un sito).

In questo modo recuperiamo l'intuizione geometrica che era andata persa nell'altro discorso. Rimane una domanda inespressa: ma allora, uno spazio astratto, precisamente, che cos'è? Beh, se [tex]\widehat{\mathbf C}[/tex] denota la categoria dei prefasci su [tex]\mathbf C[/tex], l'embedding di Yoneda ci consente di vedere ogni oggetto di [tex]\mathbf C[/tex] all'interno di [tex]\widehat{\mathbf C}[/tex]; da questo punto di vista, gli spazi affini diventano allora i funtori rappresentabili. E uno spazio generalizzato è un incollamento di spazi affini, ovvero un colimite di spazi affini. Ma abbiamo tutto o ci siamo dimenticati qualcosa per strada? No, abbiamo proprio tutto: infatti, ogni prefascio è il colimite di funtori rappresentabili (profondo risultato ottenuto tramite l'impiego della categoria degli elementi di un prefascio).

Ok, ora leggo cosa avete scritto mentre io redigevo questo papiro.

killing_buddha
Si', ma questa affermazione si basa su degli impliciti che qualsiasi bambino di cinque anni troverebbe puzzolenti: come descrivere il processo con cui lo spazio viene esperito? Esiste davvero un quid percepito scisso dall'io percepente? E se si', come trattare il processo dell'appercezione (ossia la percezione della percezione)? Essa e' parte del quid o dell'io?
"parlare di geometria come qualcosa che mantiene dei legami con lo spazio che conosciamo" e' qualcosa di semplicemente mal posto, se non si risolvono preventivamente questi problemi. Molto meglio sospendere il giudizio e rimetterlo alla clemenza dei filosofi, noi si fa cose divertenti intanto :D

yellow2
Beh la seconda parte mi sembra chiara, nella prima intendevo che parlare di geometria come qualcosa che mantiene dei legami con lo spazio che conosciamo non significa certo limitarsi allo spazio euclideo tridimensionale (né alle varietà o agli spazi metrici o a non so cos'altro)!

killing_buddha
il wall of text me lo leggo dopo cena

Giusto, giusto, devo ricordarmi che non vi piace leggere. (XD no, non parlo con te, ma tu, destinatario della frecciata, se mi stai leggendo, e hai capito che parlo con te, sappi che a volte ancora sorrido per quella comica vicenda).

La (non) definizione di geometria come qualcosa che presenta delle affinità con il mondo attorno a noi non esclude che si possa arrivare anche delle cose mooolto diverse, e la soggettività di cui parlo sta solo nel dare il nome agli oggetti e non nella realtà matematica in sé.

Magari avessi capito cosa dici!!! :D

killing_buddha
"Jorge Luis Borges":
[...] notoriamente, non c’è classificazione dell’universo che non sia arbitraria e congetturale. La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa è l’universo. «Il mondo» scrive David Hume, «è forse l’abbozzo rudimentale di un dio subalterno, del quale gli dèi superiori si burlano; è la confusa produzione di una divinità decrepita, tenuta in disparte, che è già morta»(Dialogues Concerning Natural Religion, V, 1779). Si può andare più lontano; si può sospettare che non vi sia universo nel senso organico, unificatore, che ha questa ambiziosa parola.

Il grosso problema e' anche l'atteggiamento ingenuo con cui un problema sottile come quello della natura dello spazio viene affrontato dalla gran parte dei filosofi moderni, o degli studenti di filosofia interessati all'epistemologia. Un esempio classico e' questo testo, basato sulle lezioni di un corso di Dottorato (credo) in filosofia della scienza, gentilmente prestatomi da un amico. Ora, l'autore (credo il docente: non mi e' dato saperlo) confonde più piani. Da una parte dimentica (o ignora?) che solitamente in Geometria il concetto di dimensione è tutt'altro che intrinseco all'oggetto in studio. E' sufficiente citare un fatto base dell'algebra lineare elementare: la dimensione di uno spazio vettoriale dipende in maniera evidente dal corpo di base. Anche assumendo di avere una topologia "a base reale" nello spazio, resta una indeterminazione tra la scelta del corpo reale o di quello complesso. Risolvere questa indeterminazione è il fulcro di (parte del)la discussione sul "problema dello spazio": C e' un R-spazio vettoriale di dimensione 2, ma non vi è ragione per supporre che sia il corpo reale alla base dell'esperienza fisica: qualunque elettrotecnico puà esibire una fisicità dei numeri complessi notabile tanto quanto della dei reali.

Resta poi da risolvere, se dobbiamo prendere per buona la tesi dell'autore del testo in capo thread (ossia l'arbitrarietà della distinzione destra-sinistra nella nostra esperienza spaziale), il problema della chiralità di alcune forme allotropiche del carbonio: quando in quel testo si legge "[..] ma destra e sinistra sono determinazioni propriocettive, senza ancoramento ambientale, mentre alto e basso sono anche determinazioni percettive, ancorate ad eventi esterni [...]" ci si dimentica che questo e' falso rispetto a ogni interpretazione. Lo spazio fisico ha una chiralità ben definita, fissata (per esempio) da una delle succitate forme allotropiche del carbonio, che non sono invarianti sotto rigidità antiorientate, una volta che su R^3 si sia scelto l'orientamento canonico fissato dalla ""regola della vite levogira".
Che poi si chiami destra la sinistra, quello è solo un problema di notazione.

In ultima analisi, c'e' indubbiamente una freccia tra mondo e modello, ma e' complicato stabilirne la direzione, sempre che essa sia unica. Credo che l'approccio al "problema dello spazio" sia infine anche una questione di moda, il fatto di usare o meno un certo tipo di linguaggio per i modelli matematici del cosmo, soprattutto quelli geometrici e' fortemente influenzato dalle correnti di pensiero in voga al momento, dentro e fuori la matematica.

A inizio '900 era "in" parlare il linguaggio dell'analisi funzionale, perche' in fin dei conti era quella la frontiera, e buona parte dei modelli fisici imponevano, in un certo qual modo, di studiare certe strutture piuttosto che altre (gli spazi di Hilbert, oppure le algebre di Banach o di Von Neumann). Effettivamente la descrizione fisica dei fenomeni "avviene bene" in quei contesti e a quel grado di generalita' del discorso: la meccanica classica stessa ha optato per questa strada, elegante e precisa, della geometrizzazione, fin dai tempi di Hamilton (il moto avviene su una varieta' simplettica).

Poi si sono scoperte altre strade, vuoi per dialettica storica, vuoi per cambio della guardia, vuoi perche' la ricerca in Analisi strictu sensu si stava inaridendo e necessitava di nuovi linguaggi. La topologia algebrica iniziata da Poincare' e' un ottimo esempio di questo atteggiamento, che culmina nel "ponte" per eccellenza tra Algebra e Geometria, il linguaggio dell'algebra omologica: ora come ora la matematica e' essenzialmente una immensa variazione su questo unico tema, che una quantita' incredibile di conquiste ha permesso, in un lasso di tempo incredibilmente ristretto. Ci si sta comunque gia' accorgendo che anche queste strutture sono troppo rigide per inglobare una classe di fenomeni particolarmente sfuggente, e ci si sta spostando verso "strutture deboli", o "strutture modello", dove le operazioni valgono solo a meno di opportune "deformazioni continue", che sono l'analogo dell'omotopia negli spazi classici.
Questo processo e' ancora decisamente in fieri, ed esiste una mole borgesiana di informazioni in merito, che probabilmente nemmeno in cento generazioni riusciremo a sistematizzare: come dice profeticamente Schreiber "Ours is the age to figure it out".

yellow2
Aspe' il wall of text me lo leggo dopo cena, ma quello che intendo non va in conflitto né con l'esistenza di geometrie diverse da quella del "nostro" spazio, né con un'idea platonica della matematica.
La (non) definizione di geometria come qualcosa che presenta delle affinità con il mondo attorno a noi non esclude che si possa arrivare anche delle cose mooolto diverse, e la soggettività di cui parlo sta solo nel dare il nome agli oggetti e non nella realtà matematica in sé.

killing_buddha
La "geometria" a mio avviso è molto difficile da definire perché è un concetto che esiste solo per affinità con il mondo che ci circonda, ed è chiaro che persone diverse possano vedere affinità diverse o aver bisogno di gradi di affinità diversi.

Forse questa idea andava bene ai tempi degli egizi o dei greci, non oggi (ok, ammetto che avrei potuto dirlo in modo piu' diplomatico :twisted: ). Dimentichiamo lo stato dell'arte, torniamo alla crisi dei fondamenti in geometria euclidea. Non pensi che la contemporanea crisi dei fondamenti in teoria degli insiemi ne sia, per alcuni versi, implicata ed implicante? Accorgersi che la geometria, in fondo "non e' vera, ma utile" (con Poincare') non e' molto diverso dal rendersi conto che le "leggi del pensiero", intese come leggi logiche, in effetti col pensiero non hanno a che fare praticamente niente. La logica e' dare degli indefiniti, degli assiomi che li leghino in verita' d'ufficio, e delle regole di inferenza per derivare verita' non banali; cambia gli indefiniti, non cambi niente (i punti e le rette possono essere stecche da biliardo e boccali di birra), cambia le relazioni mutue e cambi tutto ("les mathématiciens n'étudient pas des objets, mais des relations entre les objets ; il leur est donc indifférent de remplacer ces objets par d'autres, pourvu que les relations ne changent pas"). Parliamo poi della "crisi" riguardo alla natura eminentemente fisica dello spazio? La nozione di Mannigfaltigkeit di Riemann cos'e' se non il tentativo di capire "cosa sia lo spazio" nella sua forma piu' primigena? Ricordi il titolo della sua Habilitationsschrift? Über die Hypothesen welche der Geometrie zu Grunde liegen, "A proposito delle ipotesi le quali fanno da sostegno alla Geometria". Ma allora "esistono" le varieta'? In fondo lo spazio come lo conosciamo oggi, al suo miglior grado di precisione, dovrebbe essere una varieta' (lorentziana)! Prendendo in mano gli assiomi dei Grundlagen di Hilbert, ci si rende conto che pero' il problema e' sottile. L'insieme dove ci sono boccali di birra e stecche da biliardo possiede una naturale operazione di gruppo abeliano, su cui un certo insieme, che si dimostra essere un corpo, agisce "moltiplicando". Ecco che allora gli assiomi di Hilbert hanno duplice valenza: richiamano a quelli di Euclide per cui lo spazio "si atteggia" in un determinato modo, ma hanno il merito di renderli "davvero" matematici, togliendo la sporcizia data dal fatto che ai tempi dei Greci c'era un'idea meno nitida di cosa fosse la Matematica, essendo piuttosto difficile scinderla da quelle che oggi chiamiamo Fisica, Filosofia, religione, mistica...

yellow2
Vado troppo off topic se dico "che figata!"?
Comunque io, restando agli insiemi (che sono l'unica cosa che conosco), avrei detto che la struttura "minima" per poter iniziare a parlare di geometria è una cosa molto personale. La "geometria" a mio avviso è molto difficile da definire perché è un concetto che esiste solo per affinità con il mondo che ci circonda, ed è chiaro che persone diverse possano vedere affinità diverse o aver bisogno di gradi di affinità diversi.

killing_buddha
Consideriamo l’insieme formato da tutti i fasci su uno spazio (topologico) dato o, se si vuole, questo arsenale prodigioso formato da tutti questi “metri” che servono a misurarlo. Consideriamo questo insieme o arsenale come munito della sua struttura piu' evidente, che appare, se cosi' si puo' dire, a lume di naso; in verita', una struttura detta di categoria [...]
E' questa sorta di superstruttura d’agrimensura denominata categoria dei fasci (sullo spazio in questione) che sara' d’ora in avanti considerata come “incarnante” cio' che e' piu' essenziale allo spazio [...] possiamo ormai “dimenticarci” lo spazio iniziale, mantenere e servirci della categoria (o arsenale) associato, il quale sara' considerato come l’incarnazione piu' adeguata della struttura topologica (o spaziale) che s’intende esprimere.
Come cosi' spesso accade in matematica, noi siamo riusciti qui (grazie all’idea cruciale di fascio o di metro coomologico) a esprimere una certa nozione (quella di spazio all’occorrenza) in termini di un’altra (quella di categoria). Come sempre, la scoperta di una tale traduzione d’una nozione (che esprime un certo tipo di situazione) nei termini di un’altra (corrispondente ad un altro tipo di situazione) arricchisce la nostra comprensione sia dell’una che dell’altra mediante la confluenza inattesa di intuizioni specifiche che si rapportano sia a l’una che all’altra. Cosi', una situazione di natura “topologica” (incarnata dallo spazio dato) si trova qui tradotta in una situazione di natura “algebrica” (incarnata da una categoria) o, se vogliamo, il “continuo” incarnato dallo spazio si trova tradotto o espresso dalla struttura di categoria, di natura “algebrica”.

Viene da qui http://www.math.jussieu.fr/~leila/groth ... rbieri.pdf e consiglio la sua lettura a chiunque sia interessato. Capire di cosa si parla, e' forse pretenzioso: ma ricordo con precisione la prima volta in cui ho letto quelle parole, ero poco piu' di una matricola, abituata all'algebra lineare, a fare derivate in una variabile e con poco piu' della definizione di gruppo in tasca. Ricordo pero' distintamente l'emozione che ho provato leggendo quelle parole e quei simboli che non volevano dire assolutamente nulla alle mie orecchie inesperte: schema, ideale, forma, struttura, sostanza, topos, sito erano concetti che faticavo a pensare inclini alla Matematica, e molto piu' appannaggio della metafisica, della filosofia e dell'ermeneutica. Pecchero' forse di ingenuita', ma il mio "risveglio" dal sonno dogmatico e' avvenuto cosi', estasiato dalla presenza dei punti esclamativi ad apice, e da parole come "coomologia cristallina": qualsiasi ente con un nome del genere non puo' che brillare di eternita' nell'universo.

killing_buddha
ho sempre visto una profondissima connessione nascosta tra il Programma di Klein e il Lemma di Yoneda

Si'; il lemma di Yoneda e' il teorema di Cayley detto bene; ogni gruppo si puo' vedere, in almeno un modo, come insieme degli automorfismi di una qualche struttura: non a caso un G-insieme non e' altro che un coprefascio in $Sets$, un G-spazio un coprefascio in $Top$, e cosi' via.
La filosofia che uno dovrebbe tenere a mente e' l'idea di Baez per cui "Algebra is like geometry, done backwards": ovunque ci sia qualcosa di geometricamente interessante, c'e' dualmente qualcosa di algebricamente interessante, e guarda caso molto spesso quello che permette di apprezzare questa specularita' e' un'antiequivalenza di categorie: la dualita' di Gel'fand, la dualita' tra schemi e anelli, la dualita' di Pontryagjn e quella tra categorie Grothendieck e categorie co-Grothendieck (dualizzando i gruppi abeliani... si ottengono gruppi topologici abeliani! che storia e'? Dualizzando le categorie abeliane,AB5 con un generatore... si ottengono certe categorie di moduli topologici su anelli del piffero. Di nuovo, che storia e'?).

Qual e' pero' l'idea che trasuda da questo punto di vista? Che i punti sono poca roba: se una topologia e' determinata da una struttura topologica, quello che e' necessario a specificare la forma dello spazio e' la conoscenza del filtro degli intorni dei punti, non dei punti stessi. Il piu' debole degli assiomi di separazione per uno spazio, il T0, si formula dicendo che "punti distinti sono topologicamente distinguibili", ove x e' topologicamente distinguibile da y se e solo se, per definizione, i due punti hanno filtri degli intorni non isomorfi (come insiemi parzialmente ordinati). Questo fatto, gia' noto ai primi Bourbaki, dovrebbe indurre a pensare che molto piu' dell'insieme degli elementi di uno spazio topologico e' interessante il reticolo dei suoi aperti. Reticoli identici devono, almeno moralmente, portare a spazi che non ha senso distinguere.
Questa idea e' una di quelle migliaia che e' stata catturata, masticata ed eternata da Grothendieck: consideriamo uno spazio topologico $X$; e' notorio negli ambienti alti che una buona conoscenza della struttura di $X$ e' data dalla conoscenza delle funzioni continue da $X$ in un secondo spazio $Y$ (se la bonta' dello spazio lo permette, il prototipo puo' essere $\mathbb R$). Ora, dice Grothendieck, a seconda della struttura di $X$ mi interesseranno funzioni differenti:
Se lo spazio e' semplicemente topologizzato, mi interessera' sondarlo con solo funzioni continue
se lo spazio e' topologizzato a base reale, ovvero e' una varieta', allora saro' interessato a sondarlo con funzioni della classe di regolarita' di un suo atlante ($C^1, C^k, C^\infty, C^\omega$, olomorfe, etc.)
Se lo spazio e' una varieta' algebrica -mettiamo, complessa-, ottenuta come luogo degli zeri di un qualche insieme di polinomi, ecco che vorro' sondarlo con funzioni polinomiali del tipo $X\to \mathbb C$.
Raccogliamo in una grande scatola tutti i modi che posso immaginare per sondare uno spazio dato: questa grande scatola e' dotata di una struttura molto ricca: e' la categoria dei fasci su $X$.
Ora, per Grothendieck il passo e' breve, per noi umani meno. Sta di fatto che il paradigma che si e' imposto e' il seguente
Tutto quanto puo' essere interessante, a proposito di uno spazio topologico $X$ e' codificato dalla conoscenza della categoria dei fasci che posso definire su quello spazio.

Se uno spazio e' dato da un fascio, allora, la nozione giusta da generalizzare e' quella di fascio. Una parola, per Grothendieck! Cos'e' che rende un fascio quel che e'? Le condizioni di incollamento tra sezioni. Ma cosa sono le condizioni di incollamento tra sezioni? Una codifica del comportamento del prefascio rispetto ai ricoprimenti. A-ha! Ecco! Allora sono i ricoprimenti, la cosa importante. Ma in fondo, cos'e' un ricoprimento? La domanda sembra senza risposta, ma per fortuna non lo e': un ricoprimento e' un caso particolare di crivello. Da qui alla definizione di topologia di Grothendieck il passo e' breve: ecco che ora ha senso "topologizzare una categoria" senza fare appello (o perlomeno, senza avere come costante icona) all'insiemistica, perche' non si sta trattando una "opportuna collezione di sottoinsiemi, stabile rispetto a certe operazioni insiemistiche", ma qualcosa di piu' generale, una "opportuna collezione di sottofuntori di $\hom(-,U)$ che fanno quello che un buon ricoprimento dovrebbe fare". Una categoria dotata di una topologia di Grothendieck si dice sito; da un sito si possono definire i fasci nello stesso modo in cui si faceva topologicamente, come funtori controvarianti che rispettano la "topologia" e una categoria equivalente ad una categoria di fasci su un sito si dice topos (di Grothendieck).

maurer
"killing_buddha":
[quote="E. Severino"]Dietro ogni astrazione si nasconde l'intuizione di una Totalita'

[/quote]
Bellissima, te la rubo! :D :D

"killing_buddha":

Cos'e' lo spazio e' una domanda non dissimile da che cos'e' la geometria; non a caso, personalmente, io vedo nel Betrachtungen über Neuere Geometrische Forschungen di Klein il germe iniziale dell'impostazione strutturalista in Matematica, che ha il merito, non da poco, di tradurre il problema geometrico (apparentemente insolubile) della definizione del concetto di spazio, in un problema algebrico, piu' semplice.

Ok, iniziamo a ragionare, finalmente. Sì, perfettamente d'accordo su tutta la linea. E gli oggetti geometrici iniziano a muoversi! A questo proposito, ho sempre visto una profondissima connessione nascosta tra il Programma di Klein e il Lemma di Yoneda: per studiare un oggetto studio il modo in cui questo oggetto si trasforma o il modo in cui questo oggetto agisce. Dici bene quando dici che la domanda cos'è lo spazio non è dissimile da che cos'è la geometria. Dal punto di vista appena adottato sembra in effetti intercorrere una relazione di dualità tra le due cose. Fare geometria significa scegliere un punto di vista sotto cui guardare i vari spazi (e quindi significa, sostanzialmente, scegliere le mappe ammissibili attraverso cui i nostri spazi possono interagire tra di loro); dal punto di vista di Yoneda, sembra plausibile immaginare che uno spazio sia determinato dalle sue geometrie, ossia sembra che la totalità delle geometrie che posso fare su uno spazio, determini lo spazio stesso.

Riusciamo ad approfondire meglio questo discorso? ;)

"killing_buddha":
Ora, al meglio delle mie conoscenze non credo sia possibile fare geometria senza una topologia: anche le mappe lineari tra sottovarieta' lineari affini sono continue rispetto ad una qualche topologia (precisamente la topologia di Zariski); questo fatto, per cui la topologia e' una sorta di lower bound nel reticolo delle complessita' di strutture geometriche, e' suggestivo, se non altro perche' la topologia e', fin da tempi non sospetti, intimamente legata alla teoria degli insiemi, e dunque alla Logica. Logica che, effettivamente, con l'intuizionismo ha scoperto di aver cosi' tanto da dire alla Topologia proprio perche', in un senso opportuno, il concetto di vero corrisponde al concetto di aperto, e la mappa $X\to \Omega$ verso il classificatore dei sottoggetti continua rispetto a qualche "topologia" (di Lawvere-Tierney).

Concordo con la frase iniziale. E anche con il resto del discorso, in effetti. La topologia è la prima manifestazione di qualcosa di incredibilmente più grosso di lei. Dal mio corrente punto di vista, la topologia sta ad uno spazio come l'involucro carnale sta ad una persona: dove mettiamo l'io pensante (o anima che si voglia chiamare)?

"Rigel":

Se ti riferisci ad uno spazio "fisico", quando ti fai domande del tipo "è curvo, è piatto", etc, è piuttosto difficile dare una risposta se non hai almeno una struttura metrica attraverso la quale definire il concetto di lunghezza di una curva. La sola struttura topologica non è sufficiente.

Sì, è vero. La struttura topologica non è sufficiente, come ho già avuto modo di dire in questo stesso post (e anche prima). Il punto è che una struttura di varietà riemanniana, con un tensore metrico, non è una buona candidata per una definizione a priori. Bisognerebbe cercare di codificare il concetto di curvatura in modo differente. Un esempio molto significativo: se [tex]X[/tex] è una varietà complessa il teorema di Kodaira ci dice che è Kahler se e solo se ha una forma di Kahler intera. Gran parte di questa informazione è codificata all'interno di [tex]\text{Pic}(X)[/tex] e all'interno del suo gruppo di Néron-Severi.

killing_buddha
"E. Severino":
Dietro ogni astrazione si nasconde l'intuizione di una Totalita'


Cos'e' lo spazio e' una domanda non dissimile da che cos'e' la geometria; non a caso, personalmente, io vedo nel Vergleichende Betrachtungen über Neuere Geometrische Forschungen di Klein il germe iniziale dell'impostazione strutturalista in Matematica, che ha il merito, non da poco, di tradurre il problema geometrico (apparentemente insolubile) della definizione del concetto di spazio, in un problema algebrico, piu' semplice. Per Klein, quella che chiamiamo una "geometria'' e' determinata unicamente dal quoziente di un insieme di oggetti (spesso i "punti" di un insieme) sotto l'azione di un opportuno gruppo; il concetto di "proprieta' geometrica'' si traduce allora nel concetto di proprieta' che sia invariante per quel ben determinato gruppo di trasformazioni. Cio si traduce, nella pratica matematica, nella locuzione "a meno di'', vista come pervasiva dell'atto ermeneutico di un matematico: cosi' (ad esempio) due triangoli $T$ e $T'$ sono uguali a meno di isometria se esiste una una trasformazione lineare $\Theta\in \text{O}_2(\R)$) tale che $T'=\Theta(T)$, due spazi topologici saranno omeomorfi se esiste una funzione biiettiva e bicontinua tra i due, due XYZ saranno isomorfi -e andranno quindi identificati- se esiste tra loro un morfismo invertibile tra XYZ.

Ora, al meglio delle mie conoscenze non credo sia possibile fare geometria senza una topologia: anche le mappe lineari tra sottovarieta' lineari affini sono continue rispetto ad una qualche topologia (precisamente la topologia di Zariski); questo fatto, per cui la topologia e' una sorta di lower bound nel reticolo delle complessita' di strutture geometriche, e' suggestivo, se non altro perche' la topologia e', fin da tempi non sospetti, intimamente legata alla teoria degli insiemi, e dunque alla Logica. Logica che, effettivamente, con l'intuizionismo ha scoperto di aver cosi' tanto da dire alla Topologia proprio perche', in un senso opportuno, il concetto di vero corrisponde al concetto di aperto, e la mappa $X\to \Omega$ verso il classificatore dei sottoggetti continua rispetto a qualche "topologia" (di Lawvere-Tierney).

maurer
No, mi riferisco ad uno spazio geometrico, dove si fa geometria (quindi è uno spazio astratto; per l'appunto, ai miei occhi uno schema è uno spazio geometrico e ha la stessa dignità di una varietà topologica; ma uno schema non è neppure Hausdorff). Lo spazio può essere continuo o discreto, non importa; questo è ricostruibile dalla topologia.

"Rigel":

Se ti riferisci ad altro, è chiaro che la struttura che metti/assumi nel tuo spazio dipenderà dal tipo di problema che vuoi affrontare.

No, non in questo caso. Sto chiedendo una definizione sufficientemente generale e sufficientemente povera da comprendere tutti i casi di concreto interesse e ciononostante che rimanga "strettamente" legata all'intuizione.

Vedi, fino a poco tempo fa, la mia personale risposta a questa domanda era "uno spazio topologico". Ma in questi ultimi tempi mi sono sempre più reso conto che il concetto di spazio topologico è il livello di astrazione sbagliato per rispondere a questa domanda: è troppo povero, in un certo senso. Lascia libertà che non dovrebbero esserci e non codifica proprio tutto quello che dovrebbe codificare.

Tralascerei per il momento la questione di che cos'è lo spazio fisico, perché io non ho una mia idea ben formata al riguardo e perché comunque, nel quadro generale del mio modus vivendi, è un problema secondario a quello che ho proposto (solo perché adotto la filosofia di Alain Connes secondo cui le entità matematiche sono ontologicamente superiori a quelle fisiche).

Rigel1
Non ho capito se ti riferisci ad uno spazio "fisico" o ad altro.
Se ti riferisci ad altro, è chiaro che la struttura che metti/assumi nel tuo spazio dipenderà dal tipo di problema che vuoi affrontare.
Se ti riferisci ad uno spazio "fisico", quando ti fai domande del tipo "è curvo, è piatto", etc, è piuttosto difficile dare una risposta se non hai almeno una struttura metrica attraverso la quale definire il concetto di lunghezza di una curva. La sola struttura topologica non è sufficiente.
Se poi vogliamo andare sulla struttura "reale" dello spazio fisico (posto che ciò abbia senso), non sappiamo nemmeno se lo spazio è continuo o granulare o quant'altro, quindi la pretesa di avere una struttura "a priori" mi sembra abbastanza utopica.

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