Il problema della coscienza
La lettura del libro di John R. Searle ”IL MISTERO DELLA COSCIENZA”, Raffaello Cortina Editore, libro che riporta anche il pensiero di autori come Roger Penrose, Francio Crick, Gerald Edelman ed altri, oltre lo stesso autore, mostra come questi autorevoli pensatori e molti altri siano convinti che il fenomeno della coscienza sia spiegabile, almeno in via di principio, in termini fisici, cioè indagando all’interno di una struttura fisica complessa come il cervello umano. D’altro canto non mancano neppure eminenti pensatori e scienziati che negano risolutamente che per questa via si vada effettivamente verso una spiegazione del problema della coscienza, invito in proposito a consultare il sito molto interessante e frequentato http://roomer.virgilio.it/fedeescienza/home/html del fisico Professor Marco Biagini. Per quanto mi riguarda la penso come questi ultimi.
Se accettassimo per un momento la posizione di chi ritiene la coscienza il mero risultato di una evoluzione fisico/chimica di tipo darwiniano di organismi ad alta complessità, come il sistema cerebrale umano, entro la cui complessità trovi luogo l’auto-elaborazione e l’auto-installazione di uno specialissimo programma che percepiamo come “coscienza”, allora emergerebbero presto difficoltà logiche importantissime.
Cominciamo innanzi tutto col dire che questa accezione implicherebbe necessariamente l’esistenza di tante coscienze, sostanzialmente indipendenti tra loro, quante sono le persone cioè quanti sono i cervelli umani viventi. Ciò potrebbe sembrare ai più un’affermazione banale, ma, riflettendoci, la cosa non sarebbe poi così scontata: prima di tutto tale molteplicità implicherebbe che ciascuna di queste “coscienze” risiederebbe interamente nel circoscritto volume materiale del corrispondente cervello (qualche lungimirante, al più, direbbe: nel volume del corpo umano corrispondente); poi, sempre secondo questa accezione, la coscienza potrebbe venir spiegata solo in chiave fisico/chimico/quantistica nell’ambito della complessità cerebrale. Ma questo si scontra immediatamente col noto problema dell’auto-referenza che emerge quando un sistema si accinge a descrivere se stesso dal suo interno (Godel, Heisemberg).
Mi si potrebbe opporre che l’auto-referenza potrebbe essere aggirata facendo descrivere un cervello umano dall’intelligenza (dalla coscienza) di un altro, non abbiamo infatti “tante” coscienze? Si ridurrebbe in tal modo l’effetto dell’auto-referenza entro i più ristretti confini dell’indeterminazione di Heisemberg (che è il risultato della decandazione dell’auto-referenza dell’universo intero che descrive se stesso). Questa soluzione, è appena il caso di dirlo, potrebbe aver senso solo se si ammettesse, almeno tacitamente, la similitudine tra le varie coscienze individuali e soprattutto la loro sostanziale indipendenza reciproca. E’ bene precisare che con “sostanziale indipendenza” tra le coscienze non va intesa la nota reciproca influenza che si instaura tra le coscienze degli individui della comunità umana e non solo, ma qualcosa di radicalmente diverso: mi riferisco all’esistenza di un legame comune che unificherebbe, come in un grappolo, cioè in un unico sistema cosciente universale, le “tante” coscienze che ingenuamente si ritiene di attribuire a ciascun cervello umano. Alla più ristretta “complessità” di un corpo o di un cervello si sostituirebbe, dunque, la ben più elevata complessità dell’universo intero.
Se ripensassimo, l’intero problema della coscienza, in questi meno angusti termini, potremmo, per esempio, veder sbiadire l’inquietante problema delle coscienze “inferiori”, quelle che si suole attribuire in vario grado agli animali; queste “coscienze” inferiori, infatti, rientrerebbero a pieno titolo nel sistema unificante della coscienza dell’universo. Naturalmente questa diversa visione del problema della coscienza richiede un radicale ripensamento del “MIO” rapporto con l’universo, voglio dire, del rapporto dell’”IO” con l’universo non solo in senso meramente filosofico ma anche nella pratica dell’approccio scientifico: l’”IO”, va presto detto, diverrebbe “unico” nell’universo. Non è però da temere che un siffatto “radicale” cambiamento di atteggiamento butterebbe al macero i tradizionali modi di affrontare la scienza, solo dico che lo scienziato dovrebbe riconsiderare i risultati vecchi e nuovi del suo lavoro da una prospettiva più ampia e, quindi, più critica come gia fece quando dovette prendere atto delle implicazioni indotte dalle sorprendenti conseguenze dell’avvento quantistico. Dico ancora che, grazie a questa più ampia prospettiva, non si dovrebbe più sentir parlare di tentativi circa possibili costruzioni di computer totalmente sostitutivi del cervello umano o di animali superiori. (Continua)
mario1
Se accettassimo per un momento la posizione di chi ritiene la coscienza il mero risultato di una evoluzione fisico/chimica di tipo darwiniano di organismi ad alta complessità, come il sistema cerebrale umano, entro la cui complessità trovi luogo l’auto-elaborazione e l’auto-installazione di uno specialissimo programma che percepiamo come “coscienza”, allora emergerebbero presto difficoltà logiche importantissime.
Cominciamo innanzi tutto col dire che questa accezione implicherebbe necessariamente l’esistenza di tante coscienze, sostanzialmente indipendenti tra loro, quante sono le persone cioè quanti sono i cervelli umani viventi. Ciò potrebbe sembrare ai più un’affermazione banale, ma, riflettendoci, la cosa non sarebbe poi così scontata: prima di tutto tale molteplicità implicherebbe che ciascuna di queste “coscienze” risiederebbe interamente nel circoscritto volume materiale del corrispondente cervello (qualche lungimirante, al più, direbbe: nel volume del corpo umano corrispondente); poi, sempre secondo questa accezione, la coscienza potrebbe venir spiegata solo in chiave fisico/chimico/quantistica nell’ambito della complessità cerebrale. Ma questo si scontra immediatamente col noto problema dell’auto-referenza che emerge quando un sistema si accinge a descrivere se stesso dal suo interno (Godel, Heisemberg).
Mi si potrebbe opporre che l’auto-referenza potrebbe essere aggirata facendo descrivere un cervello umano dall’intelligenza (dalla coscienza) di un altro, non abbiamo infatti “tante” coscienze? Si ridurrebbe in tal modo l’effetto dell’auto-referenza entro i più ristretti confini dell’indeterminazione di Heisemberg (che è il risultato della decandazione dell’auto-referenza dell’universo intero che descrive se stesso). Questa soluzione, è appena il caso di dirlo, potrebbe aver senso solo se si ammettesse, almeno tacitamente, la similitudine tra le varie coscienze individuali e soprattutto la loro sostanziale indipendenza reciproca. E’ bene precisare che con “sostanziale indipendenza” tra le coscienze non va intesa la nota reciproca influenza che si instaura tra le coscienze degli individui della comunità umana e non solo, ma qualcosa di radicalmente diverso: mi riferisco all’esistenza di un legame comune che unificherebbe, come in un grappolo, cioè in un unico sistema cosciente universale, le “tante” coscienze che ingenuamente si ritiene di attribuire a ciascun cervello umano. Alla più ristretta “complessità” di un corpo o di un cervello si sostituirebbe, dunque, la ben più elevata complessità dell’universo intero.
Se ripensassimo, l’intero problema della coscienza, in questi meno angusti termini, potremmo, per esempio, veder sbiadire l’inquietante problema delle coscienze “inferiori”, quelle che si suole attribuire in vario grado agli animali; queste “coscienze” inferiori, infatti, rientrerebbero a pieno titolo nel sistema unificante della coscienza dell’universo. Naturalmente questa diversa visione del problema della coscienza richiede un radicale ripensamento del “MIO” rapporto con l’universo, voglio dire, del rapporto dell’”IO” con l’universo non solo in senso meramente filosofico ma anche nella pratica dell’approccio scientifico: l’”IO”, va presto detto, diverrebbe “unico” nell’universo. Non è però da temere che un siffatto “radicale” cambiamento di atteggiamento butterebbe al macero i tradizionali modi di affrontare la scienza, solo dico che lo scienziato dovrebbe riconsiderare i risultati vecchi e nuovi del suo lavoro da una prospettiva più ampia e, quindi, più critica come gia fece quando dovette prendere atto delle implicazioni indotte dalle sorprendenti conseguenze dell’avvento quantistico. Dico ancora che, grazie a questa più ampia prospettiva, non si dovrebbe più sentir parlare di tentativi circa possibili costruzioni di computer totalmente sostitutivi del cervello umano o di animali superiori. (Continua)
mario1
Risposte
Il problema della coscienza 6
Il teatro delle marionette
Nel precedente intervento su questo argomento Ho posto l’accento sull’importante fatto che col termine di “conoscenza” intendiamo sia uno stato di fatto dell’informazione intorno al mondo da parte dell’Osservatore sia un processo di accumulo di informazioni da parte di quest’ultimo onde incrementare il suo stato informativo complessivo pro-tempore. Ma tutto questo è solo l’aspetto, diciamo così, razionale e, se ci sforziamo, misurabile del processo conoscitivo, nella quotidianità l’acquisizione di conoscenza viene percepita inconsciamente mediante sensazioni emozionali di svariatissimo tipo: nell’intervento precedente elencavo una lunga serie di parole attinenti a questa speciale percezione. Tutte queste percezioni di acquisizione della conoscenza sono sentite come gradevoli, rassicuranti ed entusiasmanti e, in casi particolari, ebbrezza e addirittura estasi , per contro, un regresso della conoscenza viene sentito come un vacillare della sicurezza personale dell’Osservatore, paura ed altre analoghe angosciose e deprimenti sensazioni.
La “conoscenza” significa anche “conquista della verità”; la verità è l’assenza di contraddizioni in un processo che tende ad accrescere quella “quantità” che, appunto, chiamiamo conoscenza. Un sistema qualsiasi è tanto più “conosciuto” dall’Osservatore quanto più compattamente risponde alla volontà di quest’ultimo. Se disegnassimo, su una semiretta con origine in “O”, che è il punto rappresentativo dell’Osservatore, un punto posto ad una distanza D dall’origine, dove D misura la “Distanza” media in termini di conoscenza del sistema dall’Osservatore, allora un sistema “rigido”, in quanto molto ben conosciuto dall’Osservatore, sarebbe molto vicino a “O”. Immaginiamo che l’Osservatore sia il gestore di un teatro di marionette, quelle, per intenderci, che vengono manovrate mediante funi dall’alto delle quinte, e che sia lo sceneggiatore ed uno dei due manovratori delle marionette sulla scena; l’altro manovratore è invece un semplice collaboratore addestrato e stipendiato dall’Osservatore proprio per aiutarlo nella manovra dei personaggi che appaiono nello spettacolo in programma. Nel corso dello spettacolo l’Osservatore muove, mediante due o tre funi ciascuna marionetta da lui pilotata; questi movimenti, data l’esperienza del manovratore, benché comandate da funi, che non sono certamente rigide, riescono ad essere accettabilmente vicini ai movimenti di una persona vera, anche se non mancano errori che sicuramente sarebbero meno evidenti e frequenti se, anziché con funi, le marionette fossero mosse mediante aste rigide. Quanto all’aiutante, anch’egli commette gli stessi piccoli e meno piccoli errori di movimento dei pupazzi come il suo capo, ma a questi errori, purtroppo vanno ad aggiungersi altri errori: quelli di comunicazione col capo, sicché accade, per esempio, che, nonostante l’addestramento e gli accordi presi tra i due, i personaggi pilotati dall’aiutante non sempre entrano o escono di scena nel preciso istante che avrebbe desiderato l’Osservatore e non sempre le parole pronunciate dai pupazzi dell’aiutante per bocca di quest’ultimo, siano esattamente quelle del copione, ecc. Possiamo dunque dire che il sistema rappresentato dallo spettacolo di marionette, che è un sistema aleatorio come lo è qualsiasi cosa che forma oggetto di osservazione da parte dell’Osservatore, è un sistema non propriamente rigido perché ogni momento della scena non è esattamente quello immaginato dal capo scena, cioè, dall’Osservatore. Se quantifichiamo queste divergenze (minori per la parte pilotata direttamente dal capo scena e maggiori, per quanto appena detto, la parte pilotata dall’aiutante), una media di esse potrebbe essere quella distanza “D” che, come dicevamo, è tanto più piccola quanto più “conosciuto” è il sistema osservato.
Un sistema, “conosciuto” dall’Osservatore secondo la quantità D, può essere “descritto” con una precisione al più uguale a D, la “descrizione”, infatti, non è altro che un trasferimento di conoscenza dall’Osservatore ad un altro sottosistema dell’universo o, viceversa, acquisizione di conoscenza da parte dell’Osservatore mediante l’osservazione di un sottosistema dell’universo, cioè da un “sistema aleatorio”. Il tempo minimo di trasmissione dipende dal numero dei “blocchi” compatti di conoscenza trasmessi. Supponiamo, per esempio, di voler dimostrare un nuovo teorema della geometria euclidea: orbene è possibile che si porti a termine la dimostrazione collegando logicamente un certo numero di teoremi (blocchi di conoscenza) gia noti oppure, partendo dai postulati iniziali della geometria, ricostruendo dall’origine tutto il percorso euclideo fino a giungere al teorema finale da dimostrare. Questo esempio mostra, tra l’altro, come la “conoscenza” dell’Osservatore sia patrimonio dell’intero universo, solo per questo il sistema dei “blocchi” sta in piedi. Un altro esempio è quello del “lancio del dado perfetto”e precisamente la proprietà di questo sistema aleatorio di generare eventi la cui lettura si distribuisce, se il numero dei lanci è adeguatamente grande, in parti all’incirca uguali su ciascuna delle sei facce. Ora, la proprietà di questa equidistribuzione è già “nota” perché è stata “spiegata” per via logica, più che per prova diretta mediante lanci; per “via logica” si intende che sono stati presi e collegate logicamente considerazioni “ovvie” sulle proprietà geometriche e fisiche del dado, queste “considerazioni” non sono altro che i “blocchi” di conoscenza acquisiti o trasmessi dall’Osservatore in luogo di lunghe e tediose sequele di risultati di lanci. Infatti la “conoscenza” delle proprietà del sistema del lancio del dado non aggiunge nessuna informazione aggiuntiva alla conoscenza che già si ha di questo sistema
aleatorio chiuso: non cambierei, infatti, idea su ciò che so neppure se accadesse che dopo mille lanci, 900 volte apparisse una certa faccia del dado, piuttosto griderei “al miracolo!” anche se mi vantassi di essere una persona razionale.
Continuerò questo intervento prendendo in considerazioni le questioni legate ad un’apparenza dell’anticonoscenza: l’entropia.
mario1
Il teatro delle marionette
Nel precedente intervento su questo argomento Ho posto l’accento sull’importante fatto che col termine di “conoscenza” intendiamo sia uno stato di fatto dell’informazione intorno al mondo da parte dell’Osservatore sia un processo di accumulo di informazioni da parte di quest’ultimo onde incrementare il suo stato informativo complessivo pro-tempore. Ma tutto questo è solo l’aspetto, diciamo così, razionale e, se ci sforziamo, misurabile del processo conoscitivo, nella quotidianità l’acquisizione di conoscenza viene percepita inconsciamente mediante sensazioni emozionali di svariatissimo tipo: nell’intervento precedente elencavo una lunga serie di parole attinenti a questa speciale percezione. Tutte queste percezioni di acquisizione della conoscenza sono sentite come gradevoli, rassicuranti ed entusiasmanti e, in casi particolari, ebbrezza e addirittura estasi , per contro, un regresso della conoscenza viene sentito come un vacillare della sicurezza personale dell’Osservatore, paura ed altre analoghe angosciose e deprimenti sensazioni.
La “conoscenza” significa anche “conquista della verità”; la verità è l’assenza di contraddizioni in un processo che tende ad accrescere quella “quantità” che, appunto, chiamiamo conoscenza. Un sistema qualsiasi è tanto più “conosciuto” dall’Osservatore quanto più compattamente risponde alla volontà di quest’ultimo. Se disegnassimo, su una semiretta con origine in “O”, che è il punto rappresentativo dell’Osservatore, un punto posto ad una distanza D dall’origine, dove D misura la “Distanza” media in termini di conoscenza del sistema dall’Osservatore, allora un sistema “rigido”, in quanto molto ben conosciuto dall’Osservatore, sarebbe molto vicino a “O”. Immaginiamo che l’Osservatore sia il gestore di un teatro di marionette, quelle, per intenderci, che vengono manovrate mediante funi dall’alto delle quinte, e che sia lo sceneggiatore ed uno dei due manovratori delle marionette sulla scena; l’altro manovratore è invece un semplice collaboratore addestrato e stipendiato dall’Osservatore proprio per aiutarlo nella manovra dei personaggi che appaiono nello spettacolo in programma. Nel corso dello spettacolo l’Osservatore muove, mediante due o tre funi ciascuna marionetta da lui pilotata; questi movimenti, data l’esperienza del manovratore, benché comandate da funi, che non sono certamente rigide, riescono ad essere accettabilmente vicini ai movimenti di una persona vera, anche se non mancano errori che sicuramente sarebbero meno evidenti e frequenti se, anziché con funi, le marionette fossero mosse mediante aste rigide. Quanto all’aiutante, anch’egli commette gli stessi piccoli e meno piccoli errori di movimento dei pupazzi come il suo capo, ma a questi errori, purtroppo vanno ad aggiungersi altri errori: quelli di comunicazione col capo, sicché accade, per esempio, che, nonostante l’addestramento e gli accordi presi tra i due, i personaggi pilotati dall’aiutante non sempre entrano o escono di scena nel preciso istante che avrebbe desiderato l’Osservatore e non sempre le parole pronunciate dai pupazzi dell’aiutante per bocca di quest’ultimo, siano esattamente quelle del copione, ecc. Possiamo dunque dire che il sistema rappresentato dallo spettacolo di marionette, che è un sistema aleatorio come lo è qualsiasi cosa che forma oggetto di osservazione da parte dell’Osservatore, è un sistema non propriamente rigido perché ogni momento della scena non è esattamente quello immaginato dal capo scena, cioè, dall’Osservatore. Se quantifichiamo queste divergenze (minori per la parte pilotata direttamente dal capo scena e maggiori, per quanto appena detto, la parte pilotata dall’aiutante), una media di esse potrebbe essere quella distanza “D” che, come dicevamo, è tanto più piccola quanto più “conosciuto” è il sistema osservato.
Un sistema, “conosciuto” dall’Osservatore secondo la quantità D, può essere “descritto” con una precisione al più uguale a D, la “descrizione”, infatti, non è altro che un trasferimento di conoscenza dall’Osservatore ad un altro sottosistema dell’universo o, viceversa, acquisizione di conoscenza da parte dell’Osservatore mediante l’osservazione di un sottosistema dell’universo, cioè da un “sistema aleatorio”. Il tempo minimo di trasmissione dipende dal numero dei “blocchi” compatti di conoscenza trasmessi. Supponiamo, per esempio, di voler dimostrare un nuovo teorema della geometria euclidea: orbene è possibile che si porti a termine la dimostrazione collegando logicamente un certo numero di teoremi (blocchi di conoscenza) gia noti oppure, partendo dai postulati iniziali della geometria, ricostruendo dall’origine tutto il percorso euclideo fino a giungere al teorema finale da dimostrare. Questo esempio mostra, tra l’altro, come la “conoscenza” dell’Osservatore sia patrimonio dell’intero universo, solo per questo il sistema dei “blocchi” sta in piedi. Un altro esempio è quello del “lancio del dado perfetto”e precisamente la proprietà di questo sistema aleatorio di generare eventi la cui lettura si distribuisce, se il numero dei lanci è adeguatamente grande, in parti all’incirca uguali su ciascuna delle sei facce. Ora, la proprietà di questa equidistribuzione è già “nota” perché è stata “spiegata” per via logica, più che per prova diretta mediante lanci; per “via logica” si intende che sono stati presi e collegate logicamente considerazioni “ovvie” sulle proprietà geometriche e fisiche del dado, queste “considerazioni” non sono altro che i “blocchi” di conoscenza acquisiti o trasmessi dall’Osservatore in luogo di lunghe e tediose sequele di risultati di lanci. Infatti la “conoscenza” delle proprietà del sistema del lancio del dado non aggiunge nessuna informazione aggiuntiva alla conoscenza che già si ha di questo sistema
aleatorio chiuso: non cambierei, infatti, idea su ciò che so neppure se accadesse che dopo mille lanci, 900 volte apparisse una certa faccia del dado, piuttosto griderei “al miracolo!” anche se mi vantassi di essere una persona razionale.
Continuerò questo intervento prendendo in considerazioni le questioni legate ad un’apparenza dell’anticonoscenza: l’entropia.
mario1
x mariodic
Personalmente non mi sento di spezzare tale lancia, per due motivi: uno personale, in quanto, come è emerso dalla mia precedente discussione con Godel, ritengo "pericoloso" parlare di oggettività quando sono in questione "verità" non dimostrabili, quali i convincimenti metafisici di ciascuno e nondimeno le assunzioni di un sistema formale. Parlando di "oggettività" nella probabilità compiamo, per così dire, un abuso, le cui manifestazioni emergono chiaramente in molti casi pratici, quando i risultati ottenuti per mezzo della probabilità vengono imposti con l'autorità di certezza a persone spesso inconsapevoli. Il secondo motivo riguarda la circolarità di cui sopra, ed è a mio avviso meno importante del primo, rispetto al quale si potrebbe definire "ludico", dal momento che interessa prettamente aspetti di correttezza logica. E' chiaro che tre fucili possono sostenersi a vicenda, ma direi che dal punto di vista logico quest'osservazione non regge. La non neutralità della ciclicità in questione, che ingenerebbe un avanzamento nella conoscenza, è tale solo nella nostra interpretazione, in quanto si tratta di una definizione euristicamente "calzante", la quale risulta in buona coerenza con la nostra interpretazione della probabilità nella vita di ogni giorno. Ma questo è un modo di procedere che sarebbe valido in un contesto differente e non matematica, come la psicologia, mentre la matematica e la logica sono state caratterizzate in questo modo, e sono prive di circolarità. Chiaramente anche la logica e la matematica sono frutto di un'evoluzione storica, dunque sono gli stessi assunti iniziali ad essere "arbitrari", in quanto si sarebbe potuta benissimo inventare una matematica su altri assunti; e non voglio entrare nel discorso di quali siano gli assunti migliori, nel senso di quali generino una massima efficacia della matematica, intesa come sua applicabilità ai casi reali. Entrando invece nel merito della ciclicità, sono d'accordo sui termini probabilità e possibilità. Ma allora è improprio parlare di casi "ugualmente possibili" come si fa nella definizione della probabilità secondo il rapporto. Due casi ugualmente possibili, hanno entrambi possibilità pari a 0 o a 1. Dunque, se abbiamo un dato irregolare, ma tale che tutte le facce possano comunque uscire, seppure con diversa "probabilità", risulta che i casi "esce la i-esima faccia" sono casi ugualmente possibili, e dunque la probabilità oggettiva è 1/6. Ora, mi si potrebbe obiettare che in linea teorica si potrebbero considerare tanti sottocasi, riconducibili ai diversi modi in cui ogni singola faccia può uscire, in modo da giungere a una partizione formata da costituenti "ugualmente possibili". Ma quale sarebbe il criterio per giudicare tale "equipossibilità" elementare?
Personalmente non mi sento di spezzare tale lancia, per due motivi: uno personale, in quanto, come è emerso dalla mia precedente discussione con Godel, ritengo "pericoloso" parlare di oggettività quando sono in questione "verità" non dimostrabili, quali i convincimenti metafisici di ciascuno e nondimeno le assunzioni di un sistema formale. Parlando di "oggettività" nella probabilità compiamo, per così dire, un abuso, le cui manifestazioni emergono chiaramente in molti casi pratici, quando i risultati ottenuti per mezzo della probabilità vengono imposti con l'autorità di certezza a persone spesso inconsapevoli. Il secondo motivo riguarda la circolarità di cui sopra, ed è a mio avviso meno importante del primo, rispetto al quale si potrebbe definire "ludico", dal momento che interessa prettamente aspetti di correttezza logica. E' chiaro che tre fucili possono sostenersi a vicenda, ma direi che dal punto di vista logico quest'osservazione non regge. La non neutralità della ciclicità in questione, che ingenerebbe un avanzamento nella conoscenza, è tale solo nella nostra interpretazione, in quanto si tratta di una definizione euristicamente "calzante", la quale risulta in buona coerenza con la nostra interpretazione della probabilità nella vita di ogni giorno. Ma questo è un modo di procedere che sarebbe valido in un contesto differente e non matematica, come la psicologia, mentre la matematica e la logica sono state caratterizzate in questo modo, e sono prive di circolarità. Chiaramente anche la logica e la matematica sono frutto di un'evoluzione storica, dunque sono gli stessi assunti iniziali ad essere "arbitrari", in quanto si sarebbe potuta benissimo inventare una matematica su altri assunti; e non voglio entrare nel discorso di quali siano gli assunti migliori, nel senso di quali generino una massima efficacia della matematica, intesa come sua applicabilità ai casi reali. Entrando invece nel merito della ciclicità, sono d'accordo sui termini probabilità e possibilità. Ma allora è improprio parlare di casi "ugualmente possibili" come si fa nella definizione della probabilità secondo il rapporto. Due casi ugualmente possibili, hanno entrambi possibilità pari a 0 o a 1. Dunque, se abbiamo un dato irregolare, ma tale che tutte le facce possano comunque uscire, seppure con diversa "probabilità", risulta che i casi "esce la i-esima faccia" sono casi ugualmente possibili, e dunque la probabilità oggettiva è 1/6. Ora, mi si potrebbe obiettare che in linea teorica si potrebbero considerare tanti sottocasi, riconducibili ai diversi modi in cui ogni singola faccia può uscire, in modo da giungere a una partizione formata da costituenti "ugualmente possibili". Ma quale sarebbe il criterio per giudicare tale "equipossibilità" elementare?
x Elijah82
Faccio delle osservazioni sui punti da te ultimamente trattati riguardo alla probabilità.
E' vero che la soluzione soggettiva della probabilità, felicemente teorizzata da Bruno De Finetti, rimuove definitivamente l'imbarazzante tripletta di apparenze della probabilità (oggettiva, soggettiva e frequentista) declassandole a mero supporto informativo dell'osservatore, infatti l'accezione soggettivista trasferisce alla sensazione, o meglio, alla conoscenza olistica da parte dell'Osservatore del sistema aleatorio in osservazione, NON IMPORTA come a questa conoscenza sia pervenuto: eventuali errori di valutazione da parte dell'Osservatore cadono sulle sue spalle, d'altra parte egli stesso ammette, formulando una stima della probabilità, di poter incorrere in errore. La stima della probabilità di un evento è la manifestazione vitale di ogni parte dell'universo:la infima pianticella valuta olisticamente le condizioni ambientali del suo intorno per decidere, talvolta sbagliando, l'orientazione di crescita verso cui optare.
Per quanto riguarda la tua osservazione critica verso la definizione, diciamo, ciclica propria della definizione oggettivistica (che considero superata), ritengo di spezzarvi comunque una lancia in suo favore: si tratta del famoso rapporto casi favorevoli/casi ugualmente possibili (non probabili), ritornerò subito dopo sulla precisazione in parentesi. Le definizioni cicliche sarebbero inefficaci, quindi, neutre, solo quando non producono avanzamento della conoscenza: in certi film western avremo tutti notato la consuetudine dei cow boys bivaccanti di poggiare tre fucili tra loro coi i calci in terra e le estremità delle canne in alto che vicendevolmente si sorreggono: ora, quale è il fucile che sorregge gli altri due? Ecco un esempio di ciclicità fattiva e non neutra, infatti il guadagno di conoscenza conseguito dall'Osservatore è l'effettivo auto-sostentamento delle tre armi. La questione è dunque questa: la ciclicità della definizione classica della probabilità è neutra o no? Io credo che si tratta di una definizione ciclica ma che si stringe come una spirale verso l'oggetto che si vuole definire, cioè la probabilità. Ho detto "credo" perchè ritengo piuttosto difficile fornire una dimostrazione soddisfacentemente rigorosa del mio convincimento, infatti vi si da per accettato a priori il principio del rapporto quale definizione oggettiva della probabilità ma in questo caso dovremmo trattare prima il problema della equiprobabilità della uscita di ciascina faccia accettando a priori, o verificando col metodo di Montecarlo, che effettivamente, dopo un gran numero di lanci, tutte le facce escono all'incirca lo stesso numero di volte (o uscirebbero, se l'Osservatore ritenesse plausibile che le probabilità di ciascuna faccia siano uguali, cioè 1/6); fatto questo si procede alla valutazione dei casi favorevoli e si esegue il rapporto. Abbiamo così:
a) accettato a priori che la probabilità è a priori l'esito di un rapporto
b) applicato questo prima per stabilire che essa è uguale per tutti i casi possibili (le sei facce di un dado)
c) aplicato un rapporto, qualitativamente omogeneo al precedente, tra i casi reputati favorevoli, p es. l'uscita dei numeri pari del dado, e tutti i casi possibili.
Quanto alla interpretazione frequentista valgono le cose dette per la definizione oggettiva, ma per tener buona la stessa deve essere precisata la condizione essenziale che il sistema aleatorio in osservazione sia chiuso, ma anche stabile, vale a dire che:
a) CHIUSO perchè nessuna influenza esterna deteriori il sistema stesso
b) STABILE perchè la successione degli eventi aleatori che il sistema produce per sottoporli all'osservazione, modificano in misura trascurabile il sistema stesso (per esempio, ra registrazione nella memoria del sistema stesso, degli esiti delle letture dei risultati non deve influire in modo incontrollato sulla stabilità del sistema); la eventuale instabilità incontrollata non consentirebbe la prosecuzione sufficiente delle prove; se invece, pur se non trascurabuile, è controllabile, nel senso che si abbia un criterio per valutare gli effetti di cambiamento del processo di generazione degli eventi nel sistema in questione, allora l'osservazione potrebbe essere proseguita per una valutazione frequentista della probabilità.
Concludo con la precisazione sui due termini: possibilità e probabilità. La possibilità è un coefficiente che assume o il valore 1 o il valore zero. Se un sistema aleatorio non è scelto o progettato per produrre una certa categoria di eventi, per esempio, la estrazione di palline diverse dalle previste bianche o nere, allora la POSSIBILITA' che il sistema generi una estrazione VERDE ha POSSIBILITA'=0,a POSSIBILITA' che generi una pallina bianca o nera è invece = 1, e tale rimane anche se nell'urna per caso vi fossero solo palline bianche o solo nere. Un altro esempio più pregnante è questo: quali probabilità ho di estrarre il numero 300 dall'insieme dei numeri interi? Ovviamente zero, ma la possibiklità è invece= 1.
mario1
Faccio delle osservazioni sui punti da te ultimamente trattati riguardo alla probabilità.
E' vero che la soluzione soggettiva della probabilità, felicemente teorizzata da Bruno De Finetti, rimuove definitivamente l'imbarazzante tripletta di apparenze della probabilità (oggettiva, soggettiva e frequentista) declassandole a mero supporto informativo dell'osservatore, infatti l'accezione soggettivista trasferisce alla sensazione, o meglio, alla conoscenza olistica da parte dell'Osservatore del sistema aleatorio in osservazione, NON IMPORTA come a questa conoscenza sia pervenuto: eventuali errori di valutazione da parte dell'Osservatore cadono sulle sue spalle, d'altra parte egli stesso ammette, formulando una stima della probabilità, di poter incorrere in errore. La stima della probabilità di un evento è la manifestazione vitale di ogni parte dell'universo:la infima pianticella valuta olisticamente le condizioni ambientali del suo intorno per decidere, talvolta sbagliando, l'orientazione di crescita verso cui optare.
Per quanto riguarda la tua osservazione critica verso la definizione, diciamo, ciclica propria della definizione oggettivistica (che considero superata), ritengo di spezzarvi comunque una lancia in suo favore: si tratta del famoso rapporto casi favorevoli/casi ugualmente possibili (non probabili), ritornerò subito dopo sulla precisazione in parentesi. Le definizioni cicliche sarebbero inefficaci, quindi, neutre, solo quando non producono avanzamento della conoscenza: in certi film western avremo tutti notato la consuetudine dei cow boys bivaccanti di poggiare tre fucili tra loro coi i calci in terra e le estremità delle canne in alto che vicendevolmente si sorreggono: ora, quale è il fucile che sorregge gli altri due? Ecco un esempio di ciclicità fattiva e non neutra, infatti il guadagno di conoscenza conseguito dall'Osservatore è l'effettivo auto-sostentamento delle tre armi. La questione è dunque questa: la ciclicità della definizione classica della probabilità è neutra o no? Io credo che si tratta di una definizione ciclica ma che si stringe come una spirale verso l'oggetto che si vuole definire, cioè la probabilità. Ho detto "credo" perchè ritengo piuttosto difficile fornire una dimostrazione soddisfacentemente rigorosa del mio convincimento, infatti vi si da per accettato a priori il principio del rapporto quale definizione oggettiva della probabilità ma in questo caso dovremmo trattare prima il problema della equiprobabilità della uscita di ciascina faccia accettando a priori, o verificando col metodo di Montecarlo, che effettivamente, dopo un gran numero di lanci, tutte le facce escono all'incirca lo stesso numero di volte (o uscirebbero, se l'Osservatore ritenesse plausibile che le probabilità di ciascuna faccia siano uguali, cioè 1/6); fatto questo si procede alla valutazione dei casi favorevoli e si esegue il rapporto. Abbiamo così:
a) accettato a priori che la probabilità è a priori l'esito di un rapporto
b) applicato questo prima per stabilire che essa è uguale per tutti i casi possibili (le sei facce di un dado)
c) aplicato un rapporto, qualitativamente omogeneo al precedente, tra i casi reputati favorevoli, p es. l'uscita dei numeri pari del dado, e tutti i casi possibili.
Quanto alla interpretazione frequentista valgono le cose dette per la definizione oggettiva, ma per tener buona la stessa deve essere precisata la condizione essenziale che il sistema aleatorio in osservazione sia chiuso, ma anche stabile, vale a dire che:
a) CHIUSO perchè nessuna influenza esterna deteriori il sistema stesso
b) STABILE perchè la successione degli eventi aleatori che il sistema produce per sottoporli all'osservazione, modificano in misura trascurabile il sistema stesso (per esempio, ra registrazione nella memoria del sistema stesso, degli esiti delle letture dei risultati non deve influire in modo incontrollato sulla stabilità del sistema); la eventuale instabilità incontrollata non consentirebbe la prosecuzione sufficiente delle prove; se invece, pur se non trascurabuile, è controllabile, nel senso che si abbia un criterio per valutare gli effetti di cambiamento del processo di generazione degli eventi nel sistema in questione, allora l'osservazione potrebbe essere proseguita per una valutazione frequentista della probabilità.
Concludo con la precisazione sui due termini: possibilità e probabilità. La possibilità è un coefficiente che assume o il valore 1 o il valore zero. Se un sistema aleatorio non è scelto o progettato per produrre una certa categoria di eventi, per esempio, la estrazione di palline diverse dalle previste bianche o nere, allora la POSSIBILITA' che il sistema generi una estrazione VERDE ha POSSIBILITA'=0,a POSSIBILITA' che generi una pallina bianca o nera è invece = 1, e tale rimane anche se nell'urna per caso vi fossero solo palline bianche o solo nere. Un altro esempio più pregnante è questo: quali probabilità ho di estrarre il numero 300 dall'insieme dei numeri interi? Ovviamente zero, ma la possibiklità è invece= 1.
mario1
Nel libro di Romano Scozzafava, che è il mio professore di calcolo delle probabilità, si legge anzi che l'interpretazione oggettiva della probabilità è mal posta, e questo rafforza l'argomento di mariodic. Infatti, anche quando abbiamo un sistema chiuso come un dado, parliamo di probabilità come rapporto fra casi favorevoli e casi possibili, sottintendendo però che questi ultimi siano "ugualmente probabili", dunque costruendo un circolo vizioso. L'autore sottolinea come l'unica definizione di probabilità che sfugga a tale circolarità sia quella soggettiva, che è mutuata dal mondo delle scommesse: la probabilità di un evento E è intesa come "pagamento" che un giocatore "razionale" ritiene giusto nella prospettiva di "ricevere" 1 se l'evento E si verifica, nulla altrimenti.
Anche la definizione frequentista della probabilità ha i suoi problemi: non sempre è possibile parlare di ripetizioni di un esperimento, anche in linea teorica. Per esempio, che senso avrebbe parlare di probabilità, intesa nel senso frequentista, di un evento come il big crunch?
Anche la definizione frequentista della probabilità ha i suoi problemi: non sempre è possibile parlare di ripetizioni di un esperimento, anche in linea teorica. Per esempio, che senso avrebbe parlare di probabilità, intesa nel senso frequentista, di un evento come il big crunch?
Prima di iniziare questo post ringrazio commosso tutti quelli che hanno volutoesprimermi le condoglianze per il mio recente lutto.
Il problema della coscienza 5
(La conoscenza)
Il riconoscimento dell’Osservatore quale attore determinante dell’esperimento o, se si preferisce, dell’osservazione, è tutt’uno con l’immissione della coscienza nell’esperimento. La coscienza “gestisce” il processo di conoscenza, ma che cos’è la conoscenza?
La conoscenza si mostra secondo molte facce e sfumature a ciascuna delle quali corrisponde un opinione oppure un sentimento ma anche qualche definizioni di tipo scientifico con tanto di criteri di misurazione: l’apparente estrema varietà di significato dei termini che seguono, tutti aventi a che fare con la conoscenza o essendo i sintomi, la dice lunga sul problema di definire questo termine, per altro ambiguo nel significato letterale, potendo essere uno stato conoscitivo in essere oppure un processo di avanzamento nella conoscenza. Ecco l’elenco dei termini e delle locuzioni che hanno a che fare o si usano come sinonimi di conoscenza:
amore, bellezza, bellezza o eleganza o compattezza di una equazione matematica o di un teorema, conoscenza, elevata probabilità, possesso, successo di un’azione, conquista, convincimento reciproco, unione, sinergia, estasi, preveggenza, non-entropia o entropia in regresso, salvezza, unisono, danza, coralità, intesa, Dio, vita, ordine,scienza, coscienza, sensibilità, ecc.
La variegata dovizia di termini dimostra almeno che la percezione del processo di conoscenza è la sensazione spontanea ed universale di una necessità vitale: procedere o aver successo nel processo di conoscenza. Forse nessun termine di quelli elencati (con la sola eccezione di Dio, che per definizione è Conoscenza assoluta) può essere considerato descrittivo della conoscenza, né onnicomprensivo del suo significato, non di meno può costituirne indice o, se si preferisce, un aspetto sensibile e talvolta misurabile.
Le urgenze della scienza richiedono che la “conoscenza” si configuri come una grandezza misurabile, e in questo senso non poco è stato storicamente fatto, per esempio, con la “misura” della probabilità o, quanto meno, con la definizione delle sue regole di calcolo, con la misura del disordine e dell’entropia, col compattamento e la semplificazione di equazioni matematiche e di molti algoritmi di calcolo (p. es. formule chiuse di sommatorie finite o infinite), con la riduzione del numero di certe costanti in talune leggi fisiche. Ma il problema rimane ancora aperto poiché il mondo scientifico non si è, credo, veramente impegnato nella ricerca di un sistema ottimale sia per definire scientificamente che per misurare la conoscenza. L’origine di questa difficoltà è ovvia: la conoscenza include l’Osservatore nell’oggetto di osservazione, quindi, urta contro il problema dell’auto-referenza sia nel processo di definizione che in quello di misurazione. Non rimane che arrangiarsi con lo stratagemma tecnico di una forzata oggettivazione di qualcuno di quegli enumerati sintomi che misuri l’avanzamento o l’arretramento dello stato di conoscenza come la misura del disordine. Se lasciamo per un momento da parte la misura della probabilità, oltre a quella del disordine (variazione di entropia) ci sarebbe quella della eleganza o compattezza delle equazioni matematiche applicate alla fisica o alla stessa matematica, ma se appena ci si sofferma sull’argomento si scopre che questo aspetto (o sintomo) della conoscenza è difficile, mal gestibile, incerto e soprattutto poco redditizio per quantificarla.
A queste difficoltà teoriche e pratiche sembra sottrarsi la “probabilità” per l’importante constatazione che essa può essere gestita sia oggettivamente (per una grande serie di eventi) sia in senso definettiano, cioè, come “aspettativa” soggettiva di un evento da parte dell’Osservatore (suggerirei la lettura di Bruno De Finetti, “filosofia della probabilità” ed. Il Saggiatore).
L’oggettivazione, che segnò i primi approcci allo studio della probabilità, funziona esaurientemente solo nei casi di sistemi aleatori “praticamente” chiusi come, per esempio, il lancio di un dado rigido perfetto nella forma, dove l’Osservatore sa, seguendo una logica di discorso, che p=1/6 e rimane costante per un grandissimo numero di lanci. L’oggettivazione è applicabile anche ad un dato rigido ma “imperfetto” avente, cioè, n facce piane non uguali tra loro di cui l’Osservatore non conosce alcun percorso logico per definire a priori la probabilità di uscita di ciascuna delle n facce. L’Osservatore tuttavia “sa” per via logica che, proseguendo per un numero molto grande di lanci e registrandone le letture, il rapporto tra il numero delle letture di una singola faccia diviso per il numero dei lanci tende, verso un valore stabile p(i), dove “i” è l’indicatore di una qualsiasi faccia del dado.
Per i sistemi aleatori “aperti”, cioè quei sistemi nei quali la probabilità (o aspettativa) che la lettura degli eventi sia “favorevole” per l’Osservatore, seppure soddisfacentemente stabilita per i primi eventi, essa varierà inevitabilmente in modo incontrollabile nel seguito dell’osservazione per effetto di cause esterne al sistema stesso. E’ questo il caso in cui il calcolo delle probabilità si trasforma (qualcuno potrebbe dire: degenera) in calcolo statistico.
Cercherò di riprendere questo argomento in un prossimo intervento per evitare di dilungarmi eccessivamente in questo.
mario1
Il problema della coscienza 5
(La conoscenza)
Il riconoscimento dell’Osservatore quale attore determinante dell’esperimento o, se si preferisce, dell’osservazione, è tutt’uno con l’immissione della coscienza nell’esperimento. La coscienza “gestisce” il processo di conoscenza, ma che cos’è la conoscenza?
La conoscenza si mostra secondo molte facce e sfumature a ciascuna delle quali corrisponde un opinione oppure un sentimento ma anche qualche definizioni di tipo scientifico con tanto di criteri di misurazione: l’apparente estrema varietà di significato dei termini che seguono, tutti aventi a che fare con la conoscenza o essendo i sintomi, la dice lunga sul problema di definire questo termine, per altro ambiguo nel significato letterale, potendo essere uno stato conoscitivo in essere oppure un processo di avanzamento nella conoscenza. Ecco l’elenco dei termini e delle locuzioni che hanno a che fare o si usano come sinonimi di conoscenza:
amore, bellezza, bellezza o eleganza o compattezza di una equazione matematica o di un teorema, conoscenza, elevata probabilità, possesso, successo di un’azione, conquista, convincimento reciproco, unione, sinergia, estasi, preveggenza, non-entropia o entropia in regresso, salvezza, unisono, danza, coralità, intesa, Dio, vita, ordine,scienza, coscienza, sensibilità, ecc.
La variegata dovizia di termini dimostra almeno che la percezione del processo di conoscenza è la sensazione spontanea ed universale di una necessità vitale: procedere o aver successo nel processo di conoscenza. Forse nessun termine di quelli elencati (con la sola eccezione di Dio, che per definizione è Conoscenza assoluta) può essere considerato descrittivo della conoscenza, né onnicomprensivo del suo significato, non di meno può costituirne indice o, se si preferisce, un aspetto sensibile e talvolta misurabile.
Le urgenze della scienza richiedono che la “conoscenza” si configuri come una grandezza misurabile, e in questo senso non poco è stato storicamente fatto, per esempio, con la “misura” della probabilità o, quanto meno, con la definizione delle sue regole di calcolo, con la misura del disordine e dell’entropia, col compattamento e la semplificazione di equazioni matematiche e di molti algoritmi di calcolo (p. es. formule chiuse di sommatorie finite o infinite), con la riduzione del numero di certe costanti in talune leggi fisiche. Ma il problema rimane ancora aperto poiché il mondo scientifico non si è, credo, veramente impegnato nella ricerca di un sistema ottimale sia per definire scientificamente che per misurare la conoscenza. L’origine di questa difficoltà è ovvia: la conoscenza include l’Osservatore nell’oggetto di osservazione, quindi, urta contro il problema dell’auto-referenza sia nel processo di definizione che in quello di misurazione. Non rimane che arrangiarsi con lo stratagemma tecnico di una forzata oggettivazione di qualcuno di quegli enumerati sintomi che misuri l’avanzamento o l’arretramento dello stato di conoscenza come la misura del disordine. Se lasciamo per un momento da parte la misura della probabilità, oltre a quella del disordine (variazione di entropia) ci sarebbe quella della eleganza o compattezza delle equazioni matematiche applicate alla fisica o alla stessa matematica, ma se appena ci si sofferma sull’argomento si scopre che questo aspetto (o sintomo) della conoscenza è difficile, mal gestibile, incerto e soprattutto poco redditizio per quantificarla.
A queste difficoltà teoriche e pratiche sembra sottrarsi la “probabilità” per l’importante constatazione che essa può essere gestita sia oggettivamente (per una grande serie di eventi) sia in senso definettiano, cioè, come “aspettativa” soggettiva di un evento da parte dell’Osservatore (suggerirei la lettura di Bruno De Finetti, “filosofia della probabilità” ed. Il Saggiatore).
L’oggettivazione, che segnò i primi approcci allo studio della probabilità, funziona esaurientemente solo nei casi di sistemi aleatori “praticamente” chiusi come, per esempio, il lancio di un dado rigido perfetto nella forma, dove l’Osservatore sa, seguendo una logica di discorso, che p=1/6 e rimane costante per un grandissimo numero di lanci. L’oggettivazione è applicabile anche ad un dato rigido ma “imperfetto” avente, cioè, n facce piane non uguali tra loro di cui l’Osservatore non conosce alcun percorso logico per definire a priori la probabilità di uscita di ciascuna delle n facce. L’Osservatore tuttavia “sa” per via logica che, proseguendo per un numero molto grande di lanci e registrandone le letture, il rapporto tra il numero delle letture di una singola faccia diviso per il numero dei lanci tende, verso un valore stabile p(i), dove “i” è l’indicatore di una qualsiasi faccia del dado.
Per i sistemi aleatori “aperti”, cioè quei sistemi nei quali la probabilità (o aspettativa) che la lettura degli eventi sia “favorevole” per l’Osservatore, seppure soddisfacentemente stabilita per i primi eventi, essa varierà inevitabilmente in modo incontrollabile nel seguito dell’osservazione per effetto di cause esterne al sistema stesso. E’ questo il caso in cui il calcolo delle probabilità si trasforma (qualcuno potrebbe dire: degenera) in calcolo statistico.
Cercherò di riprendere questo argomento in un prossimo intervento per evitare di dilungarmi eccessivamente in questo.
mario1
Mi unisco a Elijah nel fare le mie condoglianze a Mariodic.
David
David
Mi dispiace, faccio le condoglianze a tutta la famiglia.
Lorenzo.
Lorenzo.
Ringrazio vivamente tutti gli amici che hanno formulato auguri per la salute di mi madre....purtroppo... non ce l'ha fatta!
Il problema della coscienza 4
Il limite dei forum è che è impensabile aspettarsi che gli interventi di contro-osservazione di B, C, D, ecc., alle tesi che A si sforza di portare avanti, tengano conto di tutto il pensiero che A ha cercato di esporre nel forum fino al suo ultimo intervento: in pratica, salvo eccezioni, le contro-osservazioni riguardano solo quanto si legge nell’ultimo scritto di A. E’ questo proprio quanto mi capita in questo forum. Naturalmente non faccio colpa a nessuno di questo, io stesso sarò certamente incorso nello stesso errore nei tanti casi di mie contro-osservazioni a tesi altrui.
Nei miei numerosissimi interventi nel forum, che non sono solo questi ultimi quattro denominati “Il problema della coscienza 1, 2, 3 e 4”, ho cercato di esporre le mie posizioni che sono riassumibili, con non poche approssimazioni, a questi punti:
1) Unicità dell’”IO” come singolarità di base dell’”Osservatore unico”
2) Natura strumentale dell’’”Osservatore” quando si astrae dall’”IO”
3) L’”IO” non è definibile in termini fisici ma può bensì essere considerato un “punto singolare” che deve essere, ove lo si accetti, immesso nella rosa dei postulati della logica e della fisica. Le proprietà di questa “singolarità” possono essere intraviste come un limite a cui si va a tendere quando, procedendo a ritroso, si cerca di raggiungere e descrivere l’origine assoluto dell’azione di un computer (mi sono purtroppo accorto delle difficoltà esplicative di questo punto leggendo le risposte ai miei precedenti interventi, segnatamente a “problema della coscienza 3”).
4) L’”IO” è, come prima detto, un punto singolare che è origine assoluta di un sistema di riferimento immerso in uno spazio che chiamo “della conoscenza” la cui coordinata principale misura lo stato di “conoscenza” di un evento, tale grandezza è definibile come una funzione arbitraria monotona decrescente della probabilità “p” che un evento “E” appaia in lettura “favorevole” all’Osservatore unico che è, appunto, l’unico giudice universale dell’evento stesso. Non ho ancora precisato cosa debba intendersi per “conoscenza” se non in termini meramente informali e facendo semplicemente appello al senso comune. Sento il dovere di prendere in considerazione questo punto cruciale proprio nel mio prossimo intervento che chiamerò “Il problema della coscienza 5”.
5) Per rendere meno ostica l’accettabilità delle mie posizioni, ricorro allo stratagemma copernicano: perché la tesi eliocentrica venisse accettata dalla Chiesa Copernico, che esitò fino agli ultimi sgoccioli della sua vita per pubblicare il “De revolutionibus orbium libri sex”, sostenne che la sua cosmologia non era una nuova descrizione della realtà del sistema celeste, che rimaneva quella tradizionale accettata dalla Chiesa, ma una mera finzione matematica che consentiva di semplificare i calcoli predittivi dei fenomeni celesti. Una presa in giro bella e buona? Forse per l’epoca (ma non ne sono del tutto certo), sicuramente non lo sarebbe oggi che l’esperienza quantistica nonché la relatività ci hanno abituati al fatto che un fenomeno fisico non ha assolutamente un’apparenza e una descrizione univoca.
6) La singolarità di cui al punto 4 delimita a monte lo spazio della conoscenza: è il punto origine da cui si dipartono due semirette ad angolo acuto: tutti i punti interni a queste semirette sono punti-evento elementari dell’universo (gli eventi possono riguardare fatti fisici o/o logici), quanto all’origine O, questo è un punto singolare non appartenente all’insieme degli altri punti dell’insieme anzidetto, ma ne è il limite. Naturalmente questo schema ha solo valore illustrativo.
mario1
Il problema della coscienza 4
Il limite dei forum è che è impensabile aspettarsi che gli interventi di contro-osservazione di B, C, D, ecc., alle tesi che A si sforza di portare avanti, tengano conto di tutto il pensiero che A ha cercato di esporre nel forum fino al suo ultimo intervento: in pratica, salvo eccezioni, le contro-osservazioni riguardano solo quanto si legge nell’ultimo scritto di A. E’ questo proprio quanto mi capita in questo forum. Naturalmente non faccio colpa a nessuno di questo, io stesso sarò certamente incorso nello stesso errore nei tanti casi di mie contro-osservazioni a tesi altrui.
Nei miei numerosissimi interventi nel forum, che non sono solo questi ultimi quattro denominati “Il problema della coscienza 1, 2, 3 e 4”, ho cercato di esporre le mie posizioni che sono riassumibili, con non poche approssimazioni, a questi punti:
1) Unicità dell’”IO” come singolarità di base dell’”Osservatore unico”
2) Natura strumentale dell’’”Osservatore” quando si astrae dall’”IO”
3) L’”IO” non è definibile in termini fisici ma può bensì essere considerato un “punto singolare” che deve essere, ove lo si accetti, immesso nella rosa dei postulati della logica e della fisica. Le proprietà di questa “singolarità” possono essere intraviste come un limite a cui si va a tendere quando, procedendo a ritroso, si cerca di raggiungere e descrivere l’origine assoluto dell’azione di un computer (mi sono purtroppo accorto delle difficoltà esplicative di questo punto leggendo le risposte ai miei precedenti interventi, segnatamente a “problema della coscienza 3”).
4) L’”IO” è, come prima detto, un punto singolare che è origine assoluta di un sistema di riferimento immerso in uno spazio che chiamo “della conoscenza” la cui coordinata principale misura lo stato di “conoscenza” di un evento, tale grandezza è definibile come una funzione arbitraria monotona decrescente della probabilità “p” che un evento “E” appaia in lettura “favorevole” all’Osservatore unico che è, appunto, l’unico giudice universale dell’evento stesso. Non ho ancora precisato cosa debba intendersi per “conoscenza” se non in termini meramente informali e facendo semplicemente appello al senso comune. Sento il dovere di prendere in considerazione questo punto cruciale proprio nel mio prossimo intervento che chiamerò “Il problema della coscienza 5”.
5) Per rendere meno ostica l’accettabilità delle mie posizioni, ricorro allo stratagemma copernicano: perché la tesi eliocentrica venisse accettata dalla Chiesa Copernico, che esitò fino agli ultimi sgoccioli della sua vita per pubblicare il “De revolutionibus orbium libri sex”, sostenne che la sua cosmologia non era una nuova descrizione della realtà del sistema celeste, che rimaneva quella tradizionale accettata dalla Chiesa, ma una mera finzione matematica che consentiva di semplificare i calcoli predittivi dei fenomeni celesti. Una presa in giro bella e buona? Forse per l’epoca (ma non ne sono del tutto certo), sicuramente non lo sarebbe oggi che l’esperienza quantistica nonché la relatività ci hanno abituati al fatto che un fenomeno fisico non ha assolutamente un’apparenza e una descrizione univoca.
6) La singolarità di cui al punto 4 delimita a monte lo spazio della conoscenza: è il punto origine da cui si dipartono due semirette ad angolo acuto: tutti i punti interni a queste semirette sono punti-evento elementari dell’universo (gli eventi possono riguardare fatti fisici o/o logici), quanto all’origine O, questo è un punto singolare non appartenente all’insieme degli altri punti dell’insieme anzidetto, ma ne è il limite. Naturalmente questo schema ha solo valore illustrativo.
mario1
hahaha! è vero! e poi che gusto c'è a fare "polemica" con uno che ti dà ragione? comunque anche io ho poco tempo, ho un esame martedì... speriamo bene! intanto però pensa a un tema, così comincio a preparare qualche spunto
bè, debbo dire ke le nostre discussioni rileggendole mi sembrano divertenti...
e sono certo ke siano anke discussioni interessanti. forse alcuni temi nn sono attinenti all'indirizzo del forum, ma tuttavia trovo ke sia opportuno il discorrere di questi argomenti; in fondo sono cose importanti ke ci riguardano tutti da vicino. io ora nn ho molto tempo, ma sarebbe interessante sapere il pensiero degli altri. siamo stati decisi, ma ti assicuro ke è meglio discorrere con un interlocutore deciso ke con un "quaquaraquà"..(passami il termine "sciasciano"
). è stato forte dopotutto...



Be' Godel, sicuramente siamo stati duri entrambi, quindi scusami se a mia volta ho esagerato. Proprio ieri riflettevo sulla difficoltà di comunicare quando si hanno due concezioni così profondamente diverse come le nostre, anche quando si parta con la massima disponibilità reciproca. Le "balle" ognuno le vede nella posizione dell'altro, e semplicemente perché ognuno di noi ha una sua "metafisica" (per dirla con le parole di Feyerabend), e su di essa non può esistere confronto oggettivo. Mi fa piacere che non te la sia presa, anzi che l'abbia presa sullo scherzoso (cerco di immaginarmi il tuo umore a giudicare anche dalle faccine). Io stesso mi propongo sempre di ridere sulle cose, anche se non sempre vi riesco, quindi l'apprezzo molto.
Non guardo mai la tv... e detesto da morire i "reality" show (qualcosa abbiamo in comune)! Preferisco un buon libro.
Quanto alla discussione, sicuramente ogni discussione può avere del positivo. Io ti proporrei, se ti va, di continuarla, però di sforzarci entrambi di rimanere su un argomento per volta, sia la coscienza, l'AIDS, gli indios o quant'altro, perché sennò finiremmo a scrivere messaggi giganteschi, con catene di infinite di quoting, e di cambiarlo quando uno dei due si stufa. Che ne dici? Sarebbe bello se partecipassero anche gli altri, magari ridimensionando le nostre opinioni, dal momento che entrambi siamo abbastanza "decisi" (forse troppo).
Non guardo mai la tv... e detesto da morire i "reality" show (qualcosa abbiamo in comune)! Preferisco un buon libro.
Quanto alla discussione, sicuramente ogni discussione può avere del positivo. Io ti proporrei, se ti va, di continuarla, però di sforzarci entrambi di rimanere su un argomento per volta, sia la coscienza, l'AIDS, gli indios o quant'altro, perché sennò finiremmo a scrivere messaggi giganteschi, con catene di infinite di quoting, e di cambiarlo quando uno dei due si stufa. Che ne dici? Sarebbe bello se partecipassero anche gli altri, magari ridimensionando le nostre opinioni, dal momento che entrambi siamo abbastanza "decisi" (forse troppo).
per quanto possa essere ipocrita (io, nn tu
) ti dirò una cosa Elijah; a dispetto di quanto ho detto finora, è senza dubbio meglio ke tu ti cimenta in questi dibattimenti, ke stare davanti alla televisione a vedere uno dei tanti reality show.....anke se nn conosci bene gli argomenti ke tratti (ma si, ki se ne frega dai...
). forse sono stato un po duro, e me ne dispiace. e poi, a rileggere le nostre discussioni, credo siano interessanti... e anke divertenti..



quote:
Non mi sembra affatto che le tue risposte siano valide, bensì molto superficiali; ma per quanto mi riguarda, limito le mie risposte a quest'ultimo messaggio, per ragioni di tempo, per il fatto che ormai la discussione non solo è fuori topic, ma riguarda solo me e te, e penso che a questo punto tanto varrebbe continuarla in privato. Inoltre abbiamo entrambi espresso la nostra opinione, mi pare, senza comprenderci a vicenda, dunque mi sembra inutile proseguire.
bè, le mie risposte sono validissime, sei tu ke poikè nn conosci gli argomenti ke tratto (e ke tratti) nn riesci a capirle (e quindi ti sembrano superficiali).
quote:
Trovo semplicemente incredibile come ti ostini a mettermi in bocca parole, come nel tuo vaneggiamento sulla supercoscienza, che non ho detto, e a trarre infelici conclusioni al riguardo.
nn è un vaneggiamento, sei tu ke nn capisci. ti ho già spiegato perkè verrebbe a trovarsi una "supercoscienza".
quote:
Scrivendo che "superficiale è ki mette un titolo inadeguato, nn ki si trova di fronte a tale inadeguatezza", intendi forse dare del superficiale a De Andrè, e non a chi come te giudica un libro dalla copertina o una canzone dal titolo, senza conoscerla? Devo complimentarmi con te per questa profondità.
ma allora nn mi capisci. ti ho già spiegato, ke nn importa ke cosa dice la canzone; il titolo è superficiale ed inadeguato. Tito era un dittatore, e me ne frego di quello ke dice la canzone; le persone ke sono morte sotto la sua dittatura meritano rispetto. punto. e poi rikiami me perkè do del superficiale a De Andrè? piuttosto pensa a quello ke dici tu, ke dai del razzista al papa.
quote:
Per finire, cito il professor Terry Eagleton, che insegna "cultural theory" all'università di Manchester, che riguardo al defunto papa scrive:
"[...] The greatest crime of his papacy, however, was neither his part in this cover up [riferito allo scandalo degli abusi sessuali su minori operati dalla Chiesa in America] nor his Neanderthal attitude to women. It was the grotesque irony by which the Vatican condemned - as a "culture of death" - condoms, which might have saved countless Catholics in the developing world from an agonizing Aids death. The Pope goes to his eternal reward with those deaths on his hands. [...]
ti ostini a portare avanti discussioni insensate; e lo fai con l'ausilio di uno scrittore come Terry Eagleton, ke finkè parla di letteratura, può passare come opinionista (scarso); ma quando passa a parlare di questi argomenti rivela quella ke è la sua vera natura: un presuntuoso,ottuso, ed incapace marxista vekkio stampo. e tu cosa credi ke dica un marxista come lui del papa? credi ke possa fargli dei complimenti?
riporto altri stralci dell'articolo ke hai riferito di questo infelice opinionista:
- " Come prelato polacco, Wojtyla proveniva da quello che era
probabilmente l'avamposto nazionale più reazionario di tutta la
Chiesa Cattolica, pieno di piagnucolosi adoratori di Maria, fervidi
nazionalisti e feroci anticomunisti. L'aver avuto a che fare per anni
con i comunisti polacchi aveva trasformato Wojtyla e la sua compagnia
di vescovi in consumati attori politici. In effetti, Wojtyla aveva
dato alla chiesa polacca un'organizzazione spesso non differente da
quella della burocrazia stalinista. Entrambe le istituzioni erano
dogmatiche, ottuse, censorie e gerarchiche, impregnate di miti e
culti della personalità." -
Terry Eagleton parla di ottusità??? lui??? proprio lui ke si lamentò nella sua recensione sul London Review of Books per nn aver compreso i saggi della Spivak; e ke dimostrò nn solo l'impertinenza presuntuosa di ki crede di capire + degli altri, ma anke l'incapacità di dimostrarsi interessato all'opera "Can the Subaltern Speak?" ke tutt'oggi è fonte di attenzione per i temi trattativi. in oltre ciò ke dice a riguardo della kiesa polacca nn sono altro ke un cumulo di boiate.
- "L'autorità del
papa era così indiscutibile che il capo di un seminario spagnolo
riuscì a convincere i suoi studenti di aver ricevuto dal papa stesso
l'autorità per masturbarli." -
tu dici ke io faccio conclusioni affrettate sui tuoi post; mentre Eagleton ke fa quest'affermazione, parla oculatamente secondo te? un'offesa gratuita di un marxista sconclusionato.
- "Come risultato dell'accentramento di tutto il potere a Roma,
vi fu una regressione di tutte le chiese locali. Il clero si trovò
incapace di assumere decisioni autonome senza guardarsi alle spalle,
verso il Sant'Uffizio. In questo clima esplose lo scandalo degli
abusi su minori. La risposta di Giovanni Paolo fu quella di
trasferire a Roma e premiare con un alto incarico il cardinale
americano che aveva assiduamente cercato di coprire lo scandalo
finché era stato possibile." -
altra cavolata immane; e altra conclusione insensata. di sicuro le cavolate ke dici te Elijah sono bazzecole confronto a quelle ke dice Eagleton. il papa ke ha kiamato "traditori" quelli ke hanno commesso
"un peccato così orrendo agli occhi di Dio"; secondo Eagleton premia il cardinale americano perkè ha tenuto nascosta la vicenda. o il papa era un bugiardo ipocrita, o le conclusioni di Eagleton sono quantomeno dissennate.
- "Il più grosso crimine di questo papato, comunque, non è stato
né il suo atteggiamento di copertura di tali fatti, né il suo
atteggiamento troglodita verso le donne. È stata la grottesca ironia
con la quale il Vaticano ha condannato - come "cultura della morte" - i profilattici, che avrebbero potuto salvare non si sa quanti
cattolici del terzo mondo da una lenta e dolorosa morte per AIDS. Il
papa va verso la sua gloria eterna portando in braccio tutti questi
morti.
È stato una delle più grandi disgrazie per il cristianesimo
dai tempi di Darwin." -
bè, è la stessa cosa ke dicevi tu. ma siccome Eagleton è anke lui comodo sulla sua poltrona, nn si spreca a cercare di capire come stanno realmente le cose; ma da le ormai immancabili conclusioni affrettate.
in oltre, la frase finale con cui tira in ballo Darwin, merita l'oscar dell'idiozia. Darwin con la sua teoria dell'evoluzione nn mette affatto in crisi la religione cristiana. anzi, come afferma lo stesso professor Zichichi: "Dov'é l'equazione dell'evoluzione della specie umana? Non esiste. Non ci sono né esperimenti riproducibili né una componente matematica di rigore nell'evoluzionismo biologico. E questi sono i caratteri che caratterizzano la scienza, che deve prevedere e non post-vedere".
e d'altro canto basta pensare alla possibilità per un'organismo vivente di nascere dal "nulla" ed abbiamo la corretta dimensione della teoria darwiniana. quindi, nn possiamo limitarci a nn approfondire temi ke in realtà sono tutt'altro ke kiusi. ma Eagleton come te, parla senza conoscere gli argomenti ke tratta.
quote:
Giacor, scusami se ho frainteso! Ma per carità, non pensarla come me... come vedi è dannoso...
su quest'affermazione siamo pienamente d'accordo. e mi unisco a te Elijah, nel consigliare Giacor: per carità, nn pensare come Elijah ke si possa parlare a vanvera di argomenti ke nn conosci; poikè come puoi vedere tu stesso, è sconveniente.
Giacor, scusami se ho frainteso! Ma per carità, non pensarla come me... come vedi è dannoso...

nono eliah! hai frainteso il mio intervento!! io non giudcavo... era solo un commento così.. volante, senza alcun fine.. anzi, leggendo gli ultimi post direi che la penso come te.
Non mi sembra affatto che le tue risposte siano valide, bensì molto superficiali; ma per quanto mi riguarda, limito le mie risposte a quest'ultimo messaggio, per ragioni di tempo, per il fatto che ormai la discussione non solo è fuori topic, ma riguarda solo me e te, e penso che a questo punto tanto varrebbe continuarla in privato. Inoltre abbiamo entrambi espresso la nostra opinione, mi pare, senza comprenderci a vicenda, dunque mi sembra inutile proseguire.
Trovo semplicemente incredibile come ti ostini a mettermi in bocca parole, come nel tuo vaneggiamento sulla supercoscienza, che non ho detto, e a trarre infelici conclusioni al riguardo.
Scrivendo che "superficiale è ki mette un titolo inadeguato, nn ki si trova di fronte a tale inadeguatezza", intendi forse dare del superficiale a De Andrè, e non a chi come te giudica un libro dalla copertina o una canzone dal titolo, senza conoscerla? Devo complimentarmi con te per questa profondità.
Per finire, cito il professor Terry Eagleton, che insegna "cultural theory" all'università di Manchester, che riguardo al defunto papa scrive:
"[...] The greatest crime of his papacy, however, was neither his part in this cover up [riferito allo scandalo degli abusi sessuali su minori operati dalla Chiesa in America] nor his Neanderthal attitude to women. It was the grotesque irony by which the Vatican condemned - as a "culture of death" - condoms, which might have saved countless Catholics in the developing world from an agonizing Aids death. The Pope goes to his eternal reward with those deaths on his hands. [...]
Per tutti gli altri, soprattutto per mariodic, scustatemi se ho abusato dello spazio dedicato ad un'altra discussione, spero che sia possibile continuarla nonostante l'ingombro logistico che ho creato.
Trovo semplicemente incredibile come ti ostini a mettermi in bocca parole, come nel tuo vaneggiamento sulla supercoscienza, che non ho detto, e a trarre infelici conclusioni al riguardo.
Scrivendo che "superficiale è ki mette un titolo inadeguato, nn ki si trova di fronte a tale inadeguatezza", intendi forse dare del superficiale a De Andrè, e non a chi come te giudica un libro dalla copertina o una canzone dal titolo, senza conoscerla? Devo complimentarmi con te per questa profondità.
Per finire, cito il professor Terry Eagleton, che insegna "cultural theory" all'università di Manchester, che riguardo al defunto papa scrive:
"[...] The greatest crime of his papacy, however, was neither his part in this cover up [riferito allo scandalo degli abusi sessuali su minori operati dalla Chiesa in America] nor his Neanderthal attitude to women. It was the grotesque irony by which the Vatican condemned - as a "culture of death" - condoms, which might have saved countless Catholics in the developing world from an agonizing Aids death. The Pope goes to his eternal reward with those deaths on his hands. [...]
Per tutti gli altri, soprattutto per mariodic, scustatemi se ho abusato dello spazio dedicato ad un'altra discussione, spero che sia possibile continuarla nonostante l'ingombro logistico che ho creato.
quote:
Si era partiti da questa tua frase:"accettare ke le nostre emozioni, la nostra cognizione del bene e del male, siano frutto dell’evoluzione celebrale di un organismo qualunque porta a considerazioni assurde (ogni discorso per questo tema, diventa assai opinabile)."
La mia risposta era chiara: tale pretesa "assurdità" è relativa. A te sembrano assurde cose che a me sembrano normali, e viceversa. Non possiamo dedurne che la coscienza non sia un fenomeno fisico.
se la coscienza è un fenomeno fisico essa è legata all'evoluzione fisica del corpo umano. quindi tra qualke milione di anni avremo una "supercoscienza" secondo te. bè, il punto è ke se io dico ke ki mangia troppo deve morire per il bene della società, potrei avere una coscienza + evoluta di quella degli altri... (sempre secondo te)
in oltre se leggessi quello ke scrivono gli altri avresti visto quell'"opinabile" tra parentesi, ke indica ke le argomentazioni a riguardo sono tutte molto discutibili (nn si hanno prove concrete; oppure conosci un popolo alieno + evoluto di noi ke ha già raggiunto la "supercoscienza"?).
quote:
Il senso sei tu che non lo vedi. La frase è banale.
sei tu ke nn capisci ke sei l'unico ke parte da posizioni di presunta verità.
quote:
Questi sono fatti. Come le persone morte perché non hanno usato il preservativo ascoltando il messaggio del papa, che certamente non saranno tutte ma esistono. Ho poi parlato di forte discriminazione, non di razzismo.
tu pensi davvero ke una persona nn usa il preservativo riskiando la vita perkè il papa dice ke nn va usato? allora queste persone sono degli idioti immani: nn usano il preservativo perkè lo dice il papa, però poi fanno sesso lo stesso, perkè come si sa, il papa è un grande promotore dei rapporti casuali... dici cose senza senso.
senza ke spreki soldi, prendi un dizionario dei sinonimi qualsiasi, e leggi cosa c'è a riguardo del termine "razzismo". se nn trovi scritto tra i sinonimi "discriminazione", allora probabilmente la tua versione del dizionario è antecedente al IV secolo a.c.; quindi te ne consiglio un'altra, ke sia almeno successiva al 1900. sei giovane, ma puoi benissimo prenderti la responsabilità di ciò ke scrivi. quindi segui il mio consiglio: se nn sai ciò ke scrivi, nn scrivere.
quote:
La tua risposta è fuori tema. Sono passati 2000 anni da Cristo, e il cattolicesimo attualmente non è il messaggio di Cristo. Secondo, ho forse offeso alcun Dio? Terzo, l'infallibilità papale è stata un'invenzione di Pio IX, che ha inventato anche il dogma dell'immacolata concezione.
nn conosci il cattolicesimo, e nn conosci il messaggio di Cristo, ma allora perkè ne parli? hai offeso Dio?! no dico, ma leggi quello ke scrivi ogni tanto?
l'infallibilità papale va spiegata, ma dato ke tu nn solo sei incolto, ma nn capisci nemmeno quello ke ti si scrive (perkè nn vuoi capire), nn ha senso perdere altro tempo. l'immacolata concezione credo sia sotto Pio XII, ma al di la di questo, ke è irrilevante; il punto è ke i dogmi nella kiesa hanno il compito nn di favorire la pazzia di ki li propone, ma di impedire il fraintendimento di questioni delicate come la verginità della Madre di Gesù. ma è naturale ke tu come maestro di teologia, ti permetti di contraddire i dogmi di una religione a tuo piacimento. tanto come si è già visto, sai benissimo di cosa parli......
quote:
La tua risposta si commenta da sola.
no, sono i fatti ke si commentano da soli. tu ti permetti di insultare le persone ke impiegano la loro vita per portare aiuto a ki ne ha bisogno, ma in realtà il tuo sedere (anke il mio, ma io nn scrivo quello ke scrivi tu) rimane inkiodato alla poltrona (e nn serve ke vai in africa, basta semplicemente ke nn dici cavolate su ki riskia veramente la sua vita).
quote:
Hai tirato fuori una prosopopea da una deduzione (il tuo "necessariamente") che non è affatto data per scontata. E ancora una volta hai presunto, nel tuo pregiudizio, che io sarei a favore delle adozioni da parte di gay, e che ignori le possibili discriminazioni che un bambino potrebbe subire. Non sono a favore delle adozioni, ma solo per le discriminazioni che oggi continuano a esistere (e che per gran parte sono originate da una certa morale). Certamente esistono dei gay che sarebbero genitori migliori di altri, così come ce ne sono altri che sarebbero peggiori.
allora, come ti ripeto da molto ormai, sei veramente molto molto impreparato verso tali argomenti (+ delicato di così...). il mio "necessariamente", indica appunto la necessità, una volta accettate le unioni civili tra omosessuali; di ammettere le adozioni per quelle coppie. ke vogliamo fare? li prendiamo in giro? kiedi ad un avvocato se vuoi. e ti ripeto ancora, nn parlare di cose ke nn conosci.
quote:
Essere convinto di concezioni superate non significa essere integralista. Un integralista è colui che impone le proprie concezioni alla società, siano anche modernissime. Quindi la tua critica, qualora fosse fondata, sarebbe inconsistente con l'accusa di integralismo. Comunque, senza necessariamente tirare fuori il medioevo, il mio punto è chiaro: non lasciarti distogliere da un esempio, per quanto possa essere sbagliato, guardando il dito invece della luna.
Quanto agli indios, e anche agli indiani d'America: ma tu credi davvero che sia stata uno sterminio umanitario? Magari umanitario quanto la guerra in Iraq. Peccato forse che l'Iraq, come l'America, sono due regioni dalle enormi ricchezze, anche se di diverso tipo. Mentre nessuno fa guerre umanitarie in San Salvador o in altri luoghi dove esistono comportamenti analogamente disumani. In secondo luogo, ma si tratta del fatto a mio avviso più importante, cosa direbbe il tuo Dio? Che siccome una popolazione compie dei riti (anche oggettivamente) sbagliati, bisogna sterminarla? E magari in Suo nome? A me pare che avesse detto cose del tipo: "porgi l'altra guancia" e "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te". I primi cristiani erano dei martiri. Ma ottenuto il potere sono diventati loro i carnefici.
lo sterminio degli indios e degli indiani (me cosa c'entrano gli indiani? ahhhh, scusa, Buffalo Bill era cattolico...) nn è stato positivo, nn l'ho mai detto questo. ma ho detto ke tu al posto di Cortés avresti fatto lo stesso. nn so cosa c'entri la guerra in Iraq, ma forse è stata promossa dal papa anke quella...
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La tua semplicità mi fa sorridere. Ho fatto delle critiche alla Chiesa. Dunque ho offeso il papa. Dunque ho offeso i cristiani. Dunque ritengo che il comunismo non è stato poi tanto male. Ora vorrai dire che mangio i bambini? Comunque, visto che evidentemente sei così superficiale da fermarti al titolo di una canzone, te ne riporto il testo.
era meglio il titolo del testo... ad ogni modo, superficiale è ki mette un titolo inadeguato, nn ki si trova di fronte a tale inadeguatezza. in oltre la tua semplicità fa sorridere me: se offendi la kiesa cattolica ki offendi? Biscardi o il papa? hanno un peso le tue parole, e se nn sai ciò ke scrivi, come ho già detto, allora nn scrivere nulla.
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D'accordo ho equivocamente indicato con "cattolicesimo" la Chiesa. Però è la Chiesa che di fatto ha "costruito" il cattolicesimo nel tempo. "Credo in una sola Chiesa, cattolica apostolica romana". Ma ricordati che il papa è infallibile...
solo il passo del "credo" ke hai citato porterebbe via molto tempo a spiegarlo. quanto all'infallibilità del papa, ti ripeto ke essa è in cattedra preti; quindi, rinnovo il mio consiglio di nn parlare di cose ke nn conosci.
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Ancora con giudizi nel personale? Be' lasciamo perdere, non è nel mio stile insultare. E questi sono veramente insulti, non critiche. Ma certamente io non sono il papa, dunque con me può vigere la libertà di parola, anzi "il faccio quel che mi pare".
nn do giudizi nel personale, nn è mia intenzione insultarti, anzi io ho detto ke parli di cose ke nn conosci, e quindi sarebbe bene ke nn parlassi a vanvera (ho evidenziato i fatti, nn ti ho insultato). di sicuro, sono più fondate le mie affermazioni quando dico ke sei incolto, ke quando tu dici ke il papa è razzista. il concetto di libertà in oltre è un'argomento complesso; in quanto, esso nn permette di fare "quello ke si vuole" (almeno nella democrazia), ma permette di preservare la libertà di tutti paradossalmente, "limitandola".
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Non credo di aver imposto nulla, dal momento che ognuno può leggere quanto preferisce, su un forum. Le mie opinioni sono mie opinioni. Diventano totalitaristiche nel tuo ragionamento semplificato, perché si oppongono ai tuoi preconcetti.
su questo nn c'è dubbio: le tue opinioni sono tue opinioni. sono totalitaristike perkè sono imposte (tra le altre cose, mi sembra ke solo tu hai sparato a zero su religione, papa, e scienza) all'attenzione di ki leggendo un topic riguardante la coscienza, si ritrova a leggere una sfilza immane di errate informazioni e di offese (le tue sono offese) riguardo ciò ke scrivi, e ke in realtà nn conosci.
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Be' questa è la tua opinione. La mia l'ho già espressa. Il discorso ha preso una piega off topic dopo una mia osservazione, ma un dibattito è fatto da almeno due persone. Quanto al rispetto mi limito a essere più preciso. A me sembra che dal tuo post del 17/04/2005 ore 03:11:08 tu abbia iniziato a scrivere che quanto affermo sono "balle", proseguendo poi con altre delicatezze, di cui ti ringrazio vivamente.
un dibattimento si fa in due. ma mentre io ho usato precisamente "5 righe ed una parola" (rivolte a te) nel mio intervento del 15/04/2005 ore 15:55:44, in cui nn ho fatto altro ke dire, ke il credere nn comporta la considerazione ke gli altri nn possano essere felici in altre opinioni, o ke gli altri nn possano pensare diversamente; tu hai fatto un intervento (uno?) mirato ad attaccare senza motivo (e senza presupposti) una religione ed un uomo come il papa, ke è morto da pokissimo tempo (e tu parli di delicatezza?). in oltre nn ho affemrato ke dici balle, ma ho detto ke dici una balla: quando affermi ke se ti si mostrassero i tuoi errori tu ne prenderesti atto (una balla; le altre sono castronerie, nn balle). e quella ke poteva sembrare un'affermazione gratuita, è stata invece dimostrata dai fatti; poikè avendoti spiegato gli errori da te commessi (il portare temi nn attinenti al topic; promuovere offese gratuite ad una religione, al papa; scrivere di argomenti ke nn conosci; ecc.) tu hai continuato nel tuo errore. da qui deriva il mio invito (ke rinnovo) a nn parlare. nn c'è nessuna intenzione di impedirti di avere un dibattito costruttivo con utenti di diverse opinioni; ma renditi conto ke ciò ke dici nn può passare inosservato. e quando dici delle cavolate, la conseguenza nn è un'offesa, ma un cordiale invito a tacere
La Chiesa non e' un ente politico. Questo e' senz'altro vero. Tuttavia la Chiesa ha anche un "braccio politico" e tenta di imporre le proprie ingerenze proprio come fanno gli altri. Anche le ingerenze degli organi che ho citato nel mio vecchio post hanno conseguenze sulla vita di tutti perche' le leggi formulate in tema di salari, concorrenza, etc. hanno effetti su tutti gli strati della popolazione (se non altro perche' fanno variare la necessita' di esercitare una certa pressione fiscale allo Stato).
Tu parli di liberta' e fai bene, tuttavia, una volta che una proposta diventa legge (da chiunque provenga questa proposta) ed e' rattificata dalla maggioranza del popolo tutti siamo tenuti a rispettarla anche se questa va' contro la nostra liberta'. E questo e' una cosa che non vale per i soli "suggerimenti politici" della Chiesa.
Sinceramente non vedo grande differenza fra la Chiesa (o meglio il suo lato politico) i No-Global e altri dal punto di vista istituzionale: tutti esercitano pressioni che possono tramutarsi in legge contro la volonta' di qualche cittadino!
Poi, certo, si potra' discutere di certe dottrine che propone la Chiesa e su cui uno puo' essere d'accordo o meno (come la questione dei gay o delle "coppie di fatto") che, secondo me, sono, dal punto di vista degli insegnamenti della Chiesa, aspetti marginali, ma che, per qualche strano motivo, sono diventati un centro dell'attivita' politica della Chiesa.... (non mi sembra che nel Vangelo siano mai citate queste questioni)
Tu parli di liberta' e fai bene, tuttavia, una volta che una proposta diventa legge (da chiunque provenga questa proposta) ed e' rattificata dalla maggioranza del popolo tutti siamo tenuti a rispettarla anche se questa va' contro la nostra liberta'. E questo e' una cosa che non vale per i soli "suggerimenti politici" della Chiesa.
Sinceramente non vedo grande differenza fra la Chiesa (o meglio il suo lato politico) i No-Global e altri dal punto di vista istituzionale: tutti esercitano pressioni che possono tramutarsi in legge contro la volonta' di qualche cittadino!
Poi, certo, si potra' discutere di certe dottrine che propone la Chiesa e su cui uno puo' essere d'accordo o meno (come la questione dei gay o delle "coppie di fatto") che, secondo me, sono, dal punto di vista degli insegnamenti della Chiesa, aspetti marginali, ma che, per qualche strano motivo, sono diventati un centro dell'attivita' politica della Chiesa.... (non mi sembra che nel Vangelo siano mai citate queste questioni)
Gli organi da te citati, david_e, sono enti politici, nati con questo scopo, ciascuno per difendere i diritti (dei lavoratori, dell'industria ecc.). La Chiesa avrebbe uno scopo totalmente diverso. Non è sincero che usi la sua influenza sulla gente per altri fini, e sfruttando il fatto di possedere una verità non difenda i suoi diritti ma tenti di imporre ad altri di non abortire, non sposarsi se gay, ecc. quando tali fatti costituiscono la libertà di altre persone. A me hanno insegnato che la libertà di ognuno finisce dove comincia quella del prossimo. E Gesù disse: "date a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio".
Giacor, se non hai seguito il topic, giudichi la mia posizione dal numero dei caratteri?
Giacor, se non hai seguito il topic, giudichi la mia posizione dal numero dei caratteri?
elia, se vuoi un consiglio, fai riposare i polpastrelli delle dita per almeno una settimana. io no nho seguito questo topic, ma vedo che come minimo, qui dentro hai scritto 10^6 caratteri [:D]