Il problema della coscienza
La lettura del libro di John R. Searle ”IL MISTERO DELLA COSCIENZA”, Raffaello Cortina Editore, libro che riporta anche il pensiero di autori come Roger Penrose, Francio Crick, Gerald Edelman ed altri, oltre lo stesso autore, mostra come questi autorevoli pensatori e molti altri siano convinti che il fenomeno della coscienza sia spiegabile, almeno in via di principio, in termini fisici, cioè indagando all’interno di una struttura fisica complessa come il cervello umano. D’altro canto non mancano neppure eminenti pensatori e scienziati che negano risolutamente che per questa via si vada effettivamente verso una spiegazione del problema della coscienza, invito in proposito a consultare il sito molto interessante e frequentato http://roomer.virgilio.it/fedeescienza/home/html del fisico Professor Marco Biagini. Per quanto mi riguarda la penso come questi ultimi.
Se accettassimo per un momento la posizione di chi ritiene la coscienza il mero risultato di una evoluzione fisico/chimica di tipo darwiniano di organismi ad alta complessità, come il sistema cerebrale umano, entro la cui complessità trovi luogo l’auto-elaborazione e l’auto-installazione di uno specialissimo programma che percepiamo come “coscienza”, allora emergerebbero presto difficoltà logiche importantissime.
Cominciamo innanzi tutto col dire che questa accezione implicherebbe necessariamente l’esistenza di tante coscienze, sostanzialmente indipendenti tra loro, quante sono le persone cioè quanti sono i cervelli umani viventi. Ciò potrebbe sembrare ai più un’affermazione banale, ma, riflettendoci, la cosa non sarebbe poi così scontata: prima di tutto tale molteplicità implicherebbe che ciascuna di queste “coscienze” risiederebbe interamente nel circoscritto volume materiale del corrispondente cervello (qualche lungimirante, al più, direbbe: nel volume del corpo umano corrispondente); poi, sempre secondo questa accezione, la coscienza potrebbe venir spiegata solo in chiave fisico/chimico/quantistica nell’ambito della complessità cerebrale. Ma questo si scontra immediatamente col noto problema dell’auto-referenza che emerge quando un sistema si accinge a descrivere se stesso dal suo interno (Godel, Heisemberg).
Mi si potrebbe opporre che l’auto-referenza potrebbe essere aggirata facendo descrivere un cervello umano dall’intelligenza (dalla coscienza) di un altro, non abbiamo infatti “tante” coscienze? Si ridurrebbe in tal modo l’effetto dell’auto-referenza entro i più ristretti confini dell’indeterminazione di Heisemberg (che è il risultato della decandazione dell’auto-referenza dell’universo intero che descrive se stesso). Questa soluzione, è appena il caso di dirlo, potrebbe aver senso solo se si ammettesse, almeno tacitamente, la similitudine tra le varie coscienze individuali e soprattutto la loro sostanziale indipendenza reciproca. E’ bene precisare che con “sostanziale indipendenza” tra le coscienze non va intesa la nota reciproca influenza che si instaura tra le coscienze degli individui della comunità umana e non solo, ma qualcosa di radicalmente diverso: mi riferisco all’esistenza di un legame comune che unificherebbe, come in un grappolo, cioè in un unico sistema cosciente universale, le “tante” coscienze che ingenuamente si ritiene di attribuire a ciascun cervello umano. Alla più ristretta “complessità” di un corpo o di un cervello si sostituirebbe, dunque, la ben più elevata complessità dell’universo intero.
Se ripensassimo, l’intero problema della coscienza, in questi meno angusti termini, potremmo, per esempio, veder sbiadire l’inquietante problema delle coscienze “inferiori”, quelle che si suole attribuire in vario grado agli animali; queste “coscienze” inferiori, infatti, rientrerebbero a pieno titolo nel sistema unificante della coscienza dell’universo. Naturalmente questa diversa visione del problema della coscienza richiede un radicale ripensamento del “MIO” rapporto con l’universo, voglio dire, del rapporto dell’”IO” con l’universo non solo in senso meramente filosofico ma anche nella pratica dell’approccio scientifico: l’”IO”, va presto detto, diverrebbe “unico” nell’universo. Non è però da temere che un siffatto “radicale” cambiamento di atteggiamento butterebbe al macero i tradizionali modi di affrontare la scienza, solo dico che lo scienziato dovrebbe riconsiderare i risultati vecchi e nuovi del suo lavoro da una prospettiva più ampia e, quindi, più critica come gia fece quando dovette prendere atto delle implicazioni indotte dalle sorprendenti conseguenze dell’avvento quantistico. Dico ancora che, grazie a questa più ampia prospettiva, non si dovrebbe più sentir parlare di tentativi circa possibili costruzioni di computer totalmente sostitutivi del cervello umano o di animali superiori. (Continua)
mario1
Se accettassimo per un momento la posizione di chi ritiene la coscienza il mero risultato di una evoluzione fisico/chimica di tipo darwiniano di organismi ad alta complessità, come il sistema cerebrale umano, entro la cui complessità trovi luogo l’auto-elaborazione e l’auto-installazione di uno specialissimo programma che percepiamo come “coscienza”, allora emergerebbero presto difficoltà logiche importantissime.
Cominciamo innanzi tutto col dire che questa accezione implicherebbe necessariamente l’esistenza di tante coscienze, sostanzialmente indipendenti tra loro, quante sono le persone cioè quanti sono i cervelli umani viventi. Ciò potrebbe sembrare ai più un’affermazione banale, ma, riflettendoci, la cosa non sarebbe poi così scontata: prima di tutto tale molteplicità implicherebbe che ciascuna di queste “coscienze” risiederebbe interamente nel circoscritto volume materiale del corrispondente cervello (qualche lungimirante, al più, direbbe: nel volume del corpo umano corrispondente); poi, sempre secondo questa accezione, la coscienza potrebbe venir spiegata solo in chiave fisico/chimico/quantistica nell’ambito della complessità cerebrale. Ma questo si scontra immediatamente col noto problema dell’auto-referenza che emerge quando un sistema si accinge a descrivere se stesso dal suo interno (Godel, Heisemberg).
Mi si potrebbe opporre che l’auto-referenza potrebbe essere aggirata facendo descrivere un cervello umano dall’intelligenza (dalla coscienza) di un altro, non abbiamo infatti “tante” coscienze? Si ridurrebbe in tal modo l’effetto dell’auto-referenza entro i più ristretti confini dell’indeterminazione di Heisemberg (che è il risultato della decandazione dell’auto-referenza dell’universo intero che descrive se stesso). Questa soluzione, è appena il caso di dirlo, potrebbe aver senso solo se si ammettesse, almeno tacitamente, la similitudine tra le varie coscienze individuali e soprattutto la loro sostanziale indipendenza reciproca. E’ bene precisare che con “sostanziale indipendenza” tra le coscienze non va intesa la nota reciproca influenza che si instaura tra le coscienze degli individui della comunità umana e non solo, ma qualcosa di radicalmente diverso: mi riferisco all’esistenza di un legame comune che unificherebbe, come in un grappolo, cioè in un unico sistema cosciente universale, le “tante” coscienze che ingenuamente si ritiene di attribuire a ciascun cervello umano. Alla più ristretta “complessità” di un corpo o di un cervello si sostituirebbe, dunque, la ben più elevata complessità dell’universo intero.
Se ripensassimo, l’intero problema della coscienza, in questi meno angusti termini, potremmo, per esempio, veder sbiadire l’inquietante problema delle coscienze “inferiori”, quelle che si suole attribuire in vario grado agli animali; queste “coscienze” inferiori, infatti, rientrerebbero a pieno titolo nel sistema unificante della coscienza dell’universo. Naturalmente questa diversa visione del problema della coscienza richiede un radicale ripensamento del “MIO” rapporto con l’universo, voglio dire, del rapporto dell’”IO” con l’universo non solo in senso meramente filosofico ma anche nella pratica dell’approccio scientifico: l’”IO”, va presto detto, diverrebbe “unico” nell’universo. Non è però da temere che un siffatto “radicale” cambiamento di atteggiamento butterebbe al macero i tradizionali modi di affrontare la scienza, solo dico che lo scienziato dovrebbe riconsiderare i risultati vecchi e nuovi del suo lavoro da una prospettiva più ampia e, quindi, più critica come gia fece quando dovette prendere atto delle implicazioni indotte dalle sorprendenti conseguenze dell’avvento quantistico. Dico ancora che, grazie a questa più ampia prospettiva, non si dovrebbe più sentir parlare di tentativi circa possibili costruzioni di computer totalmente sostitutivi del cervello umano o di animali superiori. (Continua)
mario1
Risposte
Faccio riferimento all'articolo di Elija82 del 12/4/05 ore 19+minuti solo perchè ho avuta l'impressione che si stratti della una risposta al mio primo intervento, piuttosto lunghino, sulla questione della coscienza; se ciò fosse non ci capirei niente, infatti, a parte alcuni punti non centrali della sua lunga esposizione, Elijah sarebbe in pieno accordo con me: infatti io sostengo proprio che la coscienza ha tutta l'aria di non essere proprietà della materia ma neppure, sostengo, sembra descrivibile nei soli termini di combinazione di sistemi materiali da solo presi. L'unica cosa che potrebbe far riflettere contro la mia posizione, cioè a favore di chi fida sulle sole colonne materiali del problema, è il ruolo della "complessità", que,,a, per intenderci, che si studia nei frattali. Questo è un dubbio che butto là per mera forza di sensazione, se nonchè è pure una mia sensazione che la complessità trascenda la sola materia; non voglio tuttavia entrare nelle questioni a colpi di sensazioni.
Quanto alle scuse di Elijah nel suo intervento del 13/4, ore 12.42, le credo fuori luogo così come non mi sembra che mi sia lamentato del "tu" che egli avrebbe usato nei miei confronti. Anch'io spesso uso il tu, anche se altrettanto spesso parlo in terza persona quando l'intervento non è indirizzato ad una persona singola.
mario1
Quanto alle scuse di Elijah nel suo intervento del 13/4, ore 12.42, le credo fuori luogo così come non mi sembra che mi sia lamentato del "tu" che egli avrebbe usato nei miei confronti. Anch'io spesso uso il tu, anche se altrettanto spesso parlo in terza persona quando l'intervento non è indirizzato ad una persona singola.
mario1
Innanzitutto chiedo scusa a Mariodic perché gli ho dato del tu, il che faccio per abitudine sui forum. Non intendevo dire che non era chiaro, nel problema dell'autoreferenza, ma che la questione non era chiara a me personalmente. Credo di aver capito di cosa si tratti, è il famoso problema della mappa che coincide col territorio. Ma, posto che io abbia ben capito, non vedo dove tale questione possa essere un problema in questo caso. Il punto non è che un sistema fisico possa o meno descrivere se stesso, in quanto la "coscienza" che tale sistema fisico (nel caso del cervello o del corpo che dir si voglia) ha di se stesso non è una coscienza esatta del suo stato, nel senso dello stato complessivo e strutturato dell'insieme di tutte le sue particelle, bensì un'approssimazione di tale stato. La nostra coscienza rappresenta un'interpretazione dello stato in questione, approssimandolo, così che noi diciamo di provare una determinata emozione, sensazione, ecc. allo stesso modo in cui, osservando da lontano un dipinto divisionista, interpretiamo come un'immagine un insieme di punti colorati senza conoscerne di fatto le singole posizioni.
Il problema della coscienza 2
La questione dell’auto-referenza
Nella prima parte di questo intervento, in questo e in altro forum, ho presentato il mio parere sulle premesse di fondo del tema esposto da John R. Searle nel suo libro “IL MISTERO DELLA COSCIENZA”. Le contro-osservazioni subito presentate da qualche partecipante interessato al tema, come Elijah82 (forum del sito www.matematicamente.it. Preciso altresì che io partecipo a due forum, l’altro è quello del sito www.arrigoamadori.it ). Elijah82, dicevo, ha posto l’indice, fra l’altro, sulla questione dell’auto-referenza in merito alla quale mi dice che non sarei stato sufficientemente chiaro; mi ci soffermerò ora. Aggiungo che mi piace ringraziare sentitamente Paola ”Prime number” (sempre del sito “matematicamente”) che ha corretto la mia indicazione del link del Prof. Marco Biagini, che avevo erroneamente trascritto.
L’auto-referenza non è niente di più che un problema concettualmente abbastanza semplice e, forse proprio per questo rimasto in ombra almeno fino all’avvento della fisica quantistica, ma che poi è stato, diciamo così, “scoperto” e riconosciuto come la condanna inappellabile della fisica classica, anzi, di tutta la scienza classica. La semplicità concettuale consiste nella elementare considerazione che, per fare un esempio in tono con l’argomento, io, indipendentemente dalla mia eventuale preparazione biofisica, psicofisica e degli strumenti di cui potrei ottimisticamente disporre, non riuscirei mai a definire lo “stato” fisico del mio cervello (supposto essere questa la sede della mia coscienza) quale è in questo preciso istante; questo semplicemente perché la mia stessa azione osservante ha già modificato lo stato del mio cervello che avrebbe dovuta essermi esibita e che, appunto, starei cercando di conoscere (o descrivere). Un altro esempio analogo può essere la ovvia impossibilità di disegnare (o descrivere) questa stanza in cui mi trovo nonché i suoi oggetti, compreso il foglio su cui sto disegnando ed il suo disegno in esecuzione, a meno che trascuri di dettagliare una certa, diciamo così, “ultima” parte del disegno stesso cioè l’errore limite di desrizione.
Orbene, tutti i sistemi sono descrivibili, al più, con una certa approssimazione: non ci vuol molto per capire che tanto più il sistema è grande e complesso tanto più piccolo è l’errore limite di descrizione; infatti l’errore limite per descrivere un fenomeno fisico del nostro universo è stabilito dal principio di indeterminazione di Heisemberg. La teorizzazione generale di questo principio è, come si sa, il più che famoso teorema di indecidibilità di Godel, teorema che appare tanto più convincente quando più si considera che, al contrario del principio Heisemberg, che tratta degli osservabili fisici, il teorema tratta, niente meno, che degli osservabili logici, tanto per essere espliciti, degli oggetti della matematica e della logica pura, che poi, secondo quando sono andato ripetutamente sostenendo nei miei numerosi nei forum anzidetti, oggetti sostanzialmente omogenei o, se si preferisce, isomorfi con quelli fisici, sempre, è ovvio, che il tutto venga proiettato in uno, diciamo così, “spazio della conoscenza”!
Tra i grandi pensatori che hanno trattato in vario modo il problema dell’auto-referenza, non possiamo non ricordare il grande Bertrand Russel con le sue famose “antinomie”.
Non ho certo esaurito tutte in modo esplicito le osservazioni di Elijha82 (del forum di matematicamente), ma oso sperare che, in forma almeno indiretta, abbia sfiorato la obiezione di fondo da lui fatta; in ogni caso sono pronto a riprendere le sue argomentazioni nel seguito, cosa che presto farò nel mio terzo intervento sul problema della COSCIENZA.
(Segue)
mario1
La questione dell’auto-referenza
Nella prima parte di questo intervento, in questo e in altro forum, ho presentato il mio parere sulle premesse di fondo del tema esposto da John R. Searle nel suo libro “IL MISTERO DELLA COSCIENZA”. Le contro-osservazioni subito presentate da qualche partecipante interessato al tema, come Elijah82 (forum del sito www.matematicamente.it. Preciso altresì che io partecipo a due forum, l’altro è quello del sito www.arrigoamadori.it ). Elijah82, dicevo, ha posto l’indice, fra l’altro, sulla questione dell’auto-referenza in merito alla quale mi dice che non sarei stato sufficientemente chiaro; mi ci soffermerò ora. Aggiungo che mi piace ringraziare sentitamente Paola ”Prime number” (sempre del sito “matematicamente”) che ha corretto la mia indicazione del link del Prof. Marco Biagini, che avevo erroneamente trascritto.
L’auto-referenza non è niente di più che un problema concettualmente abbastanza semplice e, forse proprio per questo rimasto in ombra almeno fino all’avvento della fisica quantistica, ma che poi è stato, diciamo così, “scoperto” e riconosciuto come la condanna inappellabile della fisica classica, anzi, di tutta la scienza classica. La semplicità concettuale consiste nella elementare considerazione che, per fare un esempio in tono con l’argomento, io, indipendentemente dalla mia eventuale preparazione biofisica, psicofisica e degli strumenti di cui potrei ottimisticamente disporre, non riuscirei mai a definire lo “stato” fisico del mio cervello (supposto essere questa la sede della mia coscienza) quale è in questo preciso istante; questo semplicemente perché la mia stessa azione osservante ha già modificato lo stato del mio cervello che avrebbe dovuta essermi esibita e che, appunto, starei cercando di conoscere (o descrivere). Un altro esempio analogo può essere la ovvia impossibilità di disegnare (o descrivere) questa stanza in cui mi trovo nonché i suoi oggetti, compreso il foglio su cui sto disegnando ed il suo disegno in esecuzione, a meno che trascuri di dettagliare una certa, diciamo così, “ultima” parte del disegno stesso cioè l’errore limite di desrizione.
Orbene, tutti i sistemi sono descrivibili, al più, con una certa approssimazione: non ci vuol molto per capire che tanto più il sistema è grande e complesso tanto più piccolo è l’errore limite di descrizione; infatti l’errore limite per descrivere un fenomeno fisico del nostro universo è stabilito dal principio di indeterminazione di Heisemberg. La teorizzazione generale di questo principio è, come si sa, il più che famoso teorema di indecidibilità di Godel, teorema che appare tanto più convincente quando più si considera che, al contrario del principio Heisemberg, che tratta degli osservabili fisici, il teorema tratta, niente meno, che degli osservabili logici, tanto per essere espliciti, degli oggetti della matematica e della logica pura, che poi, secondo quando sono andato ripetutamente sostenendo nei miei numerosi nei forum anzidetti, oggetti sostanzialmente omogenei o, se si preferisce, isomorfi con quelli fisici, sempre, è ovvio, che il tutto venga proiettato in uno, diciamo così, “spazio della conoscenza”!
Tra i grandi pensatori che hanno trattato in vario modo il problema dell’auto-referenza, non possiamo non ricordare il grande Bertrand Russel con le sue famose “antinomie”.
Non ho certo esaurito tutte in modo esplicito le osservazioni di Elijha82 (del forum di matematicamente), ma oso sperare che, in forma almeno indiretta, abbia sfiorato la obiezione di fondo da lui fatta; in ogni caso sono pronto a riprendere le sue argomentazioni nel seguito, cosa che presto farò nel mio terzo intervento sul problema della COSCIENZA.
(Segue)
mario1
Osservazione acuta! 
Il fatto è che tutto l'articolo è un insieme di contraddizioni. Chi l'ha scritto, daltronde, non aveva bisogno di argomentazioni, dato che aveva già la sua risposta. E forse, paradossalmente, è lui l'esempio più palese di quanto il libero arbitrio sia un'illusione... dal momento che ha agito deterministicamente, arrampicandosi sugli specchi con l'unico intento di arrivare a tale acritica conclusione

Il fatto è che tutto l'articolo è un insieme di contraddizioni. Chi l'ha scritto, daltronde, non aveva bisogno di argomentazioni, dato che aveva già la sua risposta. E forse, paradossalmente, è lui l'esempio più palese di quanto il libero arbitrio sia un'illusione... dal momento che ha agito deterministicamente, arrampicandosi sugli specchi con l'unico intento di arrivare a tale acritica conclusione

Sono perfettamente d'accordo con Eliajah82. Vorrei solo aggiungere una considerazione di carattere logico.
L'affermare che l'anima esiste perche' non e' spiegabile dalla fisica non ha senso perche' se l'anima esiste e se la mia anima e' quella che mi sta' facendo pigiare i tasti del PC allora l'anima produce un effetto fisico sul mondo reale, ergo e' spiegabile dalla fisica almeno come descrizione dei suoi effetti. Come Newton scrisse le leggi gravitazionali senza conoscere il PERCHE' due corpi si attraggono cosi' noi potremmo descrivere gli effetti visibili di questo ente. E' una contraddizione affermare che una cosa non descrivibile dalla fisica abbia effetti visibili e misurabili (questo testo che ho scritto non e' forse misurabile in un qualche senso?).
L'affermare che l'anima esiste perche' non e' spiegabile dalla fisica non ha senso perche' se l'anima esiste e se la mia anima e' quella che mi sta' facendo pigiare i tasti del PC allora l'anima produce un effetto fisico sul mondo reale, ergo e' spiegabile dalla fisica almeno come descrizione dei suoi effetti. Come Newton scrisse le leggi gravitazionali senza conoscere il PERCHE' due corpi si attraggono cosi' noi potremmo descrivere gli effetti visibili di questo ente. E' una contraddizione affermare che una cosa non descrivibile dalla fisica abbia effetti visibili e misurabili (questo testo che ho scritto non e' forse misurabile in un qualche senso?).
Perdonatemi, ma quest'articolo è assolutamente delirante. Faccio qualche commento, per ora, al primo paragrafo.
La scienza ha dimostrato che tutti i processi chimici, biologici e cerebrali consistono unicamente in successioni di processi fisici elementari, i quali sono determinati unicamente dalle leggi della fisica quantistica. Tale visione dei processi biologici non può rendere conto dell'esistenza della nostra vita psichica; dunque il materialismo è inconciliabile con la scienza
Come sapete, la quantistica non consente di parlare esclusivamente di "successione" di processi, in quanto è noto che la funzione d'onda può interagire con se stessa. Comunque, l'affermazione in grassetto non offre alcun argomento. Che la conoscenza dei processi biologici di cui noi disponiamo oggi non sia in grado di spiegare l'esistenza della nostra vita psichica non è una dimostrazione che essa sia attribuibile a "una entità non-biologica/non-materiale". Anche se fosse, la deduzione "dunque il materialismo è inconciliabile con la scienza" non segue affatto da quanto la precede.
Del resto, ogni tentativo di spiegare la nostra vita psichica nell'ambito del materialismo implica che ciò che soffre, ama, desidera, percepisce, ecc. in noi siano oggetti come elettroni o campi elettromagnetici. Ma gli oggetti non posso percepire nulla; gli oggetti non possono provare né gioia né tristezza, né piacere né dolore, ecc.
Questo chi lo dice? Qualcuno è in grado di mostrarlo?
La scienza ha dimostrato che le equazioni del campo elettromagnetico sono universali; esse descrivono tanto il campo elettromagnetico dentro il nostro cervello come quello in un qualunque filo di rame o quello all'interno di un atomo. Non c'è alcuna traccia di coscienza, sensazioni, sentimenti, pensieri, ecc. nelle equazioni del campo elettromagnetico
A prescindere dal fatto che le equazioni di cui sopra sono valide a scale "macroscopiche", e che non si può prescindere dalla meccanica quantistica per studiare i fenomeni in esame, questo è un palese esempio di confusione fra modello e realtà. Un modello rappresenta relazioni fra grandezze misurabili, non descrive l'essenza del reale. Il fatto che non ci sia traccia di coscienza nelle equazioni della fisica non significa che la coscienza non sia un fenomeno puramente fisico.
Attribuire agli elettroni del nostro cervello proprietà (come quella di generare sensazioni o emozioni) e non attribuire la stessa proprietà a tutti gli altri elettroni dell'universo, significa contraddire uno dei principi fondamentali della fisica, il principio di Pauli, che stabilisce che tutti gli elettroni sono identici ed indistinguibili, ossia hanno tutti le stesse esatte caratteristiche e proprietà.
Un altra evidente confusione. Ridurre la coscienza ai fenomeni fisici interni al cervello non significa affatto attribuire alcune proprietà agli elettroni del nostro cervello e non agli altri. Quello che distingue gli elettroni del cervello non è una caratteristica intrinseca, ma il fatto che essi di fatto appartengono a una struttura complessa quale il cervello. Nessuno si sognerebbe di dire che gli elettroni in una roccia effettuino dei calcoli matematici, mentre quelli presenti in un calcolatore lo fanno. Ma la differenza non risiede nei particolari elettroni, quanto nella struttura che li contiene, e nell'interpretazione che noi diamo alla configurazione che gli elettroni assumono all'interno di tale struttura.
Inoltre le leggi della fisica stabiliscono che gli impulsi elettrici generano solo campi elettromagnetici ; quindi l'ipotesi tipica dei materialisti secondo cui gli impulsi elettrici del cervello generano sensazioni, emozioni ecc., è in stridente contraddizione con le leggi della fisica.
Non esiste contraddizione, dal momento che il fatto che sensazioni, emozioni ecc. non possano essere "solo campi elettromagnetici" è proprio la tesi a cui l'autore vuole arrivare, e non un'ipotesi di partenza.
I soli processi fisici possibili sono determinati da un operatore matematico chiamato "Hamiltoniano", che determina anche quali siano i soli tipi di energia esistenti nella realtà fisica. L'Hamiltoniano è infatti costituito dalla somma di alcuni termini, ciascuno dei quali determina un tipo di energia, come l'energia cinetica dell'elettrone o l'energia del fotone. Per avere altri processi o altri tipi di energia è necessario aggiungere altri termini all'Hamiltoniana, alterando così le equazioni della fisica, e conseguentemente tutte le loro soluzioni.
Chi ha detto che occorrano altri processi o altri tipi di energia per sviluppare la coscienza? A prescindere dal fatto che la fisica può, a tutt'oggi (come è di sicuro), non essere sufficientemente complessa per spiegare quanto avviene nel cervello.
In conclusione, le leggi della fisica smentiscono l'ipotesi base del materialismo secondo cui la vita psichica è generata dai processi cerebrali.
Inconsistente, come quanto precede.
La scienza ha dimostrato che tutti i processi chimici, biologici e cerebrali consistono unicamente in successioni di processi fisici elementari, i quali sono determinati unicamente dalle leggi della fisica quantistica. Tale visione dei processi biologici non può rendere conto dell'esistenza della nostra vita psichica; dunque il materialismo è inconciliabile con la scienza
Come sapete, la quantistica non consente di parlare esclusivamente di "successione" di processi, in quanto è noto che la funzione d'onda può interagire con se stessa. Comunque, l'affermazione in grassetto non offre alcun argomento. Che la conoscenza dei processi biologici di cui noi disponiamo oggi non sia in grado di spiegare l'esistenza della nostra vita psichica non è una dimostrazione che essa sia attribuibile a "una entità non-biologica/non-materiale". Anche se fosse, la deduzione "dunque il materialismo è inconciliabile con la scienza" non segue affatto da quanto la precede.
Del resto, ogni tentativo di spiegare la nostra vita psichica nell'ambito del materialismo implica che ciò che soffre, ama, desidera, percepisce, ecc. in noi siano oggetti come elettroni o campi elettromagnetici. Ma gli oggetti non posso percepire nulla; gli oggetti non possono provare né gioia né tristezza, né piacere né dolore, ecc.
Questo chi lo dice? Qualcuno è in grado di mostrarlo?
La scienza ha dimostrato che le equazioni del campo elettromagnetico sono universali; esse descrivono tanto il campo elettromagnetico dentro il nostro cervello come quello in un qualunque filo di rame o quello all'interno di un atomo. Non c'è alcuna traccia di coscienza, sensazioni, sentimenti, pensieri, ecc. nelle equazioni del campo elettromagnetico
A prescindere dal fatto che le equazioni di cui sopra sono valide a scale "macroscopiche", e che non si può prescindere dalla meccanica quantistica per studiare i fenomeni in esame, questo è un palese esempio di confusione fra modello e realtà. Un modello rappresenta relazioni fra grandezze misurabili, non descrive l'essenza del reale. Il fatto che non ci sia traccia di coscienza nelle equazioni della fisica non significa che la coscienza non sia un fenomeno puramente fisico.
Attribuire agli elettroni del nostro cervello proprietà (come quella di generare sensazioni o emozioni) e non attribuire la stessa proprietà a tutti gli altri elettroni dell'universo, significa contraddire uno dei principi fondamentali della fisica, il principio di Pauli, che stabilisce che tutti gli elettroni sono identici ed indistinguibili, ossia hanno tutti le stesse esatte caratteristiche e proprietà.
Un altra evidente confusione. Ridurre la coscienza ai fenomeni fisici interni al cervello non significa affatto attribuire alcune proprietà agli elettroni del nostro cervello e non agli altri. Quello che distingue gli elettroni del cervello non è una caratteristica intrinseca, ma il fatto che essi di fatto appartengono a una struttura complessa quale il cervello. Nessuno si sognerebbe di dire che gli elettroni in una roccia effettuino dei calcoli matematici, mentre quelli presenti in un calcolatore lo fanno. Ma la differenza non risiede nei particolari elettroni, quanto nella struttura che li contiene, e nell'interpretazione che noi diamo alla configurazione che gli elettroni assumono all'interno di tale struttura.
Inoltre le leggi della fisica stabiliscono che gli impulsi elettrici generano solo campi elettromagnetici ; quindi l'ipotesi tipica dei materialisti secondo cui gli impulsi elettrici del cervello generano sensazioni, emozioni ecc., è in stridente contraddizione con le leggi della fisica.
Non esiste contraddizione, dal momento che il fatto che sensazioni, emozioni ecc. non possano essere "solo campi elettromagnetici" è proprio la tesi a cui l'autore vuole arrivare, e non un'ipotesi di partenza.
I soli processi fisici possibili sono determinati da un operatore matematico chiamato "Hamiltoniano", che determina anche quali siano i soli tipi di energia esistenti nella realtà fisica. L'Hamiltoniano è infatti costituito dalla somma di alcuni termini, ciascuno dei quali determina un tipo di energia, come l'energia cinetica dell'elettrone o l'energia del fotone. Per avere altri processi o altri tipi di energia è necessario aggiungere altri termini all'Hamiltoniana, alterando così le equazioni della fisica, e conseguentemente tutte le loro soluzioni.
Chi ha detto che occorrano altri processi o altri tipi di energia per sviluppare la coscienza? A prescindere dal fatto che la fisica può, a tutt'oggi (come è di sicuro), non essere sufficientemente complessa per spiegare quanto avviene nel cervello.
In conclusione, le leggi della fisica smentiscono l'ipotesi base del materialismo secondo cui la vita psichica è generata dai processi cerebrali.
Inconsistente, come quanto precede.
http://xoomer.virgilio.it/fedeescienza/home.html
Questo è il giusto indirizzo [;)]
Argomento interessantissimo, complimenti! Cercherò quel libro...
Paola
Questo è il giusto indirizzo [;)]
Argomento interessantissimo, complimenti! Cercherò quel libro...
Paola
non mi si apre uguale!!! <:-( dice che la pagina non c'è più
quote:xoomer (link)
Originally posted by Elijah82
non mi si apre il link. non mi è chiaro cosa intendi con problema dell'auto-referenza. a mio vedere, credo che il cervello e la coscienza, più che descrivere il mondo, e dunque se stessi, possano al più creare rappresentazioni. allo stesso modo in cui, su una cartina, un pallino indica una città, una data "configurazione" fisica del cervello rappresenta un certo stato della coscienza, e una certa informazione su quanto i sensi hanno comunicato sul mondo "esterno" per mezzo di neuroni, e su quanto altri neuroni hanno comunicato sul mondo "interno" che il cervello stesso, nel senso della sua configurazione fisica, costituisce.
credo anche che la coscienza, e il libero arbitrio, siano un'illusione, e che il cervello agisca seguendo leggi della fisica (o comportamenti in linea di principio spiegabili attraverso la fisica). "noi" abbiamo questa sensazione di libertà che deriva dalla nostra apparente capacità di compiere delle "scelte" alternative, ma non sappiamo se tali scelte derivano da un nostro atto di volontà, o se la nostra volontà è solo il riflesso di processi fisici a un livello meno visibile. questo allo stesso modo in cui approssimiamo il comportamento "deterministico" di un dado lanciato asserendo che ogni possibile esito ha una certa probabilità, perché perdiamo di vista il comportamento microscopico o perché non siamo in grado di analizzare fenomeni quantistici che possono governare il moto del dado. la teoria della decoerenza quantistica, infatti, se non sbaglio, sostiene che le "probabilità quantistiche" (che esprimono, attraverso la funzione d'onda, il fatto che l'universo si trova in più stati contemporaneamente) "collassino" in quelle classiche per via delle innumerevoli interazioni di un sistema con l'ambiente esterno. queste ultime probabilità rappresenterebbero invece soltanto un nostro grado di incertezza sul reale stato dell'universo, in accordo col principio di heisenberg e con i limiti delle nostre capacità di calcolo.
mario1
quote:xoomer (link)
Originally posted by Elijah82
non mi si apre il link. non mi è chiaro cosa intendi con problema dell'auto-referenza. a mio vedere, credo che il cervello e la coscienza, più che descrivere il mondo, e dunque se stessi, possano al più creare rappresentazioni. allo stesso modo in cui, su una cartina, un pallino indica una città, una data "configurazione" fisica del cervello rappresenta un certo stato della coscienza, e una certa informazione su quanto i sensi hanno comunicato sul mondo "esterno" per mezzo di neuroni, e su quanto altri neuroni hanno comunicato sul mondo "interno" che il cervello stesso, nel senso della sua configurazione fisica, costituisce.
credo anche che la coscienza, e il libero arbitrio, siano un'illusione, e che il cervello agisca seguendo leggi della fisica (o comportamenti in linea di principio spiegabili attraverso la fisica). "noi" abbiamo questa sensazione di libertà che deriva dalla nostra apparente capacità di compiere delle "scelte" alternative, ma non sappiamo se tali scelte derivano da un nostro atto di volontà, o se la nostra volontà è solo il riflesso di processi fisici a un livello meno visibile. questo allo stesso modo in cui approssimiamo il comportamento "deterministico" di un dado lanciato asserendo che ogni possibile esito ha una certa probabilità, perché perdiamo di vista il comportamento microscopico o perché non siamo in grado di analizzare fenomeni quantistici che possono governare il moto del dado. la teoria della decoerenza quantistica, infatti, se non sbaglio, sostiene che le "probabilità quantistiche" (che esprimono, attraverso la funzione d'onda, il fatto che l'universo si trova in più stati contemporaneamente) "collassino" in quelle classiche per via delle innumerevoli interazioni di un sistema con l'ambiente esterno. queste ultime probabilità rappresenterebbero invece soltanto un nostro grado di incertezza sul reale stato dell'universo, in accordo col principio di heisenberg e con i limiti delle nostre capacità di calcolo.
mario1
be' meno male che qualcuno la pensa come me... se sono una marea di boiate, almeno sono condivisibili!

wow, quello che volevo dire io, ma non sono riuscito a scriverlo cosi' bene, e quindi non l' ho proprio scritto =)
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Il bello di essere intelligente e' che puoi divertirti a fare l' imbecille, ma se sei un imbecille non puoi fare il contrario.
Woody Allen
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Il bello di essere intelligente e' che puoi divertirti a fare l' imbecille, ma se sei un imbecille non puoi fare il contrario.
Woody Allen
non mi si apre il link. non mi è chiaro cosa intendi con problema dell'auto-referenza. a mio vedere, credo che il cervello e la coscienza, più che descrivere il mondo, e dunque se stessi, possano al più creare rappresentazioni. allo stesso modo in cui, su una cartina, un pallino indica una città, una data "configurazione" fisica del cervello rappresenta un certo stato della coscienza, e una certa informazione su quanto i sensi hanno comunicato sul mondo "esterno" per mezzo di neuroni, e su quanto altri neuroni hanno comunicato sul mondo "interno" che il cervello stesso, nel senso della sua configurazione fisica, costituisce.
credo anche che la coscienza, e il libero arbitrio, siano un'illusione, e che il cervello agisca seguendo leggi della fisica (o comportamenti in linea di principio spiegabili attraverso la fisica). "noi" abbiamo questa sensazione di libertà che deriva dalla nostra apparente capacità di compiere delle "scelte" alternative, ma non sappiamo se tali scelte derivano da un nostro atto di volontà, o se la nostra volontà è solo il riflesso di processi fisici a un livello meno visibile. questo allo stesso modo in cui approssimiamo il comportamento "deterministico" di un dado lanciato asserendo che ogni possibile esito ha una certa probabilità, perché perdiamo di vista il comportamento microscopico o perché non siamo in grado di analizzare fenomeni quantistici che possono governare il moto del dado. la teoria della decoerenza quantistica, infatti, se non sbaglio, sostiene che le "probabilità quantistiche" (che esprimono, attraverso la funzione d'onda, il fatto che l'universo si trova in più stati contemporaneamente) "collassino" in quelle classiche per via delle innumerevoli interazioni di un sistema con l'ambiente esterno. queste ultime probabilità rappresenterebbero invece soltanto un nostro grado di incertezza sul reale stato dell'universo, in accordo col principio di heisenberg e con i limiti delle nostre capacità di calcolo.
credo anche che la coscienza, e il libero arbitrio, siano un'illusione, e che il cervello agisca seguendo leggi della fisica (o comportamenti in linea di principio spiegabili attraverso la fisica). "noi" abbiamo questa sensazione di libertà che deriva dalla nostra apparente capacità di compiere delle "scelte" alternative, ma non sappiamo se tali scelte derivano da un nostro atto di volontà, o se la nostra volontà è solo il riflesso di processi fisici a un livello meno visibile. questo allo stesso modo in cui approssimiamo il comportamento "deterministico" di un dado lanciato asserendo che ogni possibile esito ha una certa probabilità, perché perdiamo di vista il comportamento microscopico o perché non siamo in grado di analizzare fenomeni quantistici che possono governare il moto del dado. la teoria della decoerenza quantistica, infatti, se non sbaglio, sostiene che le "probabilità quantistiche" (che esprimono, attraverso la funzione d'onda, il fatto che l'universo si trova in più stati contemporaneamente) "collassino" in quelle classiche per via delle innumerevoli interazioni di un sistema con l'ambiente esterno. queste ultime probabilità rappresenterebbero invece soltanto un nostro grado di incertezza sul reale stato dell'universo, in accordo col principio di heisenberg e con i limiti delle nostre capacità di calcolo.
molto interessante, come al solito
ma a mio parere l' argomento e' opinabile (il problema e' alquanto complicato)
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Il bello di essere intelligente e' che puoi divertirti a fare l' imbecille, ma se sei un imbecille non puoi fare il contrario.
Woody Allen
ma a mio parere l' argomento e' opinabile (il problema e' alquanto complicato)
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Il bello di essere intelligente e' che puoi divertirti a fare l' imbecille, ma se sei un imbecille non puoi fare il contrario.
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