Declino dell'insegnamento universitario?
Salve a tutti, vi scrivo per condividere alcune mie impressioni relative al mondo universitario. Parlando con persone che si sono laureate 30-40 anni fa, ho avuto l'impressione che all'epoca i docenti tenessero ai loro corsi, e soprattutto agli esami e alle tesi di laurea, molto di più di quanto sembra ci tengano oggi. Queste persone mi hanno parlato, ad esempio, di esami che duravano ore o addirittura intere giornate, di tesi corrette minuziosamente, di esami di laurea rinviati fin quando la tesi non fosse soddisfacente, e così via. Gli aneddoti - anche crudeli - sugli esami si sprecano. Invece, la mia esperienza e quella dei miei coetanei con cui ho parlato è stata diversa. I corsi che ho seguito sono stati di varia qualità, ma gli esami orali raramente hanno superato la mezz'ora e non mi sembra che si dia tutta quest'importanza alle tesi di laurea. Addirittura, ci sono facoltà di ingegneria in cui l'esame di Analisi I si fa mediante un test a risposta multipla! Durante il dottorato, inoltre, ho parlato con professori di tutto il mondo, e la maggior parte parlava dell'insegnamento essenzialmente come di una scocciatura che toglie tempo alla ricerca. Non nego che all'inizio quest'atteggiamento mi ha lasciato piuttosto basito, in quanto prima ancora di interessarmi alla ricerca mi ero interessato molto all'insegnamento universitario.
Mi sono dato varie spiegazioni di questo fenomeno. Una delle possibilità è che, negli ultimi decenni, la popolazione studentesca è cresciuta a dismisura, e questo potrebbe aver portato (ma non ne sono sicuro) a un abbassamento della qualità media. Se così fosse, i professori potrebbero essere demotivati dal confronto con studenti non realmente interessati o portati per la materia. Sicuramente incide anche il fatto che oggi la ricerca è valutata quantitavamente, anzi in Italia (ma credo in tutta Europa) è l'unica cosa valutata per le progressioni di carriera, e questo porta necessariamente gli accademici a concentrare su di essa i propri sforzi. D'altra parte, ho l'impressione che ci siano cause di più ampia portata, che coinvolgono tutto il rapporto tra l'odierna istituzione universitaria e il resto della società. Che ne pensate?
Mi sono dato varie spiegazioni di questo fenomeno. Una delle possibilità è che, negli ultimi decenni, la popolazione studentesca è cresciuta a dismisura, e questo potrebbe aver portato (ma non ne sono sicuro) a un abbassamento della qualità media. Se così fosse, i professori potrebbero essere demotivati dal confronto con studenti non realmente interessati o portati per la materia. Sicuramente incide anche il fatto che oggi la ricerca è valutata quantitavamente, anzi in Italia (ma credo in tutta Europa) è l'unica cosa valutata per le progressioni di carriera, e questo porta necessariamente gli accademici a concentrare su di essa i propri sforzi. D'altra parte, ho l'impressione che ci siano cause di più ampia portata, che coinvolgono tutto il rapporto tra l'odierna istituzione universitaria e il resto della società. Che ne pensate?
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Aggiungo una riflessione in merito a: il colloquio dice più del voto di laurea.
Ieri ho avuto un secondo round di technical interviews, e mi hanno fatto una domanda che mi avevano già fatto al primo round e che hanno fatto pure altre compagnie. Voi direte: "Era per vedere se te la ricordavi". No! Semplicemente erano due esaminatori diversi che non si sono messi d'accordo.
E purtroppo dopo l'interview ho scoperto con rammarico che si poteva andar ben oltre... in commercio ci sono libri appositi con le domande frequenti. Non sono convinto di essere andato bene a sufficienza, ma di sicuro se non mi prendono la prossima volta tornerò attrezzato.
Ieri ho avuto un secondo round di technical interviews, e mi hanno fatto una domanda che mi avevano già fatto al primo round e che hanno fatto pure altre compagnie. Voi direte: "Era per vedere se te la ricordavi". No! Semplicemente erano due esaminatori diversi che non si sono messi d'accordo.
E purtroppo dopo l'interview ho scoperto con rammarico che si poteva andar ben oltre... in commercio ci sono libri appositi con le domande frequenti. Non sono convinto di essere andato bene a sufficienza, ma di sicuro se non mi prendono la prossima volta tornerò attrezzato.

"xXStephXx":
"Non lo ricordo manco io, ma l'esame lo deve fare lei".
È la stessa cosa che dico ai miei studenti liceali: "io questa formula non la ricordo a memoria, ma alla maturità senza formulario ci andate voi; fate come me: imparate a ricavarla!".
Nel frattempo ho riflettuto un po'. Secondo me imparare i dettagli stupidi che si dimenticano dopo l'esame (cosa sulla quale concordo al 100%, nessuno prende 30 e lode senza averli ripassati la settimana prima) fa parte però della cultura generale che dà l'università. Forse si aspettano che una volta memorizzati siano più facili da riprendere rispetto ad averli skippati. Insomma, penso che se si accetta il beneficio del fare le cose dettagliate, astratte e senza secondi fini bisogna pure accettare che sia un sacrificio, con punte di noia.
Al lavoro non capita mai di dover preparare una presentazione che richiede di riesumare e analizzare dati noiosi, magari disordinati, che nessuno vorrebbe fare? Con una deadline molto ravvicinata?
___
Aneddoto. Al mio secondo anno di triennale all'esame di Geometria 2 non avevo studiato alcuni dettagli che avevano tutta l'aria di essere "usa e getta". Si usano per dimostrare un teorema principale e poi basta. Dissi al prof che non ricordavo un passaggio. Lui mi rispose: "Non lo ricordo manco io, ma l'esame lo deve fare lei".
Mi mise 26 (e rifiutai, fu il mio voto più basso di tutto il percorso universitario).
Al lavoro non capita mai di dover preparare una presentazione che richiede di riesumare e analizzare dati noiosi, magari disordinati, che nessuno vorrebbe fare? Con una deadline molto ravvicinata?
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Aneddoto. Al mio secondo anno di triennale all'esame di Geometria 2 non avevo studiato alcuni dettagli che avevano tutta l'aria di essere "usa e getta". Si usano per dimostrare un teorema principale e poi basta. Dissi al prof che non ricordavo un passaggio. Lui mi rispose: "Non lo ricordo manco io, ma l'esame lo deve fare lei".
Mi mise 26 (e rifiutai, fu il mio voto più basso di tutto il percorso universitario).

"vict85":
è più che normale che se al colloquio uno si mostra più brillante viene selezionato al posto di uno che non dimostra quel che suggerisce il suo curriculum.
D'altronde penso anche che se uno segue gli orali fatti ai compagni e poi dà l'orale preparandosi le risposte a quelle domande, ogni tanto sembrerà più brillante di chi ha studiato bene.
Però la media di tutti gli esami penso che permetta di distinguere tra le due modalità.
@xXStephXx È normale che nei colloqui i voti di laurea contino fino ad un certo punto, ma per il primo impiego contano ancora. Se quello che ti fa il colloquio conosce l'università e sa che le percentuali di 110L sono alte, allora è vero che non considererà un 110L come un genio, ma è anche vero che vedrà con sospetto i voti inferiori. Un po' come è evidente tu faccia. Io non ho preso 110 e non perché non mi sia impegnato a capire i concetti e a studiarli ma perché non mi è mai interessato memorizzare cose che considero banali. Va contro la mia natura. Ma è evidente che dimostrare qualcosa sul momento invece di ripeterlo secondo un copione ha un effetto sul voto. Inoltre devo ammettere che ho sempre passato più tempo sulla teoria che sulla pratica. Insomma, se mi fossi impegnato di più e avessi focalizzato meglio le mie attenzioni avrei preso un voto migliore? Sicuramente sì, ma non avrei compreso i concetti meglio. E, poi, tutto sommato, non avrebbe cambiato nulla del resto della mia vita. A livello lavorativo ho sempre avuto valutazioni molto positive e ho avuto colleghi preparatissimi che non sono neanche laureati.
Tornando al colloquio, è più che normale che se al colloquio uno si mostra più brillante viene selezionato al posto di uno che non dimostra quel che suggerisce il suo curriculum. Anche perché, spesso, la conoscenza degli argomenti universitari conta relativamente poco, mentre hanno un certo peso competenze che si imparano al di fuori dell'università. Penso alle lingue e al computer, ma anche varie competenze di tipo sociale e organizzativo. Per esempio, aver lavorato durante il periodo universitario è spesso visto positivamente. Certo, dipende moltissimo dal lavoro e dalla laurea. Molte cose poi si imparano dopo.
Tornando al colloquio, è più che normale che se al colloquio uno si mostra più brillante viene selezionato al posto di uno che non dimostra quel che suggerisce il suo curriculum. Anche perché, spesso, la conoscenza degli argomenti universitari conta relativamente poco, mentre hanno un certo peso competenze che si imparano al di fuori dell'università. Penso alle lingue e al computer, ma anche varie competenze di tipo sociale e organizzativo. Per esempio, aver lavorato durante il periodo universitario è spesso visto positivamente. Certo, dipende moltissimo dal lavoro e dalla laurea. Molte cose poi si imparano dopo.
"xXStephXx":
[quote="pier.paolo"]Purtroppo mi sa proprio che è così...il bello è che si può anche decidere di far laureare tante persone, differenziando però i voti. Invece oggi non solo escono molti laureati, ma escono anche tanti voti alti e lodi che non riflettono per niente una conoscenza/comprensione profonda della materia. Suppongo che anche questo avvenga in ossequio a criteri calati dall'alto.
Mi sa che alla fine cambierebbe poco. Il voto di solito ha un peso irrisorio rispetto ad altro. Questo tuttavia è l'aspetto che comprendo di meno e sul quale mi sento più accademico. Tra 100 e 110 e lode la differenza è immensa, per laurearmi con 100 avrei potuto studiare la metà del tempo e anche meno. Uno che ha 110 e lode dimostra di saper preparare gli esami senza farsi sfuggire dettagli importanti, e anche di saper ripetere il programma e di saperlo tenere nella memoria almeno fino all'esame. Con 100 invece è tipo: "Questo capitolo lo salto, tanto l'ha chiesto a poche persone", "Salto le dimostrazioni e se me le chiede cerco di arrangiarle un po'", "Non ho studiato ma voglio ripassare insieme a voi così sentendovi ripetere imparo anch'io" (lol).
Quindi trovo un pochino irragionevole che questi ultimi rispondendo un po' meglio ad una domanda di colloquio (magari perché essendo in totale 5-10 domande capita proprio quella che si erano preparati) possano bypassare totalmente la differenza della laurea. Se un lavoro richiede di apprendere concetti nuovi velocemente e di tenersi sempre aggiornati per tutta la carriera io non vedo motivi per cui un colloquio debba dimostrare più di 5 anni di vita (perché mai uno che per 5 anni si è comportato come ha voluto lui, poi sulla base di poche domande risposte meglio allora di lì in poi perfomerà meglio tutta la vita?

Però mi accontento e mi adeguo alle esigenze industriali.[/quote]
Su questo mi sento di aprire un OT, che poi forse tanto OT non è. La mia impressione è che, nel mondo aziendale, le competenze tecniche contano meno di quanto possa apparire a uno studente. Probabilmente, la profondità di analisi conta ancor meno. Contano soprattutto la velocità, la disponibilità e le capacità relazionali. Se chiedessimo a un campione di ingegneri elettronici quanti usano nel loro lavoro la trasformata di Laplace (decisamente non un concetto esoterico e avanzato), o ancora meglio chi ne ricorda la definizione dopo un certo numero di anni dalla laurea, penso che non si arriverebbe oltre il 50%. In questo contesto, non mi stupisce il fatto che i professori non lottano per una maggiore selettività e gonfiano i voti a dismisura: questi voti contano poco, e loro verosimilmente ne sono consapevoli.
"gugo82":
E difatti non sono le domande tecniche che vai a fare quando vuoi ottenere una misurazione di competenze a distanza di tempo... O, almeno, non lo vai a fare sapendo che l'obiettivo dell'insegnamento non era prettamente nozionistico.
Sembra che tu dia per scontato che le competenze non abbiano nulla a che vedere con le nozioni. Per me le cose sono strettamente interconnesse, l’università ti deve insegnare degli strumenti e come usarli, no? Devi conoscere l definizione di gruppo se vuoi saper dimostrare che qualcosa è o non è un gruppo.
"gugo82":
Cosa ti dice che il concetto di gruppo fosse imprescindibile?
Sto esagerando, ovviamente,[nota]Ma mica tanto... L'idea di gruppo astratto credo si sia fatta strada nella didattica dei primi anni solo "recentemente" (diciamo, dagli anni '70 in poi) nonostante sia molto più vecchia. Il punto è che le ripercussioni della ricerca sull'ambito della didattica si percepiscono, il più delle volte, su tempi molto più lunghi rispetto a quanto ci si aspetti.[/nota] ma è per farti riflettere su un punto: per capire cosa è imprescindibile e da quando è diventato imprescindibile, si devono avere conoscenze approfondite circa la storia della didattica della Matematica a livello universitario... Cosa non banale.
Infatti non ho parlato di gruppo astratto, ho detto “maneggiare il concetto di gruppo” apposta. Comunque sono d’accordo che sia una domanda delicata, prendi l’esempio che preferisci tu, ma ci sono cose che vengono insegnate nei corsi di laurea in matematica, perchè ritenute imprescindibili, da ben più di 40 anni.
E' vero, diventare assistente, ma all'inizio anche dottorando, dove nei primi tempi c'erano pochissimi posti, (concorsi anche ogni 4 anni e per pochi posti) era una cosa più importante di adesso, era praticamente la strada aperta per entrare all'università.
E con la quadriennale la tesi era una cosa pesante, niente a che vedere con la tesi triennale attuale, si calcolava un anno come tempo per farla. Questo almeno a economia.
E con la quadriennale la tesi era una cosa pesante, niente a che vedere con la tesi triennale attuale, si calcolava un anno come tempo per farla. Questo almeno a economia.
So per certo che restare come assistenti era un privilegio più esclusivo che fare il dottorato nel 2022. So pure per certo che chi finiva la quadriennale in tempo e bene doveva macinare esami grossi senza tante suddivisioni e fare una tesi un minimo interessante. Però non ho mai capito che fine faceva lo studente medio... forse scappava da matematica?

"hydro":
[quote="gugo82"]
Trovo interessante la nonchalance con la quale sostieni che sia normale che gli "anziani" non leggano e non risolvano problemi (o, quanto meno, lo facciano meno dei "giovani"), finendo per non allenare le proprie competenze...
Suvvia, sii ragionevole. Ovviamente non sto dicendo questo, sto dicendo che se prendi 100 neolaureati in matematica e gli fai delle domande tecniche, e poi gliele rifai dopo 40 anni, le risposte saranno mediamente peggio, perché chi dopo aver preso la sua laurea in matematica ha aperto un ristorante e ci ha lavorato tutta la vita magari i limiti notevoli se li è scordati no? Non sembra una cosa offensiva da pensare.[/quote]
E difatti non sono le domande tecniche che vai a fare quando vuoi ottenere una misurazione di competenze a distanza di tempo... O, almeno, non lo vai a fare sapendo che l'obiettivo dell'insegnamento non era prettamente nozionistico.

"hydro":
[quote="gugo82"]
Inoltre, anche se in Italia il livello di istruzione post secondaria era, 40 anni fa, sicuramente inferiore all'attuale, cosa ti fa pensare che questo non valga -o valga in maniera meno incisiva- al di fuori dei confini nazionali?
Conosci qualche statistica o è solo una sensazione?
Nulla me lo fa pensare, infatti non ho mai detto che sia una cosa prettamente italica. E mi sembra di aver detto fin da subito in ogni caso che sono solo chiacchere basate su aneddoti e sensazioni, nulla di serio.[/quote]
Ah, vabbé...
"hydro":
[quote="gugo82"]
Su cosa li vorresti confrontare?
Questa è una domanda interessante. Immagino che li vorrei confrontare su un insieme di conoscenze imprescindibili per un laureato in quella specifica materia. Vero che ce ne sono alcune che si evolvono molto in fretta, come diceva vict85, ma altre no. Sarebbe interessante capire chi tra un neolaureato del 2022 e uno del 1990 sa maneggiare meglio il concetto di gruppo, tanto per fare un esempio a caso. Magari quello del 2022 eh, non lo so.[/quote]
Cosa ti dice che il concetto di gruppo fosse imprescindibile?
Sto esagerando, ovviamente,[nota]Ma mica tanto... L'idea di gruppo astratto credo si sia fatta strada nella didattica dei primi anni solo "recentemente" (diciamo, dagli anni '70 in poi) nonostante sia molto più vecchia. Il punto è che le ripercussioni della ricerca sull'ambito della didattica si percepiscono, il più delle volte, su tempi molto più lunghi rispetto a quanto ci si aspetti.[/nota] ma è per farti riflettere su un punto: per capire cosa è imprescindibile e da quando è diventato imprescindibile, si devono avere conoscenze approfondite circa la storia della didattica della Matematica a livello universitario... Cosa non banale.
Comunque studi e statistiche ci sono, ad esempio ho letto di recente di uno studio (ora non mi ricordo dove) che diceva che in Italia c'è un tasso di analfabetismo funzionale superiore agli altri paesi, mi pare facesse il confronto con l'Europa.
Intendendo per analfabetismo funzionale non l'avere dimenticato le cose, ma saper leggere dal punto di vista materiale, ma non capire il contenuto dei testi che si legge (ovviamente testi semplici, non cose specialistiche, tipo un articolo su un giornale).
Per il confronto nel tempo non so.
Ma leggevo tempo fa di uno studio in America, che diceva che per la prima volta, mi pare dal dopoguerra, il livello di intelligenz amedia era diminuito.
Attribuivano il fenomeno all scemunimento da telefonini.
Poi si arrampicavano sugli specchi dicendo che però andavano considerati anche altri tipi di intelligenza, come l'intelligenza emotiva.
Ma l'idea che mi dava era di un popolo di cretini sensibili...
Intendendo per analfabetismo funzionale non l'avere dimenticato le cose, ma saper leggere dal punto di vista materiale, ma non capire il contenuto dei testi che si legge (ovviamente testi semplici, non cose specialistiche, tipo un articolo su un giornale).
Per il confronto nel tempo non so.
Ma leggevo tempo fa di uno studio in America, che diceva che per la prima volta, mi pare dal dopoguerra, il livello di intelligenz amedia era diminuito.
Attribuivano il fenomeno all scemunimento da telefonini.
Poi si arrampicavano sugli specchi dicendo che però andavano considerati anche altri tipi di intelligenza, come l'intelligenza emotiva.
Ma l'idea che mi dava era di un popolo di cretini sensibili...

"gugo82":
Trovo interessante la nonchalance con la quale sostieni che sia normale che gli "anziani" non leggano e non risolvano problemi (o, quanto meno, lo facciano meno dei "giovani"), finendo per non allenare le proprie competenze...
Suvvia, sii ragionevole. Ovviamente non sto dicendo questo, sto dicendo che se prendi 100 neolaureati in matematica e gli fai delle domande tecniche, e poi gliele rifai dopo 40 anni, le risposte saranno mediamente peggio, perché chi dopo aver preso la sua laurea in matematica ha aperto un ristorante e ci ha lavorato tutta la vita magari i limiti notevoli se li è scordati no? Non sembra una cosa offensiva da pensare.
"gugo82":
Inoltre, anche se in Italia il livello di istruzione post secondaria era, 40 anni fa, sicuramente inferiore all'attuale, cosa ti fa pensare che questo non valga -o valga in maniera meno incisiva- al di fuori dei confini nazionali?
Conosci qualche statistica o è solo una sensazione?
Nulla me lo fa pensare, infatti non ho mai detto che sia una cosa prettamente italica. E mi sembra di aver detto fin da subito in ogni caso che sono solo chiacchere basate su aneddoti e sensazioni, nulla di serio.
"gugo82":
Su cosa li vorresti confrontare?
Questa è una domanda interessante. Immagino che li vorrei confrontare su un insieme di conoscenze imprescindibili per un laureato in quella specifica materia. Vero che ce ne sono alcune che si evolvono molto in fretta, come diceva vict85, ma altre no. Sarebbe interessante capire chi tra un neolaureato del 2022 e uno del 1990 sa maneggiare meglio il concetto di gruppo, tanto per fare un esempio a caso. Magari quello del 2022 eh, non lo so.
"hydro":
[quote="gugo82"]
[mode=Vulvia]
Lo sapevate? Le indagini OCSE-PIAAC mostrano che il divario tra le competenze di lettura e matematiche degli "anziani" e quelle dei "giovani" in Italia è di gran lunga superiore a quello medio delle altre nazioni partecipanti, e che gli "anziani" ne hanno molto meno dei "giovani". Sapevatelo!
[/mode]
Questo però non stupisce granché dato che a) le competenze svaniscono col tempo se non le sia allena ma soprattutto b) 40 anni fa penso ci fossero radicalmente meno laureati di ora.[/quote]
Trovo interessante la nonchalance con la quale sostieni che sia normale che gli "anziani" non leggano e non risolvano problemi (o, quanto meno, lo facciano meno dei "giovani"), finendo per non allenare le proprie competenze... Ah, per la precisione, il confronto è fatto tra le competenze medie dei 16enni e quelle dei 65enni.
Inoltre, anche se in Italia il livello di istruzione post secondaria era, 40 anni fa, sicuramente inferiore all'attuale, cosa ti fa pensare che questo non valga -o valga in maniera meno incisiva- al di fuori dei confini nazionali?
Conosci qualche statistica o è solo una sensazione?
"hydro":
Il confronto impossibile che sarebbe interessante è tre un neolaureato medio di oggi e uno dell'epoca.
Su cosa li vorresti confrontare?
Il punto focale è proprio questo: 40 anni fa la didattica aveva obiettivi differenti da quelli odierni. Quindi non avrebbe senso prendere un test redatto 40 anni fa e proporlo a neolaureati; come non ha senso fare il contrario, proponendo test nuovi a "veterolaureati".
Quello che si potrebbe fare, e che si fa usualmente, è trovare alcune competenze che dovrebbero essere possedute dai "neolaureati" e alcune che dovrebbero essere possedute dai "veterolaureati"; si somministrano ai due gruppi test differenti, ognuno tarato in maniera apposita; e se ne analizzano le risposte.
"gugo82":
[mode=Vulvia]
Lo sapevate? Le indagini OCSE-PIAAC mostrano che il divario tra le competenze di lettura e matematiche degli "anziani" e quelle dei "giovani" in Italia è di gran lunga superiore a quello medio delle altre nazioni partecipanti, e che gli "anziani" ne hanno molto meno dei "giovani". Sapevatelo!
[/mode]
Questo però non stupisce granchè dato che a) le competenze svaniscono col tempo se non le sia allena ma soprattutto b) 40 anni fa penso ci fossero radicalmente meno laureati di ora. Il confronto impossibile che sarebbe interessante è tre un neolaureato medio di oggi e uno dell'epoca.
@ axpgn: [ot]"Grumi e coaguli", o piuttosto "sacche" (di ignoranza) che si notano anche ora anche tra gli strati economicamente più agiati della popolazione.[/ot]
[mode=Vulvia]
Lo sapevate? Le indagini OCSE-PIAAC mostrano che il divario tra le competenze di lettura e matematiche degli "anziani" e quelle dei "giovani" in Italia è di gran lunga superiore a quello medio delle altre nazioni partecipanti, e che gli "anziani" ne hanno molto meno dei "giovani". Sapevatelo!
Lo sapevate? Secondo il rapporto CENSIS, un terzo della popolazione attiva in Italia non è laureato, ma ha solo la licenza media. Sapevatelo... Su RaiEducational Channel!
[/mode]
A questo punto, mi sa che il mito dell'età dell'oro dell'insegnamento universitario va rivisto e ridimensionato... Come tutti i miti simili.
[mode=Vulvia]
Lo sapevate? Le indagini OCSE-PIAAC mostrano che il divario tra le competenze di lettura e matematiche degli "anziani" e quelle dei "giovani" in Italia è di gran lunga superiore a quello medio delle altre nazioni partecipanti, e che gli "anziani" ne hanno molto meno dei "giovani". Sapevatelo!
Lo sapevate? Secondo il rapporto CENSIS, un terzo della popolazione attiva in Italia non è laureato, ma ha solo la licenza media. Sapevatelo... Su RaiEducational Channel!
[/mode]
A questo punto, mi sa che il mito dell'età dell'oro dell'insegnamento universitario va rivisto e ridimensionato... Come tutti i miti simili.
"vict85":
A parte il riferimento agli anni di piombo, che comunque negli anni 80 era sul finire se non già finito, ...
[ot]Gli anni di piombo erano sul finire, al finire degli anni '80 ma all'inizio del decennio eravamo nel pieno ...
Tutto il Nord era come Torino (e Roma anche ovviamente), un mio compagno di scuola è finito in PrimaLinea, tutte le mattine quando andavo al lavoro passavo in mezzo a due auto della DIGOS (o quel che era) che aspettavano il direttore generale e, purtroppo, il direttore dello stabilimento di fronte ai nostri uffici fu ucciso in metropolitana.
Sì, la situazione era un po' tesa ...
Ma gli anni di piombo sono "esplosi" alla fine dei '70, mentre la scuola era già "esplosa" nel decennio precedente, dopo il '68 era cambiata completamente.
Da qualsiasi lato lo si guardi, nel bene o nel male, il '68 è stato uno spartiacque (non solo in Italia).
Nei primi anni settanta la scuola era solo un grande "casino", un caos perenne.
E come succede sempre, dal caos si generano grumi e coaguli: da una parte a poco a poco è ritornato "l'ordine" e dall'altra si è cristallizzato e organizzato il "contrordine"; in un certo senso è tornato tutto "normale", diverso ma normale. Quello che ha descritto gabriella, in pratica.[/ot]
Cordialmente, Alex
"gabriella127":
Quindi non direi proprio l'università come covo di rivoluzionari.
Forse è stato diverso in facoltà letterarie, non so.
A parte il riferimento agli anni di piombo, che comunque negli anni 80 era sul finire se non già finito, mi riferivo a rivoluzioni culturali e scientifiche. Io sono nato nell'85, quindi queste cose le ho lette qua e là e neanche su libri universitari. Insomma pensavo a cose come la semiotica, la neoretorica, le scienze delle comunicazioni, l'uso dello strutturalismo nella grammatica e similari. Insomma cose che hanno cambiato il modo di studiare determinati argomenti. Controllando, nessuno di questo è proprio nato in quegli anni, ma sono diventati mainstream in quegli anni. Ma forse sono stati rivoluzionari solo ai miei occhi.
Dal punto di vista delle scienze sociali e mediche, penso che gli anni 70-80 abbiamo anche visto un graduale aumento dell'uso di tecniche matematico-statistiche ma queste sono più mie speculazioni.
@axpgn: da racconti dei miei genitori e dei miei zii, l'impressione è che la situazione, almeno a Torino fosse abbastanza tesa (per i canoni attuali). Ma certo loro non la vivevano così allora. La mia generazione è sostanzialmente abituata ad avere tutto e rischiare molto poco.
"pier.paolo":
Purtroppo mi sa proprio che è così...il bello è che si può anche decidere di far laureare tante persone, differenziando però i voti. Invece oggi non solo escono molti laureati, ma escono anche tanti voti alti e lodi che non riflettono per niente una conoscenza/comprensione profonda della materia. Suppongo che anche questo avvenga in ossequio a criteri calati dall'alto.
Mi sa che alla fine cambierebbe poco. Il voto di solito ha un peso irrisorio rispetto ad altro. Questo tuttavia è l'aspetto che comprendo di meno e sul quale mi sento più accademico. Tra 100 e 110 e lode la differenza è immensa, per laurearmi con 100 avrei potuto studiare la metà del tempo e anche meno. Uno che ha 110 e lode dimostra di saper preparare gli esami senza farsi sfuggire dettagli importanti, e anche di saper ripetere il programma e di saperlo tenere nella memoria almeno fino all'esame. Con 100 invece è tipo: "Questo capitolo lo salto, tanto l'ha chiesto a poche persone", "Salto le dimostrazioni e se me le chiede cerco di arrangiarle un po'", "Non ho studiato ma voglio ripassare insieme a voi così sentendovi ripetere imparo anch'io" (lol).
Quindi trovo un pochino irragionevole che questi ultimi rispondendo un po' meglio ad una domanda di colloquio (magari perché essendo in totale 5-10 domande capita proprio quella che si erano preparati) possano bypassare totalmente la differenza della laurea. Se un lavoro richiede di apprendere concetti nuovi velocemente e di tenersi sempre aggiornati per tutta la carriera io non vedo motivi per cui un colloquio debba dimostrare più di 5 anni di vita (perché mai uno che per 5 anni si è comportato come ha voluto lui, poi sulla base di poche domande risposte meglio allora di lì in poi perfomerà meglio tutta la vita?

Però mi accontento e mi adeguo alle esigenze industriali.
(In tutto questo parlo di persone che hanno fatto un percorso universitario, i non-universitari che si sono formati in altri modi e hanno dimostrato di saper lavorare non rientrano in questa casistica. E' chiaro che paragonerei voto di laurea a voto di laurea ma non voto di laurea a formazioni non-universitarie).
Posso dire la mia esperienza, limitata a economia, di quegli anni, anni '80.
L'università come luogo estremente politicizzato era una cosa forse del '68 e dopo, in alcune città soprattutto, credo di più a Roma. Ma io queste cose non le ho viste di persona.
A Napoli, dai racconti, non ricordo tutta questa rivoluzionarietà, certo c'era una frangia, gli autonomi, in po' in tutte le università, ma si vedeva alle manifestazioni, all'università non è che si notassero molto. La situazione era normale.
Quello che ho visto io personalmente, negli anni '80, è invece, per quanto riguarda economia, uno shift di paradigma, per così dire.
E' arrivata, in ritardo rispetto a altri paesi, l'economia quantitativa, materie nuove come l'econometria, in modo massiccio. L'economia ha avuto uno shift da materia più politico-sociale (anche con connotazioni marxiste, eredità che è durata a lungo, e economisti eterodossi) a materia più quantitativo- matematica-scientifica, soprattutto di derivazione USA.
Parallelamente ho assistito a un cambiamento antropologico dello studente, è comparsa in modo più massiccio la figura delo studente-bravo-secchione, quelli che vengono a tutte le lezioni e prendono tutti gli appunti belli ordinati in bella calligrafia, con 'teorema' sottolineato in blu e 'definizione' sottolineato in rosso. Sono diminuiti studenti politicizzati, in senso lato, o comunque studenti bravi ma non del genere 'bravo ragazzo studioso' .
E' un po' una semplificazione, ma è così quello che ho visto.
Quindi non direi proprio l'università come covo di rivoluzionari.
Forse è stato diverso in facoltà letterarie, non so.
L'università come luogo estremente politicizzato era una cosa forse del '68 e dopo, in alcune città soprattutto, credo di più a Roma. Ma io queste cose non le ho viste di persona.
A Napoli, dai racconti, non ricordo tutta questa rivoluzionarietà, certo c'era una frangia, gli autonomi, in po' in tutte le università, ma si vedeva alle manifestazioni, all'università non è che si notassero molto. La situazione era normale.
Quello che ho visto io personalmente, negli anni '80, è invece, per quanto riguarda economia, uno shift di paradigma, per così dire.
E' arrivata, in ritardo rispetto a altri paesi, l'economia quantitativa, materie nuove come l'econometria, in modo massiccio. L'economia ha avuto uno shift da materia più politico-sociale (anche con connotazioni marxiste, eredità che è durata a lungo, e economisti eterodossi) a materia più quantitativo- matematica-scientifica, soprattutto di derivazione USA.
Parallelamente ho assistito a un cambiamento antropologico dello studente, è comparsa in modo più massiccio la figura delo studente-bravo-secchione, quelli che vengono a tutte le lezioni e prendono tutti gli appunti belli ordinati in bella calligrafia, con 'teorema' sottolineato in blu e 'definizione' sottolineato in rosso. Sono diminuiti studenti politicizzati, in senso lato, o comunque studenti bravi ma non del genere 'bravo ragazzo studioso' .
E' un po' una semplificazione, ma è così quello che ho visto.
Quindi non direi proprio l'università come covo di rivoluzionari.
Forse è stato diverso in facoltà letterarie, non so.