Integrazione indefinita e differenziazione
Salve ragazzi,
sono uno studente di Ing. Meccanica e sto scrivendo una dispensa di Analisi I e II per conto del mio professore.
Mi sono posto come obiettivo di rendere semplice lo studio della materia, che risulta talvolta faticoso sia a causa della troppa astrazione dei libri di testo, sia della loro incompletezza.
A proposito di quest'ultimo aspetto, mi è sorto un forte dubbio scrivendo il capitolo del calcolo integrale (in una variabile):
cos'è quel maledetto $dx$ che compare nel simbolo di integrale indefinito??
Tutti i libri di testo che ho consultato, sia il mio stesso professore a lezione, attribuiscono al $dx$ il semplice ruolo di identificare la variabile d'integrazione. Questa cosa però "mi puzza".
A questo punto, ho cominciato a pensare che fosse errata, almeno in parte, l'affermazione (presente nella maggior parte dei testi, tutti universitari, che ho consultato) che integrazione indefinita e derivazione sono operazioni inverse. Ho supposto che quel $dx$ comincia a significare effettivamente qualcosa se si definisce l'integrazione come operazione inversa della differenziazione. Mi spiego.
Consideriamo la solita $ f:I rarr RR $ e una sua primitiva $F(x)$ su $I$. Allora
$int f(x) dx = F(x)+c$
Sostituendo ora $f(x) dx$ con $d[F(x)+c]$ ($c$ reale), scriviamo
$int d[F(x)+c]=F(x)+c$
Da questa relazione risulerebbe (a mio parere) che differenziazione e integrazione indefinita sono operazioni inverse. Inoltre, dal momento che
$D[F(x)+c]=f(x)$
e non $f(x) dx$, mi pare errato affermare che la derivazione sia l'inverso dell'integrazione.
Dato il conflitto tra queste mie osservazioni e quanto riportato nei testi, chiederei gentilmente A CHI DI COMPETENZA di illuminarmi. Grazie in anticipo!
PS. Prima di aprire questa discussione, ne ho cercate altre simili sul sito. Ne ho trovata una con lo stesso identico argomento, in cui, tuttavia, al povero diavolo che ha posto la domanda, hanno risposto parecchi "professori" che nè hanno risolto la questione, nè hanno dato delle risposte valide (ad esempio si è detto che il $dx$ è una "convenzione" che indica la variabile d'integrazione: chissà perchè allora tutto quel macello con i differenziali quando si opera l'integrazione per sostituzione...).
sono uno studente di Ing. Meccanica e sto scrivendo una dispensa di Analisi I e II per conto del mio professore.
Mi sono posto come obiettivo di rendere semplice lo studio della materia, che risulta talvolta faticoso sia a causa della troppa astrazione dei libri di testo, sia della loro incompletezza.
A proposito di quest'ultimo aspetto, mi è sorto un forte dubbio scrivendo il capitolo del calcolo integrale (in una variabile):
cos'è quel maledetto $dx$ che compare nel simbolo di integrale indefinito??
Tutti i libri di testo che ho consultato, sia il mio stesso professore a lezione, attribuiscono al $dx$ il semplice ruolo di identificare la variabile d'integrazione. Questa cosa però "mi puzza".
A questo punto, ho cominciato a pensare che fosse errata, almeno in parte, l'affermazione (presente nella maggior parte dei testi, tutti universitari, che ho consultato) che integrazione indefinita e derivazione sono operazioni inverse. Ho supposto che quel $dx$ comincia a significare effettivamente qualcosa se si definisce l'integrazione come operazione inversa della differenziazione. Mi spiego.
Consideriamo la solita $ f:I rarr RR $ e una sua primitiva $F(x)$ su $I$. Allora
$int f(x) dx = F(x)+c$
Sostituendo ora $f(x) dx$ con $d[F(x)+c]$ ($c$ reale), scriviamo
$int d[F(x)+c]=F(x)+c$
Da questa relazione risulerebbe (a mio parere) che differenziazione e integrazione indefinita sono operazioni inverse. Inoltre, dal momento che
$D[F(x)+c]=f(x)$
e non $f(x) dx$, mi pare errato affermare che la derivazione sia l'inverso dell'integrazione.
Dato il conflitto tra queste mie osservazioni e quanto riportato nei testi, chiederei gentilmente A CHI DI COMPETENZA di illuminarmi. Grazie in anticipo!
PS. Prima di aprire questa discussione, ne ho cercate altre simili sul sito. Ne ho trovata una con lo stesso identico argomento, in cui, tuttavia, al povero diavolo che ha posto la domanda, hanno risposto parecchi "professori" che nè hanno risolto la questione, nè hanno dato delle risposte valide (ad esempio si è detto che il $dx$ è una "convenzione" che indica la variabile d'integrazione: chissà perchè allora tutto quel macello con i differenziali quando si opera l'integrazione per sostituzione...).
Risposte
"Plepp":
[...] Ad ogni modo, nè io, nè tu, ci giurerei, abbiamo uno straccio di laurea in matematica. [...]
Vedrai che quello che deve studiare, oltre che cercare di essere un po' più umile, sei tu.
Questa è una delle cose più divertenti che io abbia letto sul forum.
Ti ringrazio, ché mi hai fatto ridere di gusto.
"Plepp":
Sfogliando il "Baby-Rudin" sono giunto ad una (mia) conclusione, che mi pare essere più sensata di quella che avevo tratto all'inizio dell'altro thread. Mi è parso di capire che la risposta non andava cercata poi cosi "lontano", nè tra i concetti della Teoria della Misura, nè altrove...cerco dunque una conferma di quanto sto per dire.
Innanzitutto ho studiato bene la definizione dell'integrale di Stieltjes (e le sue proprietà), di cui conoscevo solo il nomequesto primo studio ha dato senso ad un sacco di espressioni incontrate nel corso degli studi, come
\[\int f\,d(\cos x)\]
Come ti ho già detto in PM, plaudo al tuo sforzo: il baby-Rudin non è un testo semplice (come tutti i testi dell'autore).
Tuttavia, secondo me non c'è bisogno di scomodare il signor Stieltjes (vedi più avanti)...
A livello elementare, quel simbolo è solo una scorciatoia mentale per ricordare come si fa l'integrazione per parti o per sostituzione.
Però, ovviamente, se poi uno vuole interpretare quel simbolo dall'alto di conoscenze più avanzate, è libero di farlo.
"Plepp":
Inoltre mi sono convinto di quanto diceva più di qualcuno: il $dx$ è un simbolo. O meglio, non è un differenziale. L'integrale avrebbe (o meglio dovrebbe avere: è quel che mi parso di capire) lo stesso significato se al posto della lettera $d$ si utilizzasse qualsiasi altro simbolo; potremmo scrivere ad esempio
\[\int f\ \bigstar x\]
() o anche
\[\int_x f\]
senza che cambi nulla: la notazione del differenziale, quindi la lettera $d$, non è altro che una convenzione. Convenzione che probabilmente avrà le sue "antiche" motivazioni: ad esempio Leibniz, a quanto ne so, indicava la derivata di $f$ rispetto ad $x$ con
\[\dfrac{df}{dx}\]
proprio perchè la definiva come un rapporto tra quantità infinitesime.
Meno male.

"Plepp":
Detto questo (e supponendolo vero), ritengo tuttavia di aver avuto ragione (o meglio, di aver fatto una considerazione sensata, molto) nel momento in cui parlavo di "macelli coi differenziali" nell'integrazione per sostituzione: se il $dx$ è un simbolo, come mai, nel momento di cambiare la variabile, assurge allo status di oggetto matematico vero e proprio?
La risposta l'ho trovata nel teorema 6.17 del Baby-Rudin, per il quale, sotto determinate ipotesi,
\[\int f\ dg=\int f(x)\ g'(x)\,dx\]
che viene dimostrato, al contrario di come viene fatto nei miei libri, senza tirare in ballo i differenziali, nè la regola di derivazione di funzione composta, che a mio parere "funzionano", ma che non hanno nulla a che fare con la definizione dell'integrale di Riemann! (e per quel poco che ho letto ultimamente, nemmeno con quello di Lebesgue).
Questo teorema (che tra l'altro ho scoperto essere un caso particolare di un altro, quello del cambio di variabili 6.19, di cui non c'è traccia sui miei testi) mi ha fatto aprire gli occhi, e mi ha fatto trarre le mie conclusioni, che potrei riassumere dicendo
Il simbolo $dx$ non è un differenziale (nell'itegrale di Riemann-Stieltjes), ma un simbolo che indica la variabile (o più precisamente, la funzione) rispetto alla quale si sta integrando su $[a,b]$.
La contraddizione tra la precedente affermazione e l'utilizzo che si fa del $dx$ nella formula d'integrazione per sostituzione nasce dall'esigenza di chi la insegna (la formula) di dare una giustificazione che convinca chi la apprende, dal momento che questo ignora l'esistenza dell'integrale di Stieltjes (ovviamente, parliamo di ingegneria).
Che ne pensate?
Penso che non c'è bisogno di fare tutto questo casino.
Vale il seguente teorema d'integrazione per sostituzione (che sta su ogni buon testo di Analisi I):
Siano \([a,b],\ [\alpha, \beta]\) intervalli di \(\mathbb{R}\) non vuoti, \(f:[a,b]\to \mathbb{R}\) continua e \(\phi:[\alpha, \beta]\to \mathbb{R}\) di classe \(C^1([\alpha, \beta])\) tale che \(\operatorname{Im} \phi := \phi ([\alpha, \beta])\subseteq [a,b]\).
In tali ipotesi la funzione \((f\circ \phi)\cdot \phi^\prime (x)\) è integrabile in \([\alpha, \beta]\) e vale la seguente uguaglianza:
\[
\tag{1} \int_\alpha^\beta f(\phi (x))\ \phi^\prime (x)\ \text{d} x = \int_{\phi(\alpha)}^{\phi (\beta)} f(t)\ \text{d} t\; .
\]
Inoltre, se la \(\phi\) è biiettiva su \([a,b]\) (cioè \(\phi ([\alpha ,\beta])=[a,b]\) e \(\phi : [\alpha, \beta]\to [a,b]\) è invertibile), allora:
\[
\tag{2} \int_a^b f(t)\ \text{d} t = \int_{\phi^{-1}(a)}^{\phi^{-1}(b)} f(\phi (x))\ \phi^\prime (x)\ \text{d} x\; .
\]
Le formule (1) e (2) si chiamano formule d'integrazione per sostituzione; nel caso (1) si dice che l'integrale si calcola facendo la sostituzione \(t=\phi (x)\), mentre nel caso (2) si dice che l'integrale si calcola facendo la sostituzione \(x=\phi^{-1}(t)\).
Chiaramente le (1) e (2), essendo uguaglianze, si possono usare sia in un verso sia nell'altro, cioè per ridurre il calcolo dell'integrale di \((f\circ \phi)\cdot \phi^\prime\) a quello di \(f\) o viceversa.
Tuttavia è più che evidente che la formula (1) è più utile quando si vuole ricondurre il calcolo dell'integrale di \((f\circ \phi)\cdot \phi^\prime\) a quello dell'integrale di \(f\), mentre la (2) è più utile per ricondurre l'integrale di \(f\) al calcolo dell'integrale di \((f\circ \phi)\cdot \phi^\prime\).
Inoltre, confrontando gli integrandi che figurano al primo ed al secondo membro di (1) e (2) si desume la regola pratica che tu chiami "macelli coi differenziali", cioè \(\text{d} t = \phi^\prime (x)\ \text{d} x\) oppure \(\text{d} x= \frac{1}{\phi^\prime (\phi^{-1} (t))}\ \text{d} t\).
Ecco tutto.
Insomma, la morale è: bastava sfogliare un libro di Analisi I decente e ragionarci un po' sopra, senza cercare significati esoterici nei simboli.
P.S.: Non mi pare di ricordare che sul Marcellini-Sbordone il teorema di integrazione per sostituzione sia dimostrato in maniera diversa da quella che ho illustrato in spoiler... Però, visto che non ho il testo sotto mano potrei sbagliare.
Beh no io però non sono d'accordo con te, Gugo. Qualche anno fa pure io mi ponevo le stesse domande di Plepp, pur avendo seguito con attenzione i corsi di analisi di base all'università e avendo consultato dei libri decenti. In particolare, conoscevo la trattazione che riporti tu, ma mi lasciava sempre un senso di insoddisfazione. Queste dimostrazioni da te riportate per la FFCI, per la formula di integrazione per sostituzione e per gli altri strumenti del calcolo sono molto efficienti ma sembrano sempre dei "trucchi", perché sono sostanzialmente formule per l'integrazione indefinita poi estese all'integrale definito. Invece la trattazione di Rudin si pone ad un livello più fondamentale e dà l'idea di avere capito il concetto più approfonditamente.
Certo, alla fine uno si rende conto che "tutto questo casino" non era necessario, però se ne deve rendere conto con la testa propria, se glielo dice un altro non è la stessa cosa.
Certo, alla fine uno si rende conto che "tutto questo casino" non era necessario, però se ne deve rendere conto con la testa propria, se glielo dice un altro non è la stessa cosa.
"dissonance":
Queste dimostrazioni da te riportate per la FFCI, per la formula di integrazione per sostituzione e per gli altri strumenti del calcolo sono molto efficienti ma sembrano sempre dei "trucchi", perché sono sostanzialmente formule per l'integrazione indefinita poi estese all'integrale definito. Invece la trattazione di Rudin si pone ad un livello più fondamentale e dà l'idea di avere capito il concetto più approfonditamente.
Sarà che io ho studiato prima l'integrazione definita, senza essere traviato da altre zozzerie?
Quello che voglio dire è: è abbastanza plausibile il fatto che, se viene insegnata prima la "regoletta meccanica" e poi viene spiegata la teoria che c'è dietro, queste dimostrazioni possono sembrare poco soddisfacenti.
Il viceversa, invece, è meno traumatico ed insegna a comprendere le cose come vanno. Sarà anche per questo che, nei libri di teoria che ho usato, la parte sull'integrazione definita precedeva la parte sull'integrazione indefinita (nei casi in cui quest'ultima era presente! Ad esempio, sul libro di Analisi II di Ciliberto che ho usato per preparare l'integrazione su \(\mathbb{R}\) secondo Riemann, non c'era neanche un paragrafo dedicato all'integrazione indefinita...).
"gugo82":
l'integrazione indefinita (nei casi in cui quest'ultima era presente! Ad esempio, sul libro di Analisi II di Ciliberto che ho usato per preparare l'integrazione su \(\mathbb{R}\) secondo Riemann, non c'era neanche un paragrafo dedicato all'integrazione indefinita...).
Come sono d'accordo con questa impostazione! Pure io eviterei completamente il ricorso all'integrale indefinito. Tanto non è una gran perdita: basta specificare sempre un estremo di integrazione e lasciare l'altro variabile. Anzi, meglio, così non appaiono quelle micidiali "costanti additive" \(+C\), fatte apposta per sbagliare.
Sono soltanto parzialmente d'accordo.
Ad essere sinceri, penso che un capitolo sull'integrazione indefinita elementare ci debba obbligatoriamente essere in ogni libro di Analisi I, perché il problema dell'integrazione è molto più difficile di quello della derivazione e va necessariamente approfondito.
Il problema, semmai, è che l'integrazione indefinita andrebbe affrontata dopo aver spiegato l'integrazione definita (alla Riemann o anche alla Riemann-Stieltjes) e, soprattutto, dopo aver dimostrato i teoremi di integrazione per parti, di integrazione per sostituzione, fondamentale del Calcolo Integrale e di unicità della primitiva a meno di costanti additive per l'integrale definito.
Ad essere sinceri, penso che un capitolo sull'integrazione indefinita elementare ci debba obbligatoriamente essere in ogni libro di Analisi I, perché il problema dell'integrazione è molto più difficile di quello della derivazione e va necessariamente approfondito.
Il problema, semmai, è che l'integrazione indefinita andrebbe affrontata dopo aver spiegato l'integrazione definita (alla Riemann o anche alla Riemann-Stieltjes) e, soprattutto, dopo aver dimostrato i teoremi di integrazione per parti, di integrazione per sostituzione, fondamentale del Calcolo Integrale e di unicità della primitiva a meno di costanti additive per l'integrale definito.
"Delirium":
[quote="Plepp"][...]
Ad ogni modo, nè io, nè tu, ci giurerei, abbiamo uno straccio di laurea in matematica. [...]
Vedrai che quello che deve studiare, oltre che cercare di essere un po' più umile, sei tu.
Questa è una delle cose più divertenti che io abbia letto sul forum.
Ti ringrazio, ché mi hai fatto ridere di gusto.[/quote]
Sinceramente adesso ci rido anch'io


"dissonance":
Qualche anno fa pure io avevo gli stessi dubbi, e mi hai fatto ricordare di avere trovato un po' di pace interiore proprio leggendo quel capitolo di Principi di analisi matematica, giungendo alle tue stesse conclusioni.
Beh mi fa piacere di non essere il solo ad essere stato (essere tutt'ora) ossessionato da questa questione

"gugo82":
Inoltre, confrontando gli integrandi che figurano al primo ed al secondo membro di (1) e (2) si desume la regola pratica che tu chiami "macelli coi differenziali" [...]
Ecco tutto.
Insomma, la morale è: bastava sfogliare un libro di Analisi I decente e ragionarci un po' sopra, senza cercare significati esoterici nei simboli.
E' proprio questo il punto cruciale, Prof. Di Meglio


Io ad esempio, nonostante avessi già dato Analisi I e II con ottimi voti (per cui si supponeva che conoscessi la materia, naturalmente al livello di un Ingengere), ignoravo fino a un paio di gg fa che si trattasse di una regoletta pratica (in quanto non mi era stato mai detto, nè tanto meno lo specificavano i libri), per cui avevo cominciato a partorire varie teorie bislacche sulla natura del $dx$, per giustificare questa cosa qua.
E "a vostre spese" (parlo dei matematici del forum) avete notato che non sono stato l'unico a porsi la questione: ci saranno un centinaio di thread sul $dx$

"dissonance":
Beh no io però non sono d'accordo con te, Gugo. Qualche anno fa pure io mi ponevo le stesse domande di Plepp, pur avendo seguito con attenzione i corsi di analisi di base all'università e avendo consultato dei libri decenti. In particolare, conoscevo la trattazione che riporti tu, ma mi lasciava sempre un senso di insoddisfazione. Queste dimostrazioni da te riportate per la FFCI, per la formula di integrazione per sostituzione e per gli altri strumenti del calcolo sono molto efficienti ma sembrano sempre dei "trucchi", perché sono sostanzialmente formule per l'integrazione indefinita poi estese all'integrale definito.
Quoto.
Ad ogni modo ringrazio tutti per gli interventi

PS$_1$: quanto alla mia prima teoria "bislacca". Per caso ho letto su una dispensa di un prof. di Roma (che trattava appunto l'apparente assurdità della regola di integrazione per sostituzione) la seguente frase:
...Anche la giustificazione “matura” (stile geometria differenziale) che “gli oggetti che si integrano non sono le funzioni ma le forme differenziali, di cui i differenziali sono il caso unidimensionale” ha l’aspetto del classico argomento
a posteriori..
Devo dedurne che in altri ambiti, fuori da quello dell'integrazione elementare, la mia "teoria" non è del tutto da buttare via?
PS$_2$: @gugo. Non ti sbagli quanto al Marcellini Sbordone

PS$_3$: a questo punto proporrei di cambiare il nome del thread in "la vera storia del $dx$ (vedi pagina 5)"


Aggiungo
\[
\dot{x}(t)=\frac{\text{d}x}{\text{d}t}=a\ x \Rightarrow \frac{\text{d}x}{x}=a\ \text{d}t \Rightarrow \int \frac{\text{d}x}{x}=a\ \int \text{d}t
\]

\[
\dot{x}(t)=\frac{\text{d}x}{\text{d}t}=a\ x \Rightarrow \frac{\text{d}x}{x}=a\ \text{d}t \Rightarrow \int \frac{\text{d}x}{x}=a\ \int \text{d}t
\]
Perdonami, ma non capisco cosa c'entra

A me creava confusione anche questa. Mi chiedevo come mai nell'ultimo passaggio non dovessi fare qualcosa come
\[
\int \left[\frac{\text{d}x}{x}\right]\text{d}x=a\ \int \left[\text{d}t\right]\text{d}t
\]

Infatti credo che nel Pagani-Salsa quando mostra l'equazione differenziale a variabili separabili non credo faccia niente di simile (al post precedente intendo).
\[
\int \left[\frac{\text{d}x}{x}\right]\text{d}x=a\ \int \left[\text{d}t\right]\text{d}t
\]

Infatti credo che nel Pagani-Salsa quando mostra l'equazione differenziale a variabili separabili non credo faccia niente di simile (al post precedente intendo).
Sinceramente non ho ben inquadrato il tuo problema
ti riferisci al fatto che sposta $dx$ e $dt$ di qua e di la come se fossero dei comunissimi numeri reali?


Ex-problema, e si, qualcosa di simile

C'è un mio vecchio thread dove ne ho parlato con Gugo (in un piccolo OT).
interpretazione-integrale-definito-t92589.html
(c'ho la connessione - a scrocco - che non va bene, quindi non riesco a caricare la pagina con l'editor completo per mettere il collegamento ipertestuale
)
EDIT: bugia
non sapevo che comparisse da solo...
interpretazione-integrale-definito-t92589.html
(c'ho la connessione - a scrocco - che non va bene, quindi non riesco a caricare la pagina con l'editor completo per mettere il collegamento ipertestuale

EDIT: bugia

"Delirium":
[quote="Plepp"][...] Ad ogni modo, nè io, nè tu, ci giurerei, abbiamo uno straccio di laurea in matematica. [...]
Vedrai che quello che deve studiare, oltre che cercare di essere un po' più umile, sei tu.
Questa è una delle cose più divertenti che io abbia letto sul forum.
Ti ringrazio, ché mi hai fatto ridere di gusto.[/quote]
[ot]
Concordo

Paola
"Plepp":
[quote="gugo82"]
Inoltre, confrontando gli integrandi che figurano al primo ed al secondo membro di (1) e (2) si desume la regola pratica che tu chiami "macelli coi differenziali" [...]
Ecco tutto.
Insomma, la morale è: bastava sfogliare un libro di Analisi I decente e ragionarci un po' sopra, senza cercare significati esoterici nei simboli.
E' proprio questo il punto cruciale, Prof. Di Meglio

Un piccolo inciso: non sono un professore.
Sono un semplice studente di dottorato cui è capitato di fare un po' di esercitazioni qua e là.
"Plepp":
[...] la regola pratica non viene in alcun modo giustificata, ma soprattutto non si specifica che è una regola pratica e non una cosa formalmente esatta! E chi non ne capisce un tubo di matematica e di $dx$ (ossia chiunque studi la prima volta gli integrali ad ingegneria), ma anche chi ne capisce (lo stesso dissonace, matematico, dice di essere passato per questo "stadio"), va in panne se ha un po' di spirito critico verso ciò che gli viene propinato.
Io ad esempio, nonostante avessi già dato Analisi I e II con ottimi voti (per cui si supponeva che conoscessi la materia, naturalmente al livello di un Ingengere), ignoravo fino a un paio di gg fa che si trattasse di una regoletta pratica (in quanto non mi era stato mai detto, nè tanto meno lo specificavano i libri), per cui avevo cominciato a partorire varie teorie bislacche sulla natura del $dx$, per giustificare questa cosa qua.
E "a vostre spese" (parlo dei matematici del forum) avete notato che non sono stato l'unico a porsi la questione: ci saranno un centinaio di thread sul $dx$
Ma secondo te a me queste cose le ha mai raccontate qualcuno?
Beh, la risposta è no. Ci sono arrivato da solo, leggendo qua (intendo, proprio su questo forum) e là, informandomi e traendo delle conclusioni.
Di certo non ho mai creduto che il "macello coi differenziali" fosse il modo corretto di procedere, perché è fin troppo evidente che si tratta di un trucco di settecentesca memoria. Perciò ancora oggi mi riesce difficile capire come sia possibile che un trucco così sgamato possa essere ritenuto un approccio formalmente corretto alla faccenda del cambiamento di variabile (o, ciò che è lo stesso, alla risoluzione delle EDO a variabili separabili).
Certo, ci vuole tempo ed un certo grado di maturità matematica per leggere queste cose sotto la giusta luce.
Allo stesso tempo, però trovo da creduloni il prendere per buono il "trucco" di cui sopra... E quindi mi in**** ferocemente quando vedo studenti che vanno cianciando di \(\text{d} x\) a casaccio perché, secondo me, l'essere credulone è l'antitesi dell'essere un buono studente.
"Plepp":
PS$_1$: quanto alla mia prima teoria "bislacca". Per caso ho letto su una dispensa di un prof. di Roma (che trattava appunto l'apparente assurdità della regola di integrazione per sostituzione) la seguente frase:
...Anche la giustificazione “matura” (stile geometria differenziale) che “gli oggetti che si integrano non sono le funzioni ma le forme differenziali, di cui i differenziali sono il caso unidimensionale” ha l’aspetto del classico argomento
a posteriori..
Devo dedurne che in altri ambiti, fuori da quello dell'integrazione elementare, la mia "teoria" non è del tutto da buttare via?
No.
"Plepp":
PS$_2$: @gugo. Non ti sbagli quanto al Marcellini Sbordone
Meno male.
Ma secondo te a me queste cose le ha mai raccontate qualcuno?
Beh, la risposta è no. Ci sono arrivato da solo
[...]
Beh, sarà questione di Q.I. a sto punto

Certo, ci vuole tempo ed un certo grado di maturità matematica per leggere queste cose sotto la giusta luce.
Ecco il punto. Non puoi aspettarti che un semplice studente (anche di Matematica) capisca questa cosa al volo. Se il fatto che quella sia una regola pratica non viene specificato (basterebbero 5 parole contate per farlo, nessuna grande fatica), possono esserci 2 casi:
• quello dello studente a cui non interessa la materia, che tu chiami credulone, che accetta appunto tutto quello che il docente dice (anche quando questo afferma che $1=0$), che prende quella "regola" per verità e non si fa problemi;
• il caso di uno come me (e ce ne sono tanti) che non si fida ciecamente di tutto quel che gli viene sputato addosso, e che è appassionato della materia. In questo caso non è cosi facile per lo studente avanzare l'ipotesi che quella sia una regola pratica priva di alcun fondamento, in quanto è innanzitutto abituato all'assoluto rigore formale della Matematica (rigore che, per esempio, è quasi assente in discipline come la Fisica, come mi è parso di capire dalla mia breve esperienza). E poi, cosa più importante, lo studente non può aver acquisito quel "grado di maturità matematica" necessario di cui parli nel momento in cui gli viene presentata l'integrazione, necessaria per poter autonomamente giungere alla conclusione dove siamo approdati dopo 5 pagine di thread, e un bel po di lavoro da parte mia...
PS: Scusami per il "prof"


"Plepp":
...tra l'altro avevo letto qualche post di lisdap dove appunto lo affermava...vabè prof. o non prof, penso che qui sul forum si usi darsi tutti del "tu", per cui...
Ciao, probababilmente io l'avrò letto da qualche altra parte ancora

"Plepp":Ma secondo te a me queste cose le ha mai raccontate qualcuno?
Beh, la risposta è no. Ci sono arrivato da solo
[...]
Beh, sarà questione di Q.I. a sto punto
Non credo.
La Matematica è sufficientemente democratica, perché per capirla non serve altro che un buon libro, una matita, tanta carta ed una buona dose di curiosità.
Nel tuo caso, credo sia stata mancanza di attenzione a tempo debito e/o di n buon testo di riferimento.
"Plepp":
Certo, ci vuole tempo ed un certo grado di maturità matematica per leggere queste cose sotto la giusta luce.
Ecco il punto. Non puoi aspettarti che un semplice studente (anche di Matematica) capisca questa cosa al volo. Se il fatto che quella sia una regola pratica non viene specificato (basterebbero 5 parole contate per farlo, nessuna grande fatica), possono esserci 2 casi:
• quello dello studente a cui non interessa la materia, che tu chiami credulone, che accetta appunto tutto quello che il docente dice (anche quando questo afferma che $1=0$), che prende quella "regola" per verità e non si fa problemi;
• il caso di uno come me (e ce ne sono tanti) che non si fida ciecamente di tutto quel che gli viene sputato addosso, e che è appassionato della materia. In questo caso non è cosi facile per lo studente avanzare l'ipotesi che quella sia una regola pratica priva di alcun fondamento, in quanto è innanzitutto abituato all'assoluto rigore formale della Matematica (rigore che, per esempio, è quasi assente in discipline come la Fisica, come mi è parso di capire dalla mia breve esperienza). E poi, cosa più importante, lo studente non può aver acquisito quel "grado di maturità matematica" necessario di cui parli nel momento in cui gli viene presentata l'integrazione, necessaria per poter autonomamente giungere alla conclusione dove siamo approdati dopo 5 pagine di thread, e un bel po di lavoro da parte mia...
Il problema è che è già creduloneria credere che la Matematica sia tutta così rigorosa come appare a chi non la studia.
La prima cosa che si impara studiando la storia della Matematica è che anche Eulero (uno dei matematici più geniali di sempre!) ha trovato formule bellissime le cui "dimostrazioni", quando non palesemente errate, non avevano un rigore tale da essere considerate dimostrazioni dopo un secolo.
La seconda è che la verità matematica non è assoluta, ma dipende dalle regole che si è scelto di adoperare per ragionare e da alcune proposizioni scelte arbitrariamente a mo' di mattoncini base.
Inoltre, il rigore è presentissimo in Fisica, altroché!
Ma sei davvero tanto presuntuoso da credere che chi ti insegna Fisica non sappia risolvere correttamente una EDO a variabili separabili?
Il problema, come ho già tentato di spiegare, è che un fisico non va per il sottile (matematicamente parlando) perché insegnare come si risolvono correttamente le EDO ed i problemi di Cauchy non è il suo mestiere.
"Plepp":
PS: Scusami per il "prof"pensavo che lo fossi dal momento che mi avevi detto che insegnavi...tra l'altro avevo letto qualche post di lisdap dove appunto lo affermava...vabè prof. o non prof, penso che qui sul forum si usi darsi tutti del "tu", per cui...
Figurati, non hai nulla di cui scusarti.
Ma è una cosa sulla quale cerco sempre di puntualizzare, anche coi miei studenti, perché "la dignità non consiste nel possedere onori, ma nel sapere di meritarli" (cit. Aristotele, se non erro).
Il problema è che è già creduloneria credere che la Matematica sia tutta così rigorosa come appare a chi non la studia.
La prima cosa che si impara studiando la storia della Matematica è che anche Eulero (uno dei matematici più geniali di sempre!) ha trovato formule bellissime le cui "dimostrazioni", quando non palesemente errate, non avevano un rigore tale da essere considerate dimostrazioni dopo un secolo.
La seconda è che la verità matematica non è assoluta, ma dipende dalle regole che si è scelto di adoperare per ragionare e da alcune proposizioni scelte arbitrariamente a mo' di mattoncini base.
No no...mi sono espresso male: non volevo essere cosi profondo

Inoltre, il rigore è presentissimo in Fisica, altroché!
Ma sei davvero tanto presuntuoso da credere che chi ti insegna Fisica non sappia risolvere correttamente una EDO a variabili separabili?
No, ci mancherebbe...più che di rigore parlavo di formalismo...e comunque suppongo che sia cosi la Fisica che facciamo ad ingegneria al primo anno...mi è capitato di leggere delle dispense per fisici: la si che si fa un discorso formale, quasi matematico...vabè non andiamo OT, anche perchè non mi sento all'altezza di discutere di queste cose

(cit. Aristotele, se non erro)
Non erri



"Plepp":
Non errilo so xke purtroppo mi hanno fatto 2 p**** cosi al Classico con aristotele
Anche io ho fatto il liceo classico; e forse ora capisco cosa ti dà in più il liceo classico rispetto ad un'altra scuola: la capacità di ragionare e di mettere in dubbio il sapere.