Matematica e Fisica
Il grande poincarè ha saputo analizzare in modo magistrale il nesso tra matematica e fisica...
Voi che ne pensate? La fisica è matematica? in parte o no?
Voi che ne pensate? La fisica è matematica? in parte o no?
Risposte
quote:
Originally posted by cyberman
citazione:
Col senno del poi, l'immettersi in questa "autostrada" non fu un errore, ma la scelta più appropriata per poter fuggire velocemente dalle brume del medioevo senza la necessità di doversi porre, almeno per allora e per i quattro o cinque secoli successivi, veruna domanda su dove conducesse quell'autostrada e se finisse o meno, l'importante era che portasse il pensiero scientifico lontano da quelle brume, verso lo sviluppo della conoscenza, seguendo un percorso, galileanamente scientifico.
Il resoconto che fai della storia della scienza è nella sua semplicità poco veritiero. Non so se sai che Newton, grande scienziato, era assolutamente convinto dell'esistenza di Dio e vedeva nella perfezione del mondo una chiara dimostrazione della sua esistenza riassunta nella massima "l'orologio implica l'orologiaio". La storia della scienza è stata piena di scienziati che si sono posti
grandi domande esistenziali, metodologiche e metafisiche che vanno bel al di la dello stereotipo dello scienziato materialista, rigoroso e che si attiene solo ai fatti (agli esperimenti).
Secondo me la tendenza di separare la fisica da qualsiasi interpretazione filosofica o diciamo metafisica è stata un'aberrazione culminata nel neopositivismo e molto novecentesca.
[/quote]
Lo scienziato, da Galilei a P.S. de La Place, benchè affrancato dai vecchi timori reverenziali della vecchia tradizione, usava atteggirsi, anche nel suo lavoro, con profondo rispetto verso Dio e, normalmente, nei prologhi dei suoi lavori, destinava regolarmente parole omaggianti al "Grande Orologiaio". Se non mi confondo con Lagrange, fu appunto P.S. De La Place che rispose ad un tale che, dopo la lettura di un famoso lavoro di quello scienziato, ebbe a fargli notare che mai fu nominato Dio in quel trattato: "non ho avuto bisogno di quella ipotesi" fu appunto la risposta. Questo fu forse il primo segnale di quella deformazione professionale che,nella seconda metà dell'800, portò al positivismo, cioè, come tu dici, alla separazione drastica della fisica dalla filosofia e soprattutto dalle cose dello spirito.
Le radici del positivismo, che per altro verso fu necessario per il consolidamento del pensiero scientifico classico, si disseccarono con l'avvento della fisica quantistica, la quale richiese una reinterpretazione per via filosofica della nuova visione che si profilava del mondo della fisica.
Da qui si è partiti per una riconciliazione della scienza con la filosofia e con la religione.
Nei miei prolissi interventi in questo forum, spesso complicati e sicuramente minati nella chiarezza a motivo della quantità di concetti da esprimere dire in poco spazio, ho tentato di sostenere che siamo giunti ad un punto in cui lo sviluppo della scienza, che su basi positivistiche avrebbe gia detto tutto o quasi, stia per fare in salto kuhniano grazie alla incipiente apertura verso l'accettazione, tra i tradizionali principi scientifici, di qualche altro principio storicamente ritenuto "non scientifico". E' chiaro che cio richiederebbe un lavoro di "adattamento" alle esigenze scientifiche di tali tipi di nuovi principi, per esempio, scegliendo quello o quelli che sembrano essere più adattabili; il principio dell'unicità dell'IO potrebbe essere un esempio di un tale elemento "adattabile" in quanto è possibile associarlo all'essenza astratta dell'osservatore universale che, in una forma molto meno astratta e non ancora ben definito, è gia entrato nella fisica quantistica.
mario1
Avevo dimenticato di dirtelo... nella mia vita precedente mi chiamavo Renè
PS
Devo ammettere che ho gli stessi interessi che cartesio mostra nelle sue opere e per quel poco che le conosco in buona parte le condivido ma la sua teoria dei vortici non ha molto a che veder con la mia.
Modificato da - cannigo il 08/06/2004 14:01:08
PS
Devo ammettere che ho gli stessi interessi che cartesio mostra nelle sue opere e per quel poco che le conosco in buona parte le condivido ma la sua teoria dei vortici non ha molto a che veder con la mia.
Modificato da - cannigo il 08/06/2004 14:01:08
citazione:
Non paragonavo l'aria all'universo, l'aria è la vittima della vorticosità, non ne è la causa:
all'equatore la terra gira a velocità superiore rispetto ai poli in quanto a parità di velocità angolare compie un tragitto più lungo (lacirconferenza dell'equatore è maggiore di quella dei circoli polari) e quindi quando una molecola equatoriale si sposta verso i poli tende ad allungare rispetto alle molecole che per via della differente latitudine hanno una velocità inferiore, un'altra volta provo a spiegarmi meglio (non è una mia teoria).
Il legame tra velocita' angolare e velocita' omega=v/r chiarmente non è una tua teoria e solitamente è insegnata in tutti i licei. Ti dirò di più, la teoria secondo la quale l'universo è costituito da vortici in movimento è un'antica idea di Cartesio che per quanto ne sapevo credevo che fosse stata abbandonata da qualche secolo...
Non paragonavo l'aria all'universo, l'aria è la vittima della vorticosità, non ne è la causa:
all'equatore la terra gira a velocità superiore rispetto ai poli in quanto a parità di velocità angolare compie un tragitto più lungo (lacirconferenza dell'equatore è maggiore di quella dei circoli polari) e quindi quando una molecola equatoriale si sposta verso i poli tende ad allungare rispetto alle molecole che per via della differente latitudine hanno una velocità inferiore, un'altra volta provo a spiegarmi meglio (non è una mia teoria).
all'equatore la terra gira a velocità superiore rispetto ai poli in quanto a parità di velocità angolare compie un tragitto più lungo (lacirconferenza dell'equatore è maggiore di quella dei circoli polari) e quindi quando una molecola equatoriale si sposta verso i poli tende ad allungare rispetto alle molecole che per via della differente latitudine hanno una velocità inferiore, un'altra volta provo a spiegarmi meglio (non è una mia teoria).
citazione:
La vorticosità dell'atmosfera terrestre non è analoga al fenomeno sopra descritto? Se l'universo ruotasse su se stesso il fenomeno sarebbe perfettamente spiegato senza nessun conflitto con Newton e i suoi fan
L'atmosfera è fatta di aria. L'universo invece non è fatto di etere come è stato dimostrato da esperimenti molto importanti.
Non sono un astrofisico, nonostante la maturità scientifica lo scientifico non l'ho mai frequentato e parlo per sentito dire; tuttavia so per abbastanza certo che la principale incongruenza con legge di gravitazione universale riscontrata nei fenomeni fisici osservati fin'ora consiste nel fatto che se nello spazio si vuole muovere un oggetto da un punto A ad un punto B si deve calcolare una traiettoria curvilinea in quanto è impossibile muoversi in linea retta. Pensaci bene:-) non ti ricorda niente tutto questo? La vorticosità dell'atmosfera terrestre non è analoga al fenomeno sopra descritto? Se l'universo ruotasse su se stesso il fenomeno sarebbe perfettamente spiegato senza nessun conflitto con Newton e i suoi fan (non declino al plurale per correttezza grammaticale).
Tempo fa discutemmo in un topic "GEOMETRIE NON EUCLIDEE" di questa cosa e questa teoria mi valse la stima di Karl, per la quale sentitamente ringrazio.
Se hai da evidenziare altre incongruenze ti pregherei di farlo in modo dettagliato o almeno di citare i nomi dei corpi celesti interessati, in modo che possa documentarmi per elaborare una risposta sensata.
Tempo fa discutemmo in un topic "GEOMETRIE NON EUCLIDEE" di questa cosa e questa teoria mi valse la stima di Karl, per la quale sentitamente ringrazio.
Se hai da evidenziare altre incongruenze ti pregherei di farlo in modo dettagliato o almeno di citare i nomi dei corpi celesti interessati, in modo che possa documentarmi per elaborare una risposta sensata.
citazione:
Per quello che mi riguarda la legge di gravitazione universale non è mai stata messa in crisi da nulla e nessuno ma sono punti di vista.
... e non è detto che ciò debba necessariamente accadere, quel che importa è che non v'è niente che garantisca che la legge di gravitazione possa, in qualche misura, venir falsificata. NOn andiamo lontano: Einstein ipotizzo la possibilità di una "costante cosmologica" (lambda) che sarebbe stata algebricamente da aggiungere alla legge dell'inverso del quadrato della distanza fra due masse per tentare di spiegare una serie di importanti effetti evidenziati dall'osservazione, prima fa tutti, la legge di Hubble. E' vero che lo stesso Einstein successivamente si "pentì" di questa idea, ma ciò non toglie un'apertura mentale verso la eventualità di, almeno. una parziale modifica della legge newtoniana.
mario1
citazione:
Per quello che mi riguarda la legge di gravitazione universale non è mai stata messa in crisi da nulla e nessuno ma sono punti di vista.
... e non è detto che ciò debba necessariamente accadere, quel che importa è che non v'è niente che garantisca che la legge di gravitazione possa, in qualche misura, venir falsificata. NOn andiamo lontano: Einstein ipotizzo la possibilità di una "costante cosmologica" (lambda) che sarebbe stata algebricamente da aggiungere alla legge dell'inverso del quadrato della distanza fra due masse per tentare di spiegare una serie di importanti effetti evidenziati dall'osservazione, prima fa tutti, la legge di Hubble. E' vero che lo stesso Einstein successivamente si "pentì" di questa idea, ma ciò non toglie un'apertura mentale verso la eventualità di, almeno. una parziale modifica della legge newtoniana.
mario1
Per quello che mi riguarda la legge di gravitazione universale non è mai stata messa in crisi da nulla e nessuno ma sono punti di vista.
citazione:
Cartesio nella sua dicotomia tra res cogitans (pensante) ed extensa (materiale) collocava gli animali nella seconda categoria. Questo perché non possedendo la facoltà del pensiero non erano in di riflettere su se stessi e possedere un proprio IO.
Se perdoniamo a Cartesio almeno l'uso del linguaggio di quasi mezzo millenio fà allora:
*la "res cogitans" e ciò che io chiamo "oggetti logici"
*la "rex estansa" è, invece, la categoria degli oggetti "fisici" (che sono pur sempre oggetti logici, ma con una caratura più, diciamo così, grossolana, perchè la loro descrizione non si "chiude" mai in circolo, come in una poligonale costituita da una serie collegata di concetti logici più "raffinati, ma rimane aperta e perciò esposta a fluttuazioni ed errori che prima o dopo vengono al pettine dell'osservazione sperimentale, ricordiamo in proposito il sistema newtoniano, la cui crisi portò alla relatività)
mario1
Una persona sordomuta e cieca dalla nascita secondo me pensa, anzi pensa molto più di chiunque altro, è l'unica cosa che le resta da fare
citazione:
dire che il pensiero non esiste senza la parola, mmmhhh, mi sa che non ci siamo, la parola è una raffigurazione approssimata del pensiero
Affermare che esista un pensiero "puro" che viene successivamente tradotto in parole vuol dire trascurare la funzione modellizzante dei concetti. Generalmente non vediamo mai in giro della materia indefinita a cui successivamente diamo un nome, ma concepiamo gli oggetti tramite il loro significiato.
Non so che cosa sia il pensiero a cui ti riferisci, né riesco ad immaginare come potrebbe esistere se non espresso in termini linguistici (IN SENSO LATO, ossia anche in termini pittorici, simbolici, musicali etc.).
Ho ripreso il controllo della tastiera...
Il problema del postulato delle parallele l'aveva sollevato qualcuno in "Congettura e ricerca" ma nessuno l'ha seguito mi pare, a riguardo io la vedo così:
"Definiamo angolo retto un angolo di 90°. Dimostrare che un angolo retto misura 90°"
Non è un problema se l'hai definito così va bene così un nome vale l'altro (anche se in realtà l'etimologia delle parole e soprattuto le radici fonetiche hanno molto di simile alla matematica in quanto a implicazioni logiche e origine).
x Cyberman
dire che il pensiero non esiste senza la parola, mmmhhh, mi sa che non ci siamo, la parola è una raffigurazione approssimata del pensiero
x Mario
E' sacrosanto e insisto che se tu parlassi di anima e di dio forse ti capiremmo meglio
Il problema del postulato delle parallele l'aveva sollevato qualcuno in "Congettura e ricerca" ma nessuno l'ha seguito mi pare, a riguardo io la vedo così:
"Definiamo angolo retto un angolo di 90°. Dimostrare che un angolo retto misura 90°"
Non è un problema se l'hai definito così va bene così un nome vale l'altro (anche se in realtà l'etimologia delle parole e soprattuto le radici fonetiche hanno molto di simile alla matematica in quanto a implicazioni logiche e origine).
x Cyberman
dire che il pensiero non esiste senza la parola, mmmhhh, mi sa che non ci siamo, la parola è una raffigurazione approssimata del pensiero
x Mario
citazione:
citazione:
...ma se non avessimo delle applicazioni a che servirebbe tutta la base teorica.
Che ne pensate?
Highrender
...che è sacrosanto!
mario1
E' sacrosanto e insisto che se tu parlassi di anima e di dio forse ti capiremmo meglio
citazione:
Mi pare di aver gia sottolineato nei miei precedenti interventi [...] Quanto alla seconda mi sono ampiamente cimentato nei lunghi e talvolta prolissi precedenti interventi nel forum, che forse non avrai avuto occasione o tempo di seguire. [...]
Avevo letto i tuoi lunghi e numerosi interventi ma ciò non vuole automaticamente dire che abbia immediatamente capito il tuo pensiero che ora, grazie alle ultime spiegazioni che mi hai fornito, mi risulta più chiaro. Forse avrai l'impressione di avere ripetuto concetti già esposti in modo esauriente ma può darsi che ciò derivi dalla tua familiarità con pensieri che altri non sanno bene come interpretare. Ti ringrazio dunque delle ulteriori spiegazioni.
citazione:
Comunque ammetterai che nel neonato ad un certo punto comparirà un nuovo IO a partire dalla materia inanimata...
In ogni caso non mi hai ancora spiegato la connessione tra queste tue rifessioni e la matematica...
Mi pare di aver gia sottolineato nei miei precedenti interventi in questo forum, che l'IO è un'entità assolutamente astratta, che annovera almeno le seguenti proprietà:
**E' unico nell'universo;
**Non ha località né dimensionalità (almeno nello spazio fisico definito dalle grandezze spazio/tempo/materia);
**Non ha proprietà materiali.
Da queste proprietà discende almeno che:
++Nessun nuovo IO è possibile esista o nasca;
++Non ha senso associare l'IO ad alcuna specifica parte o oggetto dell'universo; in qualche senso esso "pervade" tutto l'universo nel tempo e nello spazio, conferendo a quest'ultimo vita ed esistenza;
++Usando una espressione del parlar comune e chiudendo così un occhio sulla inevitabile ascientificità della locuzione che ne deriva, diciamo che "chiunque" può ritenersi il "solo" proprietario di questa astratta entità;
++La unicità, assieme alle altre proprietà dell'IO, implica altresì l'UNICITA' dell'universo.
Con queste precisazioni penso di aver abbozzato una risposta alla tua prima domanda.
Quanto alla seconda mi sono ampiamente cimentato nei lunghi e talvolta prolissi precedenti interventi nel forum, che forse non avrai avuto occasione o tempo di seguire. Per tentare un rapido sunto e abbozzare così una risposta al quesito stesso, ricordo che la discussione iniziò dalla domanda di un visitatore del forum su quale relazione legasse la matematica alla fisica, e se la fisica non fosse un'aspetto della matematica. Risposi subito che, caso mai, era la matematica un aspetto limite della fisica, in quanto, da quest'ultima, si differenzia non, come è d'uso credere, per un aspetto "qualitativo" ma "quantitativo": tale "quantità" sarebbe il grado di "conoscenza" (cioè una grandezza misurabile in termini di una funzione della probabilità, che concettualmente potremmo assimilare ad una "distanza", nello spazio della conoscenza, misurata a partire da un punto singolare, rappresentativo dell'origine assoluta del sistema di riferimento; sto parlando di quella "singolarità" che è l'"IO") concernente gli "oggetti" trattati dalle due discipline e cioè: gli oggetti "logici" per la matematica e "fisici" per la fisica.
A questo punto sono piovute le controsservazione degli ospiti del forum, che mi sottolineavono come le equazioni della fisica avessero valore solo fin quando avessero resistito ai controlli sperimentali, mentre la verità di un teorema matematico aveva bisogno solo di una dimostrazione della coerenza formale dei passaggi logici tra i postulati assiomatici iniziali e le conclusioni finali, divenendo così definitiva ed irrevocabile. A questa osservaziono ho risposto che, se pure in una misura decisamente minore, anche i teoremi matematici potevano essere rimessi in discussione dall'apparire di una incoerenza, ma di che tipo? Come in fisica si postulano dei principi che, a sentimento, sembrano potersi accettare come veri quindi senza dimostrazione (p. esempio, il principio di minima azione), anche in matematica ciò esattamente avviene (ricordiamo, per esempio, il postulato delle parallele). Ricordiamo infatti che i postulati matematici sono accettati solo su base "sperimentale", cioè "a sentimento" ma confortati dall'osservaziono storica: il non essere apparse contraddizioni. Il postulato delle parallele non ha mai dato luogo a contraddizioni nei teoremi di geometria euclidea.
Oltre all'"errore" nei postulati,i teoremi matematici potrebbero essere inficiati dalla subdola infiltrazione, nel corso delle dimostrazioni, di accezioni occulte: di veri e propri nuovi postulati nascosti che, in tutta buonafede, rimangono indimostrati ed indefiniti.
I matematici si sono resi conto di questo e hanno trasformato i postulati in assiomi. Grazie a questo stratagemma è stata superata, per definizione, la necessità di "assicurarsi" della effettiva indipendenza reciproca dei postulati; rimane tuttavia intatto il rischio di introdurre "assiomi" non definiti in corso di dimostrazioe.
mario1
citazione:
Col senno del poi, l'immettersi in questa "autostrada" non fu un errore, ma la scelta più appropriata per poter fuggire velocemente dalle brume del medioevo senza la necessità di doversi porre, almeno per allora e per i quattro o cinque secoli successivi, veruna domanda su dove conducesse quell'autostrada e se finisse o meno, l'importante era che portasse il pensiero scientifico lontano da quelle brume, verso lo sviluppo della conoscenza, seguendo un percorso, galileanamente scientifico.
Il resoconto che fai della storia della scienza è nella sua semplicità poco veritiero. Non so se sai che Newton, grande scienziato, era assolutamente convinto dell'esistenza di Dio e vedeva nella perfezione del mondo una chiara dimostrazione della sua esistenza riassunta nella massima "l'orologio implica l'orologiaio". La storia della scienza è stata piena di scienziati che si sono posti
grandi domande esistenziali, metodologiche e metafisiche che vanno bel al di la dello stereotipo dello scienziato materialista, rigoroso e che si attiene solo ai fatti (agli esperimenti).
Secondo me la tendenza di separare la fisica da qualsiasi interpretazione filosofica o diciamo metafisica è stata un'aberrazione culminata nel neopositivismo e molto novecentesca. Questo modo di pensare, che si è rapidamente diffuso tra la gente, è caratteristico solo di un certo gruppo di pensatori e non di tutte le correnti del '900. Credo che una volta la gente si ponesse più problemi di quanti se ne ponga adesso su quello che tu chiami l'autostrada della scienza, tanto che agli inizi del 900 Husserl pubblicò un libro (La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale) in cui si lamenta proprio del fatto, secondo lui negativo, che la scienza si sia staccata dalla filosofia.
Al giorno d'oggi la scienza è in qualche modo presa come una verità oggettiva capace di dettare una sua filosofia. In realtà le cose stanno al contrario nel senso che la nostra ideologia ci fa concepire una scienza oggettiva ma le cose potrebbero stare diversamente. Secondo me è molto utile leggere testi di storia della scienza e di filosofia della scienza per capire come l'idea neopositivista (quella standard) sia solo una possibile interpretazione e oltretutto con delle forte problematiche irrisolte.
citazione:
[..] come negare che è proprio questo atto osservativo che ci prova l'esistenza di una differenza tra un insiema materiale inerte ed un identico insieme vitale?
[...]
L'IO è l'entità più elementare in assoluto e per questo non può essere definita partendo da enti logici più "grossi" di essa e da essa a loro volta definiti;
Certo, ci rendiamo conto della presenza di un insieme vitale. Ma secondo me non ha senso concepire l'IO come unità fondamentale nel momento in cui è plasmato dal mondo esterno. Le uniche esperienze che abbiamo dell'IO provengono da "categorie semantiche" ossia "concetti linguistici" che si formano all'interno di una prassi. Possiamo anche renderci conto del fatto di essere vivi mediante sensazioni (es. dolore) ma quello lo fanno anche gli animali che secondo te sono res extensa, per cui credo che le sensazioni fisiche che non hanno una natura concettuale per te non contano...
citazione:
Ogni qual volta apriamo bocca per iniziare a parlare di qualsiasi cosa, specie di scienza, introduciamo un errore nella linea logica che vorremmo idealmente rispettare: l'errore consiste nell'usare termini che, uno per uno, avremmo dovuto predefinare con adeguato rigore scientifico, ma non lo abbiamo fatto; ma anche avendolo voluto fare, avremmo comunque dovuto aprire bocca e pronunciare la prima parola per questo scopo, anch'essa non ancora definita nei suoi significati.
Nella scienza si parla di errore di misurazione quando ci si discosta da una grandezza esatta e ben definita di una certa quantità. Ebbene, quando parli di errore ti riferisci allo scarto tra il concetto da noi utilizzato ed un'idea platonica?
Inoltre tu vorresti che i nostri concetti fossero definibili scienificamente attraverso delle misure, ma è facile rendersi conto che gran parte dei concetti che utilizziamo non sono suscettibili di misura e quindi nella tua ottica non doverbbero essere definibili a prescindere dal problema del regresso all'infinito nelle definizioni.
citazione:
citazione:
Allora mi chiedo io, se un neonato fosse isolato dalla propria comunità di uomini sarebbe sempre res extensa in quanto non apprenderebbe l'uso del linguaggio?
No. La questione è irrilevante perchè l'osservatore che dovrebbe rispondere è l'"IO" mentre il neonato è un mero osservabile, come qualsiasi "altra" persona, cioè una parte dell'universo a cui l'osservatore potrebbe anche assegnargli una personalità di comodo, ma non necessariamente. L'IO è IO, gli "altri" sono, appunto altro.
Comunque ammetterai che nel neonato ad un certo punto comparirà un nuovo IO a partire dalla materia inanimata...
In ogni caso non mi hai ancora spiegato la connessione tra queste tue rifessioni e la matematica...
Einstein era meglio ammazzarlo da piccolo, ma come si fa, ma non ci rendiamo conto delle stronzate pronunciate da quel minorato mentale, basta, ti prego basta. Il fatto che qualcuno non sappia accettare la propria incapacità ad addentranrsi nell'infinitamente piccolo non giustifica i suoi successori a farneticare in tutte le direzioni, mi dispiace per le tue ricerche ma l'infinitamente piccolo è conoscibile ben oltre i limiti a cui siamo arrivati oggi e la matematica è lo strumento che ci permetterà di farlo.
Per quanto riguarda l'anima essa esiste ma non dobbiamo in nome del riconoscimento della ns limitatezza accettare passivamente la fantascienza o la filosofia a tutti i costi di indegni scienziati
Per quanto riguarda l'anima essa esiste ma non dobbiamo in nome del riconoscimento della ns limitatezza accettare passivamente la fantascienza o la filosofia a tutti i costi di indegni scienziati
citazione:
***osservatore universale (Ou):
Secondo me non è così ovvio che sia lecito introdurlo o affermare la sua esistenza. Un'entità così astratta e priva di riscontri fisici può in effetti generare inzialmente qualche perplessità. Innanzitutto mi pare di capire che tu postuli l'esistenza di tale Osservatore non per motivi legati alla fisica ma per motivi di natura "ontologica" o "metafisici". Gli strumenti sono solo degli utensili, e ci vuole un'anima che li guidi. Così pure i nostri sensi possono essere intesi come degli utensili ed astraendo pure da essi si perviene ad nocciolo pensante che guida il tutto: l'IO (che se non ho capito male coincide con l'Ou?). Sarà bene che a questo punto esponga i miei pensieri contro l'approccio cartesiano, il fondamento primo del tuo discorso.
L'obiettivo dei miei interventi in questo forum ,o almeno in quest'ultima fase di esso, è quella di vedere se è possibile uscire, non dal vicolo cieco, ma dall'autostrada, purtroppo chiusa, in cui si immise necessariamente il mondo scientifico a partire da Galilei fino, almeno, a Planck.
Col senno del poi, l'immettersi in questa "autostrada" non fu un errore, ma la scelta più appropriata per poter fuggire velocemente dalle brume del medioevo senza la necessità di doversi porre, almeno per allora e per i quattro o cinque secoli successivi, veruna domanda su dove conducesse quell'autostrada e se finisse o meno, l'importante era che portasse il pensiero scientifico lontano da quelle brume, verso lo sviluppo della conoscenza, seguendo un percorso, galileanamente scientifico.
Quell'autostrada era delimitata da un guard-rails che doveva mantenere il percorso entro confini rigidissimi ed al riparo da influenze incontrollate e incontrollabili.
Questa è stata l'educazione dello scienziato fino ad oggi, alla quale questi si sono, per fortuna, rigorosamente attenuti, tant'è che il clichet dello scienziato fine '800 lo vuole: rigorosamente ateo, nemico dei filosofi e della filosofia, lontano da ogni tentazione di indulgere alla fantasia e massimamente criptico. Ma a partire dagli eventi scientifici del 1901, cioè dalla scoperta del quanto di energia e, più ancora, di quella dell'"osservatore", si è cominciato a sospettare che quell'autostrada potesse terminare, non nel senso dell'esaurirsi di nuovi spazi di indagine scientifica (cosa che, per altro, alcuni filosofi della scienza pure osano paventare) ma che qualcosa o qualche specie di "qualità" di questa stesse per perdere mordente al pari dell'autostrada metaforica.
Bisognerebbe essere sordi e ciechi per non accorgersi che, da almeno 40 o 50 anni i testi di divulgazione scientifica, redatti, non solo da filosofi della scienza, che così farerebbero semplicemente il loro mestiere e dai quali la scienza ufficiale sempre ostentò sdegnosa distanza, ma da scienziati veri e propri, tra cui premi Nobel, indugiano, tra le righe e spesso, esplicitamente, su percorsi di pensiero non proprio in linea col rigore tipico dello scienziato stile '800, sicchè quest'ultimo clichet si sta quasi del tutto sbiadendo; rimangono ancore delle resistenze, ma sempre più sporadiche e stemperate, se non solo di facciata.
L'osservatore (con tutto il suo prolungamento strumentale) non è una mia invenzione ma una sconcertante scoperta della scienza dei primissimi anni del '900, conseguenza dell'impatto con la scoperta dei fenomeni quantistici. Come ho già lamentato in un precedente intervento in questo forum, pur essendo stata la scienza (e non la filosofia) a riconoscere l'osservatore come protagonista attivo e determinante dell'esperimento, non di meno ne fu almeno sorvolata la definizione scientifica. Questa, almeno parziale, omissione fu dovuta, quasi certamente, al fatto che l'osservatore lo si era semplicemente associato banalmente ad una persona che, con i suoi strumenti (tra i quali il suo corpo), inevitabilmente incideva nelle misurazioni. Ai tempi non si ritenne, andare oltre, ma oggi, ad una analisi più severa, ci si sta avvedendo che il definire scientificamente l'osservatore richiede, quanto meno, un allargamento dei margini di quell'autostrada metaforica. In questo esercizio ho provato a cimentarmici proprio in questo forum, col risultato di pervenire a due tipi di osservatore: l'osservatore strumentale (Os) che è una specie di catena formata di "parti" dell'universo che va fino a quell'altra "parte" di universo che, sempre l'osservatore, stabilisce essere l'osservabile (da osservare). Ma questa è una catena, diciamo, inerte, quindi, senza vita e senza volontà, né è possibile, solo da questo "materiale", trarre cio che vi manca per completare l'osservatore: la coscienza (cfr. Marco Biagini nel suo interessantissimo sito http://members.xoom.virgilio.it/fedeescienza/home). Ma questa catena ha una vita che una uguale entità materiale puo non avere senza, per questo, palesare differenze misurabili in termini di grandezze fisiche tradizionali; allora, per aggirare questo ostacolo tecnico,nel mio precedente intervento ho detto che la spoliazione ideale dell'osservatore strumentale (Os) condurrebbe, estrapolandola, sempre idealmente, all'infinito, ad una singolarità imponderabile che ho chiamato osservatore universale (Ou). Quindi l'Ou non ha fisicità ma è una proprietà dell'Os, diversamente quest'ultimo non sarebbe che materia inerte.
citazione:
citazione
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I sensi sono indispensabili per formare i nostri concetti. Per un fisico gli strumenti di misura sono in un certo senso un'"esntensione" dei propri sensi. Senza di essere si possono fare delle congetture metafisiche, come fecero gli atomisti greci ma non della fisica sperimentale vera e propria. Con i propri sensi si interagisce con il mondo reale, si forma la propria idea di esso e anche l'idea di noi stessi.
Certo che i sensi sono il primo strumento di misura sperimentale dell'osservabile, la prova, dunque della validità scientifica di qualsiasi congettura, ma come negare che è proprio questo atto osservativo che ci prova l'esistenza di una differenza tra un insiema materiale inerte ed un identico insieme vitale?
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citazione:
É curioso, ma secondo me importantissimo, notare che il linguaggio lo apprendiamo all'interno di una comunità di persone. Il linguaggio è il mezzo su cui si appoggia il nostro pensiero. Anche quando pensi all'IO lo pensi in termini linguisitici, e così pure per qualsiasi altro concetto astratto. Il linguaggio però non ce lo inventiamo noi da soli, lo impariamo dagli altri attraverso delle attività che coinvolgono appieno i nostri sensi. Chi non ha il senso del gusto non potrà mai capire cosa vuol dire "dolce", e chi non ha il senso della vista cosa vuol dire "verde". Secondo me poi chi mancasse di tutti i sensi non riuscirebbe neanche a capire cosa vuol dire "IO".
Ogni qual volta apriamo bocca per iniziare a parlare di qualsiasi cosa, specie di scienza, introduciamo un errore nella linea logica che vorremmo idealmente rispettare: l'errore consiste nell'usare termini che, uno per uno, avremmo dovuto predefinare con adeguato rigore scientifico, ma non lo abbiamo fatto; ma anche avendolo voluto fare, avremmo comunque dovuto aprire bocca e pronunciare la prima parola per questo scopo, anch'essa non ancora definita nei suoi significati.
citazione:
Cartesio nella sua dicotomia tra res cogitans (pensante) ed extensa (materiale) collocava gli animali nella seconda categoria. Questo perché non possedendo la facoltà del pensiero non erano in di riflettere su se stessi e possedere un proprio IO.
Sono d'accordo
citazione:
Allora mi chiedo io, se un neonato fosse isolato dalla propria comunità di uomini sarebbe sempre res extensa in quanto non apprenderebbe l'uso del linguaggio?
No. La questione è irrilevante perchè l'osservatore che dovrebbe rispondere è l'"IO" mentre il neonato è un mero osservabile, come qualsiasi "altra" persona, cioè una parte dell'universo a cui l'osservatore potrebbe anche assegnargli una personalità di comodo, ma non necessariamente. L'IO è IO, gli "altri" sono, appunto altro.
citazione:
Non ho ben capito se il nostro IO è in un certo senso la sede dei nostri pensieri.
L'IO è l'entità più elementare in assoluto e per questo non può essere definita partendo da enti logici più "grossi" di essa e da essa a loro volta definiti; possiamo però formarci un'idea della sua funzionalità "ingrossandolo" completandolo con una catena di entità sempre meno "raffinate", tra cui quelle materiali, formando, in definitiva un osservatore strumentale Os che contiene, per definizione, l'Ou, cioè l'IO.
citazione:
Altri concetti sono ancora più elementari del tempo, al punto che per tentare una loro spiegazione non rimane che pronunziare, subito all'aprir di bocca, nient'altro che lo stesso termine che il cui concetto si vorrebbe spiegare. Sono queste entità che i matematici assumono come assiomi.
mario1
[quote]
CITO TUTTO IL TUO INTERVENTO, PER ALTRO BREVE:
[\quote]
Mi trovo più a mio agio con tanti intenrventi brevi che con pochi interventi lunghi. Devo ancora capire a fondo il tuo pensiero è così trovo utile farti domande mirate.
[quote]
***osservatore universale (Ou):
[\quote]
Secondo me non è così ovvio che sia lecito introdurlo o affermare la sua esistenza. Un'entità così astratta e priva di riscontri fisici può in effetti generare inzialmente qualche perplessità. Innanzitutto mi pare di capire che tu postuli l'esistenza di tale Osservatore non per motivi legati alla fisica ma per motivi di natura "ontologica" o "metafisici". Gli strumenti sono solo degli utensili, e ci vuole un'anima che li guidi. Così pure i nostri sensi possono essere intesi come degli utensili ed astraendo pure da essi si perviene ad nocciolo pensante che guida il tutto: l'IO (che se non ho capito male coincide con l'Ou?). Sarà bene che a questo punto esponga i miei pensieri contro l'approccio cartesiano, il fondamento primo del tuo discorso.
I sensi sono indispensabili per formare i nostri concetti. Per un fisico gli strumenti di misura sono in un certo senso un'"esntensione" dei propri sensi. Senza di essere si possono fare delle congetture metafisiche, come fecero gli atomisti greci ma non della fisica sperimentale vera e propria. Con i propri sensi si interagisce con il mondo reale, si forma la propria idea di esso e anche l'idea di noi stessi. É curioso, ma secondo me importantissimo, notare che il linguaggio lo apprendiamo all'interno di una comunità di persone. Il linguaggio è il mezzo su cui si appoggia il nostro pensiero. Anche quando pensi all'IO lo pensi in termini linguisitici, e così pure per qualsiasi altro concetto astratto. Il linguaggio però non ce lo inventiamo noi da soli, lo impariamo dagli altri attraverso delle attività che coinvolgono appieno i nostri sensi. Chi non ha il senso del gusto non potrà mai capire cosa vuol dire "dolce", e chi non ha il senso della vista cosa vuol dire "verde". Secondo me poi chi mancasse di tutti i sensi non riuscirebbe neanche a capire cosa vuol dire "IO".
Cartesio nella sua dicotomia tra res cogitans (pensante) ed extensa (materiale) collocava gli animali nella seconda categoria. Questo perché non possedendo la facoltà del pensiero non erano in di riflettere su se stessi e possedere un proprio IO. Allora mi chiedo io, se un neonato fosse isolato dalla propria comunità di uomini sarebbe sempre res extensa in quanto non apprenderebbe l'uso del linguaggio? Secondo alcuni potrebbe sviluppare diciamo una sua forma di linguaggio privato ma secondo me dire ciò non ha senso in quanto il linguaggio è per sua natura intrinsecamente legato alla comunicazione, e da soli non si comunica niente.
Non ho ben capito se il nostro IO è in un certo senso la sede dei nostri pensieri. Se così fosse mi sembrerebbe strano pensarla scissa dal mondo reale in quanto il nostro modo di ragionare è strettamente legato allo spirito dell'epoca. Se non mi sbaglio Galileo pensava che le orbite planetarie fossero circolari in quanto non metteva in dubbio tale concetto di armonia e perfezione. A chi bisogna imputare tale pensiero? Chiaramente essendo l'IO l'unica nostra parte pensante andrebbe imputata interamente ad esso. Ma ci si rende ben conto che quest'idea è un condizionamento della realtà. In un certo senso è ovvio che il nostro IO sia collegato alla realtà ma allora mi chiedo se l'IO, entità postulata come astratta fuori dal tempo e dallo spazio, è inevitabilmente a contatto (e anche condizionato) dalla realtà fisica ha senso scindere le due cose? Perché postulare quest'entità astratta?
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Altri concetti sono ancora più elementari del tempo, al punto che per tentare una loro spiegazione non rimane che pronunziare, subito all'aprir di bocca, nient'altro che lo stesso termine che il cui concetto si vorrebbe spiegare. Sono queste entità che i matematici assumono come assiomi.
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Non è vero. Non mi ricordo se fosse stato Riemann o Lobacevski a dire di non pensare ai punti e alle rette della geometria come veri e propri "punti" e "rette" ma solo come dei nomi a cui applicare una certa struttura di calcolo assiomatica. É questo modo di ragionare che ha reso possibile lo sviluppo delle geometrie non euclidee. Secondo il modo di ragionare matematico del '900 gli assiomi non sono delle verità intuitive primitive che vanno messe a fondamento in quanto non possono essere dimostrate. Sono solo dei punti di partenza che possono benissimo non avere alcuna interpretazione fisica.
CITO TUTTO IL TUO INTERVENTO, PER ALTRO BREVE:
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Mi trovo più a mio agio con tanti intenrventi brevi che con pochi interventi lunghi. Devo ancora capire a fondo il tuo pensiero è così trovo utile farti domande mirate.
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***osservatore universale (Ou):
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Secondo me non è così ovvio che sia lecito introdurlo o affermare la sua esistenza. Un'entità così astratta e priva di riscontri fisici può in effetti generare inzialmente qualche perplessità. Innanzitutto mi pare di capire che tu postuli l'esistenza di tale Osservatore non per motivi legati alla fisica ma per motivi di natura "ontologica" o "metafisici". Gli strumenti sono solo degli utensili, e ci vuole un'anima che li guidi. Così pure i nostri sensi possono essere intesi come degli utensili ed astraendo pure da essi si perviene ad nocciolo pensante che guida il tutto: l'IO (che se non ho capito male coincide con l'Ou?). Sarà bene che a questo punto esponga i miei pensieri contro l'approccio cartesiano, il fondamento primo del tuo discorso.
I sensi sono indispensabili per formare i nostri concetti. Per un fisico gli strumenti di misura sono in un certo senso un'"esntensione" dei propri sensi. Senza di essere si possono fare delle congetture metafisiche, come fecero gli atomisti greci ma non della fisica sperimentale vera e propria. Con i propri sensi si interagisce con il mondo reale, si forma la propria idea di esso e anche l'idea di noi stessi. É curioso, ma secondo me importantissimo, notare che il linguaggio lo apprendiamo all'interno di una comunità di persone. Il linguaggio è il mezzo su cui si appoggia il nostro pensiero. Anche quando pensi all'IO lo pensi in termini linguisitici, e così pure per qualsiasi altro concetto astratto. Il linguaggio però non ce lo inventiamo noi da soli, lo impariamo dagli altri attraverso delle attività che coinvolgono appieno i nostri sensi. Chi non ha il senso del gusto non potrà mai capire cosa vuol dire "dolce", e chi non ha il senso della vista cosa vuol dire "verde". Secondo me poi chi mancasse di tutti i sensi non riuscirebbe neanche a capire cosa vuol dire "IO".
Cartesio nella sua dicotomia tra res cogitans (pensante) ed extensa (materiale) collocava gli animali nella seconda categoria. Questo perché non possedendo la facoltà del pensiero non erano in di riflettere su se stessi e possedere un proprio IO. Allora mi chiedo io, se un neonato fosse isolato dalla propria comunità di uomini sarebbe sempre res extensa in quanto non apprenderebbe l'uso del linguaggio? Secondo alcuni potrebbe sviluppare diciamo una sua forma di linguaggio privato ma secondo me dire ciò non ha senso in quanto il linguaggio è per sua natura intrinsecamente legato alla comunicazione, e da soli non si comunica niente.
Non ho ben capito se il nostro IO è in un certo senso la sede dei nostri pensieri. Se così fosse mi sembrerebbe strano pensarla scissa dal mondo reale in quanto il nostro modo di ragionare è strettamente legato allo spirito dell'epoca. Se non mi sbaglio Galileo pensava che le orbite planetarie fossero circolari in quanto non metteva in dubbio tale concetto di armonia e perfezione. A chi bisogna imputare tale pensiero? Chiaramente essendo l'IO l'unica nostra parte pensante andrebbe imputata interamente ad esso. Ma ci si rende ben conto che quest'idea è un condizionamento della realtà. In un certo senso è ovvio che il nostro IO sia collegato alla realtà ma allora mi chiedo se l'IO, entità postulata come astratta fuori dal tempo e dallo spazio, è inevitabilmente a contatto (e anche condizionato) dalla realtà fisica ha senso scindere le due cose? Perché postulare quest'entità astratta?
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Altri concetti sono ancora più elementari del tempo, al punto che per tentare una loro spiegazione non rimane che pronunziare, subito all'aprir di bocca, nient'altro che lo stesso termine che il cui concetto si vorrebbe spiegare. Sono queste entità che i matematici assumono come assiomi.
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Non è vero. Non mi ricordo se fosse stato Riemann o Lobacevski a dire di non pensare ai punti e alle rette della geometria come veri e propri "punti" e "rette" ma solo come dei nomi a cui applicare una certa struttura di calcolo assiomatica. É questo modo di ragionare che ha reso possibile lo sviluppo delle geometrie non euclidee. Secondo il modo di ragionare matematico del '900 gli assiomi non sono delle verità intuitive primitive che vanno messe a fondamento in quanto non possono essere dimostrate. Sono solo dei punti di partenza che possono benissimo non avere alcuna interpretazione fisica.
mi pare che siamo d'accordo su tutto tranne sull'uso dei termini; coniare dei termini nuovi senza che vi sia nulla di nuovo da codificare o traslare termini già esistenti per coprire lacune della nostra capacità di comprensione credo che sia un errore fatale che commette chi cerca di raggiungere il fine irraggiungibile della Conoscenza.
Quando parliamo di Osservartore intendendo qualcosa di diverso cerchiamo di crearci dei postulati che non ci costringano ad indagare là dove sappiamo o crediamo di non poter arrivare, cosa che fece Einstein con la luce: onda elettromagnetica o corpuscolo? Nessuno dei due modelli andava bene e invece di cercare una risposta fino alla fine dei propri giorni o invece di dire semplicemente "non lo so" ecco l'errore fatale: mi invento il quanto!
Per riprendere il discorso dell' osservatore, il problema vero non è come o cosa l'osservatore osserva o se l'osservabile prescinde dall'osservatore o quant'altro; il problema vero, e mi pare sia quello che ti attanaglia, è Perchè il tuo osservatore fa quello che fa?
A te interessa poco sapere
Chi siamo dove andiamo da dove veniamo?
a te interessa scoprire il motivo per cui siamo qui e questo non credo ci sia dato saperlo, o meglio io credo di sapere qual'è il mio compito su questa terra e credo di poter facilmente scoprire il compito di ciascuno semplicemnete chiedendogli che lavoro fa o che interessi ha ecc... ma il perchè l'universo esista è un mistero al di sopra delle nostre possibilità cognitive.
Il fatto poi che non si riesca ad accettare dal punto di vista scientifico l'esistenza dell'anima è una complicazione inutile che l'uomo di scienza si pone, l'anima esiste e il fatto che non si riesca a spiegarla non ci deve spingere nella ricerca di termini nuovi per definirla
PS
dobbiamo semlicemnte prenderla così com'è, perchè nel momento in cui ci creiamo dei postulati che ci evitino di discuterne abbiamo di fatto rinunciato a comprenderne la natura venendo così meno al nostro unico obiettivo: la conoscenza.
Modificato da - cannigo il 01/06/2004 12:56:27
Quando parliamo di Osservartore intendendo qualcosa di diverso cerchiamo di crearci dei postulati che non ci costringano ad indagare là dove sappiamo o crediamo di non poter arrivare, cosa che fece Einstein con la luce: onda elettromagnetica o corpuscolo? Nessuno dei due modelli andava bene e invece di cercare una risposta fino alla fine dei propri giorni o invece di dire semplicemente "non lo so" ecco l'errore fatale: mi invento il quanto!
Per riprendere il discorso dell' osservatore, il problema vero non è come o cosa l'osservatore osserva o se l'osservabile prescinde dall'osservatore o quant'altro; il problema vero, e mi pare sia quello che ti attanaglia, è Perchè il tuo osservatore fa quello che fa?
A te interessa poco sapere
Chi siamo dove andiamo da dove veniamo?
a te interessa scoprire il motivo per cui siamo qui e questo non credo ci sia dato saperlo, o meglio io credo di sapere qual'è il mio compito su questa terra e credo di poter facilmente scoprire il compito di ciascuno semplicemnete chiedendogli che lavoro fa o che interessi ha ecc... ma il perchè l'universo esista è un mistero al di sopra delle nostre possibilità cognitive.
Il fatto poi che non si riesca ad accettare dal punto di vista scientifico l'esistenza dell'anima è una complicazione inutile che l'uomo di scienza si pone, l'anima esiste e il fatto che non si riesca a spiegarla non ci deve spingere nella ricerca di termini nuovi per definirla
PS
dobbiamo semlicemnte prenderla così com'è, perchè nel momento in cui ci creiamo dei postulati che ci evitino di discuterne abbiamo di fatto rinunciato a comprenderne la natura venendo così meno al nostro unico obiettivo: la conoscenza.
Modificato da - cannigo il 01/06/2004 12:56:27