Faccio Matematica senza essere intelligente.

Schiele.2
Sono ormai iscritto da tre anni a Matematica e continuo ad ottenere altissimi voti, sono il migliore del mio corso. Ma non sono intelligente. O forse i matematici sono troppo stupidi. Gli strumenti fondamentali del matematico, le dimostrazioni, non riesco ad accettarla. A parte l'evidentissima dimostrazione diretta, le due rimanenti le rigetto. Il principio d'induzione non lo ritengo vero. Spiegarlo affermando che ''se ho dimostrato per un certo n, mettiamo uno, e ho dimostrato la proposizioje generale che se vale per un certo n allora vale anche per n+1' allora vale anche per due, e poi stesso ragionamento per tre'' è ridicolo per chi ha un minimo di intelligenza e riesce a distinguere tra un infinito potenziale e un infinito attuale. Facendo così infatti non posso valutare in eterno, sará vero il percorso fino a quando voglio, ma fino a quando ci arrivo io, andando avanti. O al limite prendendo un computer potentissimo velocizzerò le cose, ma non riuscirò mai a ''vedere'' tutte le infinite proposizioni vere. Per quanto riguarda invece la dimostrazione per assurdo, una volta giunti alla contraddizione si dice ''perciò l'ipotesi non può essere vera, dev'essere vero il contrario'' senza però dire da dove arriva quel ''perciò''. Lo dite voi, perchè vi sembra ''strano'' e quindi aggiungete ''perciò'' ma una giustificazione a questo perciò non c'è.

Risposte
Epimenide93
@kb partendo dal principio che non credo esista un matematico il cui fine (a priori) non sia quello di una maggiore comprensione, la dicotomia di Rota che citi diventa una discussione su cosa effettivamente significhi capire meglio, e l'interpretazione del termine comprensione è lo scheletro del tuo esempio. Così se da un lato per alcuni capire meglio vuol dire essere in grado di applicare una teoria ad un suo caso particolare, dall'altro capire meglio vuol dire essere in grado di riconoscere una teoria come in realtà caso particolare di una più generale. L'onestà intellettuale può venire a mancare successivamente, quando la volontà di capire meglio deve diventare atto, e magari l'atto si manifesta in una frenetica corsa per arrivare "più avanti" nella direzione che si è presa tagliando sul tempo, forse facendo finta di non vedere che l'effettiva comprensione (nell'accezione che si preferisce) la si è accantonata da un pezzo. Ma di fatto è molto facile che una discussione su quest'argomento si riveli essere solo una perdita di tempo, per lo meno finché ci si limita a guardarsi attorno; quanto a me, devo ancora essere sicuro di capire come non cascarci, finora credo di esserci riuscito, ma sono arrivato ad un punto in cui devo stare attento a non ritrovarmi impantanato senza accorgermene. Ma questa è un'altra storia. La tendenza ad evitare di guardare troppo a lungo nei fondamenti credo sia una semplice manifestazione della paura dell'abisso, di ritrovarsi intrappolati in una discesa infinita che non è necessario percorrere fintanto che il buon senso si fa garante delle nostre assunzioni e ci libera dal confronto con il nostro timore. Credo ci siamo passati tutti, per lo meno attraverso il timore. Quanto per un matematico credere nell'esistenza del buon senso possa essere pericoloso è evidente, tuttavia come hai osservato prima o poi, analisti no, ci si ritrova faccia a faccia con le questioni che abbiamo sommerso e gli esiti possono essere tanti...

Schiele.2
"killing_buddha":
Continui a non dire da dove vieni; forse e' un modo per preservare la tua privacy o quella delle persone che potrebbero riconoscersi nelle tue critiche? In ogni caso puoi rispondermi in privato, se vuoi. Senza delle cognizioni di tipo geografico e' difficile darti una risposta che non sia mera opinione filosofica.

No, semplicemente non ti ho detto di dove sono perchè non lo trovo importante. Non sto pensando al mio futuro di matematico, a me interessa solo conoscere e discutere con te o con chiunque altro dei miei dubbi matematici. Sono come Socrate, non faccio distinzione tra matematici e non, chiunque mi fornisca nuove intuiziono per comprendere meglio una questione è il benvenuto. Comunque sono di Parma, studio al Dipartimento di Matematica della cittá.

Molti dei miei dubbi ''filosofici'' li ho risolti da solo. Per esempio, è diverso parlare di rappresentazione di un oggetto e di conoscenza dell'oggetto. In matematica, paradossalmente, ci sono oggetti che conosciamo ma non sappiamo rappresentare. Questo è abbastanza traumatizzante da un punto di vista filosofico. Riflettendoci, ho capito che conoscere un oggetto significa sapere cosa ''fa'' in ogni situazione, anche se non lo vedo. Conoscerne le sue proprietá insomma, anche se non visualizzo l'oggetto stesso. Un esempio: i numero irrazionali. Ti so dire come si comportano in ogni occasione ma non te li so rappresentare, perchè sono infiniti.

Altri dubbi invece non riesco proprio a districarli, come quelli esposti in questo thread e quindi ho bisogno di condividerli con altre persone dalla mentalità piu o meno aperta.

drveda
"Schiele.":
Per quanto riguarda invece la dimostrazione per assurdo, una volta giunti alla contraddizione si dice ''perciò l'ipotesi non può essere vera, dev'essere vero il contrario'' senza però dire da dove arriva quel ''perciò''. Lo dite voi, perchè vi sembra ''strano'' e quindi aggiungete ''perciò'' ma una giustificazione a questo perciò non c'è.


Per ciò che riguarda il dubbio sulle dimostrazioni per induzione, vedo che ti ha già risposto qualcuno in maniera completa (mi sembra che il contributo linkato da gugo82 sia quello più preciso).

Quello sulle dimostrazioni per assurdo mi sembra, se possibile, ancora più ingenuo.
Ti riporto la maniera in cui, a suo tempo, ovvero all'inizio del corso di geometria 1, è stato spiegato a me, convincendomi completamente.

La matematica si basa su una serie di intuizioni ritenute vere e non dimostrabili, chiamate assiomi. Questi sono stati formulati nel tempo dai matematici in modo da essere in numero minore possibile ed in modo da essere del tutto verosimili, pur non dimostrabili per definizione.
Analizzando con sempre maggior profondità questi assiomi si possono trarre numerose conseguenze, chiamate proposizioni (o teoremi, fa lo stesso).
Supponiamo che ad un certo punto sorga la necessità di dimostrare una certa proposizione R (ovvero che una certa proposizione R sia vera).
1) Una strada praticabile è quella di aggiungere alla matematica l'assioma nonR (ovvero che sia vera la proposizione nonR, negazione di R).
2) Si analizza, pertanto, la "nuova matematica" così ottenuta e si traggono delle nuove conclusioni.
3) Se tra queste conclusioni si ottiene che siano falsi uno o più tra gli assiomi, i precedenti teoremi o R stessa, si ritiene di aver ottenuto una matematica inconsistente.

Una matematica inconsistente è una teoria in cui esista almeno una proposizione vera P tale che sia vera anche nonP.
Come mai una matematica di questo tipo è detta inconsistente?
Semplicemente perchè in un sistema di questo tipo (chiamato appunto contraddittorio) non è la sola R ad essere vera e falsa allo stesso tempo, ma anche qualunque altra proposizione, rendendo del tutto inutile e completamente non interessante il sistema.
Ecco la dimostrazione che da una sola contraddizione ne discende che ogni altra generica proposizione è vera e falsa allo stesso tempo.
Supponiamo A vera e nonA vera (ovvero questa è la contraddizione ottenuta nella nostra nuova matematica).
Sia B una qualunque altra proposizione.
La proposizione "nonA -> (B o nonA)" è vera (puoi fare la "tavola di verità" o considerare che nonA è falsa - ricorda che "P->Q" è un modo per sintetizzare "nonP o Q").
Siccome nonA è vera e "nonA -> (B o nonA)" è vera, anche (B o nonA) è vera.
Ma (B o nonA) è l'abbreviazione di A->B.
Quindi A->B è vera.
Siccome A è vera, anche B è vera.
Ripetendo tutti i passaggi con nonB al posto di B, ottieni che anche nonB è vera.
Per l'arbitrarietà di B, qualunque proposizione è vera e falsa allo stesso tempo.


4) Pertanto, tornando al punto 3), avevamo momentaneamente aggiunto nonR al nostro sistema di assiomi e ne avevamo dedotto che l'intero sistema (la "nuova matematica") è contraddittorio, ovvero che ogni proposizione di questa "nuova matematica" è vera.
5) In particolare, in questo nuovo sistema R è vera.
6) Pertanto, possiamo affermare che R è conseguenza logica della (vecchia) matematica e di nonR stessa, ovvero è l'implicazione nonR->R ad essere vera nella (vecchia) matematica (nota bene: è l'implicazione che stiamo affermando essere vera, non nonR stessa).
7) Quindi, se nonR è falsa allora R è vera, e siamo a posto. Se nonR è vera, visto che l'implicazione nonR->R è vera, allora anche R è vera.
8) Quindi, R è vera in ogni caso, ovvero dimostrata.

Nella pratica, pertanto, il ragionamento per assurdo si svolge nella maniera che conosci: "supponiamo R falsa" (stiamo aggiungendo nonR agli assiomi della matematica); si ragiona con questa ipotesi fino ad individuare una contraddizione. Si conclude dicendo: "ma questo è assurdo, quindi R è vera".

Questo ragionamento è in fondo abbastanza semplice e non mi sembra davvero credibile che uno studente al terzo anno (il migliore del suo corso!) non abbia mai avuto occasione di farlo.
Boh, sarà contemporaneamente vero e falso ciò che hai affermato...

kobeilprofeta

$aleph_0 !in NN$

...perchè?

Epimenide93
"kobeilprofeta":

$aleph_0 !in NN$

...perchè?


Risposta intuitiva: per definizione. \( \mathbb{N} \) può essere identificato con l'insieme dei cardinali/ordinali finiti (nel finito le due nozioni sono indistinte), mentre \(\aleph_0\) è il più piccolo cardinale infinito.

Risposta più tecnica: per definizione. Gli ordinali sono gli insiemi transitivi (i.e. gli insiemi tali che \(\bigcup X \subset X\)) ben ordinati dalla relazione \(\in\), se \(\alpha = \{\beta\} \cup \beta \), allora \(\alpha\) si dice ordinale successore, se \(\alpha\) non è un ordinale successore allora \(\alpha = \sup\{\beta : \beta < \alpha\} = \bigcup \alpha\) e si dice ordinale limite (l'esistenza del primo ordinale limite è garantita in \(ZFC\) e derivati dall'assioma dell'infinito). Il più piccolo ordinale limite non nullo lo si indica con \(\omega\) (l'insieme induttivo dell'assioma di cui sopra) e può essere identificato con \(\mathbb{N}\). Gli ordinali più piccoli di \(\omega\) sono detti ordinali finiti e possono essere identificati con i numeri naturali. Due insiemi \(A, B\) hanno la stessa cardinalità (\(\lvert A \rvert = \lvert B \rvert \)) se esiste una bîezione fra essi, i numeri cardinali sono tutti e soli gli ordinali \(\alpha\) per cui \(\forall \beta < \alpha \) si ha \( \lvert \alpha \rvert \ne \lvert \beta \rvert \). L'ordinale \(\omega\) è il più piccolo cardinale infinito e come tutti i cardinali infiniti è un ordinale limite. Gli ordinali infiniti che sono anche cardinali vengono denominati aleph. Si è soliti indicare il primo cardinale infinito con \(\omega = \aleph_0\). Per definizione \(\aleph_0 = \sup\{\alpha : \alpha < \omega\}\). Valendo \(\omega \not\in \omega\) si ha \(\aleph_0 \not\in \mathbb{N}\).

Se hai le idee più confuse di prima, è normale, i logici sono brutte persone. Quasi quanto i matematici, anche se al matematico medio di norma di queste cose frega meno di \(\emptyset\).

Giusyinthesky
Ciao Schiele! Capisco quello che scrivi. Non sentirti solo, né diverso, questo è al momento il tuo modo di approcciare la materia e devi approfondirlo. Dovresti approfondirlo studiando la filosofia matematica (credo esistono libri e libri che trattino dell'argomento che tu hai proposto), e soprattutto ti consiglio di non prendere tutto sul serio in quanto la nostra comprensione della realtà (ed anche della validità di un'ipotesi o una dimostrazione :) ) è sempre estremamente limitata.

Ci ricorda Newton in un famoso discorso: io non costruisco ipotesi, non è compito della fisica, nè della matematica costruire ipotesi, ma di altre scienze (non meno importanti), o forse semplicemente le ipotesi non ci competono. :)
Lui in realtà, alla fine, arriva a riflettere di Dio.
;)

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