2+2=4
il nuovo professore di matematica ha esordito così:
al di là dei simboli, perchè 2+2=4?
anche per un alieno che vive a miliardi di anni luce da noi, vale la stesso risultato?
in natura, ci sono esempi in cui 1+1=0 oppure 1+1=1 ?
naturalmente non conta cambiare base numerica
risposte all'apparenza banali, ma ne siamo davvero sicuri?
mi sembrano domande che suggeriscono la risposta.
io fino a una settimana fa avrei detto:
SI, ANCHE PER UN ALIENO 2+2=4 e NO, IN NATURA 1+1 NON FA 0.
ma oggi ho dei dubbi
al di là dei simboli, perchè 2+2=4?
anche per un alieno che vive a miliardi di anni luce da noi, vale la stesso risultato?
in natura, ci sono esempi in cui 1+1=0 oppure 1+1=1 ?
naturalmente non conta cambiare base numerica
risposte all'apparenza banali, ma ne siamo davvero sicuri?
mi sembrano domande che suggeriscono la risposta.
io fino a una settimana fa avrei detto:
SI, ANCHE PER UN ALIENO 2+2=4 e NO, IN NATURA 1+1 NON FA 0.
ma oggi ho dei dubbi
Risposte
In questa forma, sono domande prive di senso.
Fissate delle regole di inferenza logiche equivalenti a quelle usate per lavorare con l'aritmetica e un sistema assiomatico coerente che permetta di definire i numeri naturali con una definizione equivalente alla nostra, anche per un alieno \(2+2\) farà \(4\). Se si lavora in un ambiente logico o algebrico diverso il risultato sarà generalmente diverso.
La matematica è una cosa, "la natura" un'altra, possiamo usare la prima per modellizzare più o meno bene la seconda (qualunque cosa vogliamo intendere con "natura"), ma non ha senso chiedersi se in natura sia vera un'affermazione matematica.
Possiamo modellizzare lo spettro dei colori assieme all'operazione di sovrapposizione/miscela di essi con una struttura algebrica, in cui \(rosso\) non è l'elemento neutro, ma \( rosso + rosso = rosso \).
Tre brevissime riflessioni per sottolineare quanto la domanda sia vaga e imprecisa.
Fissate delle regole di inferenza logiche equivalenti a quelle usate per lavorare con l'aritmetica e un sistema assiomatico coerente che permetta di definire i numeri naturali con una definizione equivalente alla nostra, anche per un alieno \(2+2\) farà \(4\). Se si lavora in un ambiente logico o algebrico diverso il risultato sarà generalmente diverso.
La matematica è una cosa, "la natura" un'altra, possiamo usare la prima per modellizzare più o meno bene la seconda (qualunque cosa vogliamo intendere con "natura"), ma non ha senso chiedersi se in natura sia vera un'affermazione matematica.
Possiamo modellizzare lo spettro dei colori assieme all'operazione di sovrapposizione/miscela di essi con una struttura algebrica, in cui \(rosso\) non è l'elemento neutro, ma \( rosso + rosso = rosso \).
Tre brevissime riflessioni per sottolineare quanto la domanda sia vaga e imprecisa.
Io penso che sia una questione di "definizione".
Il simbolo 4 è associata alla reiterazione di un certo numero di volte di passaggio al successivo (come gli altri simboli). Allora 2+2=4 diventa un teorema
Il simbolo 4 è associata alla reiterazione di un certo numero di volte di passaggio al successivo (come gli altri simboli). Allora 2+2=4 diventa un teorema
"newton_1372":
Io penso che sia una questione di "definizione".
Il simbolo 4 è associata alla reiterazione di un certo numero di volte di passaggio al successivo (come gli altri simboli). Allora 2+2=4 diventa un teorema
Dipende dal "livello" in cui ci fermiamo. Se accettiamo determinate regole logiche, sono sommariamente d'accordo con te. Dipende tutto dall'ambiente in cui si lavora. Se hai una logica che ti permetta di esprimere un sistema di assiomi equivalente a (tanto per fare un esempio) \(\sf ZFC\) allora puoi definire il monoide \((\mathbb{N},+)\) avendo come sostegno l'insieme \(\mathbb{N}\) degli ordinali finiti (sempre per fare un esempio tra le costruzioni possibili) e con l'operazione di somma definita al solito modo. Allora \(2+2 = 4\) diventa un teorema. Questo non ci dà comunque alcuna informazione su cosa succeda in un altro contesto assiomatico che non sia equivalente a quello di partenza o che non lo estenda. Prova a dare un occhiata a qualche testo introduttivo di logica matematica, ti si aprirà un mondo.
Chiamiamo "1" l'operazione di cambiare lo stato di un interruttore (se era spento e applichiamo "1", allora il suo stato verrà cambiato in acceso e viceversa), e chiamiamo "0" l'azione di non cambiarne lo stato.
Allora possiamo dire che, per un interruttore con solo due posizioni operative (ON e OFF), l'applicazione di due cambi di stato consecutivi equivale a non aver cambiato affatto lo stato, ovvero:
\(\displaystyle 1+1=0 \)
Allora possiamo dire che, per un interruttore con solo due posizioni operative (ON e OFF), l'applicazione di due cambi di stato consecutivi equivale a non aver cambiato affatto lo stato, ovvero:
\(\displaystyle 1+1=0 \)
Costruzione degli insiemi numerici: uno dei miei argomenti di matematica preferito in assoluto.
Anche se vedere N come insiemi di insiemi di....di insiemi vuoti non è molto entusiasmante; sembra dire che ogni numero è fatto di nulla.
Molto meglio vedere il "numero" come classe di equivalenza fatta da insiemi equipotenti. Ovvero
DEF. Due insiemi li dico equipotenti se è possibile trovare una corrispondenza bigettiva tra i suoi elementi.
TEOREMA. L'equipotenza è una relazione di equivalenza
DImostr. (Esercizio)
E a questo punto posso definire i numeri "a manetta", con relativi simboli:
DEF. Chiamo "0" la classe di equivalenza dell'insieme vuoto.
DEF. Chiamo "1" la classe di equivalenza dell'insieme {Giacomo}
DEF. Chiamo "2" la classe di equivalenza dell'insieme {Giacomo, Mario}
DEF. Chiamo "3" la classe di equivalenza dell'insieme {Giacomo, Mario, Pietro}
e così via.
Anche se vedere N come insiemi di insiemi di....di insiemi vuoti non è molto entusiasmante; sembra dire che ogni numero è fatto di nulla.
Molto meglio vedere il "numero" come classe di equivalenza fatta da insiemi equipotenti. Ovvero
DEF. Due insiemi li dico equipotenti se è possibile trovare una corrispondenza bigettiva tra i suoi elementi.
TEOREMA. L'equipotenza è una relazione di equivalenza
DImostr. (Esercizio)
E a questo punto posso definire i numeri "a manetta", con relativi simboli:
DEF. Chiamo "0" la classe di equivalenza dell'insieme vuoto.
DEF. Chiamo "1" la classe di equivalenza dell'insieme {Giacomo}
DEF. Chiamo "2" la classe di equivalenza dell'insieme {Giacomo, Mario}
DEF. Chiamo "3" la classe di equivalenza dell'insieme {Giacomo, Mario, Pietro}
e così via.
PROBLEMA nella costruzione sopra: prima dovrei definire cos'è un applicazione BIGETTIVA.
"Una funzione f,A,B è bigettiva se per ogni elemento di A esiste UNO e UN SOLO elemento di B, e l'immagine di f coincide con B"
e anche la definizione di immagine:
"Immagine di f è l'insieme degli elementi di B per cui esiste UN elemento di A che vengono mandati in lui".
Come si vede, ho dovuto usare le nozioni di ZERO e UNO. La circolarità è servita.
"Una funzione f,A,B è bigettiva se per ogni elemento di A esiste UNO e UN SOLO elemento di B, e l'immagine di f coincide con B"
e anche la definizione di immagine:
"Immagine di f è l'insieme degli elementi di B per cui esiste UN elemento di A che vengono mandati in lui".
Come si vede, ho dovuto usare le nozioni di ZERO e UNO. La circolarità è servita.
"newton_1372":
Costruzione degli insiemi numerici: uno dei miei argomenti di matematica preferito in assoluto.
Siamo in due

"newton_1372":
Anche se vedere N come insiemi di insiemi di....di insiemi vuoti non è molto entusiasmante; sembra dire che ogni numero è fatto di nulla.
Io invece adoro quella costruzione perché porta in maniera molto facile ed immediata alla teoria degli ordinali, che fa da fondamento a molti dei miei interessi attuali.
"newton_1372":
Molto meglio vedere il "numero" come classe di equivalenza fatta da insiemi equipotenti.
(...)
TEOREMA. L'equipotenza è una relazione di equivalenza
Concordo sul potere intuitivo della cosa (ed anche strutturale: i cardinali sono le classi di isomorfismo della categoria degli insiemi con le funzioni tra insiemi e gli ordinali sono le classi di isomorfismo della categoria degli insiemi totalmente ordinati con le mappe che preservano l'ordine), ma dal punto di vista dei fondamenti è un approccio tremendamente problematico. Il teorema che enunci un matematico su due lo riterrebbe falso. Se lavoriamo con gli assiomi di ZFC (che sono quelli più comunemente usati) questa cosa non si può fare, perché per definire una classe di equivalenza devi partizionare un insieme, e non esiste l'insieme di tutti gli insiemi. Se lavoriamo in NBG ("ZFC con le classi", estensione conservativa di ZFC) si può fare il giochino che dici, ma non possiamo definire neanche \(\mathbb{N}\), perché gli interi sarebbero classi proprie, e in quanto tali non possono essere elementi di un'altra classe. Nel sistema assiomatico di Tarski-Grothendieck (estensione non conservativa di ZFC; in particolare, implica l'esistenza di cardinali inaccessibili) si può fare in maniera liscia e indolore (è uno dei motivi per cui adoro questo sistema assiomatico), il problema è che, per ora, è un sistema di assiomi diffuso solo tra chi lavora in determinati settori della matematica. Fortunatamente sta prendendo sempre più piede (è attualmente il sistema assiomatico in cui lavorano il Mizar system e Metamath), ma per il momento non tutti lo conoscono, quindi non lo si può usare con troppa nonchalance al di fuori dei settori cui accennavo.
"newton_1372":
PROBLEMA (...)
Qui il problema è solo apparente. Dobbiamo distinguere tra linguaggio e metalinguaggio. La proprietà "esiste ed è unico" può essere espressa senza ricorrere al concetto di \(1\) visto come elemento della nostra teoria o del modello che usiamo per la teoria. Poggia sul nostro concetto intuitivo di "uno", ma l'idea di "uno" (qualunque cosa sia, non siamo neanche costretti a porci questo problema) non fa parte né della teoria logica che stiamo sviluppando né del suo modello. Ovviamente, il nostro \(1\), come il concetto di unicità saranno comunque ispirati all'intuizione che noi abbiamo dell'uno, ma possono essere definite senza ricorrere esplicitamente al concetto di "uno" e senza fare appello a qualsiasi forma di intelligenza. Una macchina di Turing capisce \(1\), ma non capisce "uno".
È vecchia, ma simili titoli mi trasformano in un narratore compulsivo ...
A un matematico, un fisico, un ingegnere e un economista viene chiesto quanto faccia 2+2.
Il matematico formula gli assiomi che definiscono un sistema in cui 2+2=4.
L'ingegnere prende il regolo (1) e afferma con sicurezza 4.
Il fisico fa qualche calcolo e stima come risultato 4 con un errore di 0,001.
L'economista si guarda intorno, chiude furtivamente la porta e sussurra: «Quanto volete che faccia?».
(1) Il fatto che venga menzionato un regolo rende l'idea dell'età della barzelletta.
A un matematico, un fisico, un ingegnere e un economista viene chiesto quanto faccia 2+2.
Il matematico formula gli assiomi che definiscono un sistema in cui 2+2=4.
L'ingegnere prende il regolo (1) e afferma con sicurezza 4.
Il fisico fa qualche calcolo e stima come risultato 4 con un errore di 0,001.
L'economista si guarda intorno, chiude furtivamente la porta e sussurra: «Quanto volete che faccia?».
(1) Il fatto che venga menzionato un regolo rende l'idea dell'età della barzelletta.
Premetto che non ho le conoscenze di base e teoriche come chi ha risposto precedentemente ha dimostrato, comunque ti vorrei proporre una cosa che ho pensato(perdonate se è stupida):
In un'altro pianeta vi sono dei robot(gruppo A) che presi singolarmente sono dei computer non dotati di pensiero autonomo, ma se si collegano tutti(assumiamo per tutti una quantità infinita) insieme allora diventano una sola IA(intelligenza artificiale). Quindi se TUTTI i robot del pianeta sono collegati tra loro possono considerarsi,essendo coscienti della loro esistenza, 1 altrimenti non hanno facoltà di autocoscienza e quindi sono 0.
Premettiamo che i robot sanno che se non sono tutti collegati tra loro non saranno una IA e quindi saranno 0.
Ogni robot è quindi 1 se sono tutti collegati tra loro, ma la somma dei singoli robot resta sempre 1 in quanto la stessa identità.
Ora su questo pianeta arriva un'altro gruppo di robot(gruppo B) da un'altro pianeta con le stesse caratteristiche(il gruppo A e B non possono collegarsi fra loro e sono indipendenti).
I robot A sanno che valgono le stesse regole di esistenza dell'individualità anche per i robot B. Ovvero se i robot B saranno arrivati tutti(tutti i robot dell'altro pianeta) insieme allora saranno 1 altrimenti 0.
Quindi preso un singolo robot(la macchina singola) di A se lui facesse la somma di sè stesso e di un'altro robot di B, tale somma sarà 1+0 , se B non ha tutti i robot collegati, 1+1 se invece tutti i robot sono collegati in A e B.
Ora se un robot di A fa la somma di se stesso e di altri due robot di B, tale somma sarà sempre la stessa...
Inoltre se il gruppo A venisse sul nostro pianeta la nostra somma di unità sarebbe diversa dalla loro, in quanto vediamo l'esistenza in modi diversi.
Cioè il punto su cui stavo pensando è che il gruppo di robot saranno macchine(inteso fisicamente sono vari robot) differenti tra loro, che però si considereranno la stessa cosa in quanto stessa IA, che è diverso da come ci concepiamo noi(ogni persona è un'unità singola e a sè stante).
Provando a leggere le varie risposte(non le ho capite completamente , mancandomi delle nozioni) possiamo cambiare le assunzioni di base per ricondurci al caso dei robot assumendo delle premesse diverse dal nostro sistema originale di "conteggio".
Le premesse però per costruire una nuova "teoria" che poi va dimostrata sono create da noi uomini che vediamo le cose in un certo modo.
Possono essere ottenute:
1)sviluppando un'idea già esistente e dimostrata
2)confutando delle premesse di base non ancora dimostrate e vedere a cosa portano(per es: le rette parallele non si incontrano mai)
3)domandandoci cosa succederebbe se... per es: cosa succede se io conto partendo da 0 e quando arrivo a 2 ritorno a 0?
Tralasciando le prime due che sono riconducibili alla 3 il problema sta nel fatto che noi possiamo fare ipotesi, ma sono comunque legate al modo in cui vediamo il mondo.
Se per esempio in un'altro pianeta ci fosse un metodo di conteggio diverso dal nostro, ma ottenuto da premesse che non siamo capaci di immaginare in quanto magari(cercate di capire il concetto laterale) loro vedono a 4 dimensioni.
Saremmo sicuri di riuscire a raggiungere tali premesse di base?
Per noi magari il loro metodo di conteggio è errato, ma per loro è logico.
In un'altro pianeta vi sono dei robot(gruppo A) che presi singolarmente sono dei computer non dotati di pensiero autonomo, ma se si collegano tutti(assumiamo per tutti una quantità infinita) insieme allora diventano una sola IA(intelligenza artificiale). Quindi se TUTTI i robot del pianeta sono collegati tra loro possono considerarsi,essendo coscienti della loro esistenza, 1 altrimenti non hanno facoltà di autocoscienza e quindi sono 0.
Premettiamo che i robot sanno che se non sono tutti collegati tra loro non saranno una IA e quindi saranno 0.
Ogni robot è quindi 1 se sono tutti collegati tra loro, ma la somma dei singoli robot resta sempre 1 in quanto la stessa identità.
Ora su questo pianeta arriva un'altro gruppo di robot(gruppo B) da un'altro pianeta con le stesse caratteristiche(il gruppo A e B non possono collegarsi fra loro e sono indipendenti).
I robot A sanno che valgono le stesse regole di esistenza dell'individualità anche per i robot B. Ovvero se i robot B saranno arrivati tutti(tutti i robot dell'altro pianeta) insieme allora saranno 1 altrimenti 0.
Quindi preso un singolo robot(la macchina singola) di A se lui facesse la somma di sè stesso e di un'altro robot di B, tale somma sarà 1+0 , se B non ha tutti i robot collegati, 1+1 se invece tutti i robot sono collegati in A e B.
Ora se un robot di A fa la somma di se stesso e di altri due robot di B, tale somma sarà sempre la stessa...
Inoltre se il gruppo A venisse sul nostro pianeta la nostra somma di unità sarebbe diversa dalla loro, in quanto vediamo l'esistenza in modi diversi.
Cioè il punto su cui stavo pensando è che il gruppo di robot saranno macchine(inteso fisicamente sono vari robot) differenti tra loro, che però si considereranno la stessa cosa in quanto stessa IA, che è diverso da come ci concepiamo noi(ogni persona è un'unità singola e a sè stante).
Provando a leggere le varie risposte(non le ho capite completamente , mancandomi delle nozioni) possiamo cambiare le assunzioni di base per ricondurci al caso dei robot assumendo delle premesse diverse dal nostro sistema originale di "conteggio".
Le premesse però per costruire una nuova "teoria" che poi va dimostrata sono create da noi uomini che vediamo le cose in un certo modo.
Possono essere ottenute:
1)sviluppando un'idea già esistente e dimostrata
2)confutando delle premesse di base non ancora dimostrate e vedere a cosa portano(per es: le rette parallele non si incontrano mai)
3)domandandoci cosa succederebbe se... per es: cosa succede se io conto partendo da 0 e quando arrivo a 2 ritorno a 0?
Tralasciando le prime due che sono riconducibili alla 3 il problema sta nel fatto che noi possiamo fare ipotesi, ma sono comunque legate al modo in cui vediamo il mondo.
Se per esempio in un'altro pianeta ci fosse un metodo di conteggio diverso dal nostro, ma ottenuto da premesse che non siamo capaci di immaginare in quanto magari(cercate di capire il concetto laterale) loro vedono a 4 dimensioni.
Saremmo sicuri di riuscire a raggiungere tali premesse di base?
Per noi magari il loro metodo di conteggio è errato, ma per loro è logico.
La mia impressione è che fai molti giri di parole per introdurre un concetto che in realtà è parecchio più semplice, quello dell'aritmetica modulare. Si tratta dell'aritmetica delle lancette dell'orologio, che tornano a 0 quando passano il 12. In questa aritmetica 13=1 (difatti uno può dire "sono le 13" oppure "è l'una", ed è la stessa cosa). Ma non occorre assolutamente tirare in ballo intelligenze artificiali, quarte dimensioni, fantascienze varie.
Riguardo l'esempio sì(in effetti non riuscirei a trovare un'esempio affine a ciò che voglio intendere per ovvie ragioni), ma il concetto che sta alla base e a qui stavo pensando in questi giorni ed a cui non sono arrivato ad una risposta era l'ultima parte, non l'esempio.
Cioè la matematica è creata e modellata comunque da come noi vediamo il mondo ed adoperando la logica arriviamo ad altri risultati(poi si possono raggiungere risultati anche contro intuitivi, ma sempre ragionando su ciò su cui possiamo avere esperienza come le rette parallele che si incontrano all'infinito).
Per esempio per l'aritmetica modulare noi vediamo l'orologio che partendo da 0 dopo aver contato 12 volte ritorna allo 0, cioè la base di tale idea è ricavabile da una percezione della realtà.
Quello che mi chiedevo era:
Se con un'altro modo di percepire le cose, fosse possibile arrivare a risultati diversi da come li concepiamo noi.
Credo sia una disquisizione prettamente filosofica, sull'univocità dei risultati data una famiglia di modi di percepire la realtà e l'utilizzo della logica.
Cioè cosa mi garantisce che se esistesse un'altra forma di vita che percepisce(termine stretto) il mondo diversamente da noi e raggiungesse,dato un modo di rappresentazione della realtà diversa dalla nostra, tramite l'utilizzo della logica a risultati in completa opposizione con i nostri che siano errati?
Cioè la matematica è creata e modellata comunque da come noi vediamo il mondo ed adoperando la logica arriviamo ad altri risultati(poi si possono raggiungere risultati anche contro intuitivi, ma sempre ragionando su ciò su cui possiamo avere esperienza come le rette parallele che si incontrano all'infinito).
Per esempio per l'aritmetica modulare noi vediamo l'orologio che partendo da 0 dopo aver contato 12 volte ritorna allo 0, cioè la base di tale idea è ricavabile da una percezione della realtà.
Quello che mi chiedevo era:
Se con un'altro modo di percepire le cose, fosse possibile arrivare a risultati diversi da come li concepiamo noi.
Credo sia una disquisizione prettamente filosofica, sull'univocità dei risultati data una famiglia di modi di percepire la realtà e l'utilizzo della logica.
Cioè cosa mi garantisce che se esistesse un'altra forma di vita che percepisce(termine stretto) il mondo diversamente da noi e raggiungesse,dato un modo di rappresentazione della realtà diversa dalla nostra, tramite l'utilizzo della logica a risultati in completa opposizione con i nostri che siano errati?
Ma non vedo nessun problema in quello che scrivi:
La matematica che usiamo noi parte da degli assiomi, e con il ragionamento deduttivo giunge a risultati validi in quel sistema assiomatico. Se un ipotetico mondo alieno percepisse la realtà in modo diverso, avrebbe a suo tempo posto assiomi diversi (sempre che questo sia vero, e non abbia invece posto gli stessi nostri assiomi, chissà).
In tal caso, basta "ricominciare" a fare matematica in quel nuovo sistema assiomatico, sviluppando una matematica diversa: se vuoi in piccolo è già stato fatto con le geometrie non euclidee.
Questo tuttavia non nullifica assolutamente la matematica che facciamo oggi. La nostra matematica ha valenza universale e perenne perché è opera di intelletto: le stesse premesse non sono basate sull'esperienza (anche se potresti obiettare che in parte lo sono, vedi gli assiomi geometrici) ma sono costruzioni mentali. Tutte le teorie da esse derivate sono coerenti con le premesse e quindi corrette ovunque nel tempo e nello spazio.
La matematica che usiamo noi parte da degli assiomi, e con il ragionamento deduttivo giunge a risultati validi in quel sistema assiomatico. Se un ipotetico mondo alieno percepisse la realtà in modo diverso, avrebbe a suo tempo posto assiomi diversi (sempre che questo sia vero, e non abbia invece posto gli stessi nostri assiomi, chissà).
In tal caso, basta "ricominciare" a fare matematica in quel nuovo sistema assiomatico, sviluppando una matematica diversa: se vuoi in piccolo è già stato fatto con le geometrie non euclidee.
Questo tuttavia non nullifica assolutamente la matematica che facciamo oggi. La nostra matematica ha valenza universale e perenne perché è opera di intelletto: le stesse premesse non sono basate sull'esperienza (anche se potresti obiettare che in parte lo sono, vedi gli assiomi geometrici) ma sono costruzioni mentali. Tutte le teorie da esse derivate sono coerenti con le premesse e quindi corrette ovunque nel tempo e nello spazio.
"stenford":
Se con un'altro modo di percepire le cose, fosse possibile arrivare a risultati diversi da come li concepiamo noi.
Mai sentito parlare di logica quantistica?
Quanto al resto, non proverò a formulare una risposta articolata, per la mia concezione filosofica sono domande senza senso (niente di personale, sia ben chiaro).
Trovo in parte condivisibile il ragionamento di Frink, a meno di una sottigliezza: la correttezza della matematica è una cosa tautologica, la matematica è corretta perché siamo noi a decidere cosa considerare tale, a più livelli. Parlare di "valenza universale" mi sembra eccessivo a meno di non accettare a priori un qualche tipo di antropocentrismo (che comunque non mi disturba).
No purtroppo la mia ignoranza in questo campo è manifesta, comunque grazie per la spiegazione articolata frink!
Non ho capito bene cosa volevate dirmi qualche giorno fa...volete dirmi che è possibile definire il concetto di "ESISTE ED E' UNICA" senza aver inventato l' "UNO"? E come?!
Provo a spiegarmi meglio, ma avrò delle difficoltà a non ripetermi. Come si può leggere qui, "A formal language is often defined by means of a formal grammar such as a regular grammar or context-free grammar, also called its formation rule". Ovvero un linguaggio formale è di per sé vuoto, privo di qualsiasi contenuto, ma fatto di regole che permettono di ottenere da "cose valide" in quel linguaggio "cose diverse e ancora valide". Le regole formali per l'espressione della proposizione "Esiste un unico $x$ tale che $P(x)$" non hanno niente a che vedere neanche col senso della frase. Una volta che abbiamo per le mani una teoria ed una interpretazione, possiamo parlare di valori di verità. Ancora, le regole formali per l'assegnazione di un valore di verità a proposizioni del tipo "Esiste un unico $x$ tale che $P(x)$" non hanno niente a che vedere con l'oggetto della teoria matematica che indichiamo con $1$. Ovviamente, visto che lo scopo con cui sviluppiamo la teoria è quello di formalizzare concetti empirici, un predicato di esistenza e unicità verrà definito in maniera tale che sia vero quando riflette la nostra idea intuitiva di "esiste, è unico". Chiaramente questa definizione fa appello alla nostra idea di "uno", ma il punto è che noi non siamo né macchine né oggetti matematici, l'uno empirico che abbiamo in testa è qualcosa di immediato, sì, ma privo di senso dal punto di vista dei linguaggi formali. Ripeto, una macchina di Turing non può "pensare ad "uno"". Noi sì, e definiamo delle regole in cui l'unicità abbia formalmente senso tutte le volte che lo ha empiricamente (in realtà farlo alla perfezione è impossibile, ma questo è un altro discorso). Queste "regole" non sono altro che delle assegnazioni fatte a priori, quindi se proprio vuoi la circolarità sta qui, ovvero nelle interpretazioni, assegniamo un valore di verità $V$ alle proposizioni che affermano "è unico" di qualcosa che sappiamo già essere unico, ecc. Tutto questo viene prima della definizione formale di un insieme numerico. Quello che indichiamo con $1$ è un simbolo che usiamo nel nostro linguaggio formale, soggetto a determinate regole che trovano interpretazione in un modello. Per intenderci, tutto questo alla fine ci permette di scrivere \(1 = \{ \emptyset , \{ \emptyset \}\}\). Ciò non ha niente a che vedere con l'unicità di cui prima. Tuttavia, anche qui l'oggetto $1$ è costruito in modo da poter catturare e rappresentare nella nostra teoria la maggior parte delle proprietà che intuitivamente vogliamo che rispetti. Dopo questa gran fatica, una macchina di Turing sa "capire "$1$"" e lavorando con $1$ produce risultati che noi troviamo sensati anche appellandoci al nostro intuito, pur non trattandosi di un essere pensante, il che è una bella conquista.
Uno degli errori più comuni sta nel pensare che finché non definiamo rigorosamente degli enti astratti la realtà non abbia senso, in realtà è l'esatto opposto, noi abbiamo a che fare con una realtà estremamente complicata e costruiamo degli enti astratti per imparare a gestirla "un pezzo alla volta"[nota]questo porta alla nascita di gente come il sottoscritto che diventa un caso patologico e si interessa più agli enti costruiti ad arte che alla realtà che vogliono rappresentare
[/nota]. Un altro è quello di pensare che il linguaggio formale rappresenti precisamente le cose nebulose che abbiamo in testa. Anche questo è sbagliato, un linguaggio formale di per sé è vuoto e privo di qualsiasi significato empirico o ontologico; ovviamente se abbiamo sviluppato tale linguaggio lo abbiamo fatto per sfruttarlo, e infatti possiamo usarlo per modellizzare cose "concrete", ma si tratta di un modello, con tutti i limiti del caso, non si tratta della trasposizione perfetta dei nostri pensieri o della realtà. Un po' come la simulazione in scala, o la simulazione al computer di un fenomeno fisico non sono il fenomeno stesso. Si lavora per rendere il modello sempre più aderente a quel che vuol rappresentare[nota]e questo è il motivo per cui la gente come il sottoscritto non viene rinchiusa in manicomio[/nota], ma ciò non toglie che il modello resterà sempre un modello e la realtà una cosa ben diversa.
In tutto questo, la cosa bella del modello che abbiamo con fatica tirato su (oltre al fatto che è straordinariamente coerente) è proprio il fatto che "poggia sui suoi piedi" ed è anche bello stabile, non c'è niente di circolare alla base.
[ot]Quanto riporto è la base comune sulla quale bene o male credo concordino un po' tutti. Da qui si possono aprire discussioni diverse, che esulano dall'interesse puramente matematico e di natura più filosofica sulla natura del modello che studiamo e le meccaniche di tale studio, ma questa è un'altra storia, e ad ogni modo è praticamente indipendente da quanto ho scritto finora.[/ot]
Immagino di essere stato ridondante e di aver ripetuto cose che avevo già scritto; me ne scuso, ma non saprei spiegarmi diversamente. Comunque, se ti interessa l'argomento ti consiglio di procurarti qualche testo di logica matematica, lì trovi tutto spiegato in maniera infinitamente migliore dei miei sproloqui scritti.
Uno degli errori più comuni sta nel pensare che finché non definiamo rigorosamente degli enti astratti la realtà non abbia senso, in realtà è l'esatto opposto, noi abbiamo a che fare con una realtà estremamente complicata e costruiamo degli enti astratti per imparare a gestirla "un pezzo alla volta"[nota]questo porta alla nascita di gente come il sottoscritto che diventa un caso patologico e si interessa più agli enti costruiti ad arte che alla realtà che vogliono rappresentare

In tutto questo, la cosa bella del modello che abbiamo con fatica tirato su (oltre al fatto che è straordinariamente coerente) è proprio il fatto che "poggia sui suoi piedi" ed è anche bello stabile, non c'è niente di circolare alla base.
[ot]Quanto riporto è la base comune sulla quale bene o male credo concordino un po' tutti. Da qui si possono aprire discussioni diverse, che esulano dall'interesse puramente matematico e di natura più filosofica sulla natura del modello che studiamo e le meccaniche di tale studio, ma questa è un'altra storia, e ad ogni modo è praticamente indipendente da quanto ho scritto finora.[/ot]
Immagino di essere stato ridondante e di aver ripetuto cose che avevo già scritto; me ne scuso, ma non saprei spiegarmi diversamente. Comunque, se ti interessa l'argomento ti consiglio di procurarti qualche testo di logica matematica, lì trovi tutto spiegato in maniera infinitamente migliore dei miei sproloqui scritti.
Ma volendo essere piu concisi...come definisci il concetto di unicità senza usare la parola "UNO"? Il predicato esistenziale è definito a parte...adesso devo dire che quell'elemento, una volta trovato in quell'insieme, è unico...e non avendo ancora a disposizione i naturali, non posso usare la parola "uno"
Se hai un linguaggio dal primo ordine in su basta, dato un \(x_0\) che soddisfi \(P(x)\) (nessun problema in virtù dell'esistenza), imporre che ogni elemento distinto da \(x_0\) non soddisfi \(P(x)\).
Se avessi capito che per te il problema stava tutto qui sarei stato da subito più sintetico
Ad ogni modo "uno" è una parola del metalinguaggio, non avrebbe comunque senso definire l'unicità in termini di "uno".
Se avessi capito che per te il problema stava tutto qui sarei stato da subito più sintetico

Ad ogni modo "uno" è una parola del metalinguaggio, non avrebbe comunque senso definire l'unicità in termini di "uno".