Brainstorming: orientabilità di una varietà?

maurer
Mi piacerebbe sentire i vostri pareri. Voi come definite (o come vi hanno definito) l'orientabilità di una varietà topologica? E di una varietà differenziabile di classe [tex]k \ge 1[/tex]?

A voi la parola!

Risposte
poncelet
Se non ricordo male la definizione del Sernesi, si dice che una varietà differenziabile è orientabile se possiede un atlante massimale le cui funzioni di transizione hanno Jacobian positivo.

dissonance
Uuh, come sai ci sono una quantità di definizioni diverse (parlo del caso differenziabile) e mi ci sono incartato su a lungo.

Quella solita riguarda le carte: una varietà è orientabile se esiste un atlante tale che i determinanti delle mappe di transizione hanno tutti lo stesso segno. Operativamente comoda ma mai capita appieno.

Sennò leggevo su Spivak una definizione di orientabilità di un fibrato vettoriale, generalizzazione dell'analoga nozione per gli spazi vettoriali (come tutto, in fondo). Allora una varietà è detta orientabile quando è orientabile il fibrato tangente, cioè se si può trovare una orientazione su ciascuna fibra in modo "consistente". Questo è geometricamente più chiaro e sufficientemente generale, peccato che il libro non sia molto esplicito su questo aggettivo: lo spiega, si, ma in modo non felice (IMHO)

Sennò c'è la definizione con le \(n\)-forme, che è interessante, ma non riesco a trarne il massimo significato perché parla di concetti che non conosco - specialmente è collegata all'integrazione sulle varietà, che non ho mai studiato.

Insomma, è un concetto che mi sfugge un po', nonostante ci abbia battuto la testa contro. Per il momento ho rinunciato e mi sto concentrando su altro, ma prima o poi arriveremo alla resa dei conti.

dissonance
Ah e ce n'era pure un'altra, relativa alle superfici in \(\mathbb{R}^3\): una superficie regolare (i.e. una sottovarietà di \(\mathbb{R}^3\) di dimensione 2) è orientabile se esiste su di essa un campo di vettori di \(\mathbb{R}^3\) ad essa normali mai nullo. (Si intende che il campo è differenziabile, nel senso che coincide sulla superficie con la restrizione di un campo vettoriale globale di \(\mathbb{R}^3\)).

Tale definizione è certamente Intuitiva ed è la versione \(n=2\) della definizione con le \(n\)-forme che dicevo prima (in un certo senso che non ho ancora compreso appieno). Però non è certo quella di massima generalità.

maurer
"dissonance":
Uuh, come sai ci sono una quantità di definizioni diverse (parlo del caso differenziabile) e mi ci sono incartato su a lungo.


Bene, siamo in due. Spero che da questo thread nasca una conversazione utile ad entrambi.

"maxsiviero":
Se non ricordo male la definizione del Sernesi, si dice che una varietà differenziabile è orientabile se possiede un atlante massimale le cui funzioni di transizione hanno Jacobian positivo.


"dissonance":

Quella solita riguarda le carte: una varietà è orientabile se esiste un atlante tale che i determinanti delle mappe di transizione hanno tutti lo stesso segno. Operativamente comoda ma mai capita appieno.


Concordo con dissonance. Facile da applicare, ma oscura. L'orientabilità è una questione globale, ragionare in locale annebbia la mente in questo caso.

"dissonance":

Sennò leggevo su Spivak una definizione di orientabilità di un fibrato vettoriale, in sostanza generalizzazione dell'analoga nozione per gli spazi vettoriali (come tutto, in fondo). Allora una varietà è detta orientabile quando è orientabile il fibrato tangente, cioè se si può trovare una orientazione su ciascuna fibra in modo "consistente". Questo è geometricamente più chiaro e sufficientemente generale, peccato che il libro non sia molto esplicito su questo aggettivo: lo spiega, si, ma in modo non felice (IMHO)


Più avanti voglio tornare sull'aggettivo consistente.

"dissonance":

Sennò c'è la definizione con le [tex]n[/tex]-forme, che è interessante, ma non riesco a trarne il massimo significato perché parla di concetti che non conosco - specialmente è collegata all'integrazione sulle varietà, che non ho mai studiato.


Ecco ci avviciniamo già di più a quella che piace a me! :D

Ma non avete ancora risposto alla domanda a cui invece tenevo di più: come definire l'orientabilità di una varietà topologica??

dissonance
"maurer":
Ma non avete ancora risposto alla domanda a cui invece tenevo di più: come definire l'orientabilità di una varietà topologica??

Boh. A dire il vero non pensavo fosse possibile... Ho sempre ritenuto l'orientabilità una proprietà differenziale e non solo topologica.

maurer
Voglio fare un'ultima domanda, poi proporrò la mia risposta. Quante sono le orientazioni possibili?

dissonance
Due. Oppure la varietà non è orientabile.

Zilpha
La più intuitiva resta la definizione di orientabilità di una varietà topologica di dimensione 2, no?
- una superficie è orientabile se esiste la possibilità di trasportare lungo ogni suo percorso chiuso un intorno con una fissata orientazione senza che questa cambi una volta tornati al punto di partenza;
- una superficie è orientabile se non contiene l'immagine omeomorfa di un nastro di Moebius.
Oltre questo non ho le idee chiare nemmeno io :?

Zilpha
Qual è la definizione con le n-forme? ragazzi sono proprio indietro :(

dissonance
Una varietà (differenziabile, al paese mio :-) ) di dimensione \(n\) è orientabile se esiste una \(n\)-forma globale mai nulla. Nel caso di una superficie in \(\mathbb{R}^3\), una \(2\)-forma si può identificare con un vettore tridimensionale e questo è il collegamento tra tale definizione e quella per le superfici che dicevo sopra.

maurer
@Zilpha: sono contento che tu abbia preso parte a questa discussione. Stai preparando un esame di topologia algebrica vero? Spero che il discorso che sto per iniziare ti piaccia: tu dovresti senza dubbio avere tutti gli strumenti necessari freschi in mente!

Ok, a me personalmente non è mai stato molto chiaro perché le orientazioni devono per forza essere due. Prendiamo uno spazio vettoriale reale: ti viene detto, solitamente, che un'orientazione corrisponde a fissare una base e che se fissiamo un'altra base possiamo dire che la nuova orientazione è compatibile o concorde con quella precedente se il determinante della matrice di cambio di segno ha lo stesso segno. Tuttavia, c'è qualcosa di nascosto qui sotto, non è completamente chiaro. Ci sono delle scelte mascherate di cui non si afferra completamente il significato (principalmente: perché diavolo ci interessa proprio il segno?).

Ritengo che ci sia un modo molto elegante per aggirare tutti questi problemi. Darò per scontata un po' di topologia algebrica; in particolare, userò liberamente l'omologia singolare a coefficienti in un anello [tex]A[/tex] (commutativo unitario) ed il teorema di escissione.
Partiamo dalla nozione di dimensione. Sia [tex]\mathcal S^n[/tex] la sfera n-dimensionale. Allora è facile mostrare usando il teorema della sequenza esatta lunga in omologia, che
[tex]H_k(\mathcal S^n;A) = \begin{cases} A & \text{se } k = n \text{ oppure } k = 1 \\ 0 & \text{altrimenti} \end{cases}[/tex]
Pertanto abbiamo una caratterizzazione puramente omologica della dimensione.
Ora fissiamo una varietà topologica [tex]X[/tex]; per ogni punto [tex]x \in X[/tex] possiamo considerare l'omologia relativa [tex]H_k(X,X\setminus\{x\};A)[/tex]. Sia [tex]U[/tex] un intorno di [tex]x[/tex] su [tex]X[/tex] omeomorfo ad una palla aperta [tex]B[/tex] in [tex]\mathbb R^n[/tex], dove [tex]n[/tex] è la dimensione della varietà, sia [tex]\varphi \colon U \to B[/tex] l'omeomorfismo. Allora [tex]U, X \setminus \{x\}[/tex] sono aperti e la loro unione dà [tex]X[/tex]. Il teorema di escissione ci dice che [tex]H_k(X,X \setminus \{x\};A) = H_k(U, U \setminus \{x\};A)[/tex]. Ora [tex]\varphi[/tex] induce un omeomorfismo di coppie [tex](U, U \setminus \{x\}) \to (B,B \setminus \{\varphi(x)\})[/tex], sicché [tex]H_k(U,U\setminus \{x\};A) \cong H_k(B,B\setminus \{\varphi(x)\};A)[/tex]. Infine, non è restrittivo supporre che [tex]\varphi(x)[/tex] sia il centro della palla [tex]B[/tex]; applicando la successione esatta lunga otteniamo la successione esatta:
[tex]H_k(B;A) \to H_k(B,B \setminus \{\varphi(x)\};A) \to H_{k-1}(B \setminus \{\varphi(x)\};A) \to H_k(B;A)[/tex]
Ora, [tex]B[/tex] è contraibile e pertanto se [tex]k > 0[/tex] abbiamo [tex]H_k(B;A) = 0[/tex], da cui
[tex]H_k(B, B \setminus \{\varphi(x)\};A) \cong H_{k-1}(B \setminus \{\varphi(x)\};A)[/tex]
D'altra parte [tex]\mathcal S^{n-1}[/tex] è omotopicamente equivalente a [tex]B \setminus \{\varphi(x)\}[/tex] (per il lettore incredulo, l'ho dimostrato qui) e pertanto, tirando le somme:
[tex]H_k(X,X\setminus\{x\};A) \cong H_{k-1}(\mathcal S^{n-1};A)[/tex]
C'è un solo indice [tex]k[/tex] per cui è interessante considerare quest'oggetto, ed è precisamente [tex]k = n[/tex], la dimensione della varietà.

Finora ho ragionato in assoluta generalità, ma per farmi capire, ho bisogno di specializzarmi al caso [tex]A = \mathbb Z[/tex]. Soltanto alla fine, tornerò al caso generico. Il punto è che [tex]H_n(X, X \setminus \{x\};\mathbb Z) \cong \mathbb Z[/tex]. Questo è un isomorfismo; tuttavia [tex]\mathbb Z[/tex], pensato come [tex]\mathbb Z[/tex]-modulo, è dotato di un automorfismo non banale (moltiplicazione per [tex]-1[/tex]), quindi l'identificazione fatta sopra è arbitraria. In altre parole, posso compiere due scelte non equivalenti. Questo suggerisce di sfruttare i generatori di questi gruppi per ottenere una nozione perfettamente rigorosa di orientabilità.

Che cosa potrebbe essere un'orientazione locale? L'idea è che un'orientazione in un intorno [tex]U[/tex] di [tex]x \in X[/tex] è una scelta consistente dei generatori dei gruppi [tex]H_k(X,X\setminus\{x\};\mathbb Z)[/tex]. Come possiamo fare una simile cosa? Beh, supponiamo che [tex]U[/tex] sia omeomorfo ad una palla in [tex]\mathbb R^n[/tex]. Allora [tex]H_n(X, X \setminus U;\mathbb Z) \cong H_n(\mathcal S^n;\mathbb Z)[/tex]. Questo è dovuto al fatto che siamo su una varietà topologica; in particolare possiamo scegliere [tex]U[/tex] sufficientemente piccolo in modo da trovare un altro intorno [tex]V[/tex], anch'esso omeomorfo ad una palla, che si retrae deformandosi su [tex]U[/tex]; pertanto [tex](X,U)[/tex] è una buona coppia e, sotto queste ipotesi un corollario al teorema di escissione otteniamo che [tex]H_n(X, X \setminus U;\mathbb Z) \cong H_n(Y;\mathbb Z)[/tex] dove [tex]Y[/tex] è lo spazio ottenuto da [tex]X[/tex] identificando [tex]X \setminus U[/tex] ad un punto; ora, che spazio è mai questo? Una rapida riflessione vi convincerà senz'altro che è proprio omeomorfo a [tex]\mathcal S^n[/tex].
A questo punto, per ogni [tex]y \in U[/tex] abbiamo un'inclusione di coppie [tex](X,X \setminus U) \to (X,X \setminus \{y\})[/tex] che induce un isomorfismo naturale [tex]H_n(X, X\setminus U;\mathbb Z) \to H_n(X, X \setminus \{y\}) \cong H_n(U, U \setminus \{y\};\mathbb Z)[/tex] (si noti che la prima maappa è essa stessa un isomorfismo perché [tex]X \setminus \{y\}[/tex] si retrae deformandosi su [tex]X \setminus U[/tex]). Bene, ma [tex]H_n(X,X \setminus U;\mathbb Z) \cong \mathbb Z[/tex] e [tex]H_n(U,U\setminus \{y\}) \cong \mathbb Z[/tex]; questo è un isomorfismo di [tex]\mathbb Z[/tex]-moduli, quindi l'immagine del generatore del primo deve essere un generatore del secondo.
Sfruttando questa osservazione possiamo dire che una scelta consistente per un'orientazione locale intorno a [tex]x[/tex] è la scelta di un generatore di [tex]H_n(X, X \setminus U ; \mathbb Z)[/tex]; questo automaticamente induce la scelta di un generatore preferito su [tex]H_n(X, X \setminus \{y\})[/tex] per ogni [tex]y \in U[/tex].

Abbiamo sbrogliato in maniera piuttosto pulita il problema dell'orientazione locale. Come fare a passare dal locale al globale? Beh, la cosa più semplice e naturale è sicuramente usare i fasci, che forniscono lo strumento rigoroso e preferito per tutte le operazioni di incollamento. Come definire un fascio? In generale possiamo costruire un prefascio e poi fascificarlo mediante la costruzione canonica del fascio associato ad un prefascio. Ad ogni aperto [tex]U[/tex] di [tex]X[/tex] associamo il gruppo [tex]H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z)[/tex]. Questa assegnazione è controvariante, quindi produce un prefascio [tex]\mathcal F \colon \mathcal O(X) \to \mathbf{Ab}[/tex]. Prima di occuparci di [tex]\mathcal F^+[/tex], chiediamoci: chi sono le spighe di questo prefascio? Bisogna calcolare i limiti diretti
[tex]\varinjlim_{U \ni x} H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z)[/tex]
Ovviamente, questo limite è [tex]H_n(X, X \setminus \{x\}; \mathbb Z)[/tex]. Topologicamente è ovvio; rigorosamente, basterà verificare la proprietà universale del limite iniettivo (aka colimite). Innanzi tutto, abbiamo delle brave mappe canoniche [tex]f_U \colon H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z)[/tex] che si costruiscono come abbiamo già fatto in precedenza. Possiamo poi osservare che il limite è fatto su un insieme diretto, quindi ci basterà calcolarlo su una famiglia di intorni di [tex]x[/tex] che sia cofinale nella famiglia di tutti gli intorni, ossia su una base di intorni per [tex]x[/tex]. In particolare, possiamo restringerci alla famiglia [tex]\mathfrak F_V[/tex] degli intorni di [tex]x[/tex] contenuti in [tex]V[/tex], aperto scelto in modo da essere omeomorfo ad una palla aperta. Ma allora, in questo caso se [tex]\{\varphi_U \colon H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z) \to G\}[/tex] è un co-cono su [tex]G[/tex] possiamo definire un'unica mappa [tex]\varphi \colon H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z) \to G[/tex] compatibile con le mappe [tex]f_U[/tex] e [tex]\varphi_U[/tex], ed è precisamente quella costruita tramite l'isomorfismo [tex]H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z) \cong H_n(X, X \setminus \{x\}; \mathbb Z)[/tex] di cui abbiamo parlato in precedenza. Pertanto la proprietà universale è verificata e noi abbiamo calcolato le spighe di questo prefascio.

Scegliere un'orientazione su [tex]U[/tex] significherà scegliere in maniera coerente i generatori di [tex]H_n(X, X \setminus \{x\}; \mathbb Z)[/tex] per ogni [tex]x \in U[/tex]; se avessimo una sezione [tex]s \colon U \to H_n(X, X\setminus U;\mathbb Z)[/tex] tale che [tex]s(x) \in H_n(X, X \setminus \{x\}; \mathbb Z)[/tex] (ottenuta passando alla spiga) è un generatore per [tex]H_n(X, X \setminus \{x\}; \mathbb Z)[/tex], il nostro problema sarebbe risolto. In effetti, visto che siamo proprio alla ricerca di un significato rigoroso per la parola coerente, possiamo adottare questa come definizione: l'aperto [tex]U[/tex] è orientabile se esiste un elemento [tex]s \in H_n(X, X \setminus U; \mathbb Z)[/tex] tale che [tex]s(x)[/tex] sia un generatore di [tex]H_n(X, X \setminus \{x\}; \mathbb Z)[/tex]. Pertanto adesso basta prendere [tex]U = X[/tex] per ottenere la seguente definizione:

Definizione. Una varietà topologica [tex]X[/tex] di dimensione [tex]n[/tex] si dice orientabile se esiste un elemento [tex]s \in H_n(X; \mathbb Z)[/tex] tale che per ogni [tex]x \in X[/tex], [tex]s(x)[/tex] sia un generatore di [tex]H_n(X, X \setminus \{x\};\mathbb Z)[/tex].

Ora è chiaro perché in questo contesto abbiamo solo due orientazioni: [tex]\mathbb Z[/tex] ha solo due automorfismi come [tex]\mathbb Z[/tex]-modulo!!!! Se a [tex]\mathbb Z[/tex] sostituiamo un generico anello [tex]A[/tex], avremo [tex]|A^\times|[/tex] automorfismi, dove con [tex]A^\times[/tex] denoto il gruppo delle unità di [tex]A[/tex].

La cosa adesso si fa ancora più bella, però. Infatti, è consuetudine in topologia differenziale prendere i coefficienti in [tex]\mathbb R[/tex], e ciò nonostante si parla sempre di due orientazioni. Com'è possibile? Beh, [tex]\mathbb R[/tex] è uno spazio topologico e [tex]\mathbb R^\times[/tex] è disconnesso; tuttavia possiamo retrarre [tex]\mathbb R^\times[/tex] su [tex]\{\pm 1\}[/tex], e questo corrisponde a identificare tra loro orientazioni distinte, ma che vogliamo pensare equivalenti.

E se i coefficienti li prendiamo in [tex]\mathbb C[/tex]? Questa è una consuetudine quando si lavora con le varietà complesse. Questa volta [tex]\mathbb C^\times[/tex] si retrae su [tex]\mathcal S^1[/tex], quindi abbiamo ancora un'infinità di possibili orientazioni. Bene, ma la struttura di varietà complessa induce automaticamente un'orientazione (è un teorema arci-noto che ogni varietà complessa è orientabile); e d'altronde varietà complesse diffeomorfe dal punto di vista reale possono non essere biolomorfe. In pratica, su uno stesso oggetto topologico è possibile mettere tante strutture di varietà complessa tutte non equivalenti tra di loro, e ciascuna scelta, porta ad un'orientazione della varietà. Questo è grossomodo il motivo per cui prima vedevamo tante diverse orientazioni possibili.

Quest'ultimo argomento non mi è ancora del tutto chiaro. So che per certi spazi esiste un limite alle strutture di varietà complessa che si possono definire, però non vedo come dedurlo dal punto di vista dell'omologia a coefficienti.

In ogni caso, che ne pensate? A me è piaciuto talmente tanto che non ho potuto tenermelo per me!

Martino
Wow. :D

Mi prendo un po' di tempo per capire quello che hai scritto.

Zilpha
:shock:

@maurer: grazie per la fiducia :-D ma ho bisogno di un pò di giorni per digerire tutto quello che hai scritto!

apatriarca
Io ritengo che prima di discutere delle definizioni di orientabilità di una varietà topologica/differenziale, sia necessario avere ben in mente il significato per gli spazi vettoriali. Come è già stato ricordato, una orientazione di uno spazio vettoriale è una classe di equivalenza di basi di tale spazio in cui si considerano come equivalenti due basi le cui matrici di cambiamento di base sono a determinante positivo. Siccome le due matrici di cambiamento di base (in una direzione e nell'altra) hanno lo stesso segno ed esistono solo due segni, esistono solo due orientazioni possibili. Per capire che cosa rappresenta una orientazione, è fondamentale chiedersi che cosa si mantiene quando si passa da una base ad un'altra della stessa classe di equivalenza. Osserviamo in particolare che \( GL(n, \mathbb R) = SL(n, \mathbb R) \rtimes \mathbb R^\times \) (dove \(\mathbb R^\times\) è il gruppo moltiplicativo di \(\mathbb R\) meno lo zero). Due basi della stessa orientazione sono quindi ottenibili, in base a questa interpretazione di \( GL(n, \mathbb R) \), a partire da una trasformazione di \( SL(n, \mathbb R) \) e da uno scalamento uniforme (è questo il significato del termine \(R^\times\) nella formula). Ogni elemento di \( SL(n, \mathbb R) \) può a suo volta essere descritto attraverso la decomposizione polare come il prodotto di una matrice di \( SO(n, \mathbb R) \) e di una matrice simmetrica definita positiva con determinante uguale a \(1\). Ricordo infine che le matrici simmetriche definite positive sono diagonalizzabili e che quindi le matrici simmetriche definite positive con determinante uguale a \(1\) corrispondono ad uno scalamento in una base ortogonale a quella data in cui il prodotto degli autovalori è uguale a \(1\). In conclusione, le trasformazioni che preservano l'orientazione sono quelle ottenibili a partire da scalamenti (con autovalori tutti positivi) e da rotazioni. \( SL(n, \mathbb R) \) preserva in più i volumi. Se si scala cioè lo spazio in una qualche direzione di \(s\), gli altri dovranno essere scalati di \(1/s\) in modo da preservare il volume. Spero che a questo punto sia chiaro che cosa rappresenta l'orientazione di uno spazio. Rappresenta l'insieme dei possibili riferimenti cartesiani per cui lo stesso oggetto viene ruotato e scalato passando da uno all'altro ma non riflesso.

Non ho ancora avuto modo di leggere quello che ha scritto maurer di topologia algebrica, ma fornisco una prima interpretazione intuitiva del concetto di orientazione di una varietà differenziabile basata sull'idea intuitiva definita nel capoverso precedente sugli spazi vettoriali. Una orientazione su una varietà differenziabile \(M\) (con \(n = \dim M \ge 1\)) è una mappa che assegna ad ogni punto \(p \in M\) una orientazione di \(T_p M\) tale che per ogni \(p\) esista un intorno \(U\) e campi vettoriali \(X_1, \dotsc, X_n\) su \(U\) tali che per ogni \(q \in U\), \(X_1(q), \dotsc, X_n(q)\) siano una base di \(T_q M\) rappresentanti della classe di equivalenza scelta per \(q\). Osservo che scelto un qualsiasi aperto coordinato in \(M\), possiamo considerare i campi vettoriali \( \{ \partial/\partial x_i \} \) e quindi scegliere su di esso una orientazione. Prendendo quindi un nuovo aperto coordinato con intersezione non vuota con questo, avremo una nuova orientazione data da \( \{ \partial/\partial y_j \} \) nella intersezione. Imponendo che questa orientazione sia concorde nella intersezione dei due aperti (eventualmente scambiando due elementi della base in uno dei due aperti) possiamo ottenere una orientazione nell'unione dei due aperti. Se questo non fosse possibile saremmo costretti a fermarci. Se è possibile proseguire con questo procedimento fino a ricoprire tutto \(M\) si dice che \(M\) è orientabile e si ottiene una orientazione di \(M\). Siccome il passaggio di incollamento delle orientazioni richiede che per ogni punto della intersezione degli aperti si abbia la stessa orientazione per entrambe le basi si ottiene la condizione già ricordata sull'esistenza di un atlante con mappe di transizione con differenziali con determinante positivo.

Discuto infine solo brevemente la definizione di orientabilità basata sull'esistenza di una \(n\)-forma globalmente definita e non nulla. Per prima cosa una \(n\)-forma associa ad ogni punto una mappa \(n\)-lineare alternante. Ogni mappa di questo tipo può essere scritta nella forma \(f(v_1, \dotsc, v_n) = \alpha \, \det(v_1, \dotsc, v_n) \) dove ho indicato con \( \det(v_1, \dotsc, v_n) \) il determinante della matrice le cui colonne sono \(v_1, \dotsc,v_n\). Ogni mappa \(n\)-lineare alternante è quindi o nulla o proporzionale al volume del parallelepipedo con quei vettori come lati. Una mappa \(n\)-lineare alternante non nulla mantiene inoltre costante il proprio segno quando vengono passate due basi con la stessa orientazione e cambia segno quando l'orientazione cambia. Una mappa \(n\)-lineare non nulla può quindi essere usata per definire una delle due orientazioni. Supponiamo quindi di avere una \(n\)-forma globalmente definita e non nulla. Supponiamo che sia sempre positiva. Definiamo una orientazione su \(M\) associando ad ogni \(T_p M\) l'orientazione per cui la \(n\)-forma è positiva. Verifichiamo che la condizione della nostra prima definizione valga. Consideriamo quindi un intorno \(U\) di un punto \(p\) e consideriamo i campi vettoriali \( \{ \partial/\partial x_i \} \) che definiscono una base per ogni spazio tangente \(T_q M.\) In \(U\) la nostra \(n\)-forma sarà definita come \( \omega = \alpha(q) \, dx_1 \wedge \dotsb \wedge dx_n \) e \( \omega(\partial/\partial x_1, \dotsc, \partial/\partial x_n) = \omega(q). \) Sappiamo che \( \omega(q) \) è continua e mai nulla in \(U\) e quindi ha segno costante. Eventualmente scambiando due basi abbiamo quindi ottenuto dei campi vettoriali che in ogni punto di \(U\) rappresentano una base della nostra classe di equivalenza. Viceversa, se abbiamo una orientazione su \(M\) prendiamo il nostro atlante che determina l'orientazione e una partizione dell'unità definita a partire dal nostro atlante e la usiamo per incollare tra di loro le \(n\)-forme \( \omega = dx_1 \wedge \dotsb \wedge dx_n \) di ogni aperto del nostro atlante. I particolari di questa costruzione si trovano in ogni libro di geometria differenziale e non mi dilungo oltre (a meno che non abbiate dubbi). Questa definizione è forse la più interessante in quanto è anche fortemente legata a quella coomologica (si consideri il gruppo \(H^n_dR(M)\) della coomologia di de Rham), ma per questo discorso attendo di avere tempo di leggere quello che ha scritto maurer.

maurer
"apatriarca":
Io ritengo che prima di discutere delle definizioni di orientabilità di una varietà topologica/differenziale, sia necessario avere ben in mente il significato per gli spazi vettoriali. Come è già stato ricordato, una orientazione di uno spazio vettoriale è una classe di equivalenza di basi di tale spazio in cui si considerano come equivalenti due basi le cui matrici di cambiamento di base sono a determinante positivo. Siccome le due matrici di cambiamento di base (in una direzione e nell'altra) hanno lo stesso segno ed esistono solo due segni, esistono solo due orientazioni possibili.


Sì, questo è quello che ho detto brevemente all'inizio del mio intervento. Tuttavia, non sono d'accordo. Credo che la colpa sia mia tendenza al ragionamento categoriale. In altre parole, mi sembra forzata come scelta o, meglio, mi sembra di aver fatto una scelta. Tra le tante caratteristiche che potevo guardare, ho scelto il segno. Perché? Chi mi assicura che se avessi fatto una scelta diversa avrei sbagliato ancora prima di iniziare? Una volta, parlando con una mia amica, mi è uscita spontanea una frase: Non sia mai che ci sia data libertà di scelta. Forse suona male, forse è eccessivo, ma rispecchia molto il mio modo di vivere la matematica. Io in quanto matematico ripudio le scelte: se, quando studio qualcosa di nuovo mi rendo conto che è, per motivi solitamente filosofico-categoriali, l'unica davvero possibile, sono la persona più felice della terra. (Apro un OT: per chi pensi che la scelta delle mappe polinomiali tra varietà algebriche sia una "scelta che funzioni", ho pessime notizie: questa è l'unica scelta possibile se non vogliamo smettere di fare geometria algebrica ancora prima di aver iniziato. Perché? Per Yoneda!).

"apatriarca":

Spero che a questo punto sia chiaro che cosa rappresenta l'orientazione di uno spazio. Rappresenta l'insieme dei possibili riferimenti cartesiani per cui lo stesso oggetto viene ruotato e scalato passando da uno all'altro ma non riflesso.


Di nuovo, qui la mia sensibilità personale mi avverte di un che di nascosto ed arbitrario: che cosa hanno le riflessioni di più bello (o brutto) rispetto alle altre trasformazioni? A parte il fatto che cambiano il segno della matrice di cambiamento di base, ovviamente. A me non sembra che ci sia un Motivo, mentre la definizione che do io, un motivo ce l'ha: [tex]\mathbb Z[/tex] ha due automorfismi! Non possiamo farci nulla, con [tex]\mathbb Z[/tex] lavoriamo (o con qualunque altro anello) e con [tex]\mathbb Z[/tex] dobbiamo fare i conti!

"apatriarca":
Non ho ancora avuto modo di leggere quello che ha scritto maurer di topologia algebrica, ma fornisco una prima interpretazione intuitiva del concetto di orientazione di una varietà differenziabile basata sull'idea intuitiva definita nel capoverso precedente sugli spazi vettoriali. Una orientazione su una varietà differenziabile \(M\) (con \(n = \dim M \ge 1\)) è una mappa che assegna ad ogni punto \(p \in M\) una orientazione di \(T_p M\) tale che per ogni \(p\) esista un intorno \(U\) e campi vettoriali \(X_1, \dotsc, X_n\) su \(U\) tali che per ogni \(q \in U\), \(X_1(q), \dotsc, X_n(q)\) siano una base di \(T_q M\) rappresentanti della classe di equivalenza scelta per \(q\). Osservo che scelto un qualsiasi aperto coordinato in \(M\), possiamo considerare i campi vettoriali \( \{ \partial/\partial x_i \} \) e quindi scegliere su di esso una orientazione. Prendendo quindi un nuovo aperto coordinato con intersezione non vuota con questo, avremo una nuova orientazione data da \( \{ \partial/\partial y_j \} \) nella intersezione. Imponendo che questa orientazione sia concorde nella intersezione dei due aperti (eventualmente scambiando due elementi della base in uno dei due aperti) possiamo ottenere una orientazione nell'unione dei due aperti. Se questo non fosse possibile saremmo costretti a fermarci. Se è possibile proseguire con questo procedimento fino a ricoprire tutto \(M\) si dice che \(M\) è orientabile e si ottiene una orientazione di \(M\). Siccome il passaggio di incollamento delle orientazioni richiede che per ogni punto della intersezione degli aperti si abbia la stessa orientazione per entrambe le basi si ottiene la condizione già ricordata sull'esistenza di un atlante con mappe di transizione con differenziali con determinante positivo.


Questa è la spiegazione "intuitiva" che ho sempre adottato prima di aver trovato / escogitato quella che fa uso dei fasci. Una volta superato il mio scoglio mentale sull'orientazione degli spazi vettoriali (un appunto: in questo modo puoi parlare di orientazioni solo su [tex]\mathbb R[/tex], perché hai bisogno di un campo ordinato; io posso parlare di orientazioni su campi qualsiasi; in particolare su [tex]\mathbb C[/tex], e credo vivamente che non sia un ragionamento marginale ed esotico, ma rispecchi una verità matematica davvero molto profonda), ecco, superato questo scoglio, questa spiegazione è perfetta e la condivido appieno. Ha un solo altro svantaggio: non si presta bene alle varietà che sono solo topologiche ma che non possono essere rese differenziabili (un semicono, ad esempio).

"apatriarca":

Discuto infine solo brevemente la definizione di orientabilità basata sull'esistenza di una \(n\)-forma globalmente definita e non nulla. Per prima cosa una \(n\)-forma associa ad ogni punto una mappa \(n\)-lineare alternante. Ogni mappa di questo tipo può essere scritta nella forma \(f(v_1, \dotsc, v_n) = \alpha \, \det(v_1, \dotsc, v_n) \) dove ho indicato con \( \det(v_1, \dotsc, v_n) \) il determinante della matrice le cui colonne sono \(v_1, \dotsc,v_n\). Ogni mappa \(n\)-lineare alternante è quindi o nulla o proporzionale al volume del parallelepipedo con quei vettori come lati. Una mappa \(n\)-lineare alternante non nulla mantiene inoltre costante il proprio segno quando vengono passate due basi con la stessa orientazione e cambia segno quando l'orientazione cambia. Una mappa \(n\)-lineare non nulla può quindi essere usata per definire una delle due orientazioni. Supponiamo quindi di avere una \(n\)-forma globalmente definita e non nulla. Supponiamo che sia sempre positiva. Definiamo una orientazione su \(M\) associando ad ogni \(T_p M\) l'orientazione per cui la \(n\)-forma è positiva. Verifichiamo che la condizione della nostra prima definizione valga. Consideriamo quindi un intorno \(U\) di un punto \(p\) e consideriamo i campi vettoriali \( \{ \partial/\partial x_i \} \) che definiscono una base per ogni spazio tangente \(T_q M.\) In \(U\) la nostra \(n\)-forma sarà definita come \( \omega = \alpha(q) \, dx_1 \wedge \dotsb \wedge dx_n \) e \( \omega(\partial/\partial x_1, \dotsc, \partial/\partial x_n) = \omega(q). \) Sappiamo che \( \omega(q) \) è continua e mai nulla in \(U\) e quindi ha segno costante. Eventualmente scambiando due basi abbiamo quindi ottenuto dei campi vettoriali che in ogni punto di \(U\) rappresentano una base della nostra classe di equivalenza. Viceversa, se abbiamo una orientazione su \(M\) prendiamo il nostro atlante che determina l'orientazione e una partizione dell'unità definita a partire dal nostro atlante e la usiamo per incollare tra di loro le \(n\)-forme \( \omega = dx_1 \wedge \dotsb \wedge dx_n \) di ogni aperto del nostro atlante. I particolari di questa costruzione si trovano in ogni libro di geometria differenziale e non mi dilungo oltre (a meno che non abbiate dubbi). Questa definizione è forse la più interessante in quanto è anche fortemente legata a quella coomologica (si consideri il gruppo \(H^n_dR(M)\) della coomologia di de Rham), ma per questo discorso attendo di avere tempo di leggere quello che ha scritto maurer.


Questa ha davvero senso e mi piace tantissimo. Perché? Beh, una forma differenziale è una sezione della potenza esterna di grado [tex]n[/tex] del fibrato cotangente. Quindi fascio ci cova. Indovinate un po'? Alla luce del teorema di De Rham, si può costruire l'analogo della n-forma differenziale ovunque non nulla per varietà puramente topologiche, utilizzando il prodotto cup in coomologia.
Credo, anche se non ci ho ancora riflettuto abbastanza a lungo per esserne sicuro, che la dualità di Poincaré tra omologia e coomologia consenta di raccordare infine la mia definizione di orientabilità con quella della presenza di una n-forma ovunque non nulla.

@apatriarca: una sola considerazione conclusiva. Le definizioni che hai dato tu sono più intuitive ed al contempo rigorose a sufficienza per poter essere considerate valide. E, invece, la mia definizione forse è un po' più difficile da digerire a causa della presenza dei fasci che purtroppo non sono uno strumento che ci viene insegnato all'asilo. Tuttavia, ritengo davvero più chiara la mia definizione. Il che va letto: più chiara condizionatamente al fatto che si conosca il linguaggio dei fasci.
E poi, dimostra al mondo che si può vivere bene anche senza l'analisi, facendo solo geometria e algebra! :-D (scherzo ovviamente...)

apatriarca
E' ovvio che si è fatta una scelta quando si è deciso di definire una orientazione di uno spazio vettoriale in quel modo, ma non è una scelta casuale. Era infatti esattamente questo il concetto che si voleva rappresentare. L'idea intuitiva e volendo "fisica" di orientazione ha preceduto questa definizione e ne ha guidato le scelte. Tutto il resto è venuto dopo, non prima. Quello che tu hai chiamato come orientazione è solo una generalizzazione del concetto di orientazione che si è prima definito per gli spazi vettoriali, poi per le superfici e varietà differenziabili e quindi a oggetti sempre più generali. Ad ogni passo si è fatta una scelta. Non mi sono sinceramente però mai posto più di tanto il problema se questa generalizzazione sia unica o meno e se tornando indietro si possa ottenere qualcosa di diverso da quello da cui si è partiti. Sinceramente credo che l'intuizione dietro ai diversi concetti e la loro storia siano importanti per comprendere a pieno tali concetti e per apprezzare gli strumenti di indagine più moderni e astratti. La tua definizione è molto generale e abbastanza elegante, ma è decisamente difficile fare ricorso all'intuizione, soprattutto se non si hanno presente le definizioni più intuitive che ho dato nel mio scorso post e non si possiede una buona familiarità con i gruppi di omologia, fasci..

Se dovessi scegliere una definizione che sia allo stesso tempo generale ed intuitiva, sceglierei probabilmente quella basata sui fibrati vettoriali (che non ho inserito nel mio post precedente).

maurer
Ok, ho improvvisamente capito l'origine del mio problema:

"apatriarca":
L'idea intuitiva e volendo "fisica" di orientazione ha preceduto questa definizione e ne ha guidato le scelte. Tutto il resto è venuto dopo, non prima.


Il punto è che io non ho per nulla intuizione fisica. Se mi dicessi che due palle da biliardo si scontrano e poi iniziano a volare verso lo spazio siderale, la mia intuizione fisica non mi avvertirebbe che c'è qualcosa di strano. Quindi non mi stupisco che la cosa non mi sia mai piaciuta. In particolare, ricordo un odio viscerale verso la regola della mano destra, perché non ha mai avuto un senso per me: è una convenzione, ma, come spiegavo prima, sono abbastanza contrario alle convenzioni in matematica, specie quando se ne può fare davvero a meno, magari pagando il prezzo della non semplicità.

"apartriarca":

Sinceramente credo che l'intuizione dietro ai diversi concetti e la loro storia siano importanti pere comprendere a pieno tali concetti e per apprezzare gli strumenti di indagine più moderni ed astratti.


Purtroppo, e parlo per dolorosa esperienza, l'intuizione fisica mi ha sempre portato fuori strada. A partire dalla loro idea malata di infinitesimo, il loro buffo modo di usare il calcolo tensoriale senza sapere che cos'è un tensore e la loro ostinazione nell'usare i multi-indici, la loro arroganza nel voler trattare la Quantum Field Theory senza avere le capacità - o quantomeno le conoscenze - per farlo (click, su gentile segnalazione di killing_buddha che è davvero bravo in questo settore a differenza del sottoscritto, che invece è molto ignorante in merito). In particolare, in cosa può essermi d'aiuto la visione fisica di un tensore? Io ritengo che abbia rallentato il mio apprendimento della matematica per almeno un anno. Se prima del corso di Fisica 2 avessi seguito un bel corso di algebra commutativa, mi sarei limitato a dare un'occhiata di superiorità alla parola tensore usata male in quel contesto: invece ho cercato per mesi di capire cosa passasse per la loro testa, e devo dire che è stato uno sforzo inutile.

dissonance
@maurer: Sono al 100% in disaccordo con te. Questo tuo modo di vedere la matematica è secondo me deleterio. Nel mio piccolo sono invece perfettamente d'accordo con Arnol'd:

http://pauli.uni-muenster.de/~munsteg/arnold.html

Non si può snobbare la fisica così. Ragionando come te non ci si sarebbe dovuti occupare neanche di relatività generale, o di meccanica quantistica, perché matematicamente mal poste (agli inizi del secolo scorso era così). Per fortuna i matematici dell'epoca non hanno ragionato a tal modo, e nello sforzo di sistematizzare queste cose si sono sviluppate per bene anche teorie strettamente matematiche. E' un interplay che giova a tutti e due.

maurer
Premetto che non voglio accendere una polemica troppo grossa. Tuttavia, ho letto per intero il link che hai postato e ritengo di avere il diritto di sentirmi offeso da certe parole di Arnol'd.

"Arnol'd":

To the question "what is 2 + 3" a French primary school pupil replied: "3 + 2, since addition is commutative". He did not know what the sum was equal to and could not even understand what he was asked about!

Questa è una stupidaggine. Se è vero, la colpa è interamente del docente. Ma non perché non ha mosso dalla realtà; semplicemente perché non ha mostrato, dopo o durante un'opportuna trattazione teorica, cosa l'operazione fosse.

"Arnol'd":

For example, these students have never seen a paraboloid and a question on the form of the surface given by the equation xy = z2 puts the mathematicians studying at ENS into a stupor. Drawing a curve given by parametric equations (like x = t3 - 3t, y = t4 - 2t2) on a plane is a totally impossible problem for students (and, probably, even for most French professors of mathematics).

Di nuovo: è chiaro che non si può andare avanti a teorie. Ma non si può nemmeno andare avanti ad esempi. Il meglio è una sintesi tra le due cose, con una leggera tendenza verso la teoria.

"Arnol'd":

I shall open a few more such secrets (in the interest of poor students).

The determinant of a matrix is an (oriented) volume of the parallelepiped whose edges are its columns. If the students are told this secret (which is carefully hidden in the purified algebraic education), then the whole theory of determinants becomes a clear chapter of the theory of poly-linear forms. If determinants are defined otherwise, then any sensible person will forever hate all the determinants, Jacobians and the implicit function theorem.

Ecco, qui mi sento davvero offeso. Vorrei chiarire una cosa, a scapito di equivoci: io ho ben presente questo possibile significato del determinante. Ho seguito, oppure ho percorso in seguito - adesso non ricordo più - la strada indicata da lui. E, a posteriori, non ritengo che porti ad una semplificazione notevole. Per me non è stato così. Piuttosto, ho sempre avuto una difficoltà incredibile a ricordare il teorema di cambiamento di variabile. Fino a quando non ho scoperto una cosa che si chiama "pull-back di forme differenziali": a quel punto tutto è andato magicamente a posto. Credo di poterlo applicare nel sonno, in questo momento.

"Arnol'd":

What is a group? Algebraists teach that this is supposedly a set with two operations that satisfy a load of easily-forgettable axioms. This definition provokes a natural protest: why would any sensible person need such pairs of operations? "Oh, curse this maths" - concludes the student (who, possibly, becomes the Minister for Science in the future).

We get a totally different situation if we start off not with the group but with the concept of a transformation (a one-to-one mapping of a set onto itself) as it was historically. A collection of transformations of a set is called a group if along with any two transformations it contains the result of their consecutive application and an inverse transformation along with every transformation.

[...]
As Cayley proved, there are no "more abstract" groups in the world. So why do the algebraists keep on tormenting students with the abstract definition?

Un gruppo è quello che è. La bellezza della matematica io la trovo nell'abstract nonsense; partire dal generale e vedere che tutto torna e tutto si adatta alla nostra prima, brillante intuizione basata su nient'altro che una parola: armonia.
Per inciso, per me un gruppo è un gruppo di trasformazioni. Anche qui, ho seguito esattamente il percorso che ha delineato Arnol'd; e mi tuffo con gioia nei "more abstract groups".
Sono consapevole che ci sono studenti che non capiscono il legame tra l'algebra lineare e la geometria. Perché si insegna algebra lineare in geometria 1? Chiaramente, questo viene fatto alla luce del programma di Klein: la geometria è lo studio di proprietà invarianti sotto l'azione di un particolare gruppo. La geometria affine è studiare lo spazio euclideo sotto l'azione del gruppo affine, quella proiettiva sotto l'azione del gruppo proiettivo ecc. Trovo buffo che ci sia chi non ha chiaro questo concetto. Ma di chi è la colpa? Non di certo del taglio troppo astratto. Se dovessi tenere io un corso simile non rinuncerei al taglio astratto, cercherei di far capire cosa significa il taglio astratto. Ma partirei comunque dall'astrazione.

"Arnol'd":

An "abstract" smooth manifold is a smooth submanifold of a Euclidean space considered up to a diffeomorphism. There are no "more abstract" finite-dimensional smooth manifolds in the world (Whitney's theorem). Why do we keep on tormenting students with the abstract definition? Would it not be better to prove them the theorem about the explicit classification of closed two-dimensional manifolds (surfaces)?

Punto uno: ho studiato il teorema di classificazione. Punto due: ho studiato il concetto di "abstract smooth manifold". Punto tre: ho studiato il teorema di Whitney. Ora: ho iniziato lo studio delle varietà dalle sottovarietà di [tex]\mathbb R^n[/tex]; la mia forma mentis mi ha obbligato a cercare l'essenza matematica della questione (abstract manifold). Il buon senso mi ha fatto chiedere se esiste un teorema come quello di Whitney. E' vero, potrebbero non insegnarlo più a Matematica, tanto è stato dimostrato che c'è il teorema di Whitney. So che per me sarebbe andata esattamente così: avrei chiesto, mi sarei sentito rispondere "tanto c'è il teorema di Whitney" e sarei andato a perdere qualche settimana per studiarlo. La mia stessa educazione matematica mi impone di fare questo. Tendenzialmente mi attengo a due regole: i) non usare mai un teorema che non sai dimostrare; ii) se trovi un teorema che non sai dimostrare, imparane la dimostrazione.

"Arnol'd":

Attempts to create "pure" deductive-axiomatic mathematics have led to the rejection of the scheme used in physics (observation - model - investigation of the model - conclusions - testing by observations) and its substitution by the scheme: definition - theorem - proof. It is impossible to understand an unmotivated definition but this does not stop the criminal algebraists-axiomatisators. For example, they would readily define the product of natural numbers by means of the long multiplication rule. With this the commutativity of multiplication becomes difficult to prove but it is still possible to deduce it as a theorem from the axioms. It is then possible to force poor students to learn this theorem and its proof (with the aim of raising the standing of both the science and the persons teaching it). It is obvious that such definitions and such proofs can only harm the teaching and practical work.

C'è poco da fare. Posso dire di avere un'ostilità verso il metodo scientifico. Il punto è che non posso essere sicuro di avere ragione; non posso essere sicuro che quello che dico rimarrà vero non per cent'anni, ma per l'eternità. D'altra parte, è noto: dal mio punto di vista la Matematica non è una parte delle scienze naturali. E' incredibilmente più vicina alla Filosofia, o comunque ad una materia umanistica. Se non avessi potuto fare Matematica, avrei optato per Filosofia, probabilmente; se non fosse che in Filosofia, quando due persone sono in disaccordo, non è necessariamente vero che almeno una delle due ha torto.

"Arnol'd":

Mathematics is a part of physics. Physics is an experimental science, a part of natural science. Mathematics is the part of physics where experiments are cheap.

Potrei scrivere: la Fisica è una parte della Matematica. La Matematica non è una scienza, è un altro nome per Esattezza. La Fisica è la parte della Matematica che descrive le leggi secondo cui la realtà è costretta a comportarsi.

Infine:

"Arnol'd":

In the middle of the twentieth century it was attempted to divide physics and mathematics. The consequences turned out to be catastrophic. Whole generations of mathematicians grew up without knowing half of their science and, of course, in total ignorance of any other sciences. They first began teaching their ugly scholastic pseudo-mathematics to their students, then to schoolchildren (forgetting Hardy's warning that ugly mathematics has no permanent place under the Sun).

Questa citazione è decontestualizzata ed il suo significato è stravolto. Ricordiamo che Hardy andava fiero dei suoi lavori in teoria dei numeri perché erano inutili. Cito dall'Apologia di un Matematico:

"Hardy":

La migliore matematica non solo è bella ma è anche seria, importante, se preferite, ma il termine è molto ambiguo, mentre seria esprime meglio quello che voglio dire. Non mi riferisco alle applicazioni "pratiche" della matematica. [...] Adesso dirò soltanto che se un problema di scacchi è "inutile", nel senso letterale del termine, allora lo è anche la maggior parte della migliore matematica; che solo una piccola parte della matematica ha un'utilità pratica e che quella piccola parte è relativamente noiosa.

Questo è quello che pensava Hardy. Non mi sembra che ci sia molto spazio per le applicazioni, nel suo pensiero!

"Hardy":
[...]Il matematico [rispetto al poeta] non ha altro materiale con cui lavorare, se non le idee; quindi le forme che crea hanno qualche probabilità di durare più a lungo, perché le idee si usurano meno delle parole.
Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle; le idee, come i colori o le parole, devono legarsi armoniosamente. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c'è un posto perenne per la matematica brutta.

Le idee della topologia sono belle in quanto incredibilmente naturali. La topologia (in particolare, il concetto di omotopia) potrebbe essere spiegata tranquillamente ai primi anni del liceo. Si tratta di deformare, è semplicissimo, tutti sanno cosa vuol dire, tutti hanno un'intuizione da cui partire, quindi non c'è bisogno che venga spiegata. Si può partire dall'astratto.
Le idee dell'algebra omologica, della teoria delle categorie sono belle, ma per motivi profondamente diversi. A dirla tutta, non mi aspetto che un fisico medio capirà mai la bellezza dell'algebra astratta. Lui ha fretta, vuole imparare ad usarla, non si sofferma sulla sottile poesia algebrica, è un violentatore della teoria. L'algebra astratta è bella in quanto assolutamente necessaria: quando faccio Geometria - e Dio solo sa quanto adoro fare Geometria - odio dovermi fermare per colpa di qualche concetto formale che non mi è chiaro. Prendiamo il teorema di Van Kampen, ad esempio: l'essenza topologica è ridicola, è facilmente comprensibile a tutti. Eppure non è chiaro il risultato a cui si arriva. Perché? Perché di solito non si è in grado di separare la forma dal contenuto. Il teorema di Van Kampen asserisce che un certo gruppo è il pushout di un certo diagramma. Se io so cos'è un pushout, posso concentrarmi esclusivamente sull'idea topologica.
Esempi del genere se ne possono fare a migliaia: la compattificazione di Stone - Cech, ad esempio, è un altro bell'esemplare. Cosa dice la compattificazione di Stone - Cech? Bah, essenzialmente che [tex]\mathbf{Regular} \subset \mathbf{CompHaus}[/tex] è una sottocategoria riflessiva. Se conosco le aggiunzioni, so già usare la compattificazione di Stone - Cech per risolvere problemi ancora prima di sapere come si fa a costruire. E, con animo incredibilmente sereno, mi dedico ad apprendere l'idea topologica che ci sta sotto.

Condivido il fatto che separare la forma dal contenuto sia in qualche misura folle. Un algebrista che faccia algebra e basta, è davvero deforme ai miei occhi. Fortunatamente non ne conosco nessuno: tutti, sono attenti all'utilizzo dell'algebra negli altri settori della Matematica.

Questo, è il mio modo di vedere le cose. La fisica non ha posto nel mio sistema. Ritengo di avere un'intuizione sufficientemente sviluppata; quando studio, presto uguale attenzione all'idea generatrice, alla forma ed alla capacità tecnica di non essere spaventato dagli oggetti con cui mi accingo a lavorare (non ho paura di fare i conti, se necessario, ma ovviamente preferisco evitarlo). E ciò nonostante, rimane il fatto che [tex]7[/tex] è un numero primo non perché noi pensiamo così, ma perché lo è e basta. Noi siamo semplici constatatori di questa primordiale verità. La Matematica E', tutto il resto vi si adegua.

Fine dell'off-topic.

P.S. Paradossalmente, credo che al lato pratico ci accostiamo alla disciplina con lo stesso modo di fare e con gli stessi risultati finali. Semplicemente, cambia il modo di vivere la materia.
P.P.S. Non voglio dire che il mio modo è quello giusto. Semplicemente, mi sono sentito attaccato dalle parole di Arnol'd ed ho esposto le mie ragioni, che ritengo valide quanto le sue accuse. Questione di punti di vista, insomma.
P.P.P.S. Ho volutamente evitato ogni accenno alla Geometria Algebrica, taglio di Grothendieck. E' talmente tanto astratta da far venire il ribrezzo a chiunque non metta l'astrazione al centro della propria vita. Adoro questo taglio! :-D E non potete dirmi che le idee super-mega-astratte di stampo categoriale ed omologico di Grothendieck non abbiano portato a risultati concreti. La migliore matematica ha sempre applicazioni. Solo che le applicazioni sono da intendersi "nel resto della matematica".

Edit: aggiungo quest'ultima nota, a scanso di equivoci. Prima ho scritto che l'algebra è bella in quanto necessaria a separare il contenuto dalla forma. Poi, ho detto che è folle separare il contenuto dalla forma. Non mi sono espresso nel modo più felice possibile, quindi mi spiego. Una delle capacità fondamentali di essere matematici è di saper distinguere il contenuto dalla forma; ma non per questo bisogna fare l'uno indipendentemente dall'altro: essere capaci a scomporre un succo di frutta per ricavarne i costituenti chimici (ed immaginare per un secondo di farlo mentre si beve il succo, elencando questi costituenti nella propria mente), non significa che vada fatto esplicitamente. Il succo va bevuto per intero, altrimenti non se ne afferra la bontà! E in matematica, è la stessa cosa: dato un teorema, lo scompongo prontamente nelle sue parti, dividendo la forma (l'esoscheletro algebrico) ed il contenuto (l'idea geometrica che brilla all'interno dell'esoscheletro). Dopodiché lo studio, e apprezzo il modo in cui le due parti interagiscono dando luogo ad un'opera d'arte.

Zilpha
@maurer: Sei molto convincente nelle cose che hai detto... certo un pò assolutista... ma su un punto:
"maurer":

Sono consapevole che ci sono studenti che non capiscono il legame tra l'algebra lineare e la geometria. Perché si insegna algebra lineare in geometria 1? Chiaramente, questo viene fatto alla luce del programma di Klein: la geometria è lo studio di proprietà invarianti sotto l'azione di un particolare gruppo. La geometria affine è studiare lo spazio euclideo sotto l'azione del gruppo affine, quella proiettiva sotto l'azione del gruppo proiettivo ecc. Trovo buffo che ci sia chi non ha chiaro questo concetto. Ma di chi è la colpa? Non di certo del taglio troppo astratto. Se dovessi tenere io un corso simile non rinuncerei al taglio astratto, cercherei di far capire cosa significa il taglio astratto. Ma partirei comunque dall'astrazione.

sono completamente d'accordo. Ci ho fatto la tesi su quest'argomento e in nessun corso di Geometria era mai stata quantomeno accennata la possibilità di abbandonare una trattazione di tipo assiomatico in favore di una descrizione in termini di azione di gruppo.. e dal mio punto di vista, la seconda è molto più digeribile della prima (una volta che si conosce il significato di quello che si va ad utilizzare). E ritengo scandaloso insegnare la Geometria mettendo in un angolo il programma di Klein (è quello che è stato fatto ai corsi che ho seguito).

Rispondi
Per rispondere a questa discussione devi prima effettuare il login.