Prolungamento di funzione a continuità

chiara_genova
ciao a tutti: cosa significa prolungare una funzione per continuità? come si procede, a livello di esercizio? grazie infinite

Risposte
Luca.Lussardi
"Ecco perchè matematici ed ingegneri vanno poco daccordo: i matematici sono troppo precisi e tardano a trovare la soluzione mentre non controllano che tutte le ipotesi siano soddisfatte; l'ingegnere praticamente la trova, ne da una interpretazione fisica, e poco si interessa di vedere se sono soddisfatte tutte le ipotesi alla base. Tanto la maggior parte delle volte nei problemi pratici tutte quelle ipotesi sono sempre soddisfatte, ed al limite l'ingegnere all'ultimo controlla che siano verificate. Intanto trova una soluzione. Il che non è poco."

Sono veramente senza parole nel leggere queste frasi; se veramente la pensi così temo che non hai capito un bel niente di cosa sia un matematico, e di cosa sia la Matematica (e forse di cosa sia la vera Ingegneria).

_nicola de rosa
"Luca.Lussardi":
Appunto, queste non sono chiacchiere, questo è rigore ed in Matematica ci vuole rigore, sia che la faccia un matematico sia che la faccia un ingegnere.

Non a caso il prolungamento esiste, proprio per risolvere questa problematica; se una funzione è definita in un punto, o è ivi continua o non è ivi continua. Se una funzione non è definita in un punto, ma in un intorno meno il punto sì, allora non ci si può chiedere se è continua in quel punto, ma ci si chiede se si prolunga per continuità in quel punto.


Ma nel nostro caso che tu mi dica le ipotesi che stanno alla base del prolungamento è giusto perchè sei un matematico. A me ingegnere importa che quella funzione assume valore finito in quel punto, sia essa definita o meno in partenza in quel punto.
Sono due ottiche diverse, perciò matemetici ed ingegneri cozzano....

Sk_Anonymous
A dire la verità mi era sembrato che la richiesta di Chiara non si limitasse [giustamente...] alle cosiddette 'singolarità eliminabili', come è facile constatare...

"chiara_genova":
... e se mi si chiede di prolungare per continuità una funzione che ha domino (a,b] ad un intervallo ($-oo$, a] ?... grazie...


Si tratta di una domanda oltre che corretta anche assai intelligente cui proverò a dare risposta ancora una volta scegliendo l'esempio della 'radice quadrata'. Come si è già visto lo sviluppo della funzione radice quadrata in $z=1$ è dato da...

$sqrt(z)= 1+ 1/2*(z-1)-1/8*(z-1)^2+1/16*(z-1)^3-5/128*(z-1)^4+...$ (1)

Fin qui và bene, ma il guaio è che la serie converge in un cerchio centrato in $z=1$ e raggio $R=1$ [o, per usare il linguaggio di Chiara, sui punti dell'asse reale del dominio (0,2]...]. Come facciamo a questo punto ad accontentare Chiara ed 'estendere' il dominio della funzione $sqrt(z)$ a ($-oo$,0)?... Diciamo che accontentare Chiara è un poco difficile ma quello che possiamo fare è 'estendere' la funzione $sqrt(z)$ al dominio [$-2*r_0$, 0) con $r_0$ 'grande quanto si vuole'. Per prima cosa sviluppiamo la funzione nell'intorno di un punto $z=r_0$ con $r_0$ qualsiasi purchè diverso da 0. Le derivate della funzione sono...

$f(r_0)= r_0^(1/2)$

$f'(r_0)=1/2*r_0^(-1/2)$

$f^((2))(r_0)=-1/4*r_0^(-3/2)$

$f^((3))(r_0)=3/8*r_0^(-5/2)$

$f^((4))(r_0)=-5/16*r_0^(-7/2)$ (2)

...

Con questi nuovi valori lo sviluppo diviene...


$sqrt(z)= r_0^(1/2)+ 1/2*r_0^(-1/2)*(z-r_0)-1/8*r_0^(-3/2)*(z-r_0)^2+$

$+1/16*r_0^(-5/2)*(z-r_0)^3-5/128*r_0^(-7/2)*(z-r_0)^4+...$ (3)

In questo modo abbiamo esteso la funzione al dominio (0,$2*r_0$). Come fare ora ad 'occupare' anche il semiasse negativo?... Semplice, basta porre nella (3) al posto di $r_0$ il valore $r_0*e^(j*pi)$ e si ottiene...

$sqrt(z)= r_0^(1/2)*e^(j*pi/2)+ 1/2*r_0^(-1/2)*e^(-j*pi/2)*(z+r_0)-1/8*r_0^(-3/2)*e^(-j*3/2*pi)*(z+r_0)^2+$

$+1/16*r_0^(-5/2)*e^(-j*5/2*pi)*(z+r_0)^3-5/128*r_0^(-7/2)*e^(-j*7/2*pi)*(z+r_0)^4+...= $

$= j*r_0^(1/2)- j*1/2*r_0^(-1/2)*(z+r_0)+j*1/8*r_0^(-3/2)*(z+r_0)^2-$

$-j*1/16*r_0^(-5/2)(z+r_0)^3+j*5/128*r_0^(-7/2)*(z+r_0)^4+...$ (4)

Ora Chiara speriamo si accontenti... anche perchè nessuno le impedisce di mettere nella (4)... che so io... $r_0=5.75*10^300$ :shock: :twisted:

cordiali saluti

lupo grigio



An old wolf may lose his teeth, but never his nature

_nicola de rosa
"Luca.Lussardi":
"Ecco perchè matematici ed ingegneri vanno poco daccordo: i matematici sono troppo precisi e tardano a trovare la soluzione mentre non controllano che tutte le ipotesi siano soddisfatte; l'ingegnere praticamente la trova, ne da una interpretazione fisica, e poco si interessa di vedere se sono soddisfatte tutte le ipotesi alla base. Tanto la maggior parte delle volte nei problemi pratici tutte quelle ipotesi sono sempre soddisfatte, ed al limite l'ingegnere all'ultimo controlla che siano verificate. Intanto trova una soluzione. Il che non è poco."

Sono veramente senza parole nel leggere queste frasi; se veramente la pensi così temo che non hai capito un bel niente di cosa sia un matematico, e di cosa sia la Matematica (e forse di cosa sia la vera Ingegneria).


Come sempre fai il Professorone. Non ha capito nulla del mio discorso. Mi asterrò dall'intervenire quando sarai presente tu nelle discussioni, perchè di Professori ne ho avuti tanti ed un altro non lo desidero. Su cosa sia la Matematica potrai insegnarmi, ma sull'Ingegneria, se non sei un ingegnere, ti prego di non intervenire perchè non è tuo campo ( e cerca di imparare qualcosa, caro presuntuoso) e di non offendere, perchè è la seconda volta che rompi.

Luca.Lussardi
1) Io non sono un professore;
2) Sei liberissimo di intervenire quando e come vuoi nel rispetto delle regole;
3) E' vero che non sono un ingegnere, ma i veri ingegneri sanno che la Matematica e l'Ingegneria sono sorelle: la Matematica è una sola, non c'è una versione per l'ingegnere ed una per il matematico. L'ingegnere deve imparare ad essere preciso quando parla, così come è preciso nelle cose di sua competenza, lo deve essere anche quando parla di Matematica.
4) Non ho offeso nessuno, e non vedo nemmeno la prima volta che ho rotto.

_nicola de rosa
"Luca.Lussardi":
1) Io non sono un professore;
2) Sei liberissimo di intervenire quando e come vuoi nel rispetto delle regole;
3) E' vero che non sono un ingegnere, ma i veri ingegneri sanno che la Matematica e l'Ingegneria sono sorelle: la Matematica è una sola, non c'è una versione per l'ingegnere ed una per il matematico. L'ingegnere deve imparare ad essere preciso quando parla, così come è preciso nelle cose di sua competenza, lo deve essere anche quando parla di Matematica.
4) Non ho offeso nessuno, e non vedo nemmeno la prima volta che ho rotto.

Non si tratta di avere 2 Matematiche diverse: è la stessa, solo che mentre il matematico si scervella prima nel verificare col rigore che tutte le ipotesi siano soddisfatte, l'ingegnere, con altrettanto rigore, trova la soluzione e poi vaglia i limiti di validità ed applicabilità.
Spero che tu non abbia capito che l'ingegnere trova la soluzione e poi non la testa; sarebbe una tua grave mancanza e assenza di rispetto per il lavoro che gli ingegneri fanno.
Però noi due cozziamo, allora lasciamo stare: tu fai il matematico ed io l'ingegnere, per fortuna, mia e tua.
Siamo ambedue contenti di fare ciò. Per cui...

GIOVANNI IL CHIMICO
Più che altro mi sembra che nicasamarciano (ops spero di aver scritto bene il tuo nick) stia difendendo il "diritto" degli ingegneri a sacrificare un po di formalità a favore di un modo più spiccio e più "fisico" di affrontare la matematica. Ora nell'ingegneria spesso si procede così, ad esempio tutte le volte che si ricavano le equazioni di bilancio in forma locale su elementini infinitesimi si utilizza una algebra degli infinitesimi che i matematici non considerano lecita, io personalmente sono per un uso del formalismo più spinto, perchè credo che ogni volta che si possa dare generalità ad una espressione questa abbia una forza maggiore, ma credo che sia questione di "scuole di pensiero".

_nicola de rosa
Bravissimo GIOVANNI: questa era la mia idea: sacrificare un minimo il formalismo ( e sono contrario pure io, ma se hai un tempo minimo assegnatoti certo non ti impegolerai in tanti formuloni) per trovare una soluzione, a volte anche sub-ottima. Ma se hai un tempo limitato è meglio una soluzione sub-ottima nel tempo assegnato che una ottima e fuori tempo massimo. A quel punto anche la soluzione ottima, se trovata, sarà inutile.

Io sono a favore del rigore più totale: infatti io dicevo che l'ingegnere il rigore nel testare la validità di una soluzione lo usa ( e certo se non lo usa, mica siamo cretini) ma lo usa a posteriori, a valle della soluzione trovata. Invece hanno capito che io dicevo che l'ingegnere trovasse la prima soluzione che gli veniva e via! Se avete capito così mi dispiace, non era mia intenzione. Non ho mai studiato così, bensì sempre con rigore e critica difronte a qualsiasi problema con cui avevo a che fare.

Un ESEMPIO analogo a quello di GIOVANNI: io sono un ingegnere delle telecomunicazioni con specializzazione in Trasmissione e Sistemi di Telecomunicazioni cioè due campi in cui i Campi Elettromagnetici sono fondamentali: eppure quando a lezione il mio prof. ha ricavato le equazioni di Maxwell in forma differenziale, nulla ha detto sulle proprieta che i campi dovrebbero avere ( cioè essere funzioni analitiche) e questo perchè nella maggior parte dei casi (lui diceva e sono daccordo su ciò) tali ipotesi sono soddisfatte naturalmente. E' ovvio che sarebbe stato meglio se l'avesse detto, perchè io sono a favore di un rigore stretto: ecco però come si ragiona ad Ingegneria: trovare la soluzione (equazioni di Maxwell) perchè le ipotesi di base sono sempre soddisfatte. Infatti dopo aver trovato la soluzione , il mio prof si impegnava molto nel dimostrare che era accettabele dandone interpretazione fisica rigorosa e valutando tutti i limiti di validità: il classico ragionamento a posteriori, che ho cercato di spiegare ma non è stato capito

Luca.Lussardi
Non è esattamente così che funzionano le cose, se l'Ingegnere fosse in grado da solo di portare avanti le cose con rigore, i matematici non avrebbero dovere di esistere. In realtà l'Ingegnere ottiene risultati sulla base di considerazioni tutt'altro che rigorose, spesso crea modelli sulla base di osservazioni sperimentali, numeriche o di altra natura ancora, magari facendo qualche conto approssimativo od euristico. Il modello così fornito deve essere "spurgato" e studiato dal punto di vista matematico, ed ecco che entra in gioco il lavoro del matematico, senza il quale nessun risultato è accettabile. Tieni conto che le prove numeriche non funzionerebbero se dietro non ci fossero Teoremi dimostrati con rigore che garantiscono che il problema in oggetto ha la soluzione. Il lavoro che ha il matematico è molto più delicato (è di fatto una competenza diversa) e richiede molto più tempo e pazienza. Ma è indispensabile per una corretta applicazione del modello.

Tutto ciò è confermato da un semplice fatto: vai a guardare il numero di pubblicazioni che ha un ingegnere che lavora in Università e confrontale con il n. di pubblicazioni di un matematico; l'ingegnere ti può produrre un articolo in un mese, per un matematico ci vuole spesso un anno per produrre un articolo accettabile.

_nicola de rosa
Il rigore dei Matematici è poco superiore a quello dell'Ingegnere: non credete che l'ingegnere trovi tutto euristicamente, empiricamente o semi-empiricamente e poi con ragionamento critico non analizza e giustifica quanto trovato.

GIOVANNI IL CHIMICO
Scusa una domanda, Luca: Se io ti formulo una equazione PDE facendo un bilancio di grandezze su un volumetto infinitesimo, usando un'algebra di infinitesimi che forse non ha senso matematico di esistere, e tu mi dimostri un teorema di esistenza ed unicità per la soluzione di quel problema, matematicamente va tutto bene, ma se ho sbagliato nella fisica del problema, formulando scorrettamente il mio bilancio, il modello resta inaffidabile nonostante il tuo teorema di esistenza ed unicità, giusto?

Luca.Lussardi
Una volta un professore disse "se un ingegnere producesse con lo stesso ritmo con cui produce un matematico, finirebbe a dirigere il traffico".

Battuta a parte, credo che ognuno abbia le sue competenze; l'ingegnere si occupa della parte concreto/modellistica, il matematico si occupa dello studio matematico del modello. Va da sè che è fondamentale una comprensione fisico-tecnica del modello che solo un ingegnere può fare, come è altrettanto importante la comprensione teorico-matematia del modello che solo il matematico può fare (parlo in generale).

E' ora di finirla con questa stupida ed inutile guerra tra matematici ed ingegneri; uno serve all'altro e viceversa, ognuno ha le sue competenze, ognuno fa il proprio lavoro. Il lavoro dell'Ingegnere non è la Matematica, così come il lavoro del matematico non è l'Ingegneria.

Luca.Lussardi
"GIOVANNI IL CHIMICO":
Scusa una domanda, Luca: Se io ti formulo una equazione PDE facendo un bilancio di grandezze su un volumetto infinitesimo, usando un'algebra di infinitesimi che forse non ha senso matematico di esistere, e tu mi dimostri un teorema di esistenza ed unicità per la soluzione di quel problema, matematicamente va tutto bene, ma se ho sbagliato nella fisica del problema, formulando scorrettamente il mio bilancio, il modello resta inaffidabile nonostante il tuo teorema di esistenza ed unicità, giusto?


Occorre distinguere tra problema matematico e problema fisico; se il Teorema è correttamente dimostrato, è un risultato matematico che non ha un'applicazione fisica, in questo caso.

Sapessi quanti risultati matematici sono finiti nel cestino poichè si è poi scoperto che il modello che c'era sotto era fisicamente inconsistente; dove stava l'errore? il fisico o l'ingegnere che avevano prodotto il modello non avevano fatto le cose con sufficiente rigore...

Sk_Anonymous
Ragazzi
temo che ancora una volta un mio intervento sia stato elemento scatenante di zuffe e ripicche personali...

Mi chiedo onestamente il perchè i cultori della matematica, i quali dovrebbero appertenere ad una categoria di persone 'culturalmente al di sopra della media', si lasciano talvolta andare a risse da 'Bar dello sport'... mah!... :( :evil:

cordiali saluti

lupo grigio



An old wolf may lose his teeth, but never his nature

Luca.Lussardi
I "cultori della matematica" come tu li chiami non sono per nulla al di sopra della media, poi non so se tu hai un complesso di inferiorità dal momento che non ti reputi cultore della Matematica.... boh.

Io non vedo nessuna rissa da "bar", leggo solo una discussione a tratti vivace. Forse per me rissa vuol dire un'altra cosa, ma se per te questa è una rissa da bar...

Kroldar
Sono stato due giorni fuori casa e noto che questo topic si è rapidamente sviluppato... mi dispiace non essere potuto intervenire prima, anche perché ho diverse cose da dire.
Premetto che sono un aspirante ingegnere e quindi la mio opinione potrebbe essere scontata. Sinceramente però, come ho già detto in un'altra discussione, considero insensati e assurdi certi luoghi comuni riguardo gli ingegneri: ingegnere=praticone, ingegnere non sa la matematica, "ingegnere vs matematico" l'eterna lotta, ingegneria=matematica privata del rigore e simili... Effettivamente noto che in alcuni corsi sostanzialmente di matematica della mia facoltà il rigore sia lasciato un po' in disparte: serie di fourier con annesso occultamento della teoria che c'è dietro, passaggi al limite sotto il segno di integrale ingiustificati, risoluzioni "troppo" approssimative di equazioni differenziali... Magari in certi casi è giusto così, poiché una trattazione troppo rigorosa di certi argomenti appesantirebbe dei corsi già lunghi e complessi di natura e si rimanda ad altri corsi determinati approfondimenti... difatti dei corsi puramente matematici ci sono eccome! Credo che lo spirito giusto per un ingegnere sia questo: il rigore non sempre c'è per ragioni di tempo, non perché non serva! Magari dove il rigore manca è lo studente che cerca per conto proprio di metterlo e capire il substratum matematico che c'è alla base di varie applicazioni ingegneristiche. L'ingegnere deve conoscere bene la matematica, anzi, per quanto concerne la matematica che poi dovrà applicare, la deve conoscere al pari di un matematico. Personalmente mi dipiace di avere alcune carenze di base dovute a mancanza di rigore e quando posso, anche grazie agli interventi dei forumisti, cerco di sopperire. Magari a un ingegnere è dato di non saper dimostrare rigorosamente che $QQ$ è denso in $RR$... magari agli ingegneri è concesso di non sapere granché di teoria dei numeri... magari non è la fine del mondo se un ingegnere non è esperto di teoria dei gruppi... Ma tutta la matematica che poi gli servirà sul lavoro deve saperla trattare sotto ogni aspetto. Credo che tutta la discussione sia nata da un equivoco. Difatti vedo che gli ingegneri che sono intervenuti in questa discussione sono tutti preparati in matematica e lo hanno sempre dimostrato in altre sedi: lupo grigio, nicasamarciano, giovanni il chimico, fireball... Lupo grigio ha sempre prodotto interventi interessanti e precisi... se non ho capito male lui sostiene di non accettare la convenzione dell'esistenza delle discontinuità eliminabili e ritiene che questa parte di teoria vada riformulata... tutto ciò (senza scendere nel merito) è una dimostrazione di rigore e di attaccamento non solo alla mera risoluzione di un problema ma alla teoria che c'è dietro.

Ora vorrei parlare di una questione tecnica: anche a me come a fireball era stato insegnato che $1/x$ presenta discontinuità in $0$, in particolare mi era stato detto dell'esistenza di 3 specie di discontinuità in un generico punto:
1)la funzione ammette limiti destro e sinistro entrambi finiti ma diversi
2)almeno uno tra i limiti destro e sinistro è infinito
3)i limiti destro e sinistro esistono entrambi finiti ma sono diversi dal valore che la funzione assume in tal punto o magari in tal punto la funzione può anche non essere definita
Evidentemente ciò è sbagliato, ma allora diventa estremamente delicato dare la definizione di funzione continua (o discontinua) e sono perfettamente d'accordo con Luca in questo: se non si è rigorosi alla base si rischia di cadere in equivoci o malintesi a monte. Qual è dunque Luca l'esatta definizione? Leggendo un testo ne ho trovata una, vorrei sapere se è ortodossa e rigorosa... essa recita così: siano $X$ e $Y$ due insiemi con metriche assegnate e sia $f:XtoY$; $f$ è continua se e solo se $AA A sub Y$ aperto, risulta che $f^(-1)(A) sub X$ è aperto
Alla luce di ciò vorrei inoltre chiederti... perché quando si assegna il dominio di una funzione si escludono i punti che azzerano il denominatore a prescindere da tutto? effettivamente sono stato abituato a fare così dal liceo ma nessuno mi ha ben spiegato perché

Fioravante Patrone1
@Kroldar

ciao. Se tu ti permetti di intervenire, io mi permetto di rispondere.
Non sul primo tema (sono un matematico che lavora in una facoltà di ingegneria dove sono andato da poco perché non mi trovavo più bene a scienze, in mezzo a tanti miei colleghi [non tutti, naturalmente]: troppo coinvolto...).

°°°°°°°°°°
Rispondo sul secondo tema. E mi dilungo un po' :D

Definizione di funzione continua.
Quella che tu riporti è la definizione standard di continuità. Di fatto, è la definizione anche in un contesto ancor più generale di quello in cui tu l'hai inserita, ovvero gli spazi metrici: in effetti è la definizione che si usa negli spazi topologici. Aggiungo che la definizione che hai riportato, e che può avere un aspetto esoterico, nel contesto delle funzioni reali di variabile reale non diventa nient'altro che la buona vecchia definizione con epsilon e delta o quella, ancora più "urang-utang" di $\lim_{x \rightarrow x_0} f(x) = f(x_0)$.

Detto questo, provo a rispondere al "perché" si usi questa definzione. Osservo prima di tutto che c'è un consenso "unanime" nella comunità matematica su questa definizione. I dissidenti, ed è bene sempre che ve ne siano, sono sicuramente pochissimi e io non ne ho mai incontrato uno in vita mia, né di persona né attraverso i suoi scritti.
A questo punto, devono esserci delle ragioni molto buone per una così universale accettazione di questa definizione. Che non è "scontata". Ci sono esempi di funzioni da $RR$ in $RR$ che sono continue ovunque senza essere derivabili in alcun punto. Cosa che sfida la nostra immaginazione e certo non corrisponde all'idea di "funzione il cui grafico si può disegnare senza staccare il gesso dalla lavagna"... Insomma, paghiamo un prezzo elevato per quanto riguarda la corrispondenza della definizione formale rispetto alla "idea intuitiva" che vogliamo rappresentare.

In realtà, dietro alla definizione della continuità ci sta il problema di formalizzare il "continuo". Problema non banale, che ha profondamente segnato la storia matematica ed il pensiero matematico. Questo aspetto nella definzione topologica non appare in modo evidente, anche perché quella definizione copre casi che non hanno nulla a che fare con la problematica del "continuo" (dietro a questo allargamento dell'orizzonte opera la "condizione 0" della matematica, la coerenza).
Ebbene, la continuità ha il pregio di "rispettare" due proprietà topologiche fondamentali: connessione e compattezza. Che, in termini elementari, corrispondono a dire che vale il teorema "degli zeri" (o dei valori intermedi) ed il teorema di Weierstrass. Perché sono importanti questi risultati? Il teorema degli zeri rappresenta un po' la quintessenza dell'idea di "continuo". Per passare da sotto l'asse delle x a sopra, devo "tagliarlo"! Il teorema di Weierstrass ha a mio parere un ruolo minore, ma è senza dubbio un tool di primissimo interesse, per poter maneggiare bene i modelli continui (e poi ha molte ricadute: penso al "teorema fondamentale del calcolo differenziale", ovvero il teorema di Lagrange).
A favore della definizione standard di continuità c'è poi anche il fatto che essa risulta essere flessibile (ad esempio: continuità della funzione composta, della restrizione, continuità "per coordinate" di funzioni a vaori in un prodotto cartesiano, etc). Non solo, ma nei contesti appropriati (per fissare le idee: $RR^n$ con la topologia euclidea): le funzioni somma e prodotto risultano essere continue (e da qui discende l'ottima compatibilità tra continuità e + e *; detto in linguaggio aulico, la compatibilità tra struttura algebrica e struttura topologica); idem, l'insieme delle coppie $(x,y)$ t.c. $x Insomma, un piccolo paradiso in terra.
Qui mi sembra siano le ragioni chiave del "consenso universale" sulla definizione standard di funzione continua.
Aggiungo che mi farà piacere leggere altri punti di vista, o sottolineature diverse, se qualcuno avrà voglia di scriverne.

°°°°°°°°°°
Ora passo alla tua domanda specifica (ammesso che tu o per lo meno qualcuno sia arrivato fin qui a leggere :-D ).
Consideriamo la formula, l'espressione $1/x$. Essa definisce una funzione seguendo la convenzione standard che ad una formula associa la funzione definita come $f(x) = 1/x$ per tutti gli $x$ per i quali la formula ha senso (insomma, la funzione definita su un dominio massimale di validità della formula). Questa convenzione tacita, cui tutti i matematici aderiscono, è comoda perché permette di non perdere tempo in "dettagli" che sono fondamentali, ma per così dire "automatici", impliciti, grazie a questa convenzione.
Morale, quando uno scrive $f(x) = 1/x$ intende la funzione, definita su $A = RR \backslash \{0\}$, che in un punto $x \in A$ assume valore $1/x$.
Ne segue che questa funzione è continua. (Dettagliando, ed usando un linguaggio più "elementare": è continua su tutto il suo insieme di definizione).
Tutto questo non si discute.
Quindi, da un punto di vista formale, non ha senso dire che abbiamo una funzione discontinua in 0.
Ma, anche qui, subentrano le convenzioni...
Se un collega, parlando, mi dice che questa è una funzione discontinua in 0, non lo interrompo dicendogli: "Ha! Sbagliato! Errore grave, da penna blu!". Semplicemente interpreto quello che lui dice nel modo seguente: "non è possibile prolungare la funzione in 0 in modo da ottenere una funzione continua in 0" (come già detto in post passati da Luca.Lussardi).

E, allora, i prof di liceo sbagliano? Non so. Loro hanno la difficoltà di trasmettere un messaggio corretto ma anche adeguato al livello di conoscenza di chi hanno di fronte. Per cui si trovano a dover fare dei compromessi (come molte "dimostrazioni" che si fanno al liceo). Quale è il livello adeguato del discorso, tenendo anche conto degli "errori postumi" (e le incertezze) che ne possono derivare? Non so. Per fortuna non è il mio mestiere rispondere a domande così difficili!

Buon sabato a tutti

Luca.Lussardi
Ottima risposta Fioravante, chiara, completa e, ovviamente, corretta.

La continuità è in effetti una di quelle definizioni di importanza capitale che si è molto evoluta nel tempo (non credete che Cauchy la pensava come noi...) fino ad arrivare alla versione di oggi, che appare estremamente stabile e flessibile.

Forse tra un centinaio di anni la nostra definizione di continuità farà ridere, ma per cambiare strada occorrerebbero motivazioni che vanno certamente al di là della semplice questione sulle singolarità eliminabili o che cosa siano i punti di discontinuità.

laura.todisco
Premetto che io non ho fatto il Liceo, quindi ho studiato analisi per la prima volta all'Università.
Ho studiato dal Giusti vol1 il quale testualmente riporta quanto segue a pag 147 della ristampa 1984:
"Un secondo tipo di discontinuità si ha nei punti $x_0$ in cui i limiti destro e sinistro esistono ma uno dei due o ambedue sono infiniti. Un tipico esempio è costituito da $1/x$ o $1/(x^2)$......."
Sui libri di testo che utilizzo a scuola, Dodero-Baroncini, mi dà gli stessi casi.
Ho sempre insegnato questo ai miei alunni. Meno male che frequento questo forum... e non sto ironizzando, dico davvero, c'è sempre da imparare.

Fioravante Patrone1
mi quoto...

"Fioravante Patrone":

Se un collega, parlando, mi dice che questa è una funzione discontinua in 0, non lo interrompo dicendogli: "Ha! Sbagliato! Errore grave, da penna blu!". Semplicemente interpreto quello che lui dice nel modo seguente: "non è possibile prolungare la funzione in 0 in modo da ottenere una funzione continua in 0" (come già detto in post passati da Luca.Lussardi).

E, allora, i prof di liceo sbagliano? Non so. Loro hanno la difficoltà di trasmettere un messaggio corretto ma anche adeguato al livello di conoscenza di chi hanno di fronte. Per cui si trovano a dover fare dei compromessi (come molte "dimostrazioni" che si fanno al liceo). Quale è il livello adeguato del discorso, tenendo anche conto degli "errori postumi" (e le incertezze) che ne possono derivare? Non so. Per fortuna non è il mio mestiere rispondere a domande così difficili!


Credo che quanto dice Laura.Todisco abbia già una risposta (per lo meno la mia) in quello che dicevo.

Che un testo da liceo usi quindi quel linguaggio, non mi stupisce per nulla. Non ho sottomano i testi che citi e mi piacerebbe vedere il contesto in cui Giusti fa l'affermazione che citi. Che, comunque, non mi scandalizza.

Provo comunque a esprimere quanto intendevo dire (cfr. il "quote") con altre parole. E' prassi diffusa dire che una funzione è discontinua in un punto $x_0$ nel quale essa non è definita (anche se ciò è formalmente sbagliato) intendendo con ciò che la funzione data non è prolungabile per coninuità in quel punto.
Cioè, non c'è modo di definire una nuova funzione che:
- coincida con quella data in tutti i punti in cui la vecchia funzione è definita
- che sia definita anche in $x_0$
- che sia continua in $x_0$
Aggiungo che anche queste sono cose che Luca.Lusardi aveva già detto in precedenza in questo thread.

Una nota finale, di carattere linguistico. Visto che da altre parti del forum si fanno dissertazioni di questo tipo, osservo che i titolo di questo thread: "prolungamento di funzione a continuità " è scorretto.

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