Pipponi sul differenziale!!
[tex]Salve a tutti, mi chiamo Fabio e sono uno studente al II anno del c.d.l. triennale in matematica presso l'Università degli Studi di Bari.
E' da tempo che sono "tormentato" dal concetto di differenziale. Purtroppo nessuno dei corsi che ho seguito ha del tutto risolto i miei dubbi (anzi), e non ho neanche trovato un testo che spiegasse con chiarezza quello che non riesco a mandare giù.
Mi spiego (mi limito al caso di R, tralasciando tutta la trattazione nel caso di un generico spazio normato E):
Considerata una funzione f:A->R^n, A aperto di R^n, n>=1, x0 in R^n; a lezione, ci è stato presentato il "differenziale totale" di f in x0 come l'applicazione lineare df(x0):R^n->R definita ponendo df(x0)(x):= (ove con <,> indico il prodotto scalare).
Nelle stesse ipotesi abbiamo detto che una funzione si dice differenziabile se è solo se il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-]/||x-x0|| è uguale a zero (ove || . || è una generica norma su R^n).
Abbiamo poi caratterizzato le funzioni differenziabili come quelle funzioni tali che esiste un apllicazione lineare L:R^n->R per cui il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-L(x-x0)]/||x-x0|| è uguale a zero; in tal caso L è unica e dicesi "derivata secondo Fréchet di f" e si denota f'(x0).
Questa "derivata secondo Fréchet di f in x0" è l'applicazione lineare la cui matrice associata è la matrice Jacobiana di f in x0; mi è parso di capire, vagando in rete tra wikipedia e dispense di vari docenti nonchè consultando il testo consigliato, che questa applicazione L è quello che viene comunemente indicato come il "differenziale della f in x0".
Nel caso di funzioni di una variabile reale f:I->R, I intervallo, dunque risulta che L(x)=f'(x0)x (oppure come ho trovato scritto dovunque, df(x0)(x)=f'(x0)x).
A questo punto vi invito a leggere il paragrafetto "La notazione di Leibniz nel caso di funzioni da R in R" nella pag. di Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Differenzi ... ematica%29 in cui si sfrutta la linearità dell'applicazione identica per "ritrovare" un'origine formale della notazione di Leibnitz per la derivata di una funzione reale di variabile reale.
<>
Infatti, ben ricordo che nei corsi di analisi del primo anno il mio prof. precisò che la notazione df/dx è SOLO un SIMBOLO. Fin qui vi starete chiedendo: ma questo che vuole?
Ecco, i corsi di fisica hanno contribuito non poco a confondermi le idee. Infatti le cosiddette "quantità infinitesime" o "piccole" che dir si voglia, nello studio della fisica classica (I e II) e della fisica matematica sono all'ordine del giorno; tuttavia questi simpatici dx, dy, dt, dv, dr, ecc. sono utilizzati con nonchalance come fossero numeri finiti (pertanto sono oggetto di calcoli algebrici veri e propri), per poi diventare "quando fa comodo" derivate o comode basi per integrare. Credo che tutto ciò sia formalmente possibile solo perché in fisica (essendo una scienza sperimntale) non esistono delle quantità infinitesime in senso matematico, ma si parla sempre di quantità "piccole" in realazione ai proprio scopi; dunque la "trasformazione" apparentemente magica dei rapporti di questi incrementini in derivate vere e proprie sottende un processo di rapporto incrementale. Almeno credo. Boh! Sarebbe grandioso se qualcuno di voi potesse aiutarmi a dare delle risposte formali a questi dubbi (le operazioni su infinitesime sono accettate nel'ambito dell'analisi non-standard, ma nella teoria di Cauchy e soci non è per niente formale!).
A peggiorare le cose è stata la definizione della corrente istantanea I=dq/dt, dove quel rapporto sebbene abbia lo stesso simbolo di una derivata non è una derivata ma un rapporto tra quantità elementari (la carica infinitesima dq che fluisce attraverso una superficie S nell'intervallo di tempo dt; la carica non si esprime come funzione del tempo infatti). Ma insomma questi fisici, fanno proprio il cavolo che gli pare con questi dx,dy,d...?!?!
Come se non bastasse, a "distruggermi" la mente (già di per sè malconcia) c'è il famigerato dx che compare sotto il segno di integrale! Nella formulazione dell'integrale di Riemann si definisce l'integrale attraverso somme superiori/inferiori (non mi interessa in questo contesto entrare nei dettagli) e si definisce quel numero con il simbolo che tutti conosciamo in cui compare dx per ricordarci la variabile rispetto a cui integrare, ma è solo un simbolo! Siamo proprio sicuri? NO! Infatti nella risoluzioni di integrali indefiniti per sostituzione (ad es. f(x)=g(y) per qualche funzione g) occorre cambiare anche questo caspita di dx sfruttando in pratica l'identità f'(x)dx=g'(y)dy: ecco che ricompare il differenziale!! Infatti da molte parti il differenziale di una funzione di una variabile l'ho trovato definito come df=f' dx (sebbene non mi sia del tutto chiaro il significato dei suddetti simboli; il differenziale non era una funzione relativa a un certo punto fissato x0? ossia l'approsimazione in quel punto di f con un'appl. lineare?). A questo interrogativo sembra rispondere un prof. dell'uni. di Firenze in questa dispensa http://web.math.unifi.it/users/ricci/int_sost.pdf.
Insomma ho le idee poco chiare su questo oggetto e mi sembra molto grave per uno studente di matematica; riconosco i miei limiti, ma certe cose dovrebbero essere spiegate nei corsi di base! I miei colleghi non si sono neanche posti di questi problemi, ma il mio spirito critico mi porta ad arrovellarmi su queste questioni; poco m'iporta che "così si fa" e che "funziona". Ho preso i miei sudati 30 agli esami di analisi (I, II e III) fin qui sostenuti ma non è certo questo che metterà a tacere i miei "patemi" analitici.
Ho scritto probabilmente troppa roba, non ho la forza di rileggerla! (spero non ci siano errori gravi)
Mi auguro che qualcuno di voi sappia darmi delle risposte in merito alla questione "differenziale". Tra le delusioni più grandi della mia carriera universitaria c'è la quasi totale mancanza di discussione con i miei colleghi su queste questioni, l'importante pare essere solo superare gli esami...
Ad ogni modo ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di leggere il mio post, speriamo che si apra un dibattito interessante
E' da tempo che sono "tormentato" dal concetto di differenziale. Purtroppo nessuno dei corsi che ho seguito ha del tutto risolto i miei dubbi (anzi), e non ho neanche trovato un testo che spiegasse con chiarezza quello che non riesco a mandare giù.
Mi spiego (mi limito al caso di R, tralasciando tutta la trattazione nel caso di un generico spazio normato E):
Considerata una funzione f:A->R^n, A aperto di R^n, n>=1, x0 in R^n; a lezione, ci è stato presentato il "differenziale totale" di f in x0 come l'applicazione lineare df(x0):R^n->R definita ponendo df(x0)(x):=
Nelle stesse ipotesi abbiamo detto che una funzione si dice differenziabile se è solo se il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-
Abbiamo poi caratterizzato le funzioni differenziabili come quelle funzioni tali che esiste un apllicazione lineare L:R^n->R per cui il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-L(x-x0)]/||x-x0|| è uguale a zero; in tal caso L è unica e dicesi "derivata secondo Fréchet di f" e si denota f'(x0).
Questa "derivata secondo Fréchet di f in x0" è l'applicazione lineare la cui matrice associata è la matrice Jacobiana di f in x0; mi è parso di capire, vagando in rete tra wikipedia e dispense di vari docenti nonchè consultando il testo consigliato, che questa applicazione L è quello che viene comunemente indicato come il "differenziale della f in x0".
Nel caso di funzioni di una variabile reale f:I->R, I intervallo, dunque risulta che L(x)=f'(x0)x (oppure come ho trovato scritto dovunque, df(x0)(x)=f'(x0)x).
A questo punto vi invito a leggere il paragrafetto "La notazione di Leibniz nel caso di funzioni da R in R" nella pag. di Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Differenzi ... ematica%29 in cui si sfrutta la linearità dell'applicazione identica per "ritrovare" un'origine formale della notazione di Leibnitz per la derivata di una funzione reale di variabile reale.
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Infatti, ben ricordo che nei corsi di analisi del primo anno il mio prof. precisò che la notazione df/dx è SOLO un SIMBOLO. Fin qui vi starete chiedendo: ma questo che vuole?
Ecco, i corsi di fisica hanno contribuito non poco a confondermi le idee. Infatti le cosiddette "quantità infinitesime" o "piccole" che dir si voglia, nello studio della fisica classica (I e II) e della fisica matematica sono all'ordine del giorno; tuttavia questi simpatici dx, dy, dt, dv, dr, ecc. sono utilizzati con nonchalance come fossero numeri finiti (pertanto sono oggetto di calcoli algebrici veri e propri), per poi diventare "quando fa comodo" derivate o comode basi per integrare. Credo che tutto ciò sia formalmente possibile solo perché in fisica (essendo una scienza sperimntale) non esistono delle quantità infinitesime in senso matematico, ma si parla sempre di quantità "piccole" in realazione ai proprio scopi; dunque la "trasformazione" apparentemente magica dei rapporti di questi incrementini in derivate vere e proprie sottende un processo di rapporto incrementale. Almeno credo. Boh! Sarebbe grandioso se qualcuno di voi potesse aiutarmi a dare delle risposte formali a questi dubbi (le operazioni su infinitesime sono accettate nel'ambito dell'analisi non-standard, ma nella teoria di Cauchy e soci non è per niente formale!).
A peggiorare le cose è stata la definizione della corrente istantanea I=dq/dt, dove quel rapporto sebbene abbia lo stesso simbolo di una derivata non è una derivata ma un rapporto tra quantità elementari (la carica infinitesima dq che fluisce attraverso una superficie S nell'intervallo di tempo dt; la carica non si esprime come funzione del tempo infatti). Ma insomma questi fisici, fanno proprio il cavolo che gli pare con questi dx,dy,d...?!?!
Come se non bastasse, a "distruggermi" la mente (già di per sè malconcia) c'è il famigerato dx che compare sotto il segno di integrale! Nella formulazione dell'integrale di Riemann si definisce l'integrale attraverso somme superiori/inferiori (non mi interessa in questo contesto entrare nei dettagli) e si definisce quel numero con il simbolo che tutti conosciamo in cui compare dx per ricordarci la variabile rispetto a cui integrare, ma è solo un simbolo! Siamo proprio sicuri? NO! Infatti nella risoluzioni di integrali indefiniti per sostituzione (ad es. f(x)=g(y) per qualche funzione g) occorre cambiare anche questo caspita di dx sfruttando in pratica l'identità f'(x)dx=g'(y)dy: ecco che ricompare il differenziale!! Infatti da molte parti il differenziale di una funzione di una variabile l'ho trovato definito come df=f' dx (sebbene non mi sia del tutto chiaro il significato dei suddetti simboli; il differenziale non era una funzione relativa a un certo punto fissato x0? ossia l'approsimazione in quel punto di f con un'appl. lineare?). A questo interrogativo sembra rispondere un prof. dell'uni. di Firenze in questa dispensa http://web.math.unifi.it/users/ricci/int_sost.pdf.
Insomma ho le idee poco chiare su questo oggetto e mi sembra molto grave per uno studente di matematica; riconosco i miei limiti, ma certe cose dovrebbero essere spiegate nei corsi di base! I miei colleghi non si sono neanche posti di questi problemi, ma il mio spirito critico mi porta ad arrovellarmi su queste questioni; poco m'iporta che "così si fa" e che "funziona". Ho preso i miei sudati 30 agli esami di analisi (I, II e III) fin qui sostenuti ma non è certo questo che metterà a tacere i miei "patemi" analitici.
Ho scritto probabilmente troppa roba, non ho la forza di rileggerla! (spero non ci siano errori gravi)
Mi auguro che qualcuno di voi sappia darmi delle risposte in merito alla questione "differenziale". Tra le delusioni più grandi della mia carriera universitaria c'è la quasi totale mancanza di discussione con i miei colleghi su queste questioni, l'importante pare essere solo superare gli esami...
Ad ogni modo ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di leggere il mio post, speriamo che si apra un dibattito interessante

Risposte
https://www.matematicamente.it/forum/int ... 56100.html
http://www.diptem.unige.it/patrone/chi_ ... gativo.pdf
e,se vuoi, un'occhiata al metodo "urang utang"
Gli appunti di Ricci mi sembrano egregi!
http://www.diptem.unige.it/patrone/chi_ ... gativo.pdf
e,se vuoi, un'occhiata al metodo "urang utang"
Gli appunti di Ricci mi sembrano egregi!
"Fioravante Patrone":
https://www.matematicamente.it/forum/intregrale-ma-cos-e-dx-t56100.html
http://www.diptem.unige.it/patrone/chi_ ... gativo.pdf
e,se vuoi, un'occhiata al metodo "urang utang"
Gli appunti di Ricci mi sembrano egregi!
Grazie prof. Patrone! Mi ero già imbattuto in questa discussione e avevo già letto la sua utile dispensione.
Incuriosito da questo misterioso "urang utang", ho ritrovato altre vecchie discussioni che segnalo di seguito per gli interessati:
https://www.matematicamente.it/forum/equ ... 56-20.html
https://www.matematicamente.it/forum/coe ... 14668.html
Conclusioni:
- Il differenziale di una funzione è quell'unica applicazione lineare tale che..., ovvero, come scrivevo sopra, quello che nella teoria presentatami dal mio professore è la "derivata secondo Frèchet"; per il mio professore il diffrenziale totale di f in un punto x* è definito come prodotto scalare tra il grad di x* in quel punto e (x-x*). Secondo lei perché viene presentato questo differenziale totale in maniera a sè stante? Che poi il diff. tot. altro non è "ciò che rende quel limite famoso uaguale a zero", ossia l'usule differenziale calcolato in (x-x*).
- Il dx negli integrali è solo un simbolo (come ben spiegano le dispense del prof. Ricci) e quella che io ho citato come "formula" ( f'(x)dx=g'(y)dy ) per risolvere gli integrali per sostituzioni è una boiata che parte dalle stesse premesse sbagliate del metodo urang-utang. La def che molti professori e testi riportano di differenziale di funzioni di una variabile come df=f'*dx è una sorta di arcaismo (che NON esiste nell'attuale formalismo dell'analisi matematica!), quel che rimane dell'analisi infinitesimaledi Leibnitz e sopravvisuta alla revisione di Cauchy-Weierstrass fondata sul concetto di limite. Con la def formale del differenziale come applicazione lineare si ritrova (come nel link di Wikipedia riportato sopra) una sorta di giustificazione della notazione di Leibnitz che non permette assolutamente, però, di operare sugli infinitesimi!
Il metodo da sempre spacciatomi come buono per la risoluzione degli integrali per sostituzioni funziona ma non è formalmente giustificabile; riporto come esempio questo esercizio svolto un annetto fa:
[tex]$\int x\sqrt\frac{1-x^2}{1+x^2} dx$[/tex]
faccio la sostituzione: [tex]x^2= \cos t $\Rightarrow$ t=\arccos(x^2)[/tex]
[tex]2xdx=\frac{-\sin(t) dt}{2} $\Rightarrow$ xdx=-\sin(t) dt[/tex] (sic!)
e l'integrale diventa: [tex]$\int \sqrt\frac{1-\cos t}{1+\cos t }*\frac{-\sin t}{2} dt$[/tex]
e da qui si va avanti facilmente riconoscento [tex]$\sqrt\frac{1-\cos t}{1+\cos t }=\tan \frac{t}{2}=\frac { \sin \frac{t}{2}}{ \cos \frac{t}{2}}[/tex] e [tex]\sin t = 2 \sin \frac{t}{2} \cos \frac{t}{2}[/tex]
Ora mi sorge il dubbio; come avrei dovuto procedere a rigore, dopo aver effettuato quella sostituzione, per ricavare il nuovo "differenziale"?
Ora starò più attento anche negli esercizi su forme diff ed equazioni differenziali!
- Infinite una considerazione sui fisici: nei loro conti considerare la derivta il rapporto di "infinitesimi" opp. utilizzare tali "infinitesimi" come "differenziali" per integrare è all'ordine del giorno, praticamente non sanno operare diversamente da così! Come se per loro l'analisi sia rimasta ferma a Leibnitz! Tuttavia credo che per gli scopi di una scienza applicata il "basta che funzioni" è ciò che conta; alla fine un "infinitesimo" fisico ha, forse, la sua ragion d'essere: è una quantità "molto piccola" (relativamente al contesto) dunque dotata di dimensioni diverse da zero ed utilizzabile come un "numero" nei conticini; tuttavia, quando fa comodo, si può anche approsimare questa quantità con zero dato che ad un fisico ricerca risultati numericamente "consistenti" nell'esperienza.
Prof. lei cosa ne pensa? La mia "idea" le sembra sensata? Altrimenti non si capisce di come il mondo non si ribelli al fatto che i fisici considerino praticamente la derivata di una funzione come il rapporto di infinitesimi (senza far uso dell'analisi non-standard ovviamente)!
Se questa fosse l'idea che c'è alla base, mi starebbe bene; però non sopporto i prof. di fisica che fanno tutti questi passaggi senza preoccuparsi minimamente di giustificare le loro "malefatte", come se fosse tutto naturale! Addirittura ho l'impressione che ritengano noi studenti di matematica degli incapaci perché, anche in quello che secondo loro è il nostro campo (derivate, integrali ed eq. diff... come se la matematica fosse tutta qui!), sono molto più abili di noi! Temo che non sappiano quello che fanno! Non fanno alcuna precisazione perché non sono consci di quale obrobbio matematico si rendano colpevoli!
Cauchy perdona loro, non sanno quello che fanno!

Appena ho un po' di tempo studierò con attenzione tutto il materiale sul metodo urang-utang che ho scaricato dalla sua pagina (per ora ho solo sfogliato tutto).
Sono davvero onorato di aver "incontrato" una professore, ma soprattutto un uomo, come lei!
Grazie e ancora complimenti.
A risentirla!
"Fioravante Patrone":
Gli appunti di Ricci mi sembrano egregi!
Davvero!
"haterofman":
Ora mi sorge il dubbio; come avrei dovuto procedere a rigore, dopo aver effettuato quella sostituzione, per ricavare il nuovo "differenziale"?
Ora starò più attento anche negli esercizi su forme diff ed equazioni differenziali!
Integrazione per sostituzione. Quando hai affrontato l'integrazione in più variabili, hai dovuto introdurre il determinante dello Jacobiano della trasformazione (come fattore di riscalamento puntuale dell' "elemento di volume" dello spazio con vertice in quel punto, però non badare troppo a questa cosa, serve a farsi un'idea di quello che si sta facendo). Se riduci ad una variabile questo metodo (giusto e rigoroso), che cosa ottieni?
"haterofman":
- Infinite una considerazione sui fisici: nei loro conti considerare la derivta il rapporto di "infinitesimi" opp. utilizzare tali "infinitesimi" come "differenziali" per integrare è all'ordine del giorno, praticamente non sanno operare diversamente da così!
Parlare di infinitesimi - o meglio passare al limite - dovrebbe essere solo l'aspetto finale del ragionamento che un fisico dovrebbe condurre per la costruzione di un modello che descriva certe cose tramite equazioni differenziali, ad esempio.
Si dovrebbe partire da quantità finite delle variabili associate alle grandezze fisiche che voglio quantificare (tramite misura), e ragionare opportunamente sulla fenomenologia osservabile entro quella scala ( risoluzione) della grandezza fisica apprezzabile (agli strumenti con cui intendo verificare tale modello). Passare al limite significa iterare poi su tutte le scale quel tipo di comportamento formalizzato. Come vedi non è fatto breve, forse nemmeno semplice, e spesso si taglia corto.
"haterofman":
Temo che non sappiano quello che fanno!
I fisici teorici buoni sanno quello che fanno.
"GianlucaN":
Integrazione per sostituzione. Quando hai affrontato l'integrazione in più variabili, hai dovuto introdurre il determinante dello Jacobiano della trasformazione (come fattore di riscalamento puntuale dell' "elemento di volume" dello spazio con vertice in quel punto, però non badare troppo a questa cosa, serve a farsi un'idea di quello che si sta facendo). Se riduci ad una variabile questo metodo (giusto e rigoroso), che cosa ottieni?
Non ho affrontato l'integrazione in più variabili! Sarà oggetto di quest'ultimo mese del mio corso di Analisi IV.
"GianlucaN":
Parlare di infinitesimi - o meglio passare al limite - dovrebbe essere solo l'aspetto finale del ragionamento che un fisico dovrebbe condurre per la costruzione di un modello che descriva certe cose tramite equazioni differenziali, ad esempio.
Si dovrebbe partire da quantità finite delle variabili associate alle grandezze fisiche che voglio quantificare (tramite misura), e ragionare opportunamente sulla fenomenologia osservabile entro quella scala ( risoluzione) della grandezza fisica apprezzabile (agli strumenti con cui intendo verificare tale modello). Passare al limite significa iterare poi su tutte le scale quel tipo di comportamento formalizzato. Come vedi non è fatto breve, forse nemmeno semplice, e spesso si taglia corto.
Il punto è che, dopo essere partiti col ragionare su quantità finite, si passa a considerare quantità "piccole" ("infinitesime", a loro detta) che si continuano ad utilizzare nei conti/dimostrazioni come numeri reali. Alla fine di tutto magari ci si ritrova un rapporto di questi "infinitesimi" ed ecco comparire una bella derivata (con l'espressione tipica del prof di fisica di turno a voler dire: stupidi studenti di matematica, vivete di queste "stronzate" e non riconoscete che questo rapporto (sic!) è una dannata derivata?!). Oppure, si arriva ad avere un " d-qualcosa = qualche-funzione-di-x dx " e vai con l'integrazione (magari anche un bell'integrale di volume o di superficie)!
Ma insomma, è pretendere troppo richidere che nell'utilizzo "sconsiderato" dei vari dx, dt, d-theta, dr, dV, dS, lo studente venga perlomeno messo in guardia e rassicurato sulla "bontà" del procedimento con una qualche giustificazione? Perché sono sicuro (sono sicuro?) che esista tale giustificazione...
"GianlucaN":
[quote="haterofman"]
Ora mi sorge il dubbio; come avrei dovuto procedere a rigore, dopo aver effettuato quella sostituzione, per ricavare il nuovo "differenziale"?
Ora starò più attento anche negli esercizi su forme diff ed equazioni differenziali!
Integrazione per sostituzione. Quando hai affrontato l'integrazione in più variabili, hai dovuto introdurre il determinante dello Jacobiano della trasformazione (come fattore di riscalamento puntuale dell' "elemento di volume" dello spazio con vertice in quel punto, però non badare troppo a questa cosa, serve a farsi un'idea di quello che si sta facendo). Se riduci ad una variabile questo metodo (giusto e rigoroso), che cosa ottieni?
[/quote]Questo mi ricorda la polemica di Marx nei confronti di Hegel, che affermò la necessità di rimettere la dialettica a testa in sù

E' un'idea strana quella di dedurre il teorema sull'integrazione per sostituzione di funzioni di una variabile da quello in più variabili.
Basta leggere un qualsiasi ragionevole manuale su funzioni di una variabile e vi si trova il teorema di integrazione per sostituzione.
"GianlucaN":E, come ogni buona setta che si rispetti, evitano di diffonere il loro sapere agli altri?
I fisici teorici buoni sanno quello che fanno.
"haterofman":
[tex]$\int x\sqrt\frac{1-x^2}{1+x^2} dx$[/tex]
faccio la sostituzione: [tex]x^2= \cos t $\Rightarrow$ t=\arccos(x^2)[/tex]
[tex]2xdx=\frac{-\sin(t) dt}{2} $\Rightarrow$ xdx=-\sin(t) dt[/tex] (sic!)
e l'integrale diventa: [tex]$\int \sqrt\frac{1-\cos t}{1+\cos t }*\frac{-\sin t}{2} dt$[/tex]
e da qui si va avanti facilmente riconoscento [tex]$\sqrt\frac{1-\cos t}{1+\cos t }=\tan \frac{t}{2}=\frac { \sin \frac{t}{2}}{ \cos \frac{t}{2}}[/tex] e [tex]\sin t = 2 \sin \frac{t}{2} \cos \frac{t}{2}[/tex]
In effetti basta ragionare con il teorema di integrazione delle funzioni composte.
La sostituzione [tex]x^2= \cos t $\Rightarrow$ t=\arccos(x^2)[/tex] (oss. che il dominio della funzione integranda è [-1,1], dunque [tex]x^2[/tex] è in [0,1] ove l'arccos è definito) corrisponde al cambio di variabile [tex]x=\phi(t)[/tex], con [tex]\phi(t):=\sqrt \cos t[/tex] (oss. che [tex]\phi[/tex] va definita in [0,pi/2] ed è ivi invertibile e derivabile (tranne in pi/2 a dire il vero)).
Sia F una primitiva di [tex]f(x):= x\sqrt\frac{1-x^2}{1+x^2}[/tex] e sia G la funzione composta [tex]G:=F\circ\phi[/tex].
Allora [tex]G'(t)=F'(\phi(t))*\phi'(t)=f(\phi(t))*\phi'(t)[/tex], ovvero G è una primitiva della funzione [tex]g(t):=f(\phi(t))\phi'(t)[/tex].
Pertanto risolvere l'integrale di partenza (ovvero determinare una primitiva F di f) equivale a determinare una primitiva G di g e ritornare alla variabile x tramite [tex]\phi^{-1}[/tex], infatti [tex]G=F\circ\phi \Rightarrow F={\phi}^{-1} \circ G[/tex].
Alla luce di ciò, in generale, quando si effettua (al momento del cambio di variabile) la sostituzione "classica" [tex]dx=\phi'(t)dt[/tex] questa non è nient'altro che una POSIZIONE (meglio [tex]dx:=\phi'(t)dt[/tex]?) che ha la sua spiegazione teorica nell'applicazione del teorema di derivazione delle funzioni composte e che "si porta dietro" i dx, dt come SIMBOLI (senza tirare in ballo il concetto di differenziale "alla Leibnitz", per intenderci) che stiano a ricordare la variabile rispetto a cui integrare.
Giusto?
Infatti, una delle ragioni per cui questi "dx" sono sopravvissuti è il loro ausilio mnemonico.
Vedasi (pag. 15 in particolare):
http://dri.diptem.unige.it/Dispense_ana ... _cap_5.pdf
Dove appunto osservo che se questo "fossile" rappresentato dal $dx$ è sopravvissuto alla selezione naturale nel mondo delle notazioni, una qualche ragione ci dovrà pur essere. E questa è una.
Ovviamente le "formule" di integrazione (parti e sostituzione) sono figlie dei teoremi sulle derivate e del tfci (teor fondam del calc integrale).
Ultimo commento, metodologico: perché fare esempi così "difficili"? E' fuorviante. Io farei esempi molto più banali. Qui non è in discussione un aspetto calcolistico, ma si tratta solo di capire "come funziona". Perché radici, frazioni, sostituzioni complicate?
Vedasi (pag. 15 in particolare):
http://dri.diptem.unige.it/Dispense_ana ... _cap_5.pdf
Dove appunto osservo che se questo "fossile" rappresentato dal $dx$ è sopravvissuto alla selezione naturale nel mondo delle notazioni, una qualche ragione ci dovrà pur essere. E questa è una.
Ovviamente le "formule" di integrazione (parti e sostituzione) sono figlie dei teoremi sulle derivate e del tfci (teor fondam del calc integrale).
Ultimo commento, metodologico: perché fare esempi così "difficili"? E' fuorviante. Io farei esempi molto più banali. Qui non è in discussione un aspetto calcolistico, ma si tratta solo di capire "come funziona". Perché radici, frazioni, sostituzioni complicate?
Vorrei citare il mio testo di fisica 1 "Elementi di Fisica, Meccanica - Termodinamica" (Mazzoldi, Nigro, Voci). A pag. 406 nell'appendice sui richiamo matematici (e in quelle a seguire!) si posso leggere cose alquanto discutibili:

By haterofman at 2011-05-08
http://img84.imageshack.us/i/imgnvg.jpg/
Perché i fisici non sentono il bisogno di giustificare il loro approccio "diverso" (per usare un eufemismo) all'analisi matematica?

By haterofman at 2011-05-08
http://img84.imageshack.us/i/imgnvg.jpg/
Perché i fisici non sentono il bisogno di giustificare il loro approccio "diverso" (per usare un eufemismo) all'analisi matematica?
"Fioravante Patrone":
E' un'idea strana quella di dedurre il teorema sull'integrazione per sostituzione di funzioni di una variabile da quello in più variabili.
Si, lo riconosco. Volevo solo passare l'idea a partire dalla circostanza in cui utilizzava il metodo giusto perchè non "poteva fare scherzi"...

"Fioravante Patrone":
E, come ogni buona setta che si rispetti, evitano di diffonere il loro sapere agli altri?
Sottolineo buoni e per sperare di diventare un fisico teorico "buono" (fisico teorico buono $=^(def)=$ che capisce cosa sta facendo

Guardando i programmi e lo studente quadratico medio mi rendo conto di fatto che non a tutti interessano questi aspetti, perchè l'ottica spesso è che "l'importante è superare l'esame", recitando le cose che hanno raccontato a lezione. E allora la gente semplifica i dx, perchè quello è il "metodo"...
"haterofman":Questi autori sono già stati citati altrove, indovina un po' perché
Vorrei citare il mio testo di fisica 1 "Elementi di Fisica, Meccanica - Termodinamica" (Mazzoldi, Nigro, Voci). A pag. 406 nell'appendice sui richiamo matematici (e in quelle a seguire!) si posso leggere cose alquanto discutibili:

http://it.answers.yahoo.com/question/in ... 253AALVhON
Comunque, in questo forum si tratta di un tema ricorrente.
Vi sono molte discussioni in cui si affronta questa problematica, e penso che ve ne saranno ancora molte in futuro.
Ciao a tutti,
ma ragazzi...qui manca il contraddittorio dei fisici teorici!!!!! Uahahahah.......
Bè....eccolo!
Per quanto ne so la preparazione matematica di un fisico teorico avviene a pane e "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici". Questo fatto necessita di essere contestualizzato e contribuisce ad allargare il divario concettuale tra matematici e fisici.
Secondo me il punto di tutta la questione è la risposta alla domanda: qual'è l'aspetto chiave di un problema? Credo che siamo tutti daccordo sul fatto che le risposte di fisici e matematici non potrebbero essere più diverse. Infatti laddove il fisico vuole estrarre numeri e grafici, il matematico è interessato ad aspetti come una buona formulazione del problema o l'esistenza delle soluzioni (certamente sto banalizzando e generalizzando, però il cuore della differenza sta lì, per me). Quindi mi immagino una situazione in cui un fisico, tutto fiero di avere appena calcolato (usando urang-utang mettiamo) la correzione a due loop del propagatore fotonico (compito veramente impegnativo ve lo assicuro), va dal suo amico matematico e gliela mostra. Credo che nell'ottica di quello che dicevo sopra la reazione del matematico potrebbe essere "ecchissene...l'hai ottenuto con un metodo che fa acqua da tutte le parti, come puoi pensare che sia corretto?". E viceversa.
E' vero che non possiamo fare i giochetti con i differenziali, però c'è il teorema del cambio di variabile che ci assicura che funzionano. Ci sono tantissimi altri esempi. Le distribuzioni venivano usate (senza capire bene cosa fossero, ma con successo) da molto prima che Schwarz e gli altri formalizzassero il tutto. Tutta la meccanica quantistica si appoggia sull'analisi funzionale e ne ha stimolato una formulazione rigorosa. Senza il lavoro di Levi-Civita e di Ricci-Curbastro, Einstein se la scordava la relatività generale.
Quindi, per come la vedo io, il nostro gap è forse, al tempo stesso, la nostra ricchezza più preziosa perchè il lavoro degli uni stimola gli altri e viceversa. Che prezzo ha questo motore immobile di progresso del sapere? Per i matematici è quel caratteristico brividino di freddo, che immagino percorra le schiene, misto a ira funesta davanti a semplificazioni di $dx$ e altre amenità del genere(*). Mentre per i fisici è quel (forse un po' borioso) senso di "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici" solo perchè storicamente ci siamo concentrati sugli aspetti quantitativi. E' come un matrimonio, solo che va avanti da Pitagora ad oggi...
In conclusione non smetterò mai di ringraziare per il teorema del cambio di variabili dentro agli integrali ma continuerò ad usare
[tex]dx = v dt[/tex]
tutta la vita!
Peace & Love & Knowledge
Ale
(*) A questo proposito vi consiglio la teoria dei campi che è una galleria degli orrori di quanto poco possono essere formali e rigorosi i fisici...però non c'è mai stata un'altra teoria che abbia avuto un tale accordo con gli esperimenti...quindi sappiamo quello che stiamo facendo!
ma ragazzi...qui manca il contraddittorio dei fisici teorici!!!!! Uahahahah.......

Bè....eccolo!
Per quanto ne so la preparazione matematica di un fisico teorico avviene a pane e "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici". Questo fatto necessita di essere contestualizzato e contribuisce ad allargare il divario concettuale tra matematici e fisici.
Secondo me il punto di tutta la questione è la risposta alla domanda: qual'è l'aspetto chiave di un problema? Credo che siamo tutti daccordo sul fatto che le risposte di fisici e matematici non potrebbero essere più diverse. Infatti laddove il fisico vuole estrarre numeri e grafici, il matematico è interessato ad aspetti come una buona formulazione del problema o l'esistenza delle soluzioni (certamente sto banalizzando e generalizzando, però il cuore della differenza sta lì, per me). Quindi mi immagino una situazione in cui un fisico, tutto fiero di avere appena calcolato (usando urang-utang mettiamo) la correzione a due loop del propagatore fotonico (compito veramente impegnativo ve lo assicuro), va dal suo amico matematico e gliela mostra. Credo che nell'ottica di quello che dicevo sopra la reazione del matematico potrebbe essere "ecchissene...l'hai ottenuto con un metodo che fa acqua da tutte le parti, come puoi pensare che sia corretto?". E viceversa.
E' vero che non possiamo fare i giochetti con i differenziali, però c'è il teorema del cambio di variabile che ci assicura che funzionano. Ci sono tantissimi altri esempi. Le distribuzioni venivano usate (senza capire bene cosa fossero, ma con successo) da molto prima che Schwarz e gli altri formalizzassero il tutto. Tutta la meccanica quantistica si appoggia sull'analisi funzionale e ne ha stimolato una formulazione rigorosa. Senza il lavoro di Levi-Civita e di Ricci-Curbastro, Einstein se la scordava la relatività generale.
Quindi, per come la vedo io, il nostro gap è forse, al tempo stesso, la nostra ricchezza più preziosa perchè il lavoro degli uni stimola gli altri e viceversa. Che prezzo ha questo motore immobile di progresso del sapere? Per i matematici è quel caratteristico brividino di freddo, che immagino percorra le schiene, misto a ira funesta davanti a semplificazioni di $dx$ e altre amenità del genere(*). Mentre per i fisici è quel (forse un po' borioso) senso di "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici" solo perchè storicamente ci siamo concentrati sugli aspetti quantitativi. E' come un matrimonio, solo che va avanti da Pitagora ad oggi...
In conclusione non smetterò mai di ringraziare per il teorema del cambio di variabili dentro agli integrali ma continuerò ad usare
[tex]dx = v dt[/tex]
tutta la vita!
Peace & Love & Knowledge
Ale
(*) A questo proposito vi consiglio la teoria dei campi che è una galleria degli orrori di quanto poco possono essere formali e rigorosi i fisici...però non c'è mai stata un'altra teoria che abbia avuto un tale accordo con gli esperimenti...quindi sappiamo quello che stiamo facendo!
"alle.fabbri":
Ciao a tutti,
ma ragazzi...qui manca il contraddittorio dei fisici teorici!!!!! Uahahahah.......
Bè....eccolo!
Per quanto ne so la preparazione matematica di un fisico teorico avviene a pane e "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici". Questo fatto necessita di essere contestualizzato e contribuisce ad allargare il divario concettuale tra matematici e fisici.
Secondo me il punto di tutta la questione è la risposta alla domanda: qual'è l'aspetto chiave di un problema? Credo che siamo tutti daccordo sul fatto che le risposte di fisici e matematici non potrebbero essere più diverse. Infatti laddove il fisico vuole estrarre numeri e grafici, il matematico è interessato ad aspetti come una buona formulazione del problema o l'esistenza delle soluzioni (certamente sto banalizzando e generalizzando, però il cuore della differenza sta lì, per me). Quindi mi immagino una situazione in cui un fisico, tutto fiero di avere appena calcolato (usando urang-utang mettiamo) la correzione a due loop del propagatore fotonico (compito veramente impegnativo ve lo assicuro), va dal suo amico matematico e gliela mostra. Credo che nell'ottica di quello che dicevo sopra la reazione del matematico potrebbe essere "ecchissene...l'hai ottenuto con un metodo che fa acqua da tutte le parti, come puoi pensare che sia corretto?". E viceversa.
E' vero che non possiamo fare i giochetti con i differenziali, però c'è il teorema del cambio di variabile che ci assicura che funzionano. Ci sono tantissimi altri esempi. Le distribuzioni venivano usate (senza capire bene cosa fossero, ma con successo) da molto prima che Schwarz e gli altri formalizzassero il tutto. Tutta la meccanica quantistica si appoggia sull'analisi funzionale e ne ha stimolato una formulazione rigorosa. Senza il lavoro di Levi-Civita e di Ricci-Curbastro, Einstein se la scordava la relatività generale.
Quindi, per come la vedo io, il nostro gap è forse, al tempo stesso, la nostra ricchezza più preziosa perchè il lavoro degli uni stimola gli altri e viceversa. Che prezzo ha questo motore immobile di progresso del sapere? Per i matematici è quel caratteristico brividino di freddo, che immagino percorra le schiene, misto a ira funesta davanti a semplificazioni di $dx$ e altre amenità del genere(*). Mentre per i fisici è quel (forse un po' borioso) senso di "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici" solo perchè storicamente ci siamo concentrati sugli aspetti quantitativi. E' come un matrimonio, solo che va avanti da Pitagora ad oggi...
In conclusione non smetterò mai di ringraziare per il teorema del cambio di variabili dentro agli integrali ma continuerò ad usare
[tex]dx = v dt[/tex]
tutta la vita!
Peace & Love & Knowledge
Ale
(*) A questo proposito vi consiglio la teoria dei campi che è una galleria degli orrori di quanto poco possono essere formali e rigorosi i fisici...però non c'è mai stata un'altra teoria che abbia avuto un tale accordo con gli esperimenti...quindi sappiamo quello che stiamo facendo!
Premetto che, in qualità di aspirante matematico, nutro il massimo rispetto per i fisici.
Aggiungo che sono disposto ad accettare l'approccio poco rigoroso agli strumenti matematici che in fisica si ha, a patto che sia un approccio consapevole.
Utilizzare un metodo consapevolmente scorretto, ma rapido, mnemonico, intuitivo e che porta a risultati corretti (dopotutto si tratta di risolvere integrali ed equazioni differenziali, dunque la bontà di un risultato la si può verificare a posteriori), mi può star bene nel contesto di una scienza sperimentale; la cosa inaccettabile è che nè i testi di fisica nè i docenti di fisica si preoccupino di fare alcuna precisazione preliminare, anzi si possono leggere addirittura obrobbi come il "richiamo (sic!) matematico" segnalato in precedenza! Immagino che molti fisici (e non solo, a dire il vero) questo problema non solo non se lo pongano, ma lo ignorino proprio!
Insomma l'atteggiamento "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici" è, per quanto mi riguarda, proprio quello che rende tutto molto più indigesto ad un matematico, o aspirante tale

"haterofman":
Premetto che, in qualità di aspirante matematico, nutro il massimo rispetto per i fisici.
Ovviamente altrettanto.
"haterofman":
Immagino che molti fisici (e non solo, a dire il vero) questo problema non solo non se lo pongano, ma lo ignorino proprio!
Questa mi sembra un po' forte come affermazione. Ignorare una cosa e interessarsi a qualcosa d'altro sono due cose ben diverse.
"haterofman":
Insomma l'atteggiamento "noilamatematicalasappiamomegliodeimatematici" è, per quanto mi riguarda, proprio quello che rende tutto molto più indigesto ad un matematico, o aspirante tale
Come le dimostrazioni (tipo il teorema di Peano-Picard...meraviglioso!!) di esistenza e unicità rendono i corsi di analisi indigesti agli aspiranti fisici. E' proprio quell'amore/odio di cui parlavo prima.
Ti riporto una freddura che gira in dipartimento da me proprio a questo proposito, suona più o meno come
"Teorema di esistenza delle soluzioni" se riesci a calcolarla allora la soluzione esiste
che spero vi strappi un sorriso...

"alle.fabbri":
Secondo me il punto di tutta la questione è la risposta alla domanda: qual'è l'aspetto chiave di un problema? Credo che siamo tutti daccordo sul fatto che le risposte di fisici e matematici non potrebbero essere più diverse. Infatti laddove il fisico vuole estrarre numeri e grafici, il matematico è interessato ad aspetti come una buona formulazione del problema o l'esistenza delle soluzioni (certamente sto banalizzando e generalizzando, però il cuore della differenza sta lì, per me). Quindi mi immagino una situazione in cui un fisico, tutto fiero di avere appena calcolato (usando urang-utang mettiamo) la correzione a due loop del propagatore fotonico (compito veramente impegnativo ve lo assicuro), va dal suo amico matematico e gliela mostra. Credo che nell'ottica di quello che dicevo sopra la reazione del matematico potrebbe essere "ecchissene...l'hai ottenuto con un metodo che fa acqua da tutte le parti, come puoi pensare che sia corretto?". E viceversa.
Ma quando mai?
Non ho mai visto un matematico serio dire, o solo pensare, boiate del genere; al massimo, il matematico risponde "Bene! Ora vediamo come aggiustare tutto" e comincia a buttare il sangue per fornire un teorema di esistenza e/o unicità per la soluzione trovata dal fisico (casomai cominciando con un problema più semplice e via via complicando le cose).
Insomma, sembra che vediate tutto o bianco o nero; ma in realtà non è affatto così.
I ragionamenti di tipo informale/euristico sono importantissimi sia in Fisica che in Matematica (ad esempio, qui) ed, in ogni caso, vanno poi resi rigorosi quando si tratta di formalizzare il tutto.
"alle.fabbri":"Teorema di esistenza delle soluzioni" se riesci a calcolarla allora la soluzione esiste
Questo non è un teorema, ma una semplice tautologia.

"gugo82":
Ma quando mai?
Non ho mai visto un matematico serio dire, o solo pensare, boiate del genere; al massimo, il matematico risponde "Bene! Ora vediamo come aggiustare tutto" e comincia a buttare il sangue per fornire un teorema di esistenza e/o unicità per la soluzione trovata dal fisico (casomai cominciando con un problema più semplice e via via complicando le cose).
Mi sa che non mi sono spiegato bene... Intendevo esattamente quello. Espresso in un altra forma indubbiamente, però l'idea è quella. Tu dici "vediamo come aggiustare" io ho detto un po' più rudemente "non può essere corretto". Questioni semantiche a parte, stiamo entrambi affermando che c'è un problema da risolvere... Forse non ho messo abbastanza l'accento sull'idea centrale che vuole essere
"alle.fabbri":
Quindi, per come la vedo io, il nostro gap è forse, al tempo stesso, la nostra ricchezza più preziosa perchè il lavoro degli uni stimola gli altri e viceversa.
Che è proprio quello che dici tu, se non ho capito male...
haterofman:
Vorrei citare il mio testo di fisica 1 "Elementi di Fisica, Meccanica - Termodinamica" (Mazzoldi, Nigro, Voci). A pag. 406 nell'appendice sui richiamo matematici (e in quelle a seguire!) si posso leggere cose alquanto discutibili:
By haterofman at 2011-05-08
http://img84.imageshack.us/i/imgnvg.jpg/
Perché i fisici non sentono il bisogno di giustificare il loro approccio "diverso" (per usare un eufemismo) all'analisi matematica?
mi sembra che sia tutto corretto invece...
"lisdap":
mi sembra che sia tutto corretto invece...
Sì, al bar sport.
Un altro orango è stato avvistato! Questa volta però l'avvistamento è avvenuto in un "luogo" insolito: Analisi Matematica Due, Fusco-Marcellini-Sbordone.

Uploaded with ImageShack.us
http://img109.imageshack.us/img109/6462 ... icaiis.jpg
P.S.
Prof. Patrone, secondo lei perchè il mio docente di Analisi ha sentito il bisogno di definire il differenziale totale di una funzione e la differenziabilità nel modo seguente.
""
[tex]\Omega[/tex] un aperto di [tex]{\mathbb{R}}^n[/tex]; [tex]f:\Omega$\rightarrow${\mathbb{R}}[/tex] (in realtà abbiamo visto tutto ciò anche nel caso più generale di f a valore in un generico spazio normato), [tex]\bar x \in \Omega[/tex].
DEF: f sia derivabile (nel senso di dotata di tute le derivate parziali) in [tex]$\bar x$[/tex].
Dicesi differenziale di f in [tex]$\bar x$[/tex] l'applicazione [tex]df(\bar x):{\mathbb{R}}^n \rightarrow {\mathbb{R}}[/tex] t.c. per ogni [tex]x \in {\mathbb{R}}^n[/tex] [tex]df(\bar x)(x):=<\nabla f(\bar x), x-\bar x>[/tex].
DEF: f si dice differenziabile in [tex]$\bar x$[/tex] se:
(1) f è derivabile in [tex]$\bar x$[/tex];
(2) [tex]$\lim_{x \to \bar x}\frac{f(x)-f(\bar x)-df(\bar x)(x)}{\|x-\bar x\|}=0$[/tex]
TEOREMA: Le seguenti prop. sono equiv.:
(a) f è differenziabile in [tex]$\bar x$[/tex];
(b) esiste [tex]a \in {\mathbb{R}}^n[/tex] tale che [tex]$\lim_{x \to \bar x}\frac{f(x)-f(\bar x)-}{\|x-\bar x\|}=0$[/tex];
(c) esiste [tex]L:{\mathbb{R}}^n \rightarrow {\mathbb{R}}[/tex] appl. lineare t.c. [tex]$\lim_{x \to \bar x}\frac{f(x)-f(\bar x)-L(x-\bar x)}{\|x-\bar x\|}=0$[/tex].
Inoltre, vera (a), (b) o (c), supposto a=(a1,a2,...,an), per ogni k=1,2,...,n [tex]$\frac{\partial f(\bar x)}{\partial x_k}=a_k=L(e_k)[/tex].
Pertanto a verificante (b) è unica ed L verificante (c) è unica; L prende il nome di derivata secondo Fréchet di f.
OSS: per ogni [tex]x \in {\mathbb{R}}^n[/tex] [tex]df(\bar x)(x)=L(x-\bar x)[/tex], [tex]L(x):=<\nabla f(\bar x), x>[/tex] (dunque L è l'appl. lin. associata alla matrice Jacobiana di f in [tex]\bar x[/tex]).
""
In pratica, come scritto nel primo post, la "sua" derivata sec. Fréchet di f in [tex]\bar x[/tex] conincide con il differenziale (usualmente inteso) di f in [tex]\bar x[/tex].

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P.S.
Prof. Patrone, secondo lei perchè il mio docente di Analisi ha sentito il bisogno di definire il differenziale totale di una funzione e la differenziabilità nel modo seguente.
""
[tex]\Omega[/tex] un aperto di [tex]{\mathbb{R}}^n[/tex]; [tex]f:\Omega$\rightarrow${\mathbb{R}}[/tex] (in realtà abbiamo visto tutto ciò anche nel caso più generale di f a valore in un generico spazio normato), [tex]\bar x \in \Omega[/tex].
DEF: f sia derivabile (nel senso di dotata di tute le derivate parziali) in [tex]$\bar x$[/tex].
Dicesi differenziale di f in [tex]$\bar x$[/tex] l'applicazione [tex]df(\bar x):{\mathbb{R}}^n \rightarrow {\mathbb{R}}[/tex] t.c. per ogni [tex]x \in {\mathbb{R}}^n[/tex] [tex]df(\bar x)(x):=<\nabla f(\bar x), x-\bar x>[/tex].
DEF: f si dice differenziabile in [tex]$\bar x$[/tex] se:
(1) f è derivabile in [tex]$\bar x$[/tex];
(2) [tex]$\lim_{x \to \bar x}\frac{f(x)-f(\bar x)-df(\bar x)(x)}{\|x-\bar x\|}=0$[/tex]
TEOREMA: Le seguenti prop. sono equiv.:
(a) f è differenziabile in [tex]$\bar x$[/tex];
(b) esiste [tex]a \in {\mathbb{R}}^n[/tex] tale che [tex]$\lim_{x \to \bar x}\frac{f(x)-f(\bar x)-}{\|x-\bar x\|}=0$[/tex];
(c) esiste [tex]L:{\mathbb{R}}^n \rightarrow {\mathbb{R}}[/tex] appl. lineare t.c. [tex]$\lim_{x \to \bar x}\frac{f(x)-f(\bar x)-L(x-\bar x)}{\|x-\bar x\|}=0$[/tex].
Inoltre, vera (a), (b) o (c), supposto a=(a1,a2,...,an), per ogni k=1,2,...,n [tex]$\frac{\partial f(\bar x)}{\partial x_k}=a_k=L(e_k)[/tex].
Pertanto a verificante (b) è unica ed L verificante (c) è unica; L prende il nome di derivata secondo Fréchet di f.
OSS: per ogni [tex]x \in {\mathbb{R}}^n[/tex] [tex]df(\bar x)(x)=L(x-\bar x)[/tex], [tex]L(x):=<\nabla f(\bar x), x>[/tex] (dunque L è l'appl. lin. associata alla matrice Jacobiana di f in [tex]\bar x[/tex]).
""
In pratica, come scritto nel primo post, la "sua" derivata sec. Fréchet di f in [tex]\bar x[/tex] conincide con il differenziale (usualmente inteso) di f in [tex]\bar x[/tex].