Pipponi sul differenziale!!
[tex]Salve a tutti, mi chiamo Fabio e sono uno studente al II anno del c.d.l. triennale in matematica presso l'Università degli Studi di Bari.
E' da tempo che sono "tormentato" dal concetto di differenziale. Purtroppo nessuno dei corsi che ho seguito ha del tutto risolto i miei dubbi (anzi), e non ho neanche trovato un testo che spiegasse con chiarezza quello che non riesco a mandare giù.
Mi spiego (mi limito al caso di R, tralasciando tutta la trattazione nel caso di un generico spazio normato E):
Considerata una funzione f:A->R^n, A aperto di R^n, n>=1, x0 in R^n; a lezione, ci è stato presentato il "differenziale totale" di f in x0 come l'applicazione lineare df(x0):R^n->R definita ponendo df(x0)(x):= (ove con <,> indico il prodotto scalare).
Nelle stesse ipotesi abbiamo detto che una funzione si dice differenziabile se è solo se il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-]/||x-x0|| è uguale a zero (ove || . || è una generica norma su R^n).
Abbiamo poi caratterizzato le funzioni differenziabili come quelle funzioni tali che esiste un apllicazione lineare L:R^n->R per cui il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-L(x-x0)]/||x-x0|| è uguale a zero; in tal caso L è unica e dicesi "derivata secondo Fréchet di f" e si denota f'(x0).
Questa "derivata secondo Fréchet di f in x0" è l'applicazione lineare la cui matrice associata è la matrice Jacobiana di f in x0; mi è parso di capire, vagando in rete tra wikipedia e dispense di vari docenti nonchè consultando il testo consigliato, che questa applicazione L è quello che viene comunemente indicato come il "differenziale della f in x0".
Nel caso di funzioni di una variabile reale f:I->R, I intervallo, dunque risulta che L(x)=f'(x0)x (oppure come ho trovato scritto dovunque, df(x0)(x)=f'(x0)x).
A questo punto vi invito a leggere il paragrafetto "La notazione di Leibniz nel caso di funzioni da R in R" nella pag. di Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Differenzi ... ematica%29 in cui si sfrutta la linearità dell'applicazione identica per "ritrovare" un'origine formale della notazione di Leibnitz per la derivata di una funzione reale di variabile reale.
<>
Infatti, ben ricordo che nei corsi di analisi del primo anno il mio prof. precisò che la notazione df/dx è SOLO un SIMBOLO. Fin qui vi starete chiedendo: ma questo che vuole?
Ecco, i corsi di fisica hanno contribuito non poco a confondermi le idee. Infatti le cosiddette "quantità infinitesime" o "piccole" che dir si voglia, nello studio della fisica classica (I e II) e della fisica matematica sono all'ordine del giorno; tuttavia questi simpatici dx, dy, dt, dv, dr, ecc. sono utilizzati con nonchalance come fossero numeri finiti (pertanto sono oggetto di calcoli algebrici veri e propri), per poi diventare "quando fa comodo" derivate o comode basi per integrare. Credo che tutto ciò sia formalmente possibile solo perché in fisica (essendo una scienza sperimntale) non esistono delle quantità infinitesime in senso matematico, ma si parla sempre di quantità "piccole" in realazione ai proprio scopi; dunque la "trasformazione" apparentemente magica dei rapporti di questi incrementini in derivate vere e proprie sottende un processo di rapporto incrementale. Almeno credo. Boh! Sarebbe grandioso se qualcuno di voi potesse aiutarmi a dare delle risposte formali a questi dubbi (le operazioni su infinitesime sono accettate nel'ambito dell'analisi non-standard, ma nella teoria di Cauchy e soci non è per niente formale!).
A peggiorare le cose è stata la definizione della corrente istantanea I=dq/dt, dove quel rapporto sebbene abbia lo stesso simbolo di una derivata non è una derivata ma un rapporto tra quantità elementari (la carica infinitesima dq che fluisce attraverso una superficie S nell'intervallo di tempo dt; la carica non si esprime come funzione del tempo infatti). Ma insomma questi fisici, fanno proprio il cavolo che gli pare con questi dx,dy,d...?!?!
Come se non bastasse, a "distruggermi" la mente (già di per sè malconcia) c'è il famigerato dx che compare sotto il segno di integrale! Nella formulazione dell'integrale di Riemann si definisce l'integrale attraverso somme superiori/inferiori (non mi interessa in questo contesto entrare nei dettagli) e si definisce quel numero con il simbolo che tutti conosciamo in cui compare dx per ricordarci la variabile rispetto a cui integrare, ma è solo un simbolo! Siamo proprio sicuri? NO! Infatti nella risoluzioni di integrali indefiniti per sostituzione (ad es. f(x)=g(y) per qualche funzione g) occorre cambiare anche questo caspita di dx sfruttando in pratica l'identità f'(x)dx=g'(y)dy: ecco che ricompare il differenziale!! Infatti da molte parti il differenziale di una funzione di una variabile l'ho trovato definito come df=f' dx (sebbene non mi sia del tutto chiaro il significato dei suddetti simboli; il differenziale non era una funzione relativa a un certo punto fissato x0? ossia l'approsimazione in quel punto di f con un'appl. lineare?). A questo interrogativo sembra rispondere un prof. dell'uni. di Firenze in questa dispensa http://web.math.unifi.it/users/ricci/int_sost.pdf.
Insomma ho le idee poco chiare su questo oggetto e mi sembra molto grave per uno studente di matematica; riconosco i miei limiti, ma certe cose dovrebbero essere spiegate nei corsi di base! I miei colleghi non si sono neanche posti di questi problemi, ma il mio spirito critico mi porta ad arrovellarmi su queste questioni; poco m'iporta che "così si fa" e che "funziona". Ho preso i miei sudati 30 agli esami di analisi (I, II e III) fin qui sostenuti ma non è certo questo che metterà a tacere i miei "patemi" analitici.
Ho scritto probabilmente troppa roba, non ho la forza di rileggerla! (spero non ci siano errori gravi)
Mi auguro che qualcuno di voi sappia darmi delle risposte in merito alla questione "differenziale". Tra le delusioni più grandi della mia carriera universitaria c'è la quasi totale mancanza di discussione con i miei colleghi su queste questioni, l'importante pare essere solo superare gli esami...
Ad ogni modo ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di leggere il mio post, speriamo che si apra un dibattito interessante
E' da tempo che sono "tormentato" dal concetto di differenziale. Purtroppo nessuno dei corsi che ho seguito ha del tutto risolto i miei dubbi (anzi), e non ho neanche trovato un testo che spiegasse con chiarezza quello che non riesco a mandare giù.
Mi spiego (mi limito al caso di R, tralasciando tutta la trattazione nel caso di un generico spazio normato E):
Considerata una funzione f:A->R^n, A aperto di R^n, n>=1, x0 in R^n; a lezione, ci è stato presentato il "differenziale totale" di f in x0 come l'applicazione lineare df(x0):R^n->R definita ponendo df(x0)(x):=
Nelle stesse ipotesi abbiamo detto che una funzione si dice differenziabile se è solo se il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-
Abbiamo poi caratterizzato le funzioni differenziabili come quelle funzioni tali che esiste un apllicazione lineare L:R^n->R per cui il lim per x->x0 di [f(x)-f(x0)-L(x-x0)]/||x-x0|| è uguale a zero; in tal caso L è unica e dicesi "derivata secondo Fréchet di f" e si denota f'(x0).
Questa "derivata secondo Fréchet di f in x0" è l'applicazione lineare la cui matrice associata è la matrice Jacobiana di f in x0; mi è parso di capire, vagando in rete tra wikipedia e dispense di vari docenti nonchè consultando il testo consigliato, che questa applicazione L è quello che viene comunemente indicato come il "differenziale della f in x0".
Nel caso di funzioni di una variabile reale f:I->R, I intervallo, dunque risulta che L(x)=f'(x0)x (oppure come ho trovato scritto dovunque, df(x0)(x)=f'(x0)x).
A questo punto vi invito a leggere il paragrafetto "La notazione di Leibniz nel caso di funzioni da R in R" nella pag. di Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Differenzi ... ematica%29 in cui si sfrutta la linearità dell'applicazione identica per "ritrovare" un'origine formale della notazione di Leibnitz per la derivata di una funzione reale di variabile reale.
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Infatti, ben ricordo che nei corsi di analisi del primo anno il mio prof. precisò che la notazione df/dx è SOLO un SIMBOLO. Fin qui vi starete chiedendo: ma questo che vuole?
Ecco, i corsi di fisica hanno contribuito non poco a confondermi le idee. Infatti le cosiddette "quantità infinitesime" o "piccole" che dir si voglia, nello studio della fisica classica (I e II) e della fisica matematica sono all'ordine del giorno; tuttavia questi simpatici dx, dy, dt, dv, dr, ecc. sono utilizzati con nonchalance come fossero numeri finiti (pertanto sono oggetto di calcoli algebrici veri e propri), per poi diventare "quando fa comodo" derivate o comode basi per integrare. Credo che tutto ciò sia formalmente possibile solo perché in fisica (essendo una scienza sperimntale) non esistono delle quantità infinitesime in senso matematico, ma si parla sempre di quantità "piccole" in realazione ai proprio scopi; dunque la "trasformazione" apparentemente magica dei rapporti di questi incrementini in derivate vere e proprie sottende un processo di rapporto incrementale. Almeno credo. Boh! Sarebbe grandioso se qualcuno di voi potesse aiutarmi a dare delle risposte formali a questi dubbi (le operazioni su infinitesime sono accettate nel'ambito dell'analisi non-standard, ma nella teoria di Cauchy e soci non è per niente formale!).
A peggiorare le cose è stata la definizione della corrente istantanea I=dq/dt, dove quel rapporto sebbene abbia lo stesso simbolo di una derivata non è una derivata ma un rapporto tra quantità elementari (la carica infinitesima dq che fluisce attraverso una superficie S nell'intervallo di tempo dt; la carica non si esprime come funzione del tempo infatti). Ma insomma questi fisici, fanno proprio il cavolo che gli pare con questi dx,dy,d...?!?!
Come se non bastasse, a "distruggermi" la mente (già di per sè malconcia) c'è il famigerato dx che compare sotto il segno di integrale! Nella formulazione dell'integrale di Riemann si definisce l'integrale attraverso somme superiori/inferiori (non mi interessa in questo contesto entrare nei dettagli) e si definisce quel numero con il simbolo che tutti conosciamo in cui compare dx per ricordarci la variabile rispetto a cui integrare, ma è solo un simbolo! Siamo proprio sicuri? NO! Infatti nella risoluzioni di integrali indefiniti per sostituzione (ad es. f(x)=g(y) per qualche funzione g) occorre cambiare anche questo caspita di dx sfruttando in pratica l'identità f'(x)dx=g'(y)dy: ecco che ricompare il differenziale!! Infatti da molte parti il differenziale di una funzione di una variabile l'ho trovato definito come df=f' dx (sebbene non mi sia del tutto chiaro il significato dei suddetti simboli; il differenziale non era una funzione relativa a un certo punto fissato x0? ossia l'approsimazione in quel punto di f con un'appl. lineare?). A questo interrogativo sembra rispondere un prof. dell'uni. di Firenze in questa dispensa http://web.math.unifi.it/users/ricci/int_sost.pdf.
Insomma ho le idee poco chiare su questo oggetto e mi sembra molto grave per uno studente di matematica; riconosco i miei limiti, ma certe cose dovrebbero essere spiegate nei corsi di base! I miei colleghi non si sono neanche posti di questi problemi, ma il mio spirito critico mi porta ad arrovellarmi su queste questioni; poco m'iporta che "così si fa" e che "funziona". Ho preso i miei sudati 30 agli esami di analisi (I, II e III) fin qui sostenuti ma non è certo questo che metterà a tacere i miei "patemi" analitici.
Ho scritto probabilmente troppa roba, non ho la forza di rileggerla! (spero non ci siano errori gravi)
Mi auguro che qualcuno di voi sappia darmi delle risposte in merito alla questione "differenziale". Tra le delusioni più grandi della mia carriera universitaria c'è la quasi totale mancanza di discussione con i miei colleghi su queste questioni, l'importante pare essere solo superare gli esami...
Ad ogni modo ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di leggere il mio post, speriamo che si apra un dibattito interessante

Risposte
"haterofman":Devo psicanalizzarlo?
P.S.
Prof. Patrone, secondo lei perchè il mio docente di Analisi ha sentito il bisogno di definire il differenziale totale di una funzione e la differenziabilità nel modo seguente.
Rispondendo all'aspetto matematico, non ci vedo niente di male nella def del tuo "prof".
Io non parlerei di differenziale di una funzione quando questa non sia differenziabile, ma si tratta di gusti (magari gli serve per qualche dolcetto).
"Fioravante Patrone":Devo psicanalizzarlo?
[quote="haterofman"]P.S.
Prof. Patrone, secondo lei perchè il mio docente di Analisi ha sentito il bisogno di definire il differenziale totale di una funzione e la differenziabilità nel modo seguente.
Rispondendo all'aspetto matematico, non ci vedo niente di male nella def del tuo "prof".
Io non parlerei di differenziale di una funzione quando questa non sia differenziabile, ma si tratta di gusti (magari gli serve per qualche dolcetto).[/quote]

Ovviamente non volevo un giudizio "psicoanalitico", credevo che il motivo di presentare gli argomenti in questo modo potesse risiedere nel voler "preparare il terreno" per contesti più generali da affrontare nei corsi successivi.
Fioravante Patrone:
[quote=lisdap]mi sembra che sia tutto corretto invece...
Sì, al bar sport.[/quote]
Scusa, puoi dirmi cosa non è corretto? La definizione di differenziale di una funzione è quella.
Come dice il libro, il differenziale di una funzione è, a differenza della derivata che è il coefficiente angolare "istantaneo", l'incremento infinitesimo df della funzione a seguito di un incremento infinitesimo dx delle ascisse. Quindi df=dx*f'(x).
@lisdap: Ti sei presa la briga di leggere tutto il thread o stai postando a caso?
Ah, ti consiglio di spuntare "Sì" nelle caselle Abilita sempre BBCode ed Abilita sempre HTML nel tuo profilo, così si formatteranno bene le citazioni dei post altrui.
Ah, ti consiglio di spuntare "Sì" nelle caselle Abilita sempre BBCode ed Abilita sempre HTML nel tuo profilo, così si formatteranno bene le citazioni dei post altrui.
"gugo82":
@lisdap: Ti sei presa la briga di leggere tutto il thread o stai postando a caso?
Ah, ti consiglio di spuntare "Sì" nelle caselle Abilita sempre BBCode ed Abilita sempre HTML nel tuo profilo, così si formatteranno bene le citazioni dei post altrui.
preso

Qualcuno può spiegarmi gentilmente perchè la definizione di differenziale presente sul libro di fisica "Mazzoldi-Nigro-Voci" è errata? Grazie
@lisdap: Risparmio parole e cito FP.
"Fioravante Patrone":
http://www.matematicamente.it/forum/intregrale-ma-cos-e-dx-t56100.html
http://www.diptem.unige.it/patrone/chi_e_dx_punto_interrogativo.pdf
e,se vuoi, un'occhiata al metodo "urang utang"
Gli appunti di Ricci mi sembrano egregi!
Purtroppo i pipponi sul differenziale faticano a terminare. Nel tentativo di trovare un antidoto contro questa brutta dipendenza, scrivo:
"Quando un dx/dt viene usato come un vero e proprio rapporto, è perché LO E'. In questo caso dx/dt non deve essere visto come il simbolo di derivata, ma come il RAPPORTO tra i differenziali delle funzioni x e t. Quindi ha senso scrivere ad esempio da v=dx/dt==============>dx=vdt, perché ripeto in questo caso dx/dt non è il simbolo di derivata". Voi che dite?
"Quando un dx/dt viene usato come un vero e proprio rapporto, è perché LO E'. In questo caso dx/dt non deve essere visto come il simbolo di derivata, ma come il RAPPORTO tra i differenziali delle funzioni x e t. Quindi ha senso scrivere ad esempio da v=dx/dt==============>dx=vdt, perché ripeto in questo caso dx/dt non è il simbolo di derivata". Voi che dite?
No.
"gugo82":
No.
quanno ce vò,ce vò
@lisdap:
Prendiamo il caso particolare (unidimensionale) della definizione di differenziale contenuta qui per le funzioni reali a valori reali. Data \( f: \mathbb{R} \supseteq I \to \mathbb{R} \) considero la funzione lineare (che, come si dimostra, se esiste è unica; ed io mi sto piazzando nell'ipotesi che esista) \( \alpha : \mathbb{R} \to \mathbb{R} \), differenziale della funzione \( f \) nel punto \( P_0 = x_0 \). Rendo esplicita la dipendenza di \( \alpha \) dal punto \( x_0 \) scrivendo \( \alpha_{x_0} \), funzione che (essendo lineare e in una dimensione) sarà del tipo \( \alpha_{x_0} (x) = ax + b \). Si dimostra che \( \alpha_{x_0} (x) = f^{\prime} (x_0) x - f^{\prime} (x_0) x_0 = f^{\prime} (x_0) (x - x_0) \). Se poni \( \Delta x = x - x_0 \) hai \( \alpha_{x_0} (\Delta x) = f^{\prime} (x_0) \Delta x \) e se scrivi come al solito \( \alpha_{x_0} = ({\rm d}f)_{(x_0)} \) hai \( ({\rm d}f)_{(x_0)} (\Delta x) = f^{\prime} (x_0) \Delta x \) (che è l'espressione che porta a far confusione e vedere la derivata come rapporto di incrementi).
Sì, ma questo cosa significa?
In pratica la nozione di differenziabilità ti dice che la funzione \( ({\rm d}f)_{(x_0)} \) è la funzione lineare che meglio approssima l'incremento della tua \( f \) in un intorno di \( x_0 \) (i.e. il valore di \( f(x_0 + \Delta x) - f(x_0) \) ). È evidente che più "piccoli" saranno tali incrementi, più l'approssimazione sarà buona, più grandi saranno tali incrementi, meno lo sarà (per definizione di differenziale hai \( ({\rm d}f)_{(x_0)} (\Delta x) = f(x_0 + \Delta x) + o(\Delta x) \) in \(x_0\); è proprio tale relazione a rendere tanto utile il differenziale). Il significato che il differenziale assume è quindi all'incirca "quanto varrebbe \( f (x_0 + \Delta x) \) se \( f \) crescesse linearmente da \( x_0 \) in poi" (le stesse considerazioni valgono con ovvi adattamenti per incrementi negativi). Con un abuso più o meno lecito di notazione (diciamo giustificabile ma comunque fuorviante) spesso si scrive \( {\rm d}x \) in luogo di \( \Delta x \), e chi lo fa solitamente vuole suggerire di prendere degli incrementi piccoli. Ma piccoli o grandi tali incrementi sono pur sempre finiti. Dunque la scrittura \( \frac{({\rm d}f)_{(x_0)} (\Delta x)}{\Delta x} = f^{\prime} (x_0) \) non suggerisce affatto che la derivata è un rapporto di incrementi infinitesimi, è una scrittura quasi tautologica in cui tu dici "se il coefficiente angolare di una retta \(g(x) \) è \(m\), ho che \( \frac{g(x)}{x} = m\)" e alla luce della costruzione fatta nel primo periodo questo dovrebbe essere evidente.
Il mio apporto in quanto ho scritto è l'unica cosa infinitesima presente in questo post, mi sono limitato a fare un riassunto di quanto detto già innumerevoli volte e a scrivere esplicitamente il caso in una dimensione; spero di averlo fatto in maniera chiara.
Prendiamo il caso particolare (unidimensionale) della definizione di differenziale contenuta qui per le funzioni reali a valori reali. Data \( f: \mathbb{R} \supseteq I \to \mathbb{R} \) considero la funzione lineare (che, come si dimostra, se esiste è unica; ed io mi sto piazzando nell'ipotesi che esista) \( \alpha : \mathbb{R} \to \mathbb{R} \), differenziale della funzione \( f \) nel punto \( P_0 = x_0 \). Rendo esplicita la dipendenza di \( \alpha \) dal punto \( x_0 \) scrivendo \( \alpha_{x_0} \), funzione che (essendo lineare e in una dimensione) sarà del tipo \( \alpha_{x_0} (x) = ax + b \). Si dimostra che \( \alpha_{x_0} (x) = f^{\prime} (x_0) x - f^{\prime} (x_0) x_0 = f^{\prime} (x_0) (x - x_0) \). Se poni \( \Delta x = x - x_0 \) hai \( \alpha_{x_0} (\Delta x) = f^{\prime} (x_0) \Delta x \) e se scrivi come al solito \( \alpha_{x_0} = ({\rm d}f)_{(x_0)} \) hai \( ({\rm d}f)_{(x_0)} (\Delta x) = f^{\prime} (x_0) \Delta x \) (che è l'espressione che porta a far confusione e vedere la derivata come rapporto di incrementi).
Sì, ma questo cosa significa?
In pratica la nozione di differenziabilità ti dice che la funzione \( ({\rm d}f)_{(x_0)} \) è la funzione lineare che meglio approssima l'incremento della tua \( f \) in un intorno di \( x_0 \) (i.e. il valore di \( f(x_0 + \Delta x) - f(x_0) \) ). È evidente che più "piccoli" saranno tali incrementi, più l'approssimazione sarà buona, più grandi saranno tali incrementi, meno lo sarà (per definizione di differenziale hai \( ({\rm d}f)_{(x_0)} (\Delta x) = f(x_0 + \Delta x) + o(\Delta x) \) in \(x_0\); è proprio tale relazione a rendere tanto utile il differenziale). Il significato che il differenziale assume è quindi all'incirca "quanto varrebbe \( f (x_0 + \Delta x) \) se \( f \) crescesse linearmente da \( x_0 \) in poi" (le stesse considerazioni valgono con ovvi adattamenti per incrementi negativi). Con un abuso più o meno lecito di notazione (diciamo giustificabile ma comunque fuorviante) spesso si scrive \( {\rm d}x \) in luogo di \( \Delta x \), e chi lo fa solitamente vuole suggerire di prendere degli incrementi piccoli. Ma piccoli o grandi tali incrementi sono pur sempre finiti. Dunque la scrittura \( \frac{({\rm d}f)_{(x_0)} (\Delta x)}{\Delta x} = f^{\prime} (x_0) \) non suggerisce affatto che la derivata è un rapporto di incrementi infinitesimi, è una scrittura quasi tautologica in cui tu dici "se il coefficiente angolare di una retta \(g(x) \) è \(m\), ho che \( \frac{g(x)}{x} = m\)" e alla luce della costruzione fatta nel primo periodo questo dovrebbe essere evidente.
Il mio apporto in quanto ho scritto è l'unica cosa infinitesima presente in questo post, mi sono limitato a fare un riassunto di quanto detto già innumerevoli volte e a scrivere esplicitamente il caso in una dimensione; spero di averlo fatto in maniera chiara.
"Epimenide93":
In pratica la nozione di differenziabilità ti dice che la funzione \( ({\rm d}f)_{(x_0)} \) è la funzione lineare che meglio approssima la tua \( f \) in un intorno di \( x_0 \).
Falso.
La funzione \(h\mapsto \text{d}f(h;x_0):= f^\prime (x_0)\ h\) è la migliore approssimazione lineare dell'incremento \(f(x_0+h)-f(x_0)\).
Cavolo, è vero. Correggo...
Ora dovrebbe andare.
L'errore mi è stato suggerito dal passaggio indebito (mentale) dalla giacitura della retta (piano, iperpiano) tangente la superficie, alla retta (piano, iperpiano) tangente stessa.
Ora dovrebbe andare.
L'errore mi è stato suggerito dal passaggio indebito (mentale) dalla giacitura della retta (piano, iperpiano) tangente la superficie, alla retta (piano, iperpiano) tangente stessa.
perche no?
"lisdap":
perche no?
Ho provato a rispondere isolando in quanto già detto gli aspetti inerenti la tua domanda.