Differenziali
Premessa importante: all'uni i differenziali ad Analisi 1 che sto frequentando ancora non li ho visti.
Data una funzione $f : RR to RR$ il differenziale è la quantità dipendente dall'incremento $h$ definita da $df(x)=f'(x_0)h$. Se $f(x)=x$, allora $df(x)=dx=h$, sicché, sostituendo si ha $df(x)=f'(x_0)dx$, da cui dividendo per $dx=h$ risulta $(df(x))/dx=f'(x_0)$. Quindi la derivata è il rapporto dei differenziali $df(x)$ e $dx$, cioè il differenziale della variabile dipendente e quello della variabile indipendete.
Questo è quanto si trova scritto su un libro di liceo ed è quanto ho dovuto sentire ieri mattina da uno studente affianco del quale sono stato seduto durante la lezione di fisica, nella quale il prof.re se ne è uscito con $v=dx/dt => vdt=dx => int_{t_1}^{t_2}vdt=int_{t_1}^{t_2}dx=x(t_2)-x(t_1)$.
Atteso che il differenziale è una applicazione lineare di $h$ per cui $df=f'(x_0)h$, la cosa che mi fa pensare è il giochino $f(x)=x=>df(x)=dx=h$ e sostituendo si ha $df=f'(x_0)dx$ da cui si può effettivamente dividere.
Da $df(x)=f'(x_0)h$ si può dividere per $h$ avendo $(df(x))/h=f'(x_0)$ che, usando il trucchetto prima esposto diventa $(df(x))/dx=f'(x_0)$.
Ora io mi domando: è rispauto che è sbagliato dire che la derivata è un rapporto di infinitesimi ed è altrettanto sbagliato dire che è un rapporto di differenziali, sicché mi viene da pensare che quando si usa il differenziale della funzione identica per fare comparire $dx$ in $df(x)$ si commette un abuso di notazione, se non addirittura un sacrilegio tirando in ballo la funzione identica che non centra niente con la funzione $f$. Forse sbaglio? Anche perché anche ammetendo che sia possibile sostituire $h$ con $dx$, poi in pratica si va a dire che la derivata è rapporto del differenziale di una funzione $f$ e del differenziale della funzione identica, il che è errore. Sono in errore?
Data una funzione $f : RR to RR$ il differenziale è la quantità dipendente dall'incremento $h$ definita da $df(x)=f'(x_0)h$. Se $f(x)=x$, allora $df(x)=dx=h$, sicché, sostituendo si ha $df(x)=f'(x_0)dx$, da cui dividendo per $dx=h$ risulta $(df(x))/dx=f'(x_0)$. Quindi la derivata è il rapporto dei differenziali $df(x)$ e $dx$, cioè il differenziale della variabile dipendente e quello della variabile indipendete.
Questo è quanto si trova scritto su un libro di liceo ed è quanto ho dovuto sentire ieri mattina da uno studente affianco del quale sono stato seduto durante la lezione di fisica, nella quale il prof.re se ne è uscito con $v=dx/dt => vdt=dx => int_{t_1}^{t_2}vdt=int_{t_1}^{t_2}dx=x(t_2)-x(t_1)$.
Atteso che il differenziale è una applicazione lineare di $h$ per cui $df=f'(x_0)h$, la cosa che mi fa pensare è il giochino $f(x)=x=>df(x)=dx=h$ e sostituendo si ha $df=f'(x_0)dx$ da cui si può effettivamente dividere.
Da $df(x)=f'(x_0)h$ si può dividere per $h$ avendo $(df(x))/h=f'(x_0)$ che, usando il trucchetto prima esposto diventa $(df(x))/dx=f'(x_0)$.
Ora io mi domando: è rispauto che è sbagliato dire che la derivata è un rapporto di infinitesimi ed è altrettanto sbagliato dire che è un rapporto di differenziali, sicché mi viene da pensare che quando si usa il differenziale della funzione identica per fare comparire $dx$ in $df(x)$ si commette un abuso di notazione, se non addirittura un sacrilegio tirando in ballo la funzione identica che non centra niente con la funzione $f$. Forse sbaglio? Anche perché anche ammetendo che sia possibile sostituire $h$ con $dx$, poi in pratica si va a dire che la derivata è rapporto del differenziale di una funzione $f$ e del differenziale della funzione identica, il che è errore. Sono in errore?
Risposte
"WiZaRd":
Io avrei intenzione di laurearmi in Matematica, non in fisica.
Che in Fisica il $dx$ e il $dy$ siano degli "incrementi infinitesimali delle variabili $y$ e $x$", ancorché ciò non abbia un preciso significato matematico, l'ho capito e mi può anche stare bene: se i fisici sono contenti di questa impostazione mi fa piacere per loro.
Non sottovalutare la fisica. Dire che $dx$ e $dy$ sono "incrementi infinitesimali delle variabili $y$ e $x$" significa che essi non sono numeri reali, ma particolari elementi del campo $I_h$ che ho definito nel mio post precedente, e precisamente quelli che si ottengono ponendo $h=1/n$ o altra successione equivalente che tende a zero da destra oppure da sinistra (si escludono cioè successioni del tipo $((-1)^n)/n$)
"Sidereus":
In sostanza, il metodo urang-utang usa l'algebra al posto dei limiti dei rapporti incrementali.
Scusami, ma in questo modo stai dicendo che il metodo urang-utang è rigoroso?
Ho rivalutato la mia 4).
Se quella fosse una vera frazione allora il metodo urang-utang non sarebbe sbagliato.
Però, d'altro canto, se quella non è una vera frazione, allora non è nemmeno sensato scrivere $df(x_0)(h)=f'(x_0)d(x_0)(h)$...
Se quella fosse una vera frazione allora il metodo urang-utang non sarebbe sbagliato.
Però, d'altro canto, se quella non è una vera frazione, allora non è nemmeno sensato scrivere $df(x_0)(h)=f'(x_0)d(x_0)(h)$...
Ho consulatato anche il Miranda e ci trovo scritto che il differenziale di una funzione è il prodotto della derivata prima per il differenziale della variabile indipendente.
Io mi arrendo... argomento troppo ostico per me...
Io mi arrendo... argomento troppo ostico per me...
Bisogna chiedere direttamente a Leibniz...
Scherzi a parte sono argomentazioni che non metteranno mai d'accordo tutti per la loro stessa natura di opinabilità.
Scherzi a parte sono argomentazioni che non metteranno mai d'accordo tutti per la loro stessa natura di opinabilità.
"WiZaRd":da buon prof ci sono abituato (parlo della mia ottusità)
Perdonate la mia ottusità
"WiZaRd":
Data una funzione $f:RR to RR$, la derivata in un punto $x_0$ è il limite $lim_{h to 0}frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{h}$ se finito. Fin quì credo di esserci.
Data la stessa funzione, il suo differenziale in un punto $x_0$ è l'applicazione lineare $df(x_0) : h to f'(x_0)h$ con $h$ incremento della variabile indipendente di $f$. Questo differenziale è una funzione di $h$, quindi col solito linguaggio delle funzioni scrivo $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$. CIoè $h$ è la variabile indipendente per la funzione differenziale. E fino a qui la situazione mi quadra.
Poi la situazione non mi quadra più.
Prendo la funzione identica $f(x)=x$: il suo differenziale in un punto $x_0$ è $df(x_0)(h)=dx_0(h)=f'(x_0)h=h$. E fin quì la cosa mi sembra ragionevole.
Poi riprendo la generica $f$ e il suo differenziale: prendo (*) $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$ e dico, siccome per la funzione identica vale $dx_0(h)=h$ allora al posto di $h$ al RHS di (*) ci piazzo $dx_0(h)$ ma $dx_0(h)=h, forall x$ quindi $dx_0(h)$ mi diventa $dx(h)$, questo è un vero fattore, lo prendo e divido veramente a destra e a sinistra per questo fattore e ottengo $(df(x_0)(h))/(dx(h))=f'(x_0)$ con il risultato che la derivata di $f$ in $x_0$ è il rapporto tra il differenziale della funzione $f$ e il differenziale della funzione identica.
Il tuo ragionamento non fa nessuna grinza. Semmai, l'unico aspetto su cui ti inviterei a riflettere è che tu stai dividendo due funzioni (per quanto lineari). In genere non è detto che ci si riesca, e comunque è bene precisare in che senso si intende la divisione. Tu la intendi in modo "puntuale", ovvero: $f$ diviso $g$ è la funzione che a $x$ associa $f(x)/g(x)$, laddove ciò abbia senso [ergo, messi a posto i domini di $f$ e $g$ e gli zeri di $g$].
"WiZaRd":
Tutta questa parte non mi quadra: avevo sempre pensato che dire che la derivata è uguale al rapporto tra differenziale della funzione e differenziale di una funzione particolare, i.e. l'identità, fosse una cosa sbagliata. Pensavo fosse sbagliato perché piazzavo in una funzione (la $f$) un'altra funzione (l'identità) senza alcun motivo.
1) Pensavo sbagliato?
Sulla scia di questo pensiero ritenevo anche che il dire "la derivata è il rapporto tra il differenziale della funzione e il differenziale della variabile indipendente" fosse una offesa all'Analisi Matematica.
2) E' dunque in realtà giusto affermare che la derivata è rapporto del differenziale della funzione col differenziale della variabile indipendente?
Ma sì, lo puoi dire, in questo contesto.
E' che, come penso te ne rendi conto, è una sorta di cane (o, meglio, gatto: cfr. infra) che si morde la coda.
Mi spiego: stai dicendo che (per $h != 0$): $\frac{f'(x_0) \cdot h}{1 \cdot h} = \frac{f'(x_0)}{1}= f'(x_0)$.
Converrai che non c'è molta trippa per gatti.
Saluti da Nizza.
"WiZaRd":
Ho rivalutato la mia 4).
Se quella fosse una vera frazione allora il metodo urang-utang non sarebbe sbagliato.
Però, d'altro canto, se quella non è una vera frazione, allora non è nemmeno sensato scrivere $df(x_0)(h)=f'(x_0)d(x_0)(h)$...
WiZaRd, dai tempi di Cartan in poi il differenziale viene inteso come un funzionale lineare tra $RR^n$ e $RR$ (cioè un vettore dello spazio duale di $RR^n$). Quando si lavora con una sola variabile va interpretato come un funzionale lineare tra $RR$ e $RR$.
Secondo l'approccio alla Cartan, la scrittura
$df(x_0)(h)=f'(x_0)dx(h)$
significa che:
1) $df(x_0)$ è un operatore lineare che agisce sugli argomenti che sono alla sua destra, cioè i numeri reali (denotati con h) , e li trasforma in numeri reali. L'operatore lineare è definito così: $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$
2) Esiste uno speciale operatore lineare da $RR$ in $RR$ denotato con $dx$. Esso agisce sui numeri reali collocati alla sua destra, e li trasforma in sé stessi: $dx(h)=h$ per definizione (in questo approccio $dx$ si chiama base duale di $RR$)
3) Dai punti 1) e 2) deduciamo che $df(x_0)(h)=f'(x_0)h=f'(x_0)dx(h)$ e pertanto i due operatori lineari $df(x_0)$ e
$f'(x_0)dx$ (senza argomento) portano allo stesso risultato se applicati ad h, e quindi $df(x_0)=f'(x_0)dx$
Questo approccio è tipico del linguaggio delle forme differenziali e si apprezza meglio lavorando in più variabili. Con questa concezione non è possibile fare nessuna operazione algebrica sui differenziali.
Invece nella matematica applicata il differenziale viene inteso in modo completamente diverso, e non conciliabile con l'approccio precedente.
Secondo quest'altra concezione, la scrittura
$df(x)=f'(x)h$
significa che:
a) $d$ è un operatore lineare che agisce sulle funzioni di classe $C^1$ collocate alla sua destra e le trasforma in elementi del campo infinitesimale $I_h$ (al quale ho accennato in un post precedente): $df(x)=f'(x)h$ per definizione
b) l'operatore lineare $d$ applicato alla funzione identità $f(x)=x$ produce $dx=1*h=h$
c) Combinando i punti a) e b) si ottiene che $df(x)=f'(x)h=f'(x)dx
In base a questo approccio alternativo, i differenziali sono particolari elementi del campo infinitesimale $I_h$, e quindi sono manipolabili algebricamente.
Mi auguro di non averti confuso ulteriormente le idee.

Vi ringrazio per le nutrite risposte.
Stamane mi sono svegliato con numerose idee in testa, credo anzi di averle sognate queste idee, quindi potrebbero essere totalmente sbagliate. Il punto è che io continuo a vedere delle contraddizioni tra una cosa e l'altra. Mi spiego.
L'unico punto fermo è, secondo me, la definizione di differenziale per una funzione $f:I subseteq RR to RR$ derivabile in $x_0 in I$: i.e. applicazione lineare di $RR$ in $RR$ che manda $h in RR$ in $f'(x_0)h$.
Da quì in poi mi pare che qualunque cosa si dica sia poi in contraddizione con le successive. Insomma, per citare Fioravante, mi pare che "il cane si morda la coda". Spiego perché penso questo.
Il differenziale è una funzione, funzione per la quale scegliamo una notazione suggestiva, i.e. $df(x_0)$, sicché abbiamo che la funzione è denotabile con $df(x_0) : RR to RR$ e l'assegnazione è $df(x_0)(h)=f'(x_0)$.
Notazione bellissima, ma pur sempre di funzione trattasi, quindi nulla mi vieterebbe di usare una notazione del tipo $phi:RR to RR$ tale che $phi(h)=f'(x_0)h$.
A seconda di $f$ e, a seconda del fissato $x_0$ per $f$, ottendo una diversa applicazione differenziale: se prendo $f(x)=x$ ottengo la mappa che manda $h$ in $h$; ancora con una notazione suggestiva scriviamo $df(x_0)(h)equiv dx_0(h)=h$, ove l'equiv è dovuto al fatto che $f(x)=x$ e non uso l'uguale perché, a rigore di notazione suggestiva, dopo il $d$ ci dovremmo mettere il "nome" della funzione, non il definiens dell'assegnazione. Se anche qui abbandono la suggestione, posso chiamare questo differenziale $sigma$, sicché ottengo $sigma: RR to RR$ tale che $sigma(h)=h$.
Sia $phi$ sia $sigma$ sono funzioni lineari della variabile $h$: quindi prendo un sistema cartesiano ortogonale $Oht$ ove $t$ è la variabile dipendente, e ne traccio i grafici, rendendomi così conto che sono due rette (bella scoperta
)
Quindi ho $t=phi(h)=f'(x_0)h$ e $t=sigma(h)=h$. Facendo questo passaggio ho pensato alla seguente cosa: la sostituzione di $h$ con $dx_0(h)$ nella formula $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$ non è totalmente sbagliata, ma ha come background logico la ricerca delle intersezioni di quelle che ho ribattezzato $phi$ e $sigma$. Voglio cioè dire che non è sbagliata la sostituzione, ma non è neppure vero asserire che posso fare questa sostituzione come mi pare e piace, se la faccio è perché voglio che siano simultaneamente valide $t=phi(h)=f'(x_0)h$ e $t=sigma(h)=h$, voglio cioè che siano valide per le medesime coppie $(t,h)$ e senza questa richiesta non posso impunemente sostituire, perché nessuno mi vieta di mettere $h=3$ in $t=phi(h)$ e $h=100$ in $t=sigma(h)$ e facessi queste assegnazioni di $h$ dopo la sostituzione non avrebbe più senso: in altri termini la sostituzione ha senso purechéio implicitamente pensi di lavorare con i medesimi valori di $h$ simultaneamente in $phi$ e $sigma$. Ancora, facendo quella sostituzione io metto al posto di una ascissa una ordinata e questa cosa mi pare ancora più strana se si elmina il background logico del sistema tra $phi$ e $sigma$.
C'è poi la questione della divisione. Come giustamente dice Fioravante, non è reato dividere due funzioni, il problema è stabilire cosa intendiamo con dividere due funzioni. Anche quì però alcune considerazioni: se riparto da $t=phi(h)=f'(x_0)h$ e $t=sigma(h)=h$ e opero la sostituzione $t=sigma(h)$ al posto di $h$ mi viene fuori $t=f'(x_0)t$ oppure $t=f'(x_0)sigma(h)$ e quando penso al metodo di risoluzione dei sistemi lineari mi viene in mente che non dividiamo perché non abbiamo la certezza che sia $t=sigma(h)!=0$ e, ancora, se anche avessimo questa certezza, in $t=f'(x_0)t$ dividendo incorreremmo nell'errore di semplificare le $t$ avendo $f'(x_0)=1$ che non è mica vero per una funzione $f$ scelta a casaccio.
Questi due paragrafi per dire cosa? Per dire che la sostituzione e la divisione hanno senso se le indendo "puntualmente", cioè per fissato $h$, perché altrimenti, nella sostituzione, metterei una ordinata $dx_0(h)$ al posto di una ascissa $h$, credendo di avere ancora una uguaglianza tra ordinata $df(x_0)(h)$ e ascissa $h$ mentre ho una uguaglianza tra ordinata $df(x_0)(h)$ e ordinata $dx(h)$.
E credo anche che questo sia il motivo per il quale Sidereus dice "con questa concezione non è possibile fare alcuna operazione algebrica sui differenziali".
Non resterebbe dunque che definire una nuova funzione, a partire dai differenziali $phi$ e $sigma$, l'applicazione $tau=(phi)/(sigma)$, ma anche qui avrei qualche cosa da dire: come giustamente detto da Fioravante, qui avrei la necessità di porre $sigma(h)!=0$ il che si ha sse $h!=0$, sicché mentre la scrittura $phi(h)=f'(x_0)sigma(h)$, indipendetemente dal fatto che la si voglia concepire puntualmente o meno, è sensata anche in $h=0$, la nuva $tau$ non lo sarebbe.
Quindi le conclusioni cui sono giunto sono le seguenti:
1) data $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$, la sostituzione di $h$ al RHS con $dx_0(h)$ è sensata se la si intende in senso puntuale, i.e. se si intende sostituire $h$ con il suo trasformato secondo $dx_0$, ad esso coincidente, una volta che, cosa importante, sia fissato $h in RR$, altrimenti è una sostituzione un poco fatta alla buona, appuno perché non si tiene conto del fatto importante che si sta sostituendo una variabile indipendente di una funzione con la variabile dipendete di un'altra funzione in cui la variabile indipendente pure compare.
2) da $df(x_0)(h)=f'(x_0)dx_0(h)$ a $df(x_0)=f'(x_0)dx$ c'è un abuso di notazione se non si premdette che con la seconda uguaglianza si intende dire che l'applicazione $df(x_0)$ è uguale all'applicazione prodotto dell'applicazione costante $f'(x_0)$ e l'applicazione $dx_0$.
3) la divisione è un passaggio molto audace se non la si intende come una divisione puntuale, cioè per fissato $h in RR$.
A voi i commenti sui fraintendimenti alle vostre parole esposti un questo post.
Stamane mi sono svegliato con numerose idee in testa, credo anzi di averle sognate queste idee, quindi potrebbero essere totalmente sbagliate. Il punto è che io continuo a vedere delle contraddizioni tra una cosa e l'altra. Mi spiego.
L'unico punto fermo è, secondo me, la definizione di differenziale per una funzione $f:I subseteq RR to RR$ derivabile in $x_0 in I$: i.e. applicazione lineare di $RR$ in $RR$ che manda $h in RR$ in $f'(x_0)h$.
Da quì in poi mi pare che qualunque cosa si dica sia poi in contraddizione con le successive. Insomma, per citare Fioravante, mi pare che "il cane si morda la coda". Spiego perché penso questo.
Il differenziale è una funzione, funzione per la quale scegliamo una notazione suggestiva, i.e. $df(x_0)$, sicché abbiamo che la funzione è denotabile con $df(x_0) : RR to RR$ e l'assegnazione è $df(x_0)(h)=f'(x_0)$.
Notazione bellissima, ma pur sempre di funzione trattasi, quindi nulla mi vieterebbe di usare una notazione del tipo $phi:RR to RR$ tale che $phi(h)=f'(x_0)h$.
A seconda di $f$ e, a seconda del fissato $x_0$ per $f$, ottendo una diversa applicazione differenziale: se prendo $f(x)=x$ ottengo la mappa che manda $h$ in $h$; ancora con una notazione suggestiva scriviamo $df(x_0)(h)equiv dx_0(h)=h$, ove l'equiv è dovuto al fatto che $f(x)=x$ e non uso l'uguale perché, a rigore di notazione suggestiva, dopo il $d$ ci dovremmo mettere il "nome" della funzione, non il definiens dell'assegnazione. Se anche qui abbandono la suggestione, posso chiamare questo differenziale $sigma$, sicché ottengo $sigma: RR to RR$ tale che $sigma(h)=h$.
Sia $phi$ sia $sigma$ sono funzioni lineari della variabile $h$: quindi prendo un sistema cartesiano ortogonale $Oht$ ove $t$ è la variabile dipendente, e ne traccio i grafici, rendendomi così conto che sono due rette (bella scoperta

Quindi ho $t=phi(h)=f'(x_0)h$ e $t=sigma(h)=h$. Facendo questo passaggio ho pensato alla seguente cosa: la sostituzione di $h$ con $dx_0(h)$ nella formula $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$ non è totalmente sbagliata, ma ha come background logico la ricerca delle intersezioni di quelle che ho ribattezzato $phi$ e $sigma$. Voglio cioè dire che non è sbagliata la sostituzione, ma non è neppure vero asserire che posso fare questa sostituzione come mi pare e piace, se la faccio è perché voglio che siano simultaneamente valide $t=phi(h)=f'(x_0)h$ e $t=sigma(h)=h$, voglio cioè che siano valide per le medesime coppie $(t,h)$ e senza questa richiesta non posso impunemente sostituire, perché nessuno mi vieta di mettere $h=3$ in $t=phi(h)$ e $h=100$ in $t=sigma(h)$ e facessi queste assegnazioni di $h$ dopo la sostituzione non avrebbe più senso: in altri termini la sostituzione ha senso purechéio implicitamente pensi di lavorare con i medesimi valori di $h$ simultaneamente in $phi$ e $sigma$. Ancora, facendo quella sostituzione io metto al posto di una ascissa una ordinata e questa cosa mi pare ancora più strana se si elmina il background logico del sistema tra $phi$ e $sigma$.
C'è poi la questione della divisione. Come giustamente dice Fioravante, non è reato dividere due funzioni, il problema è stabilire cosa intendiamo con dividere due funzioni. Anche quì però alcune considerazioni: se riparto da $t=phi(h)=f'(x_0)h$ e $t=sigma(h)=h$ e opero la sostituzione $t=sigma(h)$ al posto di $h$ mi viene fuori $t=f'(x_0)t$ oppure $t=f'(x_0)sigma(h)$ e quando penso al metodo di risoluzione dei sistemi lineari mi viene in mente che non dividiamo perché non abbiamo la certezza che sia $t=sigma(h)!=0$ e, ancora, se anche avessimo questa certezza, in $t=f'(x_0)t$ dividendo incorreremmo nell'errore di semplificare le $t$ avendo $f'(x_0)=1$ che non è mica vero per una funzione $f$ scelta a casaccio.
Questi due paragrafi per dire cosa? Per dire che la sostituzione e la divisione hanno senso se le indendo "puntualmente", cioè per fissato $h$, perché altrimenti, nella sostituzione, metterei una ordinata $dx_0(h)$ al posto di una ascissa $h$, credendo di avere ancora una uguaglianza tra ordinata $df(x_0)(h)$ e ascissa $h$ mentre ho una uguaglianza tra ordinata $df(x_0)(h)$ e ordinata $dx(h)$.
E credo anche che questo sia il motivo per il quale Sidereus dice "con questa concezione non è possibile fare alcuna operazione algebrica sui differenziali".
Non resterebbe dunque che definire una nuova funzione, a partire dai differenziali $phi$ e $sigma$, l'applicazione $tau=(phi)/(sigma)$, ma anche qui avrei qualche cosa da dire: come giustamente detto da Fioravante, qui avrei la necessità di porre $sigma(h)!=0$ il che si ha sse $h!=0$, sicché mentre la scrittura $phi(h)=f'(x_0)sigma(h)$, indipendetemente dal fatto che la si voglia concepire puntualmente o meno, è sensata anche in $h=0$, la nuva $tau$ non lo sarebbe.
Quindi le conclusioni cui sono giunto sono le seguenti:
1) data $df(x_0)(h)=f'(x_0)h$, la sostituzione di $h$ al RHS con $dx_0(h)$ è sensata se la si intende in senso puntuale, i.e. se si intende sostituire $h$ con il suo trasformato secondo $dx_0$, ad esso coincidente, una volta che, cosa importante, sia fissato $h in RR$, altrimenti è una sostituzione un poco fatta alla buona, appuno perché non si tiene conto del fatto importante che si sta sostituendo una variabile indipendente di una funzione con la variabile dipendete di un'altra funzione in cui la variabile indipendente pure compare.
2) da $df(x_0)(h)=f'(x_0)dx_0(h)$ a $df(x_0)=f'(x_0)dx$ c'è un abuso di notazione se non si premdette che con la seconda uguaglianza si intende dire che l'applicazione $df(x_0)$ è uguale all'applicazione prodotto dell'applicazione costante $f'(x_0)$ e l'applicazione $dx_0$.
3) la divisione è un passaggio molto audace se non la si intende come una divisione puntuale, cioè per fissato $h in RR$.
A voi i commenti sui fraintendimenti alle vostre parole esposti un questo post.
WiZaRd,
evidentemente non mi sono spiegato bene.
Se assumi come definizione di differenziale quella di Cartan, allora non è possibile dare alcun significato a una scrittura come $(df)/dx$. I tuoi tentativi di dare un senso a $(df)/dx$ sono un pasticcio in cui sono mescolate cose che non possono coesistere. La situazione è simile al problema di dividere due numeri interi disponendo del solo insieme $ZZ$; in questo insieme una scrittura come $4/7$ è priva di senso. Se però prima costruiamo a partire da $ZZ$ il campo $QQ$, allora una scrittura come $4/7$ assume un significato preciso.
In modo analogo, $(df)/dx$ può avere un senso soltanto se prima costruisco un campo infinitesimale $I_h$ e interpreto tale quoziente all'interno di questo campo. Non lo sentirai dire in nessun corso universitario, sebbene nella matematica applicata se ne faccia uso senza menzionarlo esplicitamente. Infatti, gli studenti che debbono apprendere la fisica si trovano in una pessima situazione: nei corsi di matematica essi imparano delle magnifiche nozioni, ma sfortunatamente esse non hanno alcuna possibilità di applicazione scientifica immediata nella meccanica, nella termodinamica e nell'elettromagnetismo.
In meccanica $\vec F ** d\vec s$ significa prodotto scalare del campo vettoriale $\vec F$ per lo spostamento infinitesimo $d\vec s$ lungo la traiettoria del moto, e non la forma differenziale $F_i dx^i$ sul duale di $RR^3$; gli studenti di matematica non capiscono quasi nulla nei corsi di fisica, perché sembra che la matematica sia diventata una materia per linguisti e non per scienziati. Infatti, non capisco come mai si insista a far seguire i corsi di fisica agli studenti di matematica, che in gran parte la detestano. La matematica, così come è diventata grazie ai formalisti hilbertiani e a Bourbaki, starebbe bene nella facoltà di Lettere e Filosofia, e non in quella di Scienze.
evidentemente non mi sono spiegato bene.
Se assumi come definizione di differenziale quella di Cartan, allora non è possibile dare alcun significato a una scrittura come $(df)/dx$. I tuoi tentativi di dare un senso a $(df)/dx$ sono un pasticcio in cui sono mescolate cose che non possono coesistere. La situazione è simile al problema di dividere due numeri interi disponendo del solo insieme $ZZ$; in questo insieme una scrittura come $4/7$ è priva di senso. Se però prima costruiamo a partire da $ZZ$ il campo $QQ$, allora una scrittura come $4/7$ assume un significato preciso.
In modo analogo, $(df)/dx$ può avere un senso soltanto se prima costruisco un campo infinitesimale $I_h$ e interpreto tale quoziente all'interno di questo campo. Non lo sentirai dire in nessun corso universitario, sebbene nella matematica applicata se ne faccia uso senza menzionarlo esplicitamente. Infatti, gli studenti che debbono apprendere la fisica si trovano in una pessima situazione: nei corsi di matematica essi imparano delle magnifiche nozioni, ma sfortunatamente esse non hanno alcuna possibilità di applicazione scientifica immediata nella meccanica, nella termodinamica e nell'elettromagnetismo.
In meccanica $\vec F ** d\vec s$ significa prodotto scalare del campo vettoriale $\vec F$ per lo spostamento infinitesimo $d\vec s$ lungo la traiettoria del moto, e non la forma differenziale $F_i dx^i$ sul duale di $RR^3$; gli studenti di matematica non capiscono quasi nulla nei corsi di fisica, perché sembra che la matematica sia diventata una materia per linguisti e non per scienziati. Infatti, non capisco come mai si insista a far seguire i corsi di fisica agli studenti di matematica, che in gran parte la detestano. La matematica, così come è diventata grazie ai formalisti hilbertiani e a Bourbaki, starebbe bene nella facoltà di Lettere e Filosofia, e non in quella di Scienze.
"Sidereus":
Se assumi come definizione di differenziale quella di Cartan, allora non è posibile dare alcun significato a una scrittura come $(df)/dx$
Nemmeno se fisso $h$?
Intendo dire: fisso $h=3$, so per esempio che $df(x_0)(3)=24$, allora faccio $(df(x_0)(3))/(3)=24/3=8$... è sbagliato?
Se $dx_0(3)=3$, allora perché è sbagliato $(df(x_0)(3))/(dx_0(3))=24/3=8$?
E la sostituzione di $h$ con $dx_0(h)$? Pure questa è sbagliata con Cartan?
"WiZaRd":
E la sostituzione di $h$ con $dx_0(h)$? Pure questa è sbagliata con Cartan?
WiZaRd,
ribadisco il concetto. Se il differenziale è definito come vettore di uno spazio duale, allora non si possono fare divisioni.
Secondo questa concezione il differenziale è un oggetto che vive in uno spazio vettoriale e quindi, come tutti sanno, non possiamo parlare di inversi moltiplicativi, perché in uno spazio vettoriale non è definita una divisione tra vettori.
Per dare un senso a un rapporto tra differenziali bisogna modificare completamente l'impostazione del concetto di differenziale, mettendo da parte gli spazi duali e costruendo preliminarmente un'algebra degli infinitesimi.
OK. Se il differenziale è elemento di uno spazio vettoriale non c'è la divisione.
Però in un tuo precedente post avevi detto che non c'era niente di male a dividere due funzioni lineari.
Quindi a questo punto mi domando se sia corretto questo:
$forall h in RR, df(x_0)(h)=f'(x_0)h=dx_0(f'(x_0)h)=f'(x_0)dx_0(h)$: parlo cioè di una uguaglianza tra i trasformati di $h$ secondo il differenziale della funzione $f$ e secondo quella della funzione identica applicando per questo secondo differenziale le proprietà della linearità.
Le funzioni $df(x_0):RR to RR \ \ t.c. \ \ df(x_0)(h)=f'(x_0)h$ e $f'(x_0)dx_0 : RR to RR \ \ t.c. \ \ f'(x_0)dx_0(h)=f'(x_0)h$ hanno uguali domini e codomini, sicché $df(x_0)=f'(x_0)dx_0$.
Poi $forall h in RR, df(x_0)(h)=f'(x_0)dx_0(h) => (df(x_0)(h))/(dx_0(h))=f'(x_0)$, dove non ti parlo di divisione tra differenziali ma di divisione tra i trasformati di $h$ secondo i differenziali, cioè di divisioni tra numeri; in ragione di questo definisco la funzione $phi(h)=(df(x_0))/(dx_0) : RR to RR \ \ t.c. \ \ phi(h)=(df(x_0)(h))/(dx_0(h))=f'(x_0)$.
Però in un tuo precedente post avevi detto che non c'era niente di male a dividere due funzioni lineari.
Quindi a questo punto mi domando se sia corretto questo:
$forall h in RR, df(x_0)(h)=f'(x_0)h=dx_0(f'(x_0)h)=f'(x_0)dx_0(h)$: parlo cioè di una uguaglianza tra i trasformati di $h$ secondo il differenziale della funzione $f$ e secondo quella della funzione identica applicando per questo secondo differenziale le proprietà della linearità.
Le funzioni $df(x_0):RR to RR \ \ t.c. \ \ df(x_0)(h)=f'(x_0)h$ e $f'(x_0)dx_0 : RR to RR \ \ t.c. \ \ f'(x_0)dx_0(h)=f'(x_0)h$ hanno uguali domini e codomini, sicché $df(x_0)=f'(x_0)dx_0$.
Poi $forall h in RR, df(x_0)(h)=f'(x_0)dx_0(h) => (df(x_0)(h))/(dx_0(h))=f'(x_0)$, dove non ti parlo di divisione tra differenziali ma di divisione tra i trasformati di $h$ secondo i differenziali, cioè di divisioni tra numeri; in ragione di questo definisco la funzione $phi(h)=(df(x_0))/(dx_0) : RR to RR \ \ t.c. \ \ phi(h)=(df(x_0)(h))/(dx_0(h))=f'(x_0)$.
Guarda, si capisce meglio se pensi di avere una dimensione maggiore di 1.
Questo è un vettore in uno spazio 3-dimensionale: $\vec v=v^1 \vec e_1 +v^2 \vec e_2+v^3 \vec e_3$
Ha senso $(\vec v)/(\vec e_1) =v^1 +v^2 (\vec e_2)/(\vec e_1)+v^3 (\vec e_3)/(\vec e_1)$ ?
Questo è un vettore in uno spazio 3-dimensionale: $\vec v=v^1 \vec e_1 +v^2 \vec e_2+v^3 \vec e_3$
Ha senso $(\vec v)/(\vec e_1) =v^1 +v^2 (\vec e_2)/(\vec e_1)+v^3 (\vec e_3)/(\vec e_1)$ ?
No.
Bene.
Parimenti, se il differenziale di una funzione $f(x^1,x^2,x^3)$ :
$df=(\partial f)/(\partial x^1) dx^1 +(\partial f)/(\partial x^2) dx^2 +(\partial f)/(\partial x^3) dx^3$
è interpretato come vettore dello spazio duale di $RR^3$, e se $(dx^1 $, $dx^2 $, $dx^3)$ è una base di questo spazio vettoriale, allora scrivere
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
significa fare un'operazione da scimmioni, o se preferisci, da urang-utang.
Se invece $df$, $dx^1$, $dx^2$ e $dx^3$ sono interpretati come infinitesimi (cioè particolari enti matematici di un campo), allora l'espressione
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
ha perfettamente senso (si tratta infatti di una derivata totale).
In matematica "corretto" e "sbagliato" non hanno un significato assoluto, ma dipendente dalle definizioni e dalle strutture che stiamo utilizzando.
Salute
Parimenti, se il differenziale di una funzione $f(x^1,x^2,x^3)$ :
$df=(\partial f)/(\partial x^1) dx^1 +(\partial f)/(\partial x^2) dx^2 +(\partial f)/(\partial x^3) dx^3$
è interpretato come vettore dello spazio duale di $RR^3$, e se $(dx^1 $, $dx^2 $, $dx^3)$ è una base di questo spazio vettoriale, allora scrivere
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
significa fare un'operazione da scimmioni, o se preferisci, da urang-utang.
Se invece $df$, $dx^1$, $dx^2$ e $dx^3$ sono interpretati come infinitesimi (cioè particolari enti matematici di un campo), allora l'espressione
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
ha perfettamente senso (si tratta infatti di una derivata totale).
In matematica "corretto" e "sbagliato" non hanno un significato assoluto, ma dipendente dalle definizioni e dalle strutture che stiamo utilizzando.
Salute

"Sidereus":
[...] scrivere
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
significa fare un'operazione da scimmioni, o se preferisci, da urang-utang.
Se invece $df$, $dx^1$, $dx^2$ e $dx^3$ sono interpretati come infinitesimi (cioè particolari enti matematici di un campo), allora l'espressione
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
ha perfettamente senso (si tratta infatti di una derivata totale).
Opinabile.
L'espressione $(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$ si ottiene applicando il teorema di derivazione delle funzioni composte e pensando $x^1,x^2$ come funzioni di $x^3$; pertanto essa è una derivata "totale" (termine che non mi piace poi tanto, ma che è tanto caro a chi fa Meccanica Razionale) anche con le regole usuali, senza ricorrere agli iperreali.
"Gugo82":
L'espressione $(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$ si ottiene applicando il teorema di derivazione delle funzioni composte e pensando $x^1,x^2$ come funzioni di $x^3$...
Questo è ovvio in analisi standard.
Ma io mi riferivo al procedimento di ottenere l'espressione
$(df)/(dx^3)=(\partial f)/(\partial x^1) (dx^1)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^2) (dx^2)/(dx^3) +(\partial f)/(\partial x^3)$
dividendo per $dx^3$ primo e secondo membro dell'identità
$df=(\partial f)/(\partial x^1) dx^1 +(\partial f)/(\partial x^2) dx^2 +(\partial f)/(\partial x^3) dx^3$
Questa è roba da scimmioni in analisi standard, ma non lo è nel campo infinitesimale $I_h$.
Qui non stiamo discutendo dei risultati che si ottengono con l'una o l'altra impostazione, che sono ovviamente uguali, ma dei processi mentali con cui ci si arriva.
Salute

p.s. Complimenti per il 3d "Una questione di convergenza"
[OT]
Grazie.
Piaciuta la soluzione?
[/OT]
"Sidereus":
p.s. Complimenti per il 3d "Una questione di convergenza"
Grazie.

Piaciuta la soluzione?
[/OT]
Ho un problema con questo esercizio...
Si consideri la funzione di due variabili f(x_1,x_2)= 3(x1) - (x1)^2- 3 (x1)(x2)^2. Trovare il differenziale di f in x*= (2, 1).
...lasciando l'incremento h mi viene: -4(h1) - (h2).... il risultato invece è: 20 - 4(x1)- 12(x2)... evidentemente al posto di h ci mette (X-X*) però non so come procedere... HELPPPP!!!!
Si consideri la funzione di due variabili f(x_1,x_2)= 3(x1) - (x1)^2- 3 (x1)(x2)^2. Trovare il differenziale di f in x*= (2, 1).
...lasciando l'incremento h mi viene: -4(h1) - (h2).... il risultato invece è: 20 - 4(x1)- 12(x2)... evidentemente al posto di h ci mette (X-X*) però non so come procedere... HELPPPP!!!!