Che cos'è l'integrale di Lebesgue?

dissonance
"Fioravante Patrone":

Tempi fa mi sono imbattuto per caso in un lavoro apparso sugli Annali di Fourier. Mi ricordo che mi sono incavolato a vedere come le discussioni sul teorema di convergenza monotona e dominata (integrazione di Lebesgue) fossero vive, rispetto alla analisi evirata che mi era stata insegnata.

Stavo riflettendo su questo punto. Per come questi argomenti sono stati insegnati a me, mi accorgo che è proprio il teorema della convergenza monotona (quello della convergenza dominata, gira e volta, discende da questo) il vero pezzo da novanta dell'integrale di Lebesgue, e (imho) la ragione fondamentale per cui lo usiamo correntemente invece di quello di Riemann.

Ma perché l'integrale di Lebesgue ha questo teorema e quello di Riemann no? Ci ho pensato un po', mi sono dato delle risposte, ma non credo di aver trovato nulla di sufficientemente profondo - purtroppo l'analisi che ho studiato è, come dice Fioravante, evirata e soprattutto è pappa pronta. L'integrale di Lebesgue è per me dieci pagine di manuale.

Perciò mi piacerebbe discutere di questo argomento qui sul forum. Come rispondere alla domanda in sottolineato?

Risposte
ayeyye
interessante, secondo me, tutto nasce secondo me per la soluzione delle equazioni differenziali alle derivate parziali. i vecchi matematici si dedicavano alla risoluzione di veri problemi che spesso riguardavano equazioni alle derivate, si voleva estendere il concetto di soluzione a funzioni un pò meno regolari che non rispettavano rigorosamente l'equazione secondo la vecchia matematica, ma che avevano senso fisico e la rispettavano in senso "debole". allora hanno dovuto generalizzare il concetto di integrale come l'aveva dato newton e leibnitz, e hanno scoperto che funzionava, infatti così a differenza dell'integrale di riemann si riescono a trovare condizioni necessarie e sufficienti affinchè si possa portare il limite di una successione di integrali dentro l'integrale.

pat871
Secondo me invece questa teoria è nata principalmente dal fatto che l'integrazione secondo Riemann era carente rispetto a determinate funzioni non continue ma di importanza rilevante, come per esempio la funzione indicatrice dei numeri razionali. Inoltre l'integrale di Riemann da molti problemi quando scambi l'operatore di integrale con un altro (per esempio derivata o somma). Infatti non si può applicare Riemann per funzioni che non sono "belle" abbastanza. Fu anche per questo (e sicuramente anche per altri motivi) che Lebesgue introdusse il suo concetto di misura, e quindi la sua famosa teoria.

Per quel che riguarda la domanda, provo a cercarti un esempio. Wikipedia aiuta sempre :D

Sia $QQ = \{a_j\}_{j \in NN_0}$ un enumerazione dei razionali in $[0,1]$.
Allora consideriamo la funzione
$g_k(x) = 1$ se $x = a_j, j \le k$
$g_k(x) = 0$ altrimenti
La funzione $g_k$ è uguale a 0 ad eccezione di finiti punti, quindi l'integrale di Riemann è 0, per ogni $k$, ma
$g_k$ è una funzione monotona che tende a $I_{QQ \cap [0,1]}$ che non è integrabile secondo Riemann.
La convergenza monotona dunque fallisce.

Sidereus1
Il mio punto di vista è quello di un cultore, non di un professionista della matematica, per cui prendetelo per quello che vale.
L'integrale di Lebesgue è costruito in modo tale da possedere tutte le proprietà desiderabili di un vero "integrale", cioè del concetto intuitivo di misura che tutti possediamo. In modo particolare, l'estrema flessibilità nell'operare su successioni e serie di funzioni lo rende indispensabile per costruire l'analisi funzionale. Quest'ultima risulterebbe estremamente farraginosa e piena di inutili restrizioni senza l'integrale di Lebesgue.
Venendo alla domanda di dissonance, direi che l'integrale di Lebesgue e il teorema della convergenza monotona sono quasi la stessa cosa. La definizione di integrale di Riemann è costruita sull'idea di area sottesa dal grafico di $f(x)$; il centro della definizione resta però la funzione $f(x)$. Invece l'integrale di Lebesgue nasce direttamente dall'idea di convergenza quasi ovunque; si capisce bene se si pensa all'approccio alla Riesz-Nagy per la costruzione dello spazio $L^1$. Prima si definisce un integrale per le successioni di funzioni a gradino, poi si estende questa definizione ai limiti di queste successioni. Il centro del discorso qui non è più la funzione $f(x)$ che si vuole integrare, ma le successioni di funzioni semplici (a gradino) che la approssimano.
E' chiaro che se si parte direttamente con una teoria astratta dell'integrazione (come fa Rudin nel suo celebre trattato), è difficile rendersi conto di primo acchito del perché si ricorre a una impostazione così diversa rispetto all'integrale di Riemann.

ViciousGoblin
Rispondo senza riflettere molto.

A me pare che l'integrale di Lebesgue sia un "completamento" dell'integrale di Riemann il quale ha il difetto e' di avere " troppo poche funzioni integrabili"
Il teorema della convergenza monotona puo' fallire per l'integrale di Riemann se il limite non e' Riemann-integrabile.

Per fare un parallelo anche il teorema "ogni successione monotona ha limite" e' vero in $RR$, ma non in $QQ$.

Sidereus1
"ViciousGoblin":
Il teorema della convergenza monotona puo' fallire per l'integrale di Riemann se il limite non e' Riemann-integrabile.


Infatti, il punto è proprio questo. Con l'integrale di Lebesgue possiamo praticamente "fregarcene" di $f(x)$: è sufficiente fare ipotesi solo sulla successione $f_n(x)$, e questo è un bel vantaggio per la costruzione di spazi di funzioni (metrici o topologici che siano).
Salute :)

pic2
Inoltre, il passaggio da integrale di Riemann a quello di Lebesgue è un ottimo esempio di double counting.

gugo82
"pic":
Inoltre, il passaggio da integrale di Riemann a quello di Lebesgue è un ottimo esempio di double counting.

Credo ti riferisca al giochino "divido il dominio"/"divido l'immagine" (che costituisce la vera differenza tra i due tipi d'integrale), o sbaglio?

Camillo
Al riguardo di "divido il dominio/divido l'immagine " trovo interessante il testo che segue (del prof. L.Pandolfi).

Sia l'integrale di Riemann che di Lebesgue si ottengono "approssimando" la funzione da integrare $f $ con " funzioni semplici " ; ma, nel caso dell'integrale di Riemann, le "funzioni semplici" si ottengono "affettando" il dominio e quindi sono funzioni costanti a tratti.
Nel caso dell'integrale di Lebesgue le funzioni semplici si ottengono "affettando" il codominio: sono ancora funzioni che prendono un numero finito di valori ma gli insiemi su cui esse sono costanti sono generici insiemi misurabili secondo Lebesgue.
Esistono però relazioni tra i due integrali. Infatti, il teorema di Riemann-Lebesgue (*) mostra che una funzione integrabile di Riemann è continua q.o., e quindi misurabile.
Essendo anche limitata e definita su un insieme limitato, essa è anche integrabile secondo Lebesgue, e non è difficile vedere che i due integrali hanno lo stesso valore.
La definizione di integrale improprio è invece sostanzialmente diversa dalla costruzione di Lebesgue, ed esistono funzioni che ammettono integrale improprio senza avere integrale di Lebesgue. Tra queste anche funzioni importanti per le applicazioni, come per esempio le funzioni

$f(x) =sin x/x ; f(x)=sinx^2 $

Si sa che queste funzioni ammettono integrale improprio, senza essere assolutamente integrabili; e quindi non possono avere integrale di Lebesgue.

(*)Teorema di Riemann-Lebesgue
Una funzione limitata f(x) definita su un intervallo limitato (a; b) di $RR$ è integrabile secondo Riemann se e solo
se l'insieme dei suoi punti di discontinuità è un insieme nullo.
Osservazione - Si noti che questo teorema implica che la funzione di Dirichlet non è integrabile secondo Riemann. Infatti essa è discontinua in ciascun punto di [0; 1] e [0; 1] non è un insieme nullo.

dissonance
Ricapitolo un po' ciò che è stato detto finora:
con i primi interventi abbiamo visto che il teorema della convergenza monotona sta ad una teoria dell'integrazione come il teorema di regolarità delle successioni monotone sta alla struttura dei numeri reali (riassumendo all'osso gli interventi di pat, V.G. e Sidereus). Parallelo molto interessante, visto che senza quest'ultimo teorema non riesco a immaginarmi neanche una frazione dei risultati di analisi che ho incontrato finora. Ma questo è un aspetto che vorrei approfondire in un secondo momento.

Prima mi piacerebbe capire un po' meglio questa storia di "divido il dominio/divido l'immagine" che trovo anche su Wikipedia:

Come funziona? Per me l'integrale di Lebesgue di una funzione positiva e misurabile è il sup degli integrali delle funzioni semplici approssimanti per difetto. Che c'entra quella figura con i rettangoli rossi a cui fa riferimento anche Camillo?

gugo82
Dissonance, questa è pagina 2 del Rudin... :lol:
(Non prendermi alla lettera, è un modo di dire; intendo una cosa che sta nelle prime pagine del primo capitolo.)

Guarda attentamente come si costruisce la successione di funzioni semplici $s_n$ che approssimano una funzione misurabile positiva $f$ (teorema 1.17): praticamente si divide $[0,+oo[$ (ossia l'immagine di $f$!) in intervallini $[k/2^n,(k+1)/2^n[$ e semiretta $[n,+oo[$, se ne prendono le controimmagini mediante $f$, dette $E_(n,k)$ ed $F_n$, e si pone $s_n:=\sum_(k=0)^(n*2^n-1) k/(2^n)\chi_(E_(n,k))+n*\chi_(F_n)$.

P.S.: Ovviamente faccio riferimento all'edizione italiana, di cui ho fotocopiato solo alcune parti... :smt013
Nell'edizione americana il discorso è un tantino più brutto, secondo me.

dissonance
Si, Rudin fa il discorso che dici tu: ogni funzione misurabile e positiva $f$ è limite crescente di una successione di funzioni semplici (delle quali hai avuto la pazienza di esplicitare l'espressione analitica). Poi alla luce del teorema di B.Levi (convergenza monotona), osserva che allora l'integrale di $f$ è il limite della corrispondente successione di integrali.

A questo punto, visto anche lo stralcio riportato da Camillo, penso che il discorso come lo fa Rudin sia rovesciato rispetto all'ordine "storico" con cui si è evoluta l'idea dell'integrale di Lebesgue. Cioè, l'idea di fondo di questo integrale è stata proprio questa di "suddividere il codominio", mentre invece l'integrale di Riemann "suddivideva il dominio". E questo perché si cercava proprio una maniera di ottenere la convergenza monotona. Mi sbaglio?

gugo82
In realtà il discorso, storicamente, è un po' più complesso (come cercavo di spiegare ad una mia collega algebrista pochi giorni fa).

Storicamente il discorso è tutto fondato sulla ricerca di una caratterizzazione decente del concetto di "piccolezza".
Ora cerco di spiegarmi, ma non so se ci riuscirò bene.

Partiamo da tre punti fermi:

I) la prima definizione formale dell'integrale è dovuta a Cauchy (1820, poco più poco meno): va da sé che tutto funzionava bene con funzioni continue nei compatti;

II) arriva Riemann e sistema la definizione di Cauchy (1850, o giù di lì): in tal modo tutto contunuava a funzionare per le funzioni continue nei compatti, epperò funzionava anche per funzioni su insiemi non compatti e per funzioni un po' discontinue;

III) infine, viene Lebesgue e cambia il modo di approcciare la questione (1905, più o meno): il nuovo integrale funziona benissimo sui limitati, ma ha qualche problema (a cui nei casi interessanti si può ovviare) sui non limitati;

e domandiamoci cosa succede tra I) e II) e tra II) e III).

Tra I) e II) c'è la pubblicazione del trattato sulla Teoria Analitica del Calore di Fourier, che secondo me è il vero spartiacque tra la Matematica Antica (quella di Eulero, Lagrange, Gauss...) e quella Moderna (di Cantor, Dirichlet, Peano...): in quel libro Fourier comincia la studio delle serie trigonometriche, che poi viene continuato da Dirichlet.
Come tutti sappiamo, la convergenza delle serie trigonometriche non è molto bella: invero le somme delle serie trigonometriche possono presentare salti oppure punti angolosi (cosa che non succede mai con le serie di potenze!). Questo porta a due rivoluzioni: una nel concetto stesso di funzione (prima di Dirichlet dire "funzione" equivaleva a dire "funzione analitica"), di cui non ci interessa; l'altra nel concetto di integrale, poichè l'integrale di Cauchy funzionava solo per le funzioni continue.
Lo studio più approfondito del concetto di integrale porta Riemann alla sua definizione. Anzi, l'integrale di Riemann andava proprio benissimo per i problemi sollevati dalle funzioni sviluppabili in serie trigonometriche: infatti, per il criterio di Dirichlet, risultano sviluppabili in serie trigonometrica nel senso della convergenza puntuale tutte quelle funzioni periodiche che hanno in ogni compatto un numero finito di salti e di punti angolosi.
(N.B.: non c'è da meravigliarsi; Riemann era allievo di Dirichlet! :wink:)

Invece tra II) e III) succedono molti più casini.
Innanzitutto ci si comincia a chiedere quanto sia "grande" l'insieme di discontinuità che può avere una funzione integrabile secondo Riemann: per fare un analisi del genere occorreva innanzitutto specificare il senso dell'aggettivo "grande".
L'idea più rozza di "grandezza" è quella legata alla cardinalità. Questa è l'idea seguita da Cantor (che per queste ragioni inventa tutte quelle belle caratterizzazioni degli insiemi infiniti), il quale però arriva a costruire il famoso insieme ternario: questo insieme è "grande" dal punto di vista della cardinalità poichè ha un numero infinito di punti, però è allo stesso tempo "piccolo" rispetto all'integrale perchè non dà fastidio all'integrale di Riemann.
Ne viene che la teoria della "grandezza" puramente algebrica (ossia la Teoria della Cardinalità) non va bene per essere applicata agli integrali.*
La strada più appropriata per attaccare il problema della definizione di "grande" fu imboccata da Jordan, il quale introdusse per primo l'idea di misura, e fu seguita da Peano, da Borel ed infine da Lebesgue.
A chi studia la teoria della misura astratta oggi sembrerà strano (anche se lo stupore dovrebbe essere minore dopo la lettura di quanto ho scritto), ma il risultato principale del libro di Lebesgue sulla Teoria dell'Integrazione e la Ricerca delle Funzioni Primitive è quello che caratterizza la "grandezza" dell'insieme dei punti di non derivabilità delle funzioni monotone:
Una funzione definita in un intervallo ed ivi monotona è derivabile quasi ovunque.

ove il concetto di "quasi ovunque" è quello cui siamo abituati da Analisi I; dello stesso tipo è il Teorema di Lebesgue-Vitali che caratterizza, molto meglio del criterio di Riemann, la classe delle funzioni integrabili secondo Riemann in un compatto:
Una funzione definita in un compatto è integrabile secondo Riemann se e solo se essa è continua quasi ovunque.

Quindi il concetto complementare a quello di "quasi ovunque" è proprio la formalizzazione decente del concetto naturale di "piccolezza" che torna buono applicare all'integrale.
Ovviamente, una volta fatto trenta, si fa pure trentuno: sviluppata una decente Teoria della Misura, Lebesgue sviluppa una teoria dell'integrazione migliore di quella di Riemann (come dimostrano le ipotesi molto più blande che servono per passare il limite sotto integrale); tanto migliore che essa viene usata tuttoggi ad un secolo di distanza.

Non vorrei dimenticare però di citare altre due cosette.
Innanzitutto le ricerche sulla "piccolezza" sono state portate avanti anche dal lato della topologia (le ricerche di Baire sono esemplari: il lemma di Baire dice, in soldoni, che il sostegno di uno spazio metrico completo non è "piccolo").
Infine ci sono molte costruzioni equivalenti dell'integrale di Lebesgue, fatte in tempi di poco posteriori: vale la pena ricordare:

- l'integrale di Daniell: praticamente si definisce l'integrale come funzionale lineare sul reticolo delle funzioni semplici e poi lo si estende a classi più ampie; basandosi sull'integrale si definisce poi una misura. Il procedimento è l'inverso di quello di Lebesgue, però i risultati sono identici (nel senso che la misura di Daniell coincide con quella di Lebesgue, quindi l'integrale di Daniell coincide con quello di Lebesgue);

- l'integrale di Denjoy-Perron: praticamente una generalizzazione dell'integrale di Riemann che si applica in quei casi in cui l'integrale di Lebesgue non va bene (insomma quando si ha a che fare con funzioni non $L^1$).

Scusate la lunghezza, spero di non avervi annoiato.

__________
* Questo vuole essere un messaggio per gli amici algebristi.
Le tecniche astratte che essi sviluppano, per la maggior parte, sono derivate da tentativi di dare soluzione a problemi dell'Analisi e della Geometria. Meglio chiarirlo, visto che in nessun testo di Algebra si parla mai del perchè è stata creata la Teoria della Cardinalità (o l'Algebra Omologica, o tutte quelle atre "zozzerie" astratte :-D).

Fioravante Patrone1
Carino, mi è piaciuto leggerlo. Incluso la nota finale alla quale aggiungo che forse alcuni non lo dicono perché non lo sanno :evil: *


* NB: ( :-D < :evil: ) :-D

Camillo
Complimenti a Gugo per l’interessante esposizione storica sull’argomento.

Per cercare di chiarire il dualismo :dividi dominio/dividi immagine riporto la spiegazione di Lebesgue stesso in un articolo divulgativo del 1926 in cui cercava di spiegare in termini non tecnici la differenza tra l’integrazione in senso classico e la nuova concezione che egli stesso aveva introdotto all’inizio del secolo XX , precisamente nel 1902, nella sua tesi di laurea.

“ I geometri del XVII secolo consideravano l’integrale di $ f(x)$ -la parola “integrale” non era ancora stata inventata, ma non importa- come la somma di un’infinità di indivisibili, ognuno dei quali era l’ordinata, positiva o negativa , di $f(x) $.Benissimo ! Noi abbiamo semplicemente raggruppato insieme gli indivisibili di grandezza vicina. Abbiamo, come si dice in Algebra , riunito i termini simili. Si potrebbe dire che, secondo il procedimento di Riemann , si cerca di sommare gli indivisibili prendendoli nell’ordine nel quale ci sono forniti dalla variazione di $x $ , come un commerciante confusionario che conta monete e biglietti a caso, nell’ordine in cui gli vengono dati, mentre noi operiamo come un commerciante metodico, che dice :

ho $m(E_1)$ monete da 100, che valgono $100*m(E_1)$
ho $m(E_2) $ biglietti da 500, che valgono $500*m(E_2)$
etc.
Tutto insieme ho
$S=100*m(E_1) +500*m(E_2)+,,,,$ [essendo $m(E_1)$ la misura dell’insieme $E_1 $] .
I due procedimenti porteranno di certo il commerciante allo stesso risultato, poiché per quanti soldi abbia , c’è solo un numero finito di monete e di biglietti da contare. Ma per noi, che dobbiamo sommare un numero infinito di indivisibili, la differenza dei due metodi è di capitale importanza.”

Prendo spunto da quanto sopra per esaminare come si comportano gli integrali di Riemann e di Lebesgue nel caso della funzione di Dirichlet : $f (x) = 1 $ se $ x in QQ nn [0,1]$ ; $f(x) = 1 $ altrimenti , cioè a parole $f$ vale $1 $ nei punti razionali, $0 $ negli altri , sempre nell’intervallo $[0,1]$.
Il trapezioide di $f $ è un “ pettine per pidocchi “ : è il segmento di estremi $(0,0)$ e $(1,0)$ a cui si aggiunge, per ogni punto di ascissa razionale, un segmento verticale di lunghezza unitaria.
Il grafico di questa funzione non è disegnabile: essa è discontinua in ogni punto dell’intervallo $[0,1]$ e come tale non è integrabile secondo Riemann.
Infatti, poiché tanto i razionali quanto gli irrazionali sono densi sulla retta reale, qualunque sia la scomposizione dell’intervallo $[0,1]$ , si ha $e_k=0, E_k = 1 $ per ogni $k $ , dunque tutte le somme inferiori sono nulle , tutte le somme superiori valgono $1$ : gli insiemi numerici costituiti dalle somme inferiori e da quelle superiori NON sono contigui , non vi è un elemento di separazione (cioè l’integrale cercato) e quindi la funzione non è integrabile secondo Riemann.

Nel caso di integrazione secondo Lebesgue la divisione dell’immagine è semplice e non crea problemi : si hanno solo 2 valori $0, 1 $.
Il problema si sposta alla valutazione della misura degli insiemi :
· dei numeri razionali tra $ 0 $ e $1 $ che essendo una infinità numerabile ha misura di Lebesgue pari a $0 $
· dei numeri irrazionali tra $0 $ e $ 1 $ che ha misura pari a $ 1 $.
L’integrale di Lebesgue esiste e vale : $0*1+1*0 =0 $ essendo nell’ordine
$0$ la misura dell’insieme dei razionali tra $0 $ e $ 1 $
$1 $ il valore della funzione di D. nei punti razionali
$1$ la misura dell’insieme degli irrazionali tra$0 $ e $1 $
$0$ il valore della funzione di D. nei punti irrazionali .

Una considerazione finale : quel che mi sorprende è che l’integrale di Lebesgue ( pur più che centenario) trovi ancora oggi collocazione solo in corsi avanzati di Analisi ( da Analisi 3 in avanti ) e non ne venga neppure accennata l’esistenza non dico a livello liceale ma neppure nei primi corsi universitari di Analisi .
Perché ? Certo i concetti su cui si basa non sono semplici ( misura di un insieme, funzioni misurabili etc ) ma….??

gugo82
"Fioravante Patrone":
Carino, mi è piaciuto leggerlo.

"Camillo":
Complimenti a Gugo per l’interessante esposizione storica sull’argomento.

Mi fa davvero tanto piacere ricevere complimenti da voi due.
Grazie a voi per aver avuto la pazienza di leggere il post.

"Fioravante Patrone":
Incluso la nota finale, alla quale aggiungo che forse alcuni [algebristi, n.d. Gugo82] non lo dicono perché non lo sanno :evil: *


* NB: ( :-D < :evil: ) :-D

Piuttosto direi che, per darsi un aria di nobiltà, cantano solo la mezza messa. :twisted:

"Camillo":
Una considerazione finale : quel che mi sorprende è che l’integrale di Lebesgue ( pur più che centenario) trovi ancora oggi collocazione solo in corsi avanzati di Analisi ( da Analisi 3 in avanti ) e non ne venga neppure accennata l’esistenza non dico a livello liceale ma neppure nei primi corsi universitari di Analisi .
Perché ? Certo i concetti su cui si basa non sono semplici ( misura di un insieme, funzioni misurabili etc ) ma….??

In realtà Giusti ci aveva provato ad introdurre Lebesgue in Analisi II (cfr. il suo testo di Analisi II del 1998)... Poi sono arrivate le lauree triennali ed è crollato tutto.

Leonardo891
"Gugo82":
[quote="Camillo"]Una considerazione finale : quel che mi sorprende è che l’integrale di Lebesgue ( pur più che centenario) trovi ancora oggi collocazione solo in corsi avanzati di Analisi ( da Analisi 3 in avanti ) e non ne venga neppure accennata l’esistenza non dico a livello liceale ma neppure nei primi corsi universitari di Analisi .
Perché ? Certo i concetti su cui si basa non sono semplici ( misura di un insieme, funzioni misurabili etc ) ma….??

In realtà Giusti ci aveva provato ad introdurre Lebesgue in Analisi II (cfr. il suo testo di Analisi II del 1998)... Poi sono arrivate le lauree triennali ed è crollato tutto.[/quote]
Aggiungo che l'Acerbi-Buttazzo (libro per un corso di analisi 1 annuale) "spiega-dimostra" come la funzione di Dirichlet risulti integrabile secondo Lebesgue con integrale nullo.
Accennando a questo tipo di integrale, piuttosto, sempre l'Acerbi-Buttazzo spiega che la differenza tra i due integrali risiede nel fatto che il sottografico con Lebesgue può essere """diviso, approssimato""" con qualsiasi figure di area nota, per esempio poligoni e cerchi, o anche con successioni di rettangoli invece che semplicemente con un numero finito di rettangoli. Dice, per esempio, che questi rettangoli possono essere "orizzontali" anziché "verticali" e questo mi sembra coincidere con quello che state dicendo voi.
Ovviamente ho usato dei termini un po' balordi e mi scuso da subito per le 1000 scempiaggini che avrò detto ma ne stiamo parlando in termini intuitivi, no?
Ciao

P.S. Bella la spiegazione di Gugo

Sk_Anonymous
Non sò se la teoria dell'integrazione di lebesgue sia insegnata in una laurea triennale a matematica, ma per esempio nei corsi di laurea in fisica non avrebbe senso complicarsi la vita con lebesgue: come è gia stato detto, esistono funzioni piuttosto bizzarre che sono sommabili, cioè integrabili alla lebesgue, senza esserlo alla riemann ( ad esempio la funzione di dirichlet), tuttavia tali funzioni sono del tutto prive di interesse per la fisica, anche se sono essenziali per rendere completo lo spazio funzionale.

Leonardo891
[OT]
"Giovici":
Non sò se la teoria dell'integrazione di lebesgue sia insegnata in una laurea triennale a matematica, ma per esempio nei corsi di laurea in fisica non avrebbe senso complicarsi la vita con lebesgue: come è gia stato detto, esistono funzioni piuttosto bizzarre che sono sommabili, cioè integrabili alla lebesgue, senza esserlo alla riemann ( ad esempio la funzione di dirichlet), tuttavia tali funzioni sono del tutto prive di interesse per la fisica, anche se sono essenziali per rendere completo lo spazio funzionale.

Quando leggo e sento simili affermazioni (forse, pienamente legittime dal punto di vista dei fisici, anche se non so fino a che punto) mi sento veramente contento e soddisfatto di aver scelto matematica.
[/OT]

gugo82
[OT]

"Giovici":
Non sò se la teoria dell'integrazione di lebesgue sia insegnata in una laurea triennale a matematica, ma per esempio nei corsi di laurea in fisica non avrebbe senso complicarsi la vita con lebesgue: come è gia stato detto, esistono funzioni piuttosto bizzarre che sono sommabili, cioè integrabili alla lebesgue, senza esserlo alla riemann ( ad esempio la funzione di dirichlet), tuttavia tali funzioni sono del tutto prive di interesse per la fisica, anche se sono essenziali per rendere completo lo spazio funzionale.

Senza senso.

Se avessi studiato un po', sapresti che ai fisici piace proprio tanto tanto lo spazio $L^2$, che contiene molte funzioni non integrabili alla Riemann.

[/OT]

ayeyye
"Giovici":
Non sò se la teoria dell'integrazione di lebesgue sia insegnata in una laurea triennale a matematica, ma per esempio nei corsi di laurea in fisica non avrebbe senso complicarsi la vita con lebesgue: come è gia stato detto, esistono funzioni piuttosto bizzarre che sono sommabili, cioè integrabili alla lebesgue, senza esserlo alla riemann ( ad esempio la funzione di dirichlet), tuttavia tali funzioni sono del tutto prive di interesse per la fisica, anche se sono essenziali per rendere completo lo spazio funzionale.


direi che serve proprio per la fisica l'integrale di lebesgue, soprattutto per le teorie moderne e la meccanica quantistica, non scordiamoci che la delta di dirac nasce dalla statistica di Fermi-Dirac, e che i problemi matematici non hanno senso senso senza un corrispettivo problema fisico.

Rispondi
Per rispondere a questa discussione devi prima effettuare il login.