Domanda di teoria sull'immagine

simpatico
Ciao, vorrei riproporre un dubbio per cui non ho avuto aiuto, forse ho peccato di rendere lo scritto troppo lungo e volevo provare a ripostare, togliendo dal principio alcune domande e lasciandone UNA.

Vorrei basarmi su un esempio, una applicazione lineare, ma il dubbio è teorico e non di un esercizio.

Io so che per definizione
data $f: V->W$ ad esempio come matrice $L=((2,4),(1,2))$ (nel nostro caso avremo gli insiemi $V=RR^2=W$)
l'immagine è l'insieme così definito: $Im(f):={w in W : ∃v in V t.c f(v)=w}$

Mi trovo subito con una domanda, quando si vuole trovare l'immagine di L si procede così:

si prende un vettore qualsiasi di $R^2$ cioè $x in V$ (scrivo V perché più facile distinguere dominio e codominio così, invece di chiamarlo $RR^2$) e si applica $L$ a $x$: Lx, ottengo facendo i conti: $w:=(2x_1+4x_2,x_1+2x_2)$ e quindi si dice che $Im(L)={(2x_1+4x_2,x_1+2x_2) : x_1, x_2 in RR}$.

Ora, a me sembra di aver fatto questo procedimento:
- ho preso un qualunque (per ogni) vettore di V $v=x=(x1,x2)$
- ho trovato che $L(x)=w in W$.

Ma questo procedimento sfrutta un per ogni x e non un esiste x=(x1,x2) come richiede la definizione data; ho appunto usato un per ogni $vecx$ e mostro che ho un w da questo x tale che L(x)=w. Ma la definizione non chiede questo! Non capisco quindi come far tornare le cose.

Spero in qualche aiuto e ringrazio molto.

Risposte
simpatico
"megas_archon":
OP, la risposta breve a tutti i tuoi dubbi è che puoi formalizzarli, ma ti sarà del tutto inutile a capire la cosa che volevi capire 40 messaggi fa.
sì, certo, è chiaro che siamo usciti dal discorso iniziale. Ma come spesso accade aperta una porta ce ne sono mille altre e qui ho aperto un portone di mia ignoranza estrema. Insomma, è chiaro che il dubbio iniziale c'entra nulla con questo, ma è altrettanto intrigante.

Detto questo, se quelle pagine mi aiuteranno a capire perché dalla tautologia del modus ponens:
(P & (P=>Q)) => Q, riesco a dedurre perché per dimostrare Q basta mostrare che P=>Q è vera e P è vera allora Q è vera le leggerò più che volentieri 8-).

Capire qualcosa, anche con sacrifici, è sempre piacevole per uno stolto

Nestor, secondo me non ti è chiaro cosa sia una tautologia. Qual è la definizione di tautologia? Prova a scrivere qualche esempio di tautologia.

simpatico
Una tautologia dovrebbe essere qualcosa di sempre vero.
Esempi piuttosto scemi, così su due piedi:
(P & Q)=>Q
not (P and not P)
(A=>B) <=> (not B => not A)

Il fatto che in questi non ci vedo una deduzione di qualcosa come invece per il modus ponens che lì mi permette di dedurre "Se P=>Q è vera e P è vera allora Q è vera". ES: non dico se P e Q veri allora deduco Q vera.
Sta qui il mio dilemma

megas_archon
Ti ho dato io la definizione di tautologia. È una formula che viene interpretata in "vero" da ogni funzione di interpretazione. Ti è chiara questa definizione?

simpatico
Mi pare di sì, per quanto sono riuscito a leggere in pochi minuti riguardo la funzione di interpretazione.

"nestor":
(P & Q)=>Q
Anche questa è una deduzione di qualcosa, perché non ti crea confusione?

simpatico
E' [...] deduzione di qualcosa, perché non ti crea confusione?


Probabilmente perché, in effetti, non l'ho mai sfruttata come tale per dimostrare qualcosa. Insomma, non me ne ero mai accorto. Mentre oggi mi sono scontrato con la deduzione dal modus ponens e con il relativo dimostrare Q.

In sostanza anche tramite quella: (P & Q)=>Q, posso andare a dimostrare Q dicendo se P & Q è vera allora deduco Q (partendo quindi da P & Q vere).

Tuttavia, ovviamente, ci sono tautologie che non portano a deduzioni: vedi il mio altro esempio:
not (P and not P)

"nestor":
(A=>B) <=> (not B => not A)
Da questa tautologia ne puoi immediatamente dedurre un'altra:

(A=>B) => (not B => not A)

Questa è una deduzione. Perché non ti crea confusione?

E perché invece il modus ponens ti crea confusione?

simpatico
Sempre per il motivo di cui sopra. Perché il modus ponens è la prima volta per cui ho sfruttato il fatto che una tautologia mi fa capire che se (A=>B) è vera allora deduco (not B => not A). Quindi posso dimostrare (not B => not A) vera, dopo aver mostrato (A=>B) vera.

Diciamo che il modus ponens ha avuto la "sfiga", per primo, di farmi rendere conto di questo utilizzo.

simpatico
Sempre per il motivo di cui sopra. Perché il modus ponens è la prima volta per cui ho sfruttato il fatto che una tautologia mi fa capire che se (A=>B) è vera allora deduco (not B => not A). Quindi posso dimostrare (not B => not A) vera, dopo aver mostrato (A=>B) vera.

Diciamo che il modus ponens ha avuto la "sfiga", per primo, di farmi rendere conto di questo utilizzo; non è che avesse qualcosa di intrinsecamente speciale.



Il dimostrare fino ad oggi per me è sempre stato F=>Z, mostri che questo è vero, se a posto.

Oggi mi sono reso conto che se ho ad esempio mostrato che F=>Z tatuologia, allora se F è vero ho che Z è vero. In un certo senso dedurre è un po' diverso dall'utilizzo che ho sempre fatto dell'implicazione.

Allora basta che ti togli dalla testa la convinzione sbagliata secondo cui puoi dimostrare solo implicazioni.

simpatico
Sì esatto. Quella era una cosa molto sbagliata che avevo in mente. E in secondo luogo debbo aggiungere il fatto che quando ho dimostrato una tautologia (che qui scrivo semplicemente come A=>B), allora dimostrato vero A deduco B (considerazione, o meglio "deduzione", che discende proprio dall'avere una tautologia). Era un fatto di cui, sinceramente, non mi ero mai accorto.

Per questo prima non capivo, avevo preconcetti ben saldi in mente e non capivo.

megas_archon
Secondo me il tuo dubbio è (anche) questo https://math.stackexchange.com/question ... mplication

simpatico
Certo che sì, è proprio quello infatti. Che rozzamente ho riassunto in
considerazione, o meglio "deduzione", che discende proprio dall'avere una tautologia
(nel mio ultimo post)
il fatto è che c'è una differenza tra implicazione materiale e logica -> e =>. Ad ora ho tagliato corto spiegandomela come scrivevo nel mio ultimo post (non so se possa funzionare, ma per le cose spicciole a tentoni mi pare di sì), perché sto leggendo le pagine che hai linkato... ma credo mi ci vorrà un po' di tempo per interiorizzarle.

simpatico
Per chiarire meglio la mia precedente, quello che volevo dire è che prima conoscevo solo l'implicazione materiale.

Quindi quando trovavo il modus ponens, io leggevo solo $(P & (P->Q))->Q$ (*) e per me andava dimostrata come implicazione tutta. Non pensavo portasse anche a un processo di deduzione "Q vera" date le premesse vere.
Ho poi scoperto con questi discorsi che, esiste =>, quella detta "implicazione logica".
Questa permette la deduzione "=>" che è una relazione tra predicati, dunque $(P & (P->Q))=>Q$ in sostanza ci dice quello che spiegava Martino: date P e (P->Q) vere, "deduco" Q vera, ma questo è proprio perché (*) è una tautologia.

D'altra parte leggevo che si dimostra che => si ha se e solo se -> è una tautologia.

Detto ciò volevo ringraziare tutti per l'aiuto, inoltre sto leggendo quelle dispense... però mi ci vorrà ancora un po' per avere un bel quadro completo e formale.

kaiz
Mi sono sparato la lettura di tutta la discussione e mi è molto interessata anche la digressione sulla logica.
Però qualche tempo fa avevo accantonato il dubbio iniziale di OP riservandomi di tornarci su e casualmente me lo ritrovo in queste pagine e quindi forse è l'occasione giusta per rimetterci mano.

La mia domanda è per me molto importante perché ci ho riflettuto a lungo e non ho mai davvero ben capito il perché per valutare l'immagine (mi riferisco al primo messaggio di questa discussione) si prenda un "per ogni v" per trovare l'immagine se la definizione di immagine stessa usa il quantificatore "esiste v" nella descrizione dell'insieme di elementi.

Purtroppo sebbene abbia letto tutto non ho capito la spiegazione che si è dato OP che ha capito come risolverSI il dubbio.

Parto quindi dalla risposta di @Martino:
"Martino":
Il motivo è che i due insiemi

1) ${w in W\ :\ ∃v in V\ t.c.\ f(v)=w}$

2) ${f(v)\ :\ v in V}$

sono uguali tra loro.
e chiedo perché questo garantirebbe il poter prendere "per ogni v"?
Le due scritture si dovrebbero leggere, come da voi scritto:
1) w∈A se e solo se esiste v∈V tale che f(v)=w
2) un elemento è in B se e solo se sarà del tipo f(v) per qualche v∈V ovvero un elemento è in B se e solo se sarà del tipo f(v) t.c esiste v∈V

Io ci vedo sempre un esiste, non ho quindi capito da cosa salti fuori il per ogni nella risposta del quote.

Mi si potrebbe gentilmente aiutare? Vi dico grazie anticipatamente perché ci persi molto tempo qualche mese fa e non ho trovato in nessun libro o forum una spiegazione.


PS: se la discussione fosse troppo lunga posso aprirne un'altra. Però la domanda è davvero identica, quindi dimmi tu che sei il mod :D

Non capisco da dove venga tutta questa confusione. Basta che scrivi la dimostrazione che quei due insiemi sono uguali. Scrivila e vedrai che diventerà tutto chiaro.

kaiz
Ma sai che non ho capito proprio leggendo la dimostrazione.

La dimostrazione è quella che scrivevi tu[nota]come dicevo mi sono letto tutto tutto :lol:[/nota]:

A= {w∈W : ∃v∈V t.c. f(v)=w}; B={f(v) : v∈V}

Dimostriamo che A=B.

Prima inclusione: $A subseteq B$. Prendiamo $w in A$. Allora esiste $v in V$ tale che $f(v)=w$. Ma allora $w=f(v) in B$.

Seconda inclusione: $B subseteq A$. Prendiamo un elemento di $B$, questo sarà del tipo $f(v)$ per qualche $v in V$. Quello che dobbiamo fare è quindi mostrare che, dato $v in V$, si ha che $f(v) in A$. Sia quindi $w=f(v)$. È ovvio dalla definizione di $A$ che $w in A$.
e questa è più che chiara.

In tal modo io so che
${w∈W : ∃v∈V t.c. f(v)=w}={f(v) : v∈V}$

Il punto è che si interpreta ${f(v) : v∈V}$ come: "un elemento è in B se e solo se sarà del tipo f(v) per qualche v∈V" cioè "un elemento è in B se e solo se sarà del tipo f(v) t.c esiste v∈V".
(Per qualche è un esiste)

E io ci vedo comunque un esiste non un per ogni :(.

EDIT. la dimostrazione così tra l'altro è del tutto ovvia perché:
facciamo solo la seconda inclusione: $B subseteq A$. Prendiamo un elemento di $B$, questo sarà del tipo $f(v)$ tale che esiste $v in V$. Quello che dobbiamo fare è quindi mostrare che, data l'esistenza di $v in V$, si ha che $f(v) in A$. Sia quindi $w=f(v)$. È ovvio dalla definizione di $A$ che $w in A$. (è ovvio perché vogliono dire la stessa cosa: per essere elemento di A si richiede l'esistenza di v e v esiste perché è in B)

megas_archon
L'altro problema è che non c'è nessun "per ogni" nei vostri discorsi, ed è comprensibile essere confusi dal vedere qualcosa che in realtà non c'è.

Non so cosa rispondere :( dopo paginate di discussione siamo ritornati all'inizio, ci rinuncio.

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