Probabilità e argomentazione?
Introducoil tema facendo ricorso a Brentano con l'argomento propedeutico alla dimostrazione del carattere teleologico del reale.
Il brano, a cura di Susan F. Krantz Gabriel, é preso da Cambridge Companion to Brentano 2006, p 239
"...tutto ciò che esiste esiste nel tempo. Ora, se un ente temporale finito potesse essere assolutamente accidentale, ne conseguirebbe che ad ogni istante avrebbe la stessa probabilità di persistere nel tempo o di scomparire. Inoltre, affinché un'ente finito temporale esista, sarebbe altrettanto necessario che gli istanti di persistenza nel tempo siano infinitamente più frequenti dei momenti in cui esso si dilegua dal tempo. Ma questa é una contraddizione. Dunque nessun ente temporale é assolutamente accidentale. E poiché tutto ciò che esiste esiste nel tempo, ne segue che nulla é assolutamente accidentale."
Ho scelto di riportare questo brano a titolo esemplificativo del modo di procedere di Brentano nella sua filsofia naturale e filosofia prima.
L'utilizzo della probabilità in ambito speculativo filsofico mi suona alquanto originale, e l'argomento che Brentano ne trae molto convincente - tennedo per buono l'assunto della temporalità come modo dell'esistenza del reale.
Vi chiedo, da un punto di vista matematico, che impressione ricavate da questo metodo argomentativo? E se lo riteniate adeguato o spurio, se non una contaminazione di ciò che é propriamente matematico con ciò che é propriamente filosofico.
Grazie
f.
Il brano, a cura di Susan F. Krantz Gabriel, é preso da Cambridge Companion to Brentano 2006, p 239
"...tutto ciò che esiste esiste nel tempo. Ora, se un ente temporale finito potesse essere assolutamente accidentale, ne conseguirebbe che ad ogni istante avrebbe la stessa probabilità di persistere nel tempo o di scomparire. Inoltre, affinché un'ente finito temporale esista, sarebbe altrettanto necessario che gli istanti di persistenza nel tempo siano infinitamente più frequenti dei momenti in cui esso si dilegua dal tempo. Ma questa é una contraddizione. Dunque nessun ente temporale é assolutamente accidentale. E poiché tutto ciò che esiste esiste nel tempo, ne segue che nulla é assolutamente accidentale."
Ho scelto di riportare questo brano a titolo esemplificativo del modo di procedere di Brentano nella sua filsofia naturale e filosofia prima.
L'utilizzo della probabilità in ambito speculativo filsofico mi suona alquanto originale, e l'argomento che Brentano ne trae molto convincente - tennedo per buono l'assunto della temporalità come modo dell'esistenza del reale.
Vi chiedo, da un punto di vista matematico, che impressione ricavate da questo metodo argomentativo? E se lo riteniate adeguato o spurio, se non una contaminazione di ciò che é propriamente matematico con ciò che é propriamente filosofico.
Grazie
f.
Risposte
Anche in termini spazio-temporali la questione resta immutata. Sulla rivoluzionarietà di Brentano non so dire, ma mi pare che in definitiva qui si tratti di questioni di carattere 'nominalistico', con i pro e i contro che il nominalismo comporta. Sinteticamente: possiamo concludere, accettando Brentano, sulla necessità dell'ente, ma solo nell'ambito del linguaggio, mentre da un punto di vista ontico non si fa assolutamente un solo passo avanti. Che gli enti siano eterni resta una proposizione eventualmente dimostrabile solo a parole, nei fatti empirici non ne abbiamo evidenze. Purtroppo la matematica non determina l'essere, può solo cercare di comprenderlo.
"oruam":
Il ragionamento di Brentano mi pare questo: l'ente, quando esiste, deve esistere con probabilità di esistenza superiore a 0. Se fosse un ente aleatorio (dove 'ente aleatorio' significa ente che esiste con probabilità di esistere e non esistere, ovvero con calcolo pari a 0), ciò contraddirebbe l'affermazione precedente.
Ti sono molto grato per questa chiara sintesi del tema centrale dell'argomentazione di Brentano, contro l'assoluta casualità dell'ente (dell'esistenza dell'ente). Argomento che conclude su quella che Brentano chiama la necessarietà indiretta dell'ente (esistente) Tipo di necessità che rimanda ad un terzo. La necessità indiretta dovrebbe corripsondere a quella che gli scolastici chiamavano necessità ipotetica, ossia, data l'esistenza di un ente, l'ente é necessario, ma non ha in sé il principio di tale necessità, ovvero é contingente.
Che ne pensi invece del fatto che Brentano argomenti usando la caratterizzazione temporale o quella estensionale dell'ente. Del fatto, nel caso estensionale, che un ente esteso per esistere con necessità indiretta deve avere una probabilità che le sue parti occupino lo spazio, molto più grande della probabilità che non lo occupino. E NB Brentano non ammette l'esistenza di un'estensione infinita (argomentanto che se si desse tale estensione, lo spazio sarebbe completamente saturato ). Poiché il Nostro cercava di rinnovare i punti di partenza della riflessione filosofica a partire dalla fisica e dalla matematica, il fatto che esprima la sua argomentazione in termini di probabilità di "occupazione dello spazio" e riferisca quest'occupazione, per l'ente esteso, alle sue parti, mi pare un tentativo forse non completamente riuscito, ma nel contesto dell'epoca , rivoluzionario.
Ciao e grazie veramente!
Il ragionamento di Brentano mi pare questo: l'ente, quando esiste, deve esistere con probabilità di esistenza superiore a 0. Se fosse un ente aleatorio (dove 'ente aleatorio' significa ente che esiste con probabilità di esistere e non esistere, ovvero con calcolo pari a 0), ciò contraddirebbe l'affermazione precedente.
Mi intrometto con un doveroso cenno storico.
Brentano opera (filosoficamente parlando) tra il 1865 ed il 1917.
Il moderno Calcolo delle Probabilità (con tutte le nozioni che usiamo oggi) viene "fondato" da Kolmogorof nel 1933 basandosi sulla misura di Lebesgue, inventata nel 1903-04: dubito però che il passo citato sia più recente del 1905
I passi di Brentano mi risultano scarsamente comprensibili per almeno due motivi: 1) come detto usa il concetto di probabilità in modo diverso dall'accezione moderna e 2) è troppo influenzato dalle idee che ha assorbito ed usa il linguaggio che ha imparato in seminario.
Non ho idea di cosa voglia dire con tutto quell'armamentario di termini; non capisco né su quali assunti basi le sua convinzioni in merito alla probabilità, né perchè il fatto che una cosa esistente possa "esistere a tratti" debba condurre ad un assurdo...
Menomale che la filosofia analitica è diventata un po' meno incasinata da quando Russell vi ha messo mano.
Brentano opera (filosoficamente parlando) tra il 1865 ed il 1917.
Il moderno Calcolo delle Probabilità (con tutte le nozioni che usiamo oggi) viene "fondato" da Kolmogorof nel 1933 basandosi sulla misura di Lebesgue, inventata nel 1903-04: dubito però che il passo citato sia più recente del 1905
I passi di Brentano mi risultano scarsamente comprensibili per almeno due motivi: 1) come detto usa il concetto di probabilità in modo diverso dall'accezione moderna e 2) è troppo influenzato dalle idee che ha assorbito ed usa il linguaggio che ha imparato in seminario.
Non ho idea di cosa voglia dire con tutto quell'armamentario di termini; non capisco né su quali assunti basi le sua convinzioni in merito alla probabilità, né perchè il fatto che una cosa esistente possa "esistere a tratti" debba condurre ad un assurdo...
Menomale che la filosofia analitica è diventata un po' meno incasinata da quando Russell vi ha messo mano.
"kinder":
[quote="federiclet2"]...Mi sembra che Brentano ragioni come se compiesse un campionamento degli stati dell'ente. Se l'ente fosse assolutamente aleatorio la probabilità di trovarlo ad occupare uno spazio o a non occupare quel dato spazio sarebbero uguali tra loro, e dunque 1/2 per ciascuno stato - occupato vs non occupato. Ma l'ente per essere soggetto a tale campionamento deve esistere, ed esistere per un ente esteso equivale, secondo Brentano, ad avere una probabilità di occupare spazio infinitamente più grande della probabilità di non occuparne alcuno, dunque una probabilità prossima a 1. Il ragionamento implicito nella reductio é che un dato ente esteso, in quanto esteso dovrebbe avere probabilità di essere nello spazio uguale a 1/2, in quanto ente che esiste probabilità uguale a 1, il che é contraddittorio. Ma poiché esperiesco enti estesi, e li esperisco stabilmente, la contraddizione si toglie econ essa l'ipotesi che gli enti siano assolutamente aleatori...
Queste argomentazioni mi sembrano piuttosto discutibili, per ragioni diverse:
1) l'aleatorietà di un ente (mi pare da intendere riferita alla sua esistenza) non vuol dire niente. Quindi, un ragionamento che l'ha come oggetto non vuol dire di più di niente. Per me ciò sarebbe già sufficiente per non prenderlo seriamente in considerazione;
2) comunque, facendo uno sforzo ed andando oltre, non capisco come si possa affermare che la probabilità di trovarlo ad occupare un certo spazio (aggiungo in un certo istante) debba essere 1/2. Chi l'ha detto? Secondo questo ragionamento, quant'è la probabilità di trovare la torre di Pisa dentro il Colosseo? Per caso 1/2?
3) in quanto scrivi credo dovresti specificare meglio, o distinguere, tra esistere ed occupare una certa posizione;
4) il fatto che un ente dotato di estensione (spaziale) debba occupare una porzione di spazio mi sembra tautologico. Attribuire a ciò una probabilità è come voler attribuire ad una circonferenza la probabilità di essere circolare;[/quote]
Non capisco come mai da queste parti molti debbano sforzarsi per dare una risposta, specie se dall'assunto 1 del loro intervento già s'esclude ogni possibile prosecuzione del discorso.
Purtroppo non sono Brentano, credo avrebbe saputo darti una risposta scientificamente rigorosa.
E pace all'anima sua e alla mia!
fine della discussione
"federiclet2":
...Mi sembra che Brentano ragioni come se compiesse un campionamento degli stati dell'ente. Se l'ente fosse assolutamente aleatorio la probabilità di trovarlo ad occupare uno spazio o a non occupare quel dato spazio sarebbero uguali tra loro, e dunque 1/2 per ciascuno stato - occupato vs non occupato. Ma l'ente per essere soggetto a tale campionamento deve esistere, ed esistere per un ente esteso equivale, secondo Brentano, ad avere una probabilità di occupare spazio infinitamente più grande della probabilità di non occuparne alcuno, dunque una probabilità prossima a 1. Il ragionamento implicito nella reductio é che un dato ente esteso, in quanto esteso dovrebbe avere probabilità di essere nello spazio uguale a 1/2, in quanto ente che esiste probabilità uguale a 1, il che é contraddittorio. Ma poiché esperiesco enti estesi, e li esperisco stabilmente, la contraddizione si toglie econ essa l'ipotesi che gli enti siano assolutamente aleatori...
Queste argomentazioni mi sembrano piuttosto discutibili, per ragioni diverse:
1) l'aleatorietà di un ente (mi pare da intendere riferita alla sua esistenza) non vuol dire niente. Quindi, un ragionamento che l'ha come oggetto non vuol dire di più di niente. Per me ciò sarebbe già sufficiente per non prenderlo seriamente in considerazione;
2) comunque, facendo uno sforzo ed andando oltre, non capisco come si possa affermare che la probabilità di trovarlo ad occupare un certo spazio (aggiungo in un certo istante) debba essere 1/2. Chi l'ha detto? Secondo questo ragionamento, quant'è la probabilità di trovare la torre di Pisa dentro il Colosseo? Per caso 1/2?
3) in quanto scrivi credo dovresti specificare meglio, o distinguere, tra esistere ed occupare una certa posizione;
4) il fatto che un ente dotato di estensione (spaziale) debba occupare una porzione di spazio mi sembra tautologico. Attribuire a ciò una probabilità è come voler attribuire ad una circonferenza la probabilità di essere circolare;
Dal libro on line citato nella nota del post precedente ecco le linee guida entro cui collocare la figura di Brentano, quale esponende della filosofia Austriaca, da cui sarebbe sorta anche la filosofia analitica di matrice anglo-austriaca. Se può essere di qualche aiuto.
Austrian philosophy,
it is held, is marked by:
(i) The attempt to do philosophy in a way that is inspired by or is closely
connected to empirical science (including psychology): this attempt is
associated also with a concern for the unity of science. In the work of some of
the Vienna positivists it is manifested in the extreme form of a physicalistic or
phenomenalistic reductionism. In the work of Brentano and his followers it
relates rather to a unity of method as between philosophy and other disciplines.
(ii) A sympathy towards and in many cases a rootedness in British
empiricist philosophy, a concern to develop a philosophy ‘from below’, on the
basis of the detailed examination of particular examples.
(iii) A concern with the language of philosophy. This sometimes amounts
to a conception of the critique of language as a tool or method; sometimes it
leads to attempts at the construction of a logical ideal language. In many cases it
manifests itself in the deliberate employment of a clear and concise language
for the purposes of philosophical expression and in a sensitivity to the special
properties of those uses and abuses of language which are characteristic of
certain sorts of philosophy.
(iv) A rejection of the Kantian revolution and of the various sorts of
relativism and historicism which came in its wake. Instead we find different
forms of realism and of ‘objectivism’ (in logic, value theory, and elsewhere
illustrated in Bolzano’s concept of the proposition in itself and in Popper’s
doctrine of the ‘third world’).
(v) A special relation to the a priori, conceived not however in Kantian
terms but in terms of a willingness to accept disciplines such as phenomenology
and Gestalt theory which are, as Wittgenstein expressed it, ‘midway between
logic and physics’. (The question as to how such apriorism can be consistent
with a respect for empirical science will be one of the issues to be addressed
below.)
(vi) A concern with ontological structure, and more especially with the
issue as to how the parts of things fit together to form structured wholes. In
some cases this involves the recognition of differences of ontological level
among the entities revealed to us by the various sciences and a consequent
readiness to accept a certain stratification of reality.
(vii) An overriding interest in the relation of macro-phenomena (for
example in social science or ethics) to the mental experiences or other microphenomena
which underlie or are associated with them. This need not imply
any reduction of complex wholes to their constituent parts or moments.
Certainly a reductionism of this sort is present in Mach and in some of the
Vienna positivists, but it is explicitly rejected by almost all the other thinkers
mentioned.
Austrian philosophy,
it is held, is marked by:
(i) The attempt to do philosophy in a way that is inspired by or is closely
connected to empirical science (including psychology): this attempt is
associated also with a concern for the unity of science. In the work of some of
the Vienna positivists it is manifested in the extreme form of a physicalistic or
phenomenalistic reductionism. In the work of Brentano and his followers it
relates rather to a unity of method as between philosophy and other disciplines.
(ii) A sympathy towards and in many cases a rootedness in British
empiricist philosophy, a concern to develop a philosophy ‘from below’, on the
basis of the detailed examination of particular examples.
(iii) A concern with the language of philosophy. This sometimes amounts
to a conception of the critique of language as a tool or method; sometimes it
leads to attempts at the construction of a logical ideal language. In many cases it
manifests itself in the deliberate employment of a clear and concise language
for the purposes of philosophical expression and in a sensitivity to the special
properties of those uses and abuses of language which are characteristic of
certain sorts of philosophy.
(iv) A rejection of the Kantian revolution and of the various sorts of
relativism and historicism which came in its wake. Instead we find different
forms of realism and of ‘objectivism’ (in logic, value theory, and elsewhere
illustrated in Bolzano’s concept of the proposition in itself and in Popper’s
doctrine of the ‘third world’).
(v) A special relation to the a priori, conceived not however in Kantian
terms but in terms of a willingness to accept disciplines such as phenomenology
and Gestalt theory which are, as Wittgenstein expressed it, ‘midway between
logic and physics’. (The question as to how such apriorism can be consistent
with a respect for empirical science will be one of the issues to be addressed
below.)
(vi) A concern with ontological structure, and more especially with the
issue as to how the parts of things fit together to form structured wholes. In
some cases this involves the recognition of differences of ontological level
among the entities revealed to us by the various sciences and a consequent
readiness to accept a certain stratification of reality.
(vii) An overriding interest in the relation of macro-phenomena (for
example in social science or ethics) to the mental experiences or other microphenomena
which underlie or are associated with them. This need not imply
any reduction of complex wholes to their constituent parts or moments.
Certainly a reductionism of this sort is present in Mach and in some of the
Vienna positivists, but it is explicitly rejected by almost all the other thinkers
mentioned.
Quote: "Nel 1988 casualmente è uscito "The world within the world" un libro di J.D. Barrow che - lo sto risfogliando adesso - sosteneva abbastanza esplicitamente che l'esistenza di leggi di natura è un fatto contingente. Nei sistemi con modalità iterate (come S4 e S5) una delle interpretazioni dell'operatore L è quella di "necessità naturale" e quindi si può interpretare come "p è fisicamente necessario". Questo è un problema filosofico colossale, se la questione è di natura empirica, e il rifiuto di A5 ha un significato filosofico profondo connesso in modo insospettabile alla domanda di questo thread."
Ti posso dire, al di la del gergo che usi, e che stento a comprendere, che per Brentano la prova da cui la discussione é sorta rientra nell'ambito delle questioni empiriche, tanto che si preoccupa di trarre sempre la conoscenza dall'osservazione fisica e naturale, ed anche matematica. La matematica é inclusa in quanto gli oggetti di questi tre realms, secondo la gnoseologia di Brentano, si danno sempre nella mente come oggetti intenzionati. Tali oggetti per Brentano godono di un'esistenza attuale, ossia l'essere intenzionale é, secondo lui, una modalità di esistenza(*).
Inoltre per quel che riguarda la contingenza delle "leggi di natura", anche questo aspetto collima con l'impianto brentaniano, nel senso che dati i principi di conoscenza che si é detto si può inferire soltanto la cosidetta necessità indiretta delle cose - in linguaggio classico della scolastica, si direbbe la necessità ipotetica, distinta da quella necessaria che va ascritta all'ente trascendente. Esplicitamente la dimostrazione delle necessità indirette delle cose, é un preambolo della dimostrazione di un principio ordinatore, esterno alla catena delle necessitates, e che garantisce contro l'evidenza della contingenza del reale, ora vista alla luce del principio ordinatore come mera apparenza.
Quanto al rifiuto di A5 che ha un significato filosofico profondo connesso in modo insospettabile alla domanda di questo thread. Non posso che rimanere curioso.
*"Every mental phenomenon is characterized by what the Scholastics of the Middle
Ages called the intentional (or mental) inexistence of an object, and what we might
call, though not wholly unambiguously, reference to a content, direction toward an
object (which is not to be understood here as meaning a thing), or immanent
objectivity. Every mental phenomena includes something as object within itself,
although they do not all do so in the same way. In presentation something is
presented, in judgement something is affirmed or denied, in love loved, in hate hated,
in desire desired and so on." (Brentano 1924, p. 124, Eng. p. 88)
Passo rinvenuto al seguente link che offre un libro in linea: http://ontology.buffalo.edu/smith/book/ ... hilosophy/
ciao e grazie dei numerosi spunti offerti.
f.
PS ho cercato sul Kline e sul Boyer, ma non ho trovato negli indici aluna menzione di brentano. Proseguirò la mia ricerca in rete.
Ti posso dire, al di la del gergo che usi, e che stento a comprendere, che per Brentano la prova da cui la discussione é sorta rientra nell'ambito delle questioni empiriche, tanto che si preoccupa di trarre sempre la conoscenza dall'osservazione fisica e naturale, ed anche matematica. La matematica é inclusa in quanto gli oggetti di questi tre realms, secondo la gnoseologia di Brentano, si danno sempre nella mente come oggetti intenzionati. Tali oggetti per Brentano godono di un'esistenza attuale, ossia l'essere intenzionale é, secondo lui, una modalità di esistenza(*).
Inoltre per quel che riguarda la contingenza delle "leggi di natura", anche questo aspetto collima con l'impianto brentaniano, nel senso che dati i principi di conoscenza che si é detto si può inferire soltanto la cosidetta necessità indiretta delle cose - in linguaggio classico della scolastica, si direbbe la necessità ipotetica, distinta da quella necessaria che va ascritta all'ente trascendente. Esplicitamente la dimostrazione delle necessità indirette delle cose, é un preambolo della dimostrazione di un principio ordinatore, esterno alla catena delle necessitates, e che garantisce contro l'evidenza della contingenza del reale, ora vista alla luce del principio ordinatore come mera apparenza.
Quanto al rifiuto di A5 che ha un significato filosofico profondo connesso in modo insospettabile alla domanda di questo thread. Non posso che rimanere curioso.
*"Every mental phenomenon is characterized by what the Scholastics of the Middle
Ages called the intentional (or mental) inexistence of an object, and what we might
call, though not wholly unambiguously, reference to a content, direction toward an
object (which is not to be understood here as meaning a thing), or immanent
objectivity. Every mental phenomena includes something as object within itself,
although they do not all do so in the same way. In presentation something is
presented, in judgement something is affirmed or denied, in love loved, in hate hated,
in desire desired and so on." (Brentano 1924, p. 124, Eng. p. 88)
Passo rinvenuto al seguente link che offre un libro in linea: http://ontology.buffalo.edu/smith/book/ ... hilosophy/
ciao e grazie dei numerosi spunti offerti.
f.
PS ho cercato sul Kline e sul Boyer, ma non ho trovato negli indici aluna menzione di brentano. Proseguirò la mia ricerca in rete.
"adaBTTLS":
mi fa pensare alla rappresentazione ad albero della logica branching time... e alla differenza di sometimes da not-never...
ora non ho tempo, ma se ne potrà riparlare. ciao.
Questa discussione mi sta facendo lentamente tornare in mente qualcosa di filosoficamente importante, che avevo letto molto tempo fa (ma non so più dove, forse un articolo, un libro in prestito... mah). Ora forse ho quasi ricomposto il puzzle, con la data della tesi e il rifiuto dell'assioma A5 $Mp -> LMp$ in S5.
Nel 1988 casualmente è uscito "The world within the world" un libro di J.D. Barrow che - lo sto risfogliando adesso - sosteneva abbastanza esplicitamente che l'esistenza di leggi di natura è un fatto contingente. Nei sistemi con modalità iterate (come S4 e S5) una delle interpretazioni dell'operatore L è quella di "necessità naturale" e quindi si può interpretare $Lp$ come "p è fisicamente necessario". Questo è un problema filosofico colossale, se la questione è di natura empirica, e il rifiuto di A5 ha un significato filosofico profondo connesso in modo insospettabile alla domanda di questo thread.
A proposito di date, mi è anche venuto in mente che De Finetti si stava forse appena laureando quando Brentano è passato a miglior vita. Dunque mi ri-chiedo quale fosse la sua (di B.) conoscenza tecnica e filosofica della probabilità continua e discreta modernamente intese, e quanto invece - posta la sua competenza di base nelle scienze matematiche dell'epoca - l'utilizzo del termine e del concetto siano metaforici. Lo stesso vale per le interpretazioni probabilistiche non standard elaborate per la QM, in epoca probabilmente molto posteriore allo scritto qui citato. Mi riservo di approfondire su Kline, Boyer, Bottazzini e altre fonti: dateci un'occhiata anche voi, se possibile, per cortesia... il tempo è sempre tiranno(sauro)
questo [citazione]
Mi pare, intuitivamente, di comprendere la probabilità come una relazione alla possibilità remota già una volta attualizzata, cioé la cui essenza é stata posta in essere attraverso un accadimento, un esser fatto, un venire all'esistenza. La prossimità della possibilità, che vuole significare la probabilità dipenderebbe non solo dalla conformità logica della cosa, ma anche dalla sua esistenza attuale, non necessariamente oggetto di verifica immediata, tant'è che si parla di probabilità relativamente a tale cosa. In altri termini, dico "se una cosa si é verificata una volta essa ammette una probabilità che ne misura l'effettiva possibilità di passare nuovamente all'atto.
mi fa pensare alla rappresentazione ad albero della logica branching time... e alla differenza di sometimes da not-never...
ora non ho tempo, ma se ne potrà riparlare. ciao.
Mi pare, intuitivamente, di comprendere la probabilità come una relazione alla possibilità remota già una volta attualizzata, cioé la cui essenza é stata posta in essere attraverso un accadimento, un esser fatto, un venire all'esistenza. La prossimità della possibilità, che vuole significare la probabilità dipenderebbe non solo dalla conformità logica della cosa, ma anche dalla sua esistenza attuale, non necessariamente oggetto di verifica immediata, tant'è che si parla di probabilità relativamente a tale cosa. In altri termini, dico "se una cosa si é verificata una volta essa ammette una probabilità che ne misura l'effettiva possibilità di passare nuovamente all'atto.
mi fa pensare alla rappresentazione ad albero della logica branching time... e alla differenza di sometimes da not-never...
ora non ho tempo, ma se ne potrà riparlare. ciao.
Quote: ...inviterei comunque a distinguere i concetti di possibilità e di probabilità sia nel linguaggio comune sia nei linguaggi delle varie discipline, non perché non si possa fare un confronto, ma perché il confronto stesso chiarisca le varie posizioni.
Sono pienamente daccordo, e spero fin qui di aver mantenuto la distinzione, o meglio non ho fin qui menzionato la possibilità. Effettivamente credo che questo tema possa essere un altro utile frutto della discussione.
Dall'Oxford Dictionary leggo:
possibility:1) the fact or condition of being possible (capable of existing, happening or of being done or used
2) something that may exist or happen
probability: 1) being probable (likely to happen or be true),
2) something that is probable,
3) a ratio expressing the chances that a certain event will occur
e mi pare che eccetto la definizione 3 relativa a probabilità i sensi dei due termini siano alquanto sovrapposti. Prestando maggior attenzione nel confronto tra la definizione 1 per la possibilità e la probabilità, sembra che mentre nel primo caso si asserisce la possibilità logica - "capable of" - relativamente all'esistere, all'accadere, all'esser fatto o usato, nel caso della probabilità si potrebbe dire che la possibilità logica 'insiste' verso la sua attualizzazione - "ikely to" - in ordine all'esistere o all'esser vero.
Propongo, forse una visione antiquata del rapporto tra possibilità e probabilità, definendo la possibilità fin qui incontrata come "possibilità remota", e la probabilità come "possibilità prossima", dove remoto e prossimo si riferiscono all'esistere, all'accadere, all'esser vero, ecc. di un che.
Una adeguata connessione tra possibile e probabile credo richieda una comprovata teoria delle cause. Nel discorso classico (scolastico) la possibilità diventa prossima quando occorrono le cause favorenti l'evento che, e dalla possibilità remota, e da tali cause dipende quanto all'accadere. La dipendenza é necessaria rispetto alla possibilità remota, accessoria quanto alle cause favorenti. La possibilità remota essendo una conseguenza della non contradditorietà logica dell'essenza (del fenomeno della cui possibilità si tratta).
Mi pare, intuitivamente, di comprendere la probabilità come una relazione alla possibilità remota già una volta attualizzata, cioé la cui essenza é stata posta in essere attraverso un accadimento, un esser fatto, un venire all'esistenza. La prossimità della possibilità, che vuole significare la probabilità dipenderebbe non solo dalla conformità logica della cosa, ma anche dalla sua esistenza attuale, non necessariamente oggetto di verifica immediata, tant'è che si parla di probabilità relativamente a tale cosa. In altri termini, dico "se una cosa si é verificata una volta essa ammette una probabilità che ne misura l'effettiva possibilità di passare nuovamente all'atto.
Così mi pare, ma potrei (e quando mai!??) sbagliarmi:-)
Spero abbiate fonti migliori dell'Oxfor Dict. (e idee più chiare delle mie)
Ciao
Sono pienamente daccordo, e spero fin qui di aver mantenuto la distinzione, o meglio non ho fin qui menzionato la possibilità. Effettivamente credo che questo tema possa essere un altro utile frutto della discussione.
Dall'Oxford Dictionary leggo:
possibility:1) the fact or condition of being possible (capable of existing, happening or of being done or used
2) something that may exist or happen
probability: 1) being probable (likely to happen or be true),
2) something that is probable,
3) a ratio expressing the chances that a certain event will occur
e mi pare che eccetto la definizione 3 relativa a probabilità i sensi dei due termini siano alquanto sovrapposti. Prestando maggior attenzione nel confronto tra la definizione 1 per la possibilità e la probabilità, sembra che mentre nel primo caso si asserisce la possibilità logica - "capable of" - relativamente all'esistere, all'accadere, all'esser fatto o usato, nel caso della probabilità si potrebbe dire che la possibilità logica 'insiste' verso la sua attualizzazione - "ikely to" - in ordine all'esistere o all'esser vero.
Propongo, forse una visione antiquata del rapporto tra possibilità e probabilità, definendo la possibilità fin qui incontrata come "possibilità remota", e la probabilità come "possibilità prossima", dove remoto e prossimo si riferiscono all'esistere, all'accadere, all'esser vero, ecc. di un che.
Una adeguata connessione tra possibile e probabile credo richieda una comprovata teoria delle cause. Nel discorso classico (scolastico) la possibilità diventa prossima quando occorrono le cause favorenti l'evento che, e dalla possibilità remota, e da tali cause dipende quanto all'accadere. La dipendenza é necessaria rispetto alla possibilità remota, accessoria quanto alle cause favorenti. La possibilità remota essendo una conseguenza della non contradditorietà logica dell'essenza (del fenomeno della cui possibilità si tratta).
Mi pare, intuitivamente, di comprendere la probabilità come una relazione alla possibilità remota già una volta attualizzata, cioé la cui essenza é stata posta in essere attraverso un accadimento, un esser fatto, un venire all'esistenza. La prossimità della possibilità, che vuole significare la probabilità dipenderebbe non solo dalla conformità logica della cosa, ma anche dalla sua esistenza attuale, non necessariamente oggetto di verifica immediata, tant'è che si parla di probabilità relativamente a tale cosa. In altri termini, dico "se una cosa si é verificata una volta essa ammette una probabilità che ne misura l'effettiva possibilità di passare nuovamente all'atto.
Così mi pare, ma potrei (e quando mai!??) sbagliarmi:-)
Spero abbiate fonti migliori dell'Oxfor Dict. (e idee più chiare delle mie)
Ciao
il collegamento probabilistico tra il continuo ed il discreto è il passaggio da una funzione di probabilità ad una densità di probabilità che in analisi corrisponde all'operazione di derivazione. non è proprio un discorso rigorosissimo, però è anche vero che se non si fa qualche "salto" qua e là, i vari "mondi" forse non si incontrerebbero mai...
se si spiega in termini "fisici" che cosa significa "occupare un punto di una figura piana", il che significa stabilire non solo le coordinate precise ma anche l'"errore" e quindi l'intorno topologico del punto, allora la probabilità non è più uguale a zero. se, con le stesse modalità, si prende un punto nel piano infinitamente esteso, allora la probabilità torna ad essere nulla, ma non con lo stesso significato di prima, perché in qualche modo abbiamo ricondotto il caso continuo al caso discreto ... è un po' come occuparci di numeri al lotto in infinite estrazioni....
vi prego di essere clementi nel giudicare cose dette in maniera poco formale.
inviterei comunque a distinguere i concetti di possibilità e di probabilità sia nel linguaggio comune sia nei linguaggi delle varie discipline, non perché non si possa fare un confronto, ma perché il confronto stesso chiarisca le varie posizioni.
la dimostrazione che io ho dato di una cosa a cui non credo (mi riferisco all'assioma 5) si basa sul concetto di possibilità legato alla certezza di realizzazione (prima o poi): in questo senso è corretto secondo la legge dei grandi numeri. però si basa anche sul fatto che la cosa non vale solo vista dal "presente", ma rimane staticamente possibile in ogni istante futuro, per cui la prospettiva della sicura realizzione prima o poi si può applicare a partire da qualsia punto...
attendo commenti. ciao.
se si spiega in termini "fisici" che cosa significa "occupare un punto di una figura piana", il che significa stabilire non solo le coordinate precise ma anche l'"errore" e quindi l'intorno topologico del punto, allora la probabilità non è più uguale a zero. se, con le stesse modalità, si prende un punto nel piano infinitamente esteso, allora la probabilità torna ad essere nulla, ma non con lo stesso significato di prima, perché in qualche modo abbiamo ricondotto il caso continuo al caso discreto ... è un po' come occuparci di numeri al lotto in infinite estrazioni....
vi prego di essere clementi nel giudicare cose dette in maniera poco formale.
inviterei comunque a distinguere i concetti di possibilità e di probabilità sia nel linguaggio comune sia nei linguaggi delle varie discipline, non perché non si possa fare un confronto, ma perché il confronto stesso chiarisca le varie posizioni.
la dimostrazione che io ho dato di una cosa a cui non credo (mi riferisco all'assioma 5) si basa sul concetto di possibilità legato alla certezza di realizzazione (prima o poi): in questo senso è corretto secondo la legge dei grandi numeri. però si basa anche sul fatto che la cosa non vale solo vista dal "presente", ma rimane staticamente possibile in ogni istante futuro, per cui la prospettiva della sicura realizzione prima o poi si può applicare a partire da qualsia punto...
attendo commenti. ciao.
"ViciousGoblinEnters":nega che tale grandezza infinitamente estesa possa esistere
Mi sembra che questo sia un punto chiave, per quello che intuisco.
E mi pare che la soluzione proposta dall'analisi infinitesimale sia che è perfettamente concepibile, anzi è la normalità, che un ente esteso sia la somma di infiniti punti di estensione nulla, con tutte le implicazioni che ciò comporta, per esempio, quando si definisce la probabilità.
Naturalmete (secondo me) la matematica fornisce modelli che siamo liberi di accettare o rifiutare.
Ripeto però che sono tutte suggestioni da "dilettante" di filosofia.
Da dilettante a dilettante,
grazie per la sottolineatura di quanto Brentano sostiene in merito all'esistenza di un'infinità esstesa attuale, ovvero che ne nega la possibilità. Mentre, invece, secondo la dottrina del calcolo infinitesimale, anche un'estenzione finita può essere costituita dalla "somma" di infiniti punti (immateriali). Trovo che proprio per non venire in contraddizione con l'opzione infinitesimale, Brentano introduca la probabilità riferendola agli "stati" di un ente, per esempio di un ente temporale, gli stati 'viene meno all'essere' vs 'sussiste'; o agli stati delle parti di un ente esteso, per esempio che tali parti occupino o non occupino uno spazio. Spero sia chiara questa distinzione, un conto é riferire la probabilità all'ente, un altro allo stato dell'ente e/o delle sue parti.
Quanto al calcolo infinitesimale ricordo di aver letto qualcosa, che purtroppo non riesco a ritrovare sul computer, circa la possibilità di trattare gli infinitesimi alla stregua di numeri "speciali" (avevano un nome che non ricordo, forse ideali o qualcosa del genere) su cui poteva operare l'assiomatica di Zermelo Frankel, giungendo così, secondo agli autori, ad una buona fondazione del calcolo infinitesimale, e all'aritmetizzazione dello stesso. In tal caso, l'infinitesimo concepito numericamente equivale a negare che sia di estensione nulla, bensì si afferma che l'infinitesimo é sempre un qualcosa, che può essere sommato, sottratto diviso, e assoggettato ad una costruzione del limite. Anche il modo di trattare le derivate in questo sistema artmetico esteso agli infinitesimi mutava. Poiché non sono un matematico, riporto solo qualitativamente quel che ho compreso, in attesa che la ricerca del doc sul computer sia fruttuosa. Ne ho comunque accennato perché in quest'altro modo di trattare gli infinitesimi viene meno l'idea di continuità. Di fatti, ancora riporto quanto ricordo, il Rasoio di Dedekind, sembrava non potersi direttamente applicare a tali infinitesimi/numeri. Una tal concezione permetterebbe, credo, l'attribuzione di probabilità diversa da zero anche agli infinitesimi. (ma ribadisco devo trovare il doc ché 'carta canta')
ciao e grazie
PS ho trovato il testo si tratta di K. D. Stroyan, Mathematical Backgrownd, Foundation of infinitesimal calculus (Academic Press 1997).
I numeri mediante i quali viene fondata la teoria degli infinitesimi sono hyperreal numbers. "Teeny tiny numbers that will simplifyapproximation estimates. Direct computations with ideal numbers produce symbolic approximations equivalent to the function limits needed in differentiation theory". p.2 `
nega che tale grandezza infinitamente estesa possa esistere
Mi sembra che questo sia un punto chiave, per quello che intuisco.
E mi pare che la soluzione proposta dall'analisi infinitesimale sia che è perfettamente concepibile, anzi è la normalità, che un ente esteso sia la somma di infiniti punti di estensione nulla, con tutte le implicazioni che ciò comporta, per esempio, quando si definisce la probabilità.
Naturalmete (secondo me) la matematica fornisce modelli che siamo liberi di accettare o rifiutare.
Ripeto però che sono tutte suggestioni da "dilettante" di filosofia.
"kinder":
devo amettere che io, in quanto ingegnere, quindi di pensiero rozzo, ho trovato non poche difficoltà ad afferrare il senso del brano da te riportato, attribuito a Brentano. Messo lì in maniera secca, quindi probabilmente priva di discorsi e concetti introduttivi, mi sembra piuttosto campato in aria. Per esempio, trovo affermazioni del tipo "...tutto ciò che esiste esiste nel tempo", che non si capisce se sono un atto di fede, una semplice opinione, o il risultato di un teorema. Poi prosegue con "...Ora, se un ente temporale finito potesse essere assolutamente accidentale, ne conseguirebbe che ad ogni istante avrebbe la stessa probabilità di persistere nel tempo o di scomparire. ", della quale non capisco cosa sia "un ente temporale", per giunta "finito", e per quale ragione se fosse "assolutamente accidentale" ne dovrebbe conseguire una pari probabilità di persistere nel tempo o scomparire. Come si dimostra quest'affermazione? Inoltre, che vuol dire quando si riferisce alla probabilità di persistere (o di scomparire)? La probabilità, per come è definita, è il rapporto tra i casi favorevoli e quelli possibili. Come fà ad affermare che questa sia $1/2$? Perché non $1/3$? O $0.375$? E perché l'"accidentale" dovrebbe essere sinonimo di "stocastico"? Per non dire che l'"accidentale" riferito ad un ente è cosa poco chiara, visto che accidentale normalmente può essere l'attributo di un ente, che non appartiene alla sua essenza (nel senso aristotelico). Cos'è quindi questo "ente assolutamente accidentale"? Questi argomenti a me sambrano di coloro che, animati da una fede in qualcosa, si illudono di trovare una strada logica che gli dia un fondamento ed una giustificazione (vedi le prove dell'esistenza di Dio di Sant'Agostino). E' facile che io mi sbagli, visto che non conosco Brentano. Ma questa è l'impressione che ne ho ricavata leggendo il brano da te riportato; e poiché il discorso continua in maniera, come a me sembra, sconclusionata, mi fermo qui. Quello che invece chiedo a te è: che rapporto vedi tra ciò e la matematica? Il semplice fatto di utilizzare il concetto (ma a me sembra solo la parola) di probabilità?
Riciao
Nella 'fretta' di dare qualche risposta, avevo dimenticato la tua domanda sull'opportunità di porre in questa sezione il post su Brentano. Effettivamente credevo di essere su Congetture e riflessione libera (sig), e tuttavia credo che la questione dell'argomentazione di Brentano possa avere alcune valenze epistemologiche e matematiche. Si tratta infatti di una argomentazione particolare, ché non ho mai letto filosofi e di filosofi fare ricorso alla probabilità nelle loro argomentazioni, solitamente essi fanno riferimento alla possibilità. Poi nell'argomento di Brentano sembrano incrociarsi due modi di vedere le cose, uno discreto e uno continuo, dove discreto e continuo sono da riferirsi e al tempo e allo spazio, ed anche alla quantificazione probabilistica. In particolare va notata come ho già indicato in un altro post la posizione del Nostro circa l'esistenza con riferimento all'intero universo di una 'continuità estesa infinita', che chiama in causa la dibattuta questione tra infinito attuale e infinito potenziale. Brentano nega che tale grandezza infinitamente estesa possa esistere. Ed ancora, grazie alla probabilità Brentano cerca di connettere internamente osservazione empirica - fisica - e argomentazione metafisica (non accidentalità dell'ente, esistenza dell'ente in dipendenza da un terzo, esistenza di una teleologia). Che l'operazione possa risultare problematica é il minimo per quello che é un notevole turn nel modo di procedere della dimostrazione filosofica.
Non so se queste motivazioni possano essere soddisfacenti.
Ne aggiungo una soltanto, che mi pare la filosofia trovi più udienza presso i matematici che presso i filosofi!
E' anche per questo che ho postato qui il 'mio' Brentano
ciao
Ciao
credo di pagare lo scotto delle precomprensioni, avendo riportato un passo che a me pareva chiaro e non problematico, tant'è che l'ho posto a punto di partenza della discussione. Bene che vengano a galla queste critiche, dunque!
Ho già detto che non sono un matematico, ora aggiungerò che non sono un logico di mesiere.
Mi resta solo la possibilità di dire che "accidentale" va inteso nel senso di aleatorio. E dire che un ente é assolutamente accidentale, equivale a dire che non gli si riconosce nessuna causa specifica e nessuna teleologia - nessun ordinamento a un fine. Si potrebbe dire parafrasando Chaitin, che l'ente sarebbe, ci sarebbe, sarebbe di fatto senza nessuna ragione.
Brentano svolge una dimostrazione per reductio ad absurdum sposando nella prima parte l'ipotesi che vuole negare. Ossia che gli enti esistano assolutamente senza una ragione, per caso. Riporto l'opinione dei commentatori, da cui ho tratto il passo, dicendo che l'argomento é sottile. Da parte mia posso dire che grazie agli interventi del forum lo sto comprendendo quasi ex novo. Dunque, anche attraverso le tue domande.
Credo per esempio che l'argometazione concernente gli enti estesi permetta di gettare qualche luce sui valori di probabilità che compaiono. Mi sembra che Brentano ragioni come se compiesse un campionamento degli stati dell'ente. Se l'ente fosse assolutamente aleatorio la probabilità di trovarlo ad occupare uno spazio o a non occupare quel dato spazio sarebbero uguali tra loro, e dunque 1/2 per ciascuno stato - occupato vs non occupato. Ma l'ente per essere soggetto a tale campionamento deve esistere, ed esistere per un ente esteso equivale, secondo Brentano, ad avere una probabilità di occupare spazio infinitamente più grande della probabilità di non occuparne alcuno, dunque una probabilità prossima a 1. Il ragionamento implicito nella reductio é che un dato ente esteso, in quanto esteso dovrebbe avere probabilità di essere nello spazio uguale a 1/2, in quanto ente che esiste probabilità uguale a 1, il che é contraddittorio. Ma poiché esperiesco enti estesi, e li esperisco stabilmente, la contraddizione si toglie econ essa l'ipotesi che gli enti siano assolutamente aleatori.
Poiché é punto di partenza per la discussione, le tue domande circa la probabilità, e l'ipotesi di valori differenti da 1/2 per esempio, sono legittime ed aiutano a chiarire che Brentano in riferimento agli enti estesi ha fatto una determinata scelta di quantificazione della probabilità in termini di equiprobabilità degli stati 'vuoto', 'pieno', 'occupato', non occupato'.
E' interessante poter pensare a probabilità diverse da 1/2, specie se ad esse possono corrispondere sistemi fisici significativi. Non me ne intendo, ma so che esiste una distribuzione di probabilità di Fermi-Dirak diversa da quella di Bose-Einstein in relazione alle particelle subatomiche.
Brentano intende comunque riferirsi alla scala del visibile, e agli enti comunemente intesi come oggetti che si danno nell'appercezione sensibile.
Infine, credo che Brentano, miri ad un argomento rigoroso, così come intende la filosofia dover avere un metodo scientifico. Tant'è che cerca di dimostrare, nel caso riportato, ciò che altri danno per evidente, per esempio il fatto che ciò che esiste abbia sempre una causa sufficiente, o che esista in vista di un fine. La questione é certamente complessa. Ma non parlerei di Brentano come di un improvvisatore di verità piovute dal cielo. Lo caratterizzava, infatti, una formazione logica, matematica, fisica e in scienze naturali ed un'impronta aristotelico -scolastica in filosofia, oltre all'impegno didattico che ha caratterizzato tutta la sua riflessione e la sua vita. E' contemporaneo di Frege, e da quel che ne scrivono i commentatori, all'altezza del compito filosofico che si era prefisso, ridare alla 'filosofia prima' solide basi. Fu il maestro di Husserl, Meinong, il suo lavoro sta alla base della scuola fenomenologica polacca, ecc. E' ben visto dagli Analitici.
Non so che altro dirti e come meglio esprimermi.
Spero che qualcosa si sia chiarito.
Se dei limiti ci sono dipendono dalla mediazione che sto usando (il Cambridge Companion to Brentano), ed eventualmente dalla mia traduzione. Purtroppo non leggo il Tedesco, lingua in cui si dà la maggior parte della letteratura sul Nostro.
ciao
f
credo di pagare lo scotto delle precomprensioni, avendo riportato un passo che a me pareva chiaro e non problematico, tant'è che l'ho posto a punto di partenza della discussione. Bene che vengano a galla queste critiche, dunque!
Ho già detto che non sono un matematico, ora aggiungerò che non sono un logico di mesiere.
Mi resta solo la possibilità di dire che "accidentale" va inteso nel senso di aleatorio. E dire che un ente é assolutamente accidentale, equivale a dire che non gli si riconosce nessuna causa specifica e nessuna teleologia - nessun ordinamento a un fine. Si potrebbe dire parafrasando Chaitin, che l'ente sarebbe, ci sarebbe, sarebbe di fatto senza nessuna ragione.
Brentano svolge una dimostrazione per reductio ad absurdum sposando nella prima parte l'ipotesi che vuole negare. Ossia che gli enti esistano assolutamente senza una ragione, per caso. Riporto l'opinione dei commentatori, da cui ho tratto il passo, dicendo che l'argomento é sottile. Da parte mia posso dire che grazie agli interventi del forum lo sto comprendendo quasi ex novo. Dunque, anche attraverso le tue domande.
Credo per esempio che l'argometazione concernente gli enti estesi permetta di gettare qualche luce sui valori di probabilità che compaiono. Mi sembra che Brentano ragioni come se compiesse un campionamento degli stati dell'ente. Se l'ente fosse assolutamente aleatorio la probabilità di trovarlo ad occupare uno spazio o a non occupare quel dato spazio sarebbero uguali tra loro, e dunque 1/2 per ciascuno stato - occupato vs non occupato. Ma l'ente per essere soggetto a tale campionamento deve esistere, ed esistere per un ente esteso equivale, secondo Brentano, ad avere una probabilità di occupare spazio infinitamente più grande della probabilità di non occuparne alcuno, dunque una probabilità prossima a 1. Il ragionamento implicito nella reductio é che un dato ente esteso, in quanto esteso dovrebbe avere probabilità di essere nello spazio uguale a 1/2, in quanto ente che esiste probabilità uguale a 1, il che é contraddittorio. Ma poiché esperiesco enti estesi, e li esperisco stabilmente, la contraddizione si toglie econ essa l'ipotesi che gli enti siano assolutamente aleatori.
Poiché é punto di partenza per la discussione, le tue domande circa la probabilità, e l'ipotesi di valori differenti da 1/2 per esempio, sono legittime ed aiutano a chiarire che Brentano in riferimento agli enti estesi ha fatto una determinata scelta di quantificazione della probabilità in termini di equiprobabilità degli stati 'vuoto', 'pieno', 'occupato', non occupato'.
E' interessante poter pensare a probabilità diverse da 1/2, specie se ad esse possono corrispondere sistemi fisici significativi. Non me ne intendo, ma so che esiste una distribuzione di probabilità di Fermi-Dirak diversa da quella di Bose-Einstein in relazione alle particelle subatomiche.
Brentano intende comunque riferirsi alla scala del visibile, e agli enti comunemente intesi come oggetti che si danno nell'appercezione sensibile.
Infine, credo che Brentano, miri ad un argomento rigoroso, così come intende la filosofia dover avere un metodo scientifico. Tant'è che cerca di dimostrare, nel caso riportato, ciò che altri danno per evidente, per esempio il fatto che ciò che esiste abbia sempre una causa sufficiente, o che esista in vista di un fine. La questione é certamente complessa. Ma non parlerei di Brentano come di un improvvisatore di verità piovute dal cielo. Lo caratterizzava, infatti, una formazione logica, matematica, fisica e in scienze naturali ed un'impronta aristotelico -scolastica in filosofia, oltre all'impegno didattico che ha caratterizzato tutta la sua riflessione e la sua vita. E' contemporaneo di Frege, e da quel che ne scrivono i commentatori, all'altezza del compito filosofico che si era prefisso, ridare alla 'filosofia prima' solide basi. Fu il maestro di Husserl, Meinong, il suo lavoro sta alla base della scuola fenomenologica polacca, ecc. E' ben visto dagli Analitici.
Non so che altro dirti e come meglio esprimermi.
Spero che qualcosa si sia chiarito.
Se dei limiti ci sono dipendono dalla mediazione che sto usando (il Cambridge Companion to Brentano), ed eventualmente dalla mia traduzione. Purtroppo non leggo il Tedesco, lingua in cui si dà la maggior parte della letteratura sul Nostro.
ciao
f
devo amettere che io, in quanto ingegnere, quindi di pensiero rozzo, ho trovato non poche difficoltà ad afferrare il senso del brano da te riportato, attribuito a Brentano. Messo lì in maniera secca, quindi probabilmente priva di discorsi e concetti introduttivi, mi sembra piuttosto campato in aria. Per esempio, trovo affermazioni del tipo "...tutto ciò che esiste esiste nel tempo", che non si capisce se sono un atto di fede, una semplice opinione, o il risultato di un teorema. Poi prosegue con "...Ora, se un ente temporale finito potesse essere assolutamente accidentale, ne conseguirebbe che ad ogni istante avrebbe la stessa probabilità di persistere nel tempo o di scomparire. ", della quale non capisco cosa sia "un ente temporale", per giunta "finito", e per quale ragione se fosse "assolutamente accidentale" ne dovrebbe conseguire una pari probabilità di persistere nel tempo o scomparire. Come si dimostra quest'affermazione? Inoltre, che vuol dire quando si riferisce alla probabilità di persistere (o di scomparire)? La probabilità, per come è definita, è il rapporto tra i casi favorevoli e quelli possibili. Come fà ad affermare che questa sia $1/2$? Perché non $1/3$? O $0.375$? E perché l'"accidentale" dovrebbe essere sinonimo di "stocastico"? Per non dire che l'"accidentale" riferito ad un ente è cosa poco chiara, visto che accidentale normalmente può essere l'attributo di un ente, che non appartiene alla sua essenza (nel senso aristotelico). Cos'è quindi questo "ente assolutamente accidentale"? Questi argomenti a me sambrano di coloro che, animati da una fede in qualcosa, si illudono di trovare una strada logica che gli dia un fondamento ed una giustificazione (vedi le prove dell'esistenza di Dio di Sant'Agostino). E' facile che io mi sbagli, visto che non conosco Brentano. Ma questa è l'impressione che ne ho ricavata leggendo il brano da te riportato; e poiché il discorso continua in maniera, come a me sembra, sconclusionata, mi fermo qui. Quello che invece chiedo a te è: che rapporto vedi tra ciò e la matematica? Il semplice fatto di utilizzare il concetto (ma a me sembra solo la parola) di probabilità?
@ Andrea69
io ho aperto un post sulla logica temporale, nella sezione congetture e ricerca libera.
se ti va di approfondire, è meglio se dai un'occhiata lì. ciao.
io ho aperto un post sulla logica temporale, nella sezione congetture e ricerca libera.
se ti va di approfondire, è meglio se dai un'occhiata lì. ciao.
"adaBTTLS":
è stato anche introdotto da altri, ed usato da diversi matematici, l'operatore "next" (il riferimento all'istante successivo e quindi alla "cronologia" è piuttosto evidente).
Confermo appieno... nella logica temporale lineare LTL che utilizziamo per specificare e verificare il progetto di sistemi software concorrenti in tempo reale, l'operatore Next è essenziale. Si parla comunque di serie temporali discrete, quindi ci si muove appieno nel dominio della soluzione, come nell'intero ambito della CTL* e nelle (meno usate) logiche a tempo circolare (modulare).
Sugli aspetti probabilistici in Brentano sospendo però il giudizio e mi riservo di riflettere meglio su cosa il Nostro potesse avere effettivamente intuito della logica probabilistica e induttiva. La questione è plausibilmente meno banale di quanto possa apparire, ma credo che dobbiamo usare più attenzione filologica che matematica moderna nel trattare la questione. Certo l'assonanza dell'espresisone medievale con il moderno "holds infinitely often" dei manuali di model checking è troppo bella per non lasciarsene sedurre.
@Ada: parliamone. Il mio capo, un Logico, per anni mi ha "tormentato" con la sua idea di creare un formalismo unico in grado di sintetizzare e superare in potenza espressiva le varie reti di Petri e le logiche temporali, catturando in una botta sola tutti gli aspetti essenziali che usiamo per modellare il software critico. Io, da giovane e ingenuo, non ne sapevo abbastanza per capire i dettagli, ma ho sempre pensato che poi sarebbe venuto fuori un linguaggio formale troppo complesso, più di Z o LOTOS, e non lo avrebbe usato nessuno.
Oggi, con una diversa maturità, mi piacerebbe capire qualcosina in più, tecnicamente, su questo argomento, se l'idea del mio vecchio boss (ho cambiato azienda nel frattempo) sia fattibile e come. Non ho certo un PhD alle spalle, ma ho studiato i lavori di Manna, Clarke, Kurshan, varie LNCS su CTL* e dintorni... Leggerò volentieri i tuoi lavori, se hai voglia di inviarmeli, e di sicuro ti chiederò spiegazioni su tutto ciò che non capisco

Ciao
credo che tu abbia colto nel segno quanto all'idea di infinito che é implicita nell'assunzione da parte di Brentano della continuità del tempo e dello spazio. Per cui é vero che se il tempo é considerato discreto cade anche l'argomento a sfavore dell'assoluta accidentalità dell'esistente.
Quanto alla contraddizione che Brentano intende é quella tra la probabilità dell'esistenza dell'ente se fosse assolutamente accidentale, e la probabilità dell'esistenza dell'ente tout court. Probabilità che deve valere anche per l'ente esisitente sotto l'ipotesi dell'assoluta accidentalità (in quanto anch'esso esistente). La prima probabilità é 1/2, la seconda é tendente a 1. Piché esse dovrebbero valere simultaneamente, ne viene la contraddizione. Cui fa seguito la conclusione che non esiste alcun ente assolutamente accidentale, ovvero che tutti gli enti sono (ipoteticamente / indirettamente) necessari. E' infatti agli enti assolutamente accidentali che si applica la probabilità 1/2. E' la proposizione che li riguarda ad essere contraddetta.
Magari ti può interessare che quanto alla totalità dell'universo Brentano attribuisce la probabilità 1/2 che un dato luogo sia occupato o resti libero -qui non riferisce più la probabilità agli enti, ma allo spazio come tale. Tuttavia - quella che trovo un'interessante versione della questione sull'infinito attuale e potenziale - Brentano esclude la possibilità di una "infinita estensione attuale" (di uno spazio infinito pieno) ed in base a tale assunto sostiene che nello spazio infinito deve prevalere lo spazio vuoto su quello pieno. Ciò significa che la probabilità 1/2, per coerenza, deve applicarsi a subregioni dello spazio. E la probabilità 1, di riempimento, deve riferirsi soltanto allo spazio occupato, ed in modo specifico con riferimento agli enti indirettamente necessari che lo occupano.
ciao
f
PS il testo indica, senza riportarle, argomentazioni di Brentano sull'impossibilità dell'infinita estensione in atto, che ricordano i paradossi di Zeno. La tua impressione era più che corretta! Complimenti!
credo che tu abbia colto nel segno quanto all'idea di infinito che é implicita nell'assunzione da parte di Brentano della continuità del tempo e dello spazio. Per cui é vero che se il tempo é considerato discreto cade anche l'argomento a sfavore dell'assoluta accidentalità dell'esistente.
Quanto alla contraddizione che Brentano intende é quella tra la probabilità dell'esistenza dell'ente se fosse assolutamente accidentale, e la probabilità dell'esistenza dell'ente tout court. Probabilità che deve valere anche per l'ente esisitente sotto l'ipotesi dell'assoluta accidentalità (in quanto anch'esso esistente). La prima probabilità é 1/2, la seconda é tendente a 1. Piché esse dovrebbero valere simultaneamente, ne viene la contraddizione. Cui fa seguito la conclusione che non esiste alcun ente assolutamente accidentale, ovvero che tutti gli enti sono (ipoteticamente / indirettamente) necessari. E' infatti agli enti assolutamente accidentali che si applica la probabilità 1/2. E' la proposizione che li riguarda ad essere contraddetta.
Magari ti può interessare che quanto alla totalità dell'universo Brentano attribuisce la probabilità 1/2 che un dato luogo sia occupato o resti libero -qui non riferisce più la probabilità agli enti, ma allo spazio come tale. Tuttavia - quella che trovo un'interessante versione della questione sull'infinito attuale e potenziale - Brentano esclude la possibilità di una "infinita estensione attuale" (di uno spazio infinito pieno) ed in base a tale assunto sostiene che nello spazio infinito deve prevalere lo spazio vuoto su quello pieno. Ciò significa che la probabilità 1/2, per coerenza, deve applicarsi a subregioni dello spazio. E la probabilità 1, di riempimento, deve riferirsi soltanto allo spazio occupato, ed in modo specifico con riferimento agli enti indirettamente necessari che lo occupano.
ciao
f
PS il testo indica, senza riportarle, argomentazioni di Brentano sull'impossibilità dell'infinita estensione in atto, che ricordano i paradossi di Zeno. La tua impressione era più che corretta! Complimenti!