Probabilità e argomentazione?

Federiclet
Introducoil tema facendo ricorso a Brentano con l'argomento propedeutico alla dimostrazione del carattere teleologico del reale.
Il brano, a cura di Susan F. Krantz Gabriel, é preso da Cambridge Companion to Brentano 2006, p 239

"...tutto ciò che esiste esiste nel tempo. Ora, se un ente temporale finito potesse essere assolutamente accidentale, ne conseguirebbe che ad ogni istante avrebbe la stessa probabilità di persistere nel tempo o di scomparire. Inoltre, affinché un'ente finito temporale esista, sarebbe altrettanto necessario che gli istanti di persistenza nel tempo siano infinitamente più frequenti dei momenti in cui esso si dilegua dal tempo. Ma questa é una contraddizione. Dunque nessun ente temporale é assolutamente accidentale. E poiché tutto ciò che esiste esiste nel tempo, ne segue che nulla é assolutamente accidentale."

Ho scelto di riportare questo brano a titolo esemplificativo del modo di procedere di Brentano nella sua filsofia naturale e filosofia prima.
L'utilizzo della probabilità in ambito speculativo filsofico mi suona alquanto originale, e l'argomento che Brentano ne trae molto convincente - tennedo per buono l'assunto della temporalità come modo dell'esistenza del reale.

Vi chiedo, da un punto di vista matematico, che impressione ricavate da questo metodo argomentativo? E se lo riteniate adeguato o spurio, se non una contaminazione di ciò che é propriamente matematico con ciò che é propriamente filosofico.

Grazie

f.

Risposte
Andrea691
"adaBTTLS":
@ andrea69
sono curiosa delle implicazioni filosofiche e psicologiche del rifiuto dell'assioma 5...


Sulle implicazioni psicologiche mi dichiaro del tutto incompetente, però quelle epistemologiche sono piuttosto forti.
Nel frattempo ho trovato un riferimento certo e reperibile a questo aspetto (ce ne sono altri, andando a memoria, ma restano vaghi): Mauro Dorato, "Modalità e temporalità", Bagatto libri, Roma 1994. Ne accenna in particolare a pagina 38, nel primo capitolo.
Naturalmente si deve citare anche Hughes & Cresswell, "Guida alla logica modale", Clueb, Bologna 1990: il classico libro dattiloscritto con aggiunte tipogrfiche a mano e simbologia antidiluviana, ma rimane la più autorevole guida alle logiche modali - correggimi se sbaglio, Ada.

Proviamo a fare un riassunto comprensibile per tutti quelli che ci leggono, piuttosto che la solita orgia di acronimi per condensare tutto in tre righe.

Per cominciare, l'operatore L applicato alla proposizione p (che sia già una fbf, ossia una formula ben formata) $Lp$ è a sua volta una fbf e si legge "E' necessario che p". Identica considerazione vale per l'operatore M, che si legge in $Mp$ come "E' possibile che p" o "E' contingente che p".

Il sistema modale di base T, ideato da Feys nel 1937, si basa sugli assiomi seguenti:

A1. Tutti gli assiomi del calcolo proposizionale classico
A2. $Lp -> p$
A3. $L(p -> q) -> (Lp -> Lq)$

Chi voglia approfondire ha solo l'imbarazzo della scelta. Qui ci limitiamo a notare che in questo sistema minimale sorgono un paio di problemi, per i nostri scopi:
$|- _T LLp -> Lp$
$|- _T LMp -> Mp$
Queste due espressioni sono dunque teoremi in T ("|-" va qui letto "è dimostrabile che"), ma le implicazioni inverse non possono essere dedotte.
Quindi il sistema T non fornisce risposta alla domanda ricorsiva sul carattere di necessarietà o possibilità delle proprietà modali di proposizioni a loro volta necessarie o possibili. Spero sia sufficientemente chiaro.

Per ovviare a questo si sono elaborate alcune estensioni alla base assiomatica di T. Segnatamente:

S4 include tutti gli assiomi A1..A3, ed aggiunge
A4. $Lp -> LLp$

S5 include tutti gli assiomi A1..A4, ed aggiunge
A5. $Mp -> LMp$

Le regole deduttive, che qui non ci interessano, rimangono invece invariate.

Ora, se come già accennato vogliamo utilizzare la semantica dell'operatore L in base alla necessità naturale (perfettamente legittima in questo contesto), avremo che $Lp$ significa "p è fisicamente necessaria" o "p esprime una legge di natura" (Dorato, op. cit. pag. 38). Dunque interrogarsi sulla validità di un sistema a modalità iterate come S4 appena introdotto significa, epistemologicamente, chiedersi se l'esistenza delle leggi di natura sia un fatto necessario oppure contingente (e qui torna in auge la tesi di Barrow, citato anche dal Dorato).

In questo contesto rifiutare o accettare un assioma come A5 prende quindi il significato di una affermazione epistemologica ultimativa sul mondo fisico e sui "caratteri matematici" nei quali è scritto il libro della Natura, come diceva il buon Galileo. Naturalmente nel caso della tua tesi la questione è nettamente diversa, ma parte sempre da una implicazione semantica...

oruam1
"adaBTTLS":
@ oruam

certo. nel mio sistema di logica temporale è ammesso qualsiasi risultato, ad esempio anche che una certa cosa A si verifichi ad esempio al secondo istante e poi non si verifichi più: possiamo rappresentarlo con la successione FTFFFFFFFFFFFF....
questa cosa è invece esclusa dall'assioma 5: A è possibile, si verificherà una volta, ma non è necessariamente possibile, perché non si verificherà infinite volte.
quindi non lo accetto perché io ho costruito un sistema in cui "tutto è possibile": dipende solo dal "tempo"; perciò l'ho chiamato "puramente temporale".
per semplicità ho usato l'esempio di logica lineare, anche se mi sono occupata di più di "branching time".
è chiaro?



Si. Grazie.

adaBTTLS1
@ oruam

certo. nel mio sistema di logica temporale è ammesso qualsiasi risultato, ad esempio anche che una certa cosa A si verifichi ad esempio al secondo istante e poi non si verifichi più: possiamo rappresentarlo con la successione FTFFFFFFFFFFFF....
questa cosa è invece esclusa dall'assioma 5: A è possibile, si verificherà una volta, ma non è necessariamente possibile, perché non si verificherà infinite volte.
quindi non lo accetto perché io ho costruito un sistema in cui "tutto è possibile": dipende solo dal "tempo"; perciò l'ho chiamato "puramente temporale".
per semplicità ho usato l'esempio di logica lineare, anche se mi sono occupata di più di "branching time".
è chiaro?

@ andrea69

sono curiosa delle implicazioni filosofiche e psicologiche del rifiuto dell'assioma 5...

ciao a tutti.

oruam1
Grazie.

Andrea691
"oruam":
Ciao Andrea69,
non saresti mica in grado di indicarmi un volume di presentazione o di introduzione alla teoria dell'argomentazione?


Ben volentieri. L'arciclassico in questo settore è di Perelman (logico) e Lucie Olbrechts-Tyteca (sociologa) "Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica", Einaudi 1976. L'originale è del 1958. Un testo profondo e meditato, molto più di altri successivi, che invoglierà a numerose riletture. La bibliografia di Perelman è lunga e variegata: io la possiedo quasi per intero, e consiglio soprattutto (dopo il masterpiece citato) i due o tre lavori riassuntivi degli anni più recenti.

Nello stesso anno usciva Toulmin (filosofo e allievo di Wittgenstein) con "The uses of argument", che troverai in Italia come "Gli usi dell'argomentazione", Rosenberg & Sellier, Torino 1975.

Altri lavori successivi vanno in direzioni molto varie, dalla pragmadialettica al commitment fino alla informal logic vera e propria.
Douglas Walton e Erik Krabbe hanno una ricca produzione sulla informal logic, tutta in inglese. Credo che nulla dei loro lavori sia stato integralmente tradotto in Italia (una delle tante mancanze).

Consiglio anche il migliore survey al momento disponibile, di Paola Cantù e Italo Testa "Teorie dell'argomentazione", Bruno Mondadori, Milano, la cui bibliografica è decisamente aggiornata ed esaustiva. A livello di grandi tematiche, consiglio di approfondire soprattutto i capitoli 4, 5 e 6 di questo agile volumetto: posso definirla la guida che avrei voluto avere una quindicina di anni fa, quando ho iniziato ad occuparmi della materia (in compenso ho però avuto un Maestro d'eccezione, una fortuna rara). La parte sulla teoria delle fallacie è poi ottima (e Dio sa quanto ne siamo inondati, dalle chiacchiere dei politicanti ai luoghi di discussione anche specialistici !!!), all'altezza del non meno famoso manuale di Copi & Cohen "Introduzione alla logica", Il Mulino, Bologna.

Segnalo inoltre, affinché tu possa eventualmente riconoscerli al volo girellando in una libreria, almeno i nomi dei principali protagonisti della ricerca dopo i lavori pionieristici di Perelman e Toulmin: Paul Grice, Paul Lorenzen, Jaakko Hintikka, Amos Tversky, Daniel Kahneman, Else Barth, Douglas Walton, Erik Krabbe, nonché Brandom e Apel per la parte strettamente normativa, pragmatica e fondazionale nell'area della belief revision e "dintorni".

oruam1


Ciao Andrea69,
non saresti mica in grado di indicarmi un volume di presentazione o di introduzione alla teoria dell'argomentazione?
Grazie.

Andrea691
"Gugo82":
P.S.: Un filosofo "puro" che ascolta attentamente un matematico ancora non l'ho incontrato di persona... Quando capiterà vi farò sapere. :-D


Se è solo per quello, problema risolto: prova a far due chiacchiere con filosofi "puri" come Luciano Floridi o con Ettore Casari, giusto per toccare due generazioni diverse... :-D

I filosofi ai quali alludi implicitamente (ma chi sono, poi ? Derrida ? Deleuze ? Rorty ? Schopenauer, Heidegger, Kierkegaard ? Qualche avvizzita insegnante di storia della filosofia nei licei ?) ormai sono in esaurimento mortis causa: il pensiero debole era talmente debole che alla fine è morto. Anche se in Italia e in Francia vi sono concentrazioni mediatiche ancora tossiche di tali correnti filosofiche: ma fanno più rumore che danno.


Per il resto, i pareri dei giovani sulla filosofia sono sempre stimolanti, freschi, anche se spesso eccessivi. Mi fa sorridere, ad esempio, la tua distinzione tra simboli e parole... è superata da quasi un secolo, da Wittgenstein a Chomsky, da Tarski a Quine.
Le parole sono simboli, i linguaggi formali sono un sottoinsieme semanticamente non ambiguo ed esplicitamente specificato del linguaggio naturale. Come corollario esistono forme di razionalità che valicano gli angusti confini simbolici delle logiche formali, come hanno mostrato una sfilza di bellissimi nomi della logica nell'ultimo mezzo secolo, da Perelman in poi: nelle logiche non monotone e soprattutto nella disciplina rigorosissima che oggi si chiama "informal logic" e che regola in modo non solo descrittivo, ma normativo e prescrittivo (esattamente come le logiche del primo ordine, nel loro ambito) la teoria dell'argomentazione.

Come ho già iniziato a spiegare in altra occasione (ma in quel frangente hai preferito concentrarti sull'epifenomeno del platonismo, forse senza cogliere che il punto centrale era tutt'altro), senza una metafisica della verità semplicemente non si può neppure iniziare ad affrontare il discorso fondazionale in Matematica. Non lo dice certo un costruttivista arrabbiato, ma un logico matematico come Gabriele Lolli, per esempio...

Il resto è una patente, ingenua fallacia: dare un meritato calcione nel deretano al quel "cretino" di Heidegger o ai "sabotatori" come Derrida e Lucas non implica un rifiuto categorico ed aprioristico di "tutta" la metafisica. Anche perché, ponendo la questione in questo modo, viene il sospetto che tu debba definire meglio cosa intendi per "metafisica", dal momento che citi anche la "logica di base".
Di nuovo: si tratta sempre e solo di distinguere tra buona e cattiva filosofia, e oggi lo si deve anche fare senza il comodo paravento degli analitici "buoni" e continentali "cattivi" (se non altro, per Putnam e Gian Carlo Rota, e per i nuovi filosofi della mia generazione).


Il tuo parere sull'analisi però mi pare francamente bizzarro: non avrai trascorso troppo tempo assieme ai tuoi amici ingegneri ? O forse hai sentito questa frase da un docente di analisi, che (come molti accademici) ritiene "assolutamente superiore" la sua materia ? :D
Pochissimi matematici che conosco si esprimono nei termini da te utilizzati: e considerando che solo nella mia azienda ne abbiamo un centinaio, che salgono a più di seicento con gli informatici, ho un discreto campione statistico per le mani. :-D

Non è rilevante ai fini del discorso, ma premetto che per il sottoscritto il Gotha della Matematica è quella Discreta, in piena sintonia con Rota e Knuth (e con la mia formazione giovanile da informatico !). Personalmente non mi appassiona la TdN, ma meno che mai l'analisi continua. Ricordo solo che in area anglosassone c'è molta meno enfasi su quest'ultima materia, che viene sbrigativamente indicata come "calculus", qualcosa che quasi quasi si fa con le mani.

Tuttavia, a noi ora interessa altro: il mio campione della comunità matematica praticante, in sintonia con quanto riaffermato in numerosi testi articoli e interviste, ritiene quasi univocamente la Teoria del Numero il più puro ramo della matematica pura, la Regina della Matematica intera. Le tecniche della teoria analitica del numero (nella quale i rassicuranti numeri interi appaiono come soluzioni di equazioni a coefficienti complessi) sono notoriamente tra le più difficili in assoluto, come opere di grande diffusione hanno ricordato anche all'ultimo dei profani in proposito della vicenda di Wiles, della congettura di Taniyama-Shimura e dell'UTF.
Inoltre, visti dall'esterno, i problemi delle relazioni fondamentali tra gli enti numerici sono di gran lunga filosoficamente più interessanti dei problemi dell'analisi, che appaiono invece artificiosi per qualsiasi profano. Dubito peraltro che il problema del continuo, ad esempio, si possa qualificare come un problema analitico.

federiclet2
Ciao
sono molto contento che abbiate espresso i vostri pareri schiettamente.
Ho fatto solo la considerazione che, ed é lungi dalla mia portata, se avessi espresso l'argometazione diBrentano in modo formalmente corretto, ovvero con preposizioni formali in, non saprei nemmeno dire, quale grado di logica, ovvero come una questione di calcolo proposizionale, forse non avrei alzato il vespaio e generato frustrazione. Non lo potevo sapere in anticipo quindi vi chiedo scusa.
Ribadisco solo che avevo postato qui l'argomento credendo lo si potesse trattare come un problea epistemologico, e perché come ho già detto é più facile trovare matematici attenti alla filosofia che filosofi attenti alla matematica.
Quanto alla mia precomprensione, la cosa vi farà sorridere, ma sono per un realismo moderato, per quella forma della filsofia che parlando di un oggetto esterno o mentale intende parlare di qualcosa che gli inerisce come essenza ed esistenza, ossia che di ciò che si parla o in scienza o in filosofia se ne parla come é, e non come appare essere.

Grazie

fede

oruam1
"Gugo82":



Piuttosto che uno sterile rammarico avresti potuto sforzarti per porre la domanda in termini più comprensibili.


Ecco questa è una cosa che andrebbe la pena approfondire: perchè chiunque abbia letto un po' di filosofia e non sappia molto di matematica si sente così attratto dalla Teoria dei Numeri (o dalla Geometria Combinatoria)?
Credetemi, a confronto dei paradossi o della potenza dell'Analisi, le scoperte di regolarità/irregolarità della TdN sembrano pazzielle pe' 'e ccriature (ossia "giocattoli per bambini", in napoletano).

Oruam, te l'ho già detto altre volte: la Matematica e la Metafisica non si conoscono (se non per quello che riguarda l'uso adella Logica di base). La Matematica non nasce dalla Metefisica; le scoperte della Matematica non fanno Metafisica.
A voler essere formali, sono due giochi di costruzioni i cui pezzi, seppur fatti di materiali diversi (parole contro simboli), si incastrano, o almeno dovrebbero, seguendo quasi le stesse regole.


Caro Gugo82,
eccoti un modesto contributo che dovrebbe chiarirti tutto. Come ti ho già detto, se ricordi, di professione faccio il burattinaio, compare dei tuoi abilissimi conterranei guaratellari.
Nel tempo che non dedico al lavoro gioco a scacchi, leggo Marquez, Savater, Feynmann, Petito, du Sautoy, La Settimana Enigmistica, il Corriere della Sera, frequento questo sito, ecc. ecc.
Non seguo minimamente un percorso obbligato, considerando tutto ciò solo ed esclusivamente una ricerca volta al mestiere del teatro perché, quando vado davanti al pubblico, infantile o adulto che sia, devo raccontargli una storia e, per raccontare una storia, bisogna ascoltare i narratori. Tu sei uno di questi e di ciò ti ringrazio.
E' la parte teorica, diciamo così, del mio lavoro. Posso dirmi filosofo perché desidero sapere, né più né meno di te, per quanto poco m'importi il dirmi filosofo.

Puntualizzato questo aggiungo:
a) Federiclet ha esposto in modo comprensibilissimo la sua domanda.
b) Se matematica e metafisica hanno quasi le stesse regole, sono forse lo stesso gioco, non credi?


Statteme 'bbuò!

oruam1
"adaBTTLS":
l'affermazione mi ha fatto pensare all'assioma 5 della logica modale ($"se A e' una formula ben formata, allora " MA->LMA$, che tradotto in parole si legge "se A è possibile, allora A è necessariamente possibile"). io che mi sono occupata di logica temporale, non ho accettato la "traduzione" di quest'assioma nella logica temporale, che sarebbe stato: "se A è vero ora oppure sarà vero in almeno un istante futuro, allora A sarà vero in infiniti istanti futuri".
ti garantisco però che esistono sistemi che contengono tale assioma...



Ciao adaBTTLS,
potresti cortesemente dirmi perché non hai accettato la 'traduzione'?
Grazie.

P.S.: per Gugo82. Perché un filosofo possa ascoltare attentamente un matematico è necessario che il matematico non si esima dal parlare.

gugo82
"federiclet2":
Citazione integrale del post d'apertura [...]

Questo era il post da cui s'é svolta la discussione, e mi pare che non ci sia alcun riferimento all'essere in quanto tale. Conoscendo il rigore dei matematici, ed avendo trovato un argomento metafisico espresso in termini di probabilità, ho chiesto lumi a chi avesse creduto e voluto darne. Tutto qui. E, invece con delle fortuite eccezioni, s'è finito per iniziare ad esprimere giudizi sul valore globale della metafisica, entrando nello spirito della querelle o molto peggio della sua liquidazione con giudizi lapidari che hanno la sola autorità di chi li ha scritti.

Veramente un filosofo potrà ascoltare con attenzione un fisico o un matematico, ma molto raramente avviene il contrario, per una specie di prosopoea congenita.

con gran rammarico

saluti

Evvabbè, stai calmo, non c'è bisogno di urlare.

Il mio problema, come detto, è il seguente: quando incontro un discorso come quello citato nel post d'apertura, mi pare si parli di nulla e sul nulla non sono in grado di farmi un'idea.
Questo è un problema comune tra i matematici, secondo me; anche per questo i matematici non riescono a risponderti come vorresti.
La prosopopea appartiene ad altre categorie di personaggi. Al tuo posto avrei usato presunzione che, quando abbonda, è una cattiva qualità piuttosto comune...

Piuttosto che uno sterile rammarico avresti potuto sforzarti per porre la domanda in termini più comprensibili.


P.S.: Un filosofo "puro" che ascolta attentamente un matematico ancora non l'ho incontrato di persona... Quando capiterà vi farò sapere. :-D

"oruam":
[...] Permettimi però un esempio: il ritrovamento di un ordine non casuale nella serie dei numeri primi, questione tuttora irrisolta, non porterebbe neppure una goccia d'acqua, per un matematico - ma direi anche per chiunque non volesse compiere un atto di fede - alla comprensione di una eventuale teleologia dell'essere: tuttavia, ed è qui il paradosso, questa ricerca di 'un ordine non casuale', seppure in quegli enti astratti che sono i numeri, ricerca che mosse lo stesso lavoro di Riemann, è quel che si dice pura e semplice metafisica. Difatti, come rileva Kinder, la metafisica è proprio sottoterra da dove, come una radice, fa germogliare la stessa scienza matematica che, dunque, è la sua attuale conclusione. [...]

Ecco questa è una cosa che andrebbe la pena approfondire: perchè chiunque abbia letto un po' di filosofia e non sappia molto di matematica si sente così attratto dalla Teoria dei Numeri (o dalla Geometria Combinatoria)?
Credetemi, a confronto dei paradossi o della potenza dell'Analisi, le scoperte di regolarità/irregolarità della TdN sembrano pazzielle pe' 'e ccriature (ossia "giocattoli per bambini", in napoletano).

Oruam, te l'ho già detto altre volte: la Matematica e la Metafisica non si conoscono (se non per quello che riguarda l'uso della Logica di base). La Matematica non nasce dalla Metefisica; le scoperte della Matematica non fanno Metafisica.
A voler essere formali, sono due giochi di costruzioni i cui pezzi, seppur fatti di materiali diversi (parole contro simboli), si incastrano, o almeno dovrebbero, seguendo quasi le stesse regole.

oruam1
Caro Federiclet,
trovo che il matematico Gugo82 e l'ingegnere Kinder abbiano risposto molto puntualmente alla questione sul metodo argomentativo di Brentano, un poco ponendo interrogativi sulle cose che non capiscono come, tra l'altro, la condizione storica da cui parla Brentano, un poco deridendo quel che si lascia deridere, ovvero la metafisica del Brentano, quando cerca di derivare la necessità dell'ente da cui, come fai notare tu stesso, l'esistenza di un terzo che mi pare potrebbe essere solo Dio. Parlano da uomini della scienza contemporanea, quella scienza che affida alla matematica molte delle sue possibilità. E a ragione: della necessità dell'ente, infatti, al matematico può importare anche un bel niente.
Permettimi però un esempio: il ritrovamento di un ordine non casuale nella serie dei numeri primi, questione tuttora irrisolta, non porterebbe neppure una goccia d'acqua, per un matematico - ma direi anche per chiunque non volesse compiere un atto di fede - alla comprensione di una eventuale teleologia dell'essere: tuttavia, ed è qui il paradosso, questa ricerca di 'un ordine non casuale', seppure in quegli enti astratti che sono i numeri, ricerca che mosse lo stesso lavoro di Riemann, è quel che si dice pura e semplice metafisica. Difatti, come rileva Kinder, la metafisica è proprio sottoterra da dove, come una radice, fa germogliare la stessa scienza matematica che, dunque, è la sua attuale conclusione.
Trovo allora triste vedere che un filosofo, se lo sei, abbandoni il campo della discussione. Semmai lascialo fare a chi filosofo, ovvero amante del sapere, non è.

kinder1
"Gugo82":
Kinder, accetterai una piccola correzione riguardo la collocazione della scienza rispetto alla metafisica: la scienza non si trova né ben oltre né ben prima, bensì è su tutt'altro piano..

non la considero una correzione, giacché vedo la metafisica sotto terra, mentre la fisica sulla terra. In questo senso la vedo ben oltre. Certo, sono piani diversi, molto diversi.

federiclet2
Introducoil tema facendo ricorso a Brentano con l'argomento propedeutico alla dimostrazione del carattere teleologico del reale.
Il brano, a cura di Susan F. Krantz Gabriel, é preso da Cambridge Companion to Brentano 2006, p 239

"...tutto ciò che esiste esiste nel tempo. Ora, se un ente temporale finito potesse essere assolutamente accidentale, ne conseguirebbe che ad ogni istante avrebbe la stessa probabilità di persistere nel tempo o di scomparire. Inoltre, affinché un'ente finito temporale esista, sarebbe altrettanto necessario che gli istanti di persistenza nel tempo siano infinitamente più frequenti dei momenti in cui esso si dilegua dal tempo. Ma questa é una contraddizione. Dunque nessun ente temporale é assolutamente accidentale. E poiché tutto ciò che esiste esiste nel tempo, ne segue che nulla é assolutamente accidentale."

Ho scelto di riportare questo brano a titolo esemplificativo del modo di procedere di Brentano nella sua filsofia naturale e filosofia prima.
L'utilizzo della probabilità in ambito speculativo filsofico mi suona alquanto originale, e l'argomento che Brentano ne trae molto convincente - tennedo per buono l'assunto della temporalità come modo dell'esistenza del reale.

Vi chiedo, da un punto di vista matematico, che impressione ricavate da questo metodo argomentativo? E se lo riteniate adeguato o spurio, se non una contaminazione di ciò che é propriamente matematico con ciò che é propriamente filosofico.

Grazie

f.

[size=150]Questo era il post da cui s'é svolta la discussione, e mi pare che non ci sia alcun riferimento all'essere in quanto tale. Conoscendo il rigore dei matematici, ed avendo trovato un argomento metafisico espresso in termini di probabilità, ho chiesto lumi a chi avesse creduto e voluto darne. Tutto qui. E, invece con delle fortuite eccezioni, s'è finito per iniziare ad esprimere giudizi sul valore globale della metafisica, entrando nello spirito della querelle o molto peggio della sua liquidazione con giudizi lapidari che hanno la sola autorità di chi li ha scritti[/size]

Veramente un filosofo potrà ascoltare con attenzione unn fisico o un matematico, ma molto raramente avviene il contrario, per una specie di prosopoea congenita.

con gran rammarico

saluti

gugo82
"kinder":
[quote="federiclet2"]Non capisco come mai da queste parti molti debbano sforzarsi per dare una risposta, specie se dall'assunto 1 del loro intervento già s'esclude ogni possibile prosecuzione del discorso.
Purtroppo non sono Brentano, credo avrebbe saputo darti una risposta scientificamente rigorosa.
E pace all'anima sua e alla mia!
fine della discussione

Se il Brentano è quello appena tratteggiato dai passi da te riportati, allora sono poco fiducioso nella possibilità di ricevere da lui una risposta scientificamente rigorosa. La scienza è ben altra cosa, e si colloca ben oltre la metafisica che, nonostante sia stata sepolta da gente illustre, continua ad essere richiamata in certi discorsi (forse con sedute spiritiche).
Non mi aspettavo che una critica a passi attribuiti a Brentano potesse ferire te. Poiché ciò è accaduto, devo dedurre che ne sei un appassionato simpatizzante, non disposto ad accettare critiche a lui, che ti sembra "molto convincente" (m'era sfuggito questo, altrimenti avrei potuto immaginare). Sebbene per ragioni diverse dalle tue, concordo con te che la discussione debba terminare. Ho perso tempo.[/quote]
Kinder, accetterai una piccola correzione riguardo la collocazione della scienza rispetto alla metafisica: la scienza non si trova né ben oltre né ben prima, bensì è su tutt'altro piano. Insomma, scienza e metafisica sono totalmente diverse, a partire dai mezzi d'indagine. Penso che su questo si possa convenire, no?

Ad ogni modo, non trovo questa discussione stimolante. Sarà che tutti questi discorsi sull'essere li vedo sempre sfocati... Insomma, mi pare non si sappia mai con certezza di cosa si parli. È un po' come voler fare Matematica senza assiomi, il che è impossibile.

federiclet2
"kinder":
[quote="federiclet2"]Non capisco come mai da queste parti molti debbano sforzarsi per dare una risposta, specie se dall'assunto 1 del loro intervento già s'esclude ogni possibile prosecuzione del discorso.
Purtroppo non sono Brentano, credo avrebbe saputo darti una risposta scientificamente rigorosa.
E pace all'anima sua e alla mia!
fine della discussione

Se il Brentano è quello appena tratteggiato dai passi da te riportati, allora sono poco fiducioso nella possibilità di ricevere da lui una risposta scientificamente rigorosa. La scienza è ben altra cosa, e si colloca ben oltre la metafisica che, nonostante sia stata sepolta da gente illustre, continua ad essere richiamata in certi discorsi (forse con sedute spiritiche).
Non mi aspettavo che una critica a passi attribuiti a Brentano potesse ferire te. Poiché ciò è accaduto, devo dedurre che ne sei un appassionato simpatizzante, non disposto ad accettare critiche a lui, che ti sembra "molto convincente" (m'era sfuggito questo, altrimenti avrei potuto immaginare). Sebbene per ragioni diverse dalle tue, concordo con te che la discussione debba terminare. Ho perso tempo.[/quote]

Ti ringrazio per il tempo che hai perso, compreso quello impiegato per scrivere l'ultimo post
Quanto alle sedute spiritiche, non vi ho mai fatto ricorso, chissà però che non ci provi, grazie dell'imput scientifico che mi ahi così offerto.

kinder1
"federiclet2":
Non capisco come mai da queste parti molti debbano sforzarsi per dare una risposta, specie se dall'assunto 1 del loro intervento già s'esclude ogni possibile prosecuzione del discorso.
Purtroppo non sono Brentano, credo avrebbe saputo darti una risposta scientificamente rigorosa.
E pace all'anima sua e alla mia!
fine della discussione

Se il Brentano è quello appena tratteggiato dai passi da te riportati, allora sono poco fiducioso nella possibilità di ricevere da lui una risposta scientificamente rigorosa. La scienza è ben altra cosa, e si colloca ben oltre la metafisica che, nonostante sia stata sepolta da gente illustre, continua ad essere richiamata in certi discorsi (forse con sedute spiritiche).
Non mi aspettavo che una critica a passi attribuiti a Brentano potesse ferire te. Poiché ciò è accaduto, devo dedurre che ne sei un appassionato simpatizzante, non disposto ad accettare critiche a lui, che ti sembra "molto convincente" (m'era sfuggito questo, altrimenti avrei potuto immaginare). Sebbene per ragioni diverse dalle tue, concordo con te che la discussione debba terminare. Ho perso tempo.

federiclet2
Grazie a te per la tua gentilezza
cosa rara di questi giorni

ciao e buon proseguimento

oruam1
Sì, è vero che l'affermazione che delimita la necessità dell'ente al solo ambito linguistico senza passaggi possibili al piano ontico
è una gnoseologia ben precisa. Non sostengo in via di principio che sia corretta o l'unica a poterlo essere, ma ho il sospetto che sia la sola possibile. Ovviamente non ci dice nulla del piano ontico, perché su di esso ho il sospetto, pure, che nulla si possa dire.
Quanto all'estrapolazione dal discorso di Brentano grazie di avermela sottolineata: non posso che riconoscere la sua indebitatezza.
Ciao.

federiclet2
"oruam":
Anche in termini spazio-temporali la questione resta immutata. Sulla rivoluzionarietà di Brentano non so dire, ma mi pare che in definitiva qui si tratti di questioni di carattere 'nominalistico', con i pro e i contro che il nominalismo comporta. Sinteticamente: possiamo concludere, accettando Brentano, sulla necessità dell'ente, ma solo nell'ambito del linguaggio, mentre da un punto di vista ontico non si fa assolutamente un solo passo avanti. Che gli enti siano eterni resta una proposizione eventualmente dimostrabile solo a parole, nei fatti empirici non ne abbiamo evidenze. Purtroppo la matematica non determina l'essere, può solo cercare di comprenderlo.


Ciao
Perché delimitare la necessità dell'ente al solo ambito linguistico? Non dipende questo dalla gnoseologia che si sposa? O ritieni che ci siano gnoseologie più "vere" di altre? Quella per esempio che impedisce ogni inferenza dal piano logico, logico trascendentale, o linguistico all'ontico. Mi pare che Brentano ritenesse di parlare della realtà nell'affermare che gli enti sono indirettamente necessari, o necessari ipotetici. Spero di non essere scortese dicendo che se si demarca il campo di conoscenza alle proposizioni del linguaggio, ogni questione sia ispo facto nominalista.
Quanto all'esistenza eterna degli enti, benché l'argomento sia funzionale alla dimostrazione della natura necessaria del terzo da cui gli enti ipotetici, per così dire, ricevono la loro necessità, il passo in questione non dice nulla, L'ente indirettamente esistente é un altro modo di dire ente contingente, dunque non eterno. Come mai questa estrapolazione?

Guarda che sono domande di chiarimento e non polemiche da querelle.
Grazie ancora

ciao

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