Cosa è meglio fare quando si prova la sensazione di non capirci più nulla?
Secondo voi, cosa è meglio fare quando, durante un corso di laurea, in realtà quasi alla fine dello stesso (ovvero al termine del penultimo semestre), si arriva a provare con una certa costanza, e sempre più spesso durante lo studio, la sensazione di non capire più nulla dell'utile a passare gli esami di quello che si sta studiando, di non avere più una forma di controllo sulla propria carriera accademica, di essere stanchi di preparare e poi sostenere esami, di aver perso definitivamente ogni manifestazione di ansia negli ultimi esami, sostituite da un beffardo senso di rassegnazione e da un inizialmente vaghissimo e poi sempre più evidente senso di amor fati, e di aver finito la voglia di studiare?
Perché succede?
È una situazione inevitabile, che più o meno evidentemente riguarda tutti e che possibilmente si risolve per il meglio? O necessariamente per il peggio?
È successo anche a voi?
Come ne siete usciti?
Perché succede?
È una situazione inevitabile, che più o meno evidentemente riguarda tutti e che possibilmente si risolve per il meglio? O necessariamente per il peggio?
È successo anche a voi?
Come ne siete usciti?
Risposte
L'ho usato l'eserciziario, uno solo però (il Demidovich), insieme a fotocopie di esercizi fornite dal professore. Forse non avrò fatto un milione di esercizi, ma mi sono curato di fare esercizi sempre diversi e didattici. Ma sembra che non sia servito a niente.
[ot]A tal proposito, se conosci un eserciziario di Analisi 2 che contenga i procedimenti di esercizi standard (il Demidovich contiene solo le soluzioni numeriche), potresti, gentilmente, segnalarmelo?
Mi faresti un grande favore
[/ot]
Intermat, il problema è che nei corsi successivi, che ho frequentato, non si fa uso di quella matematica. Ad esempio, in un corso di Chimica Fisica immediatamente successivo ci sono equazioni differenziali, ma sono molto banalmente a variabili immediatamente separabili, per non parlare dei banali integrali di $1/x$, $x^n$, ecc. In Fisica 2 ci sono gli integrali di linea e doppi, ma sono banali. Fra l'altro, anche non così banali, quelli sono i tipi di esercizi che mi riescono di più.
Quello che mi sembra è che le richieste dei corsi non chimici siano assolutamente sproporzionate rispetto a quello che effettivamente serve a un chimico, come se l'unico scopo fosse quello di mettere in crisi più matricole possibili (è un esame del primo anno), infatti un professore di un esame di stampo ingegneristico (che non posso dare perché mi manca Analisi 2) concorda assolutamente con me, e mi dice che c'è molta gente che passa questi esami, anche con buoni voti, che poi non sa cosa sia una derivata al suo esame. In pratica sento che l'unico modo di passare questi esami sarebbe impararmi a memoria una caterva di esercizi che poi mi dimenticherò immediatamente come risolvere. Insomma, uno sforzo che percepisco come inutile. L'utilità di laurearmi non la trovo sufficiente, perché non riesco a concepire l'idea di una laurea raggiunta con degli artifici. Insomma, mi sento una vittima di un tentativo di selezione sporca, più che un soggetto di un processo di valutazione corretta.
Il problema è che ogni santa volta che faccio Analisi 2 mi capitano sempre molti esercizi che mi mettono in crisi, ad esempio le equazioni differenziali non esatte. E il professore interroga per esercizi, non teoria. Potrei anche lasciare gli esercizi che non riesco a svolgere in bianco, tanto nell'ultimo appello sono riuscito a raggiungere la sufficienza (probabilmente un 18 stentato o qualcosa in più...), ma poi succede (l'ho visto succedere ad altri colleghi che hanno fatto l'esame, non so se succeda pure da te) che al colloquio il professore mi fa fare quegli stessi esercizi che non sono riuscito a fare e in pratica rischio che il professore me li faccia al posto mio mentre io annuisco stancamente a ogni obiezione, come successo in parte ad Analisi 1. Trascendendo ogni aspetto morale, è un esame questo secondo te?
Fosse stato un esame di chimica poteva anche andare bene, ma questo ragionamento secondo me non lo puoi fare con Analisi Matematica e Fisica.
Insomma, sento di non riuscire a raggiungere la padronanza delle materie in questione, che è quello che mi aspetterei di raggiungere studiando seriamente all'università.
Io da bambino e da adolescente riuscivo a prodigarmi in notevoli sforzi mnemonici, seguiti da risultati controllabili in base all'impegno, per i compiti in classe e le interrogazioni, ma all'incirca dal quarto anno di liceo non ci sono più riuscito come prima, e adesso sento che non ci riesco per niente, forse perché sono pervaso da pensieri e preoccupazioni da adulto.
[ot]A tal proposito, se conosci un eserciziario di Analisi 2 che contenga i procedimenti di esercizi standard (il Demidovich contiene solo le soluzioni numeriche), potresti, gentilmente, segnalarmelo?


Intermat, il problema è che nei corsi successivi, che ho frequentato, non si fa uso di quella matematica. Ad esempio, in un corso di Chimica Fisica immediatamente successivo ci sono equazioni differenziali, ma sono molto banalmente a variabili immediatamente separabili, per non parlare dei banali integrali di $1/x$, $x^n$, ecc. In Fisica 2 ci sono gli integrali di linea e doppi, ma sono banali. Fra l'altro, anche non così banali, quelli sono i tipi di esercizi che mi riescono di più.
Quello che mi sembra è che le richieste dei corsi non chimici siano assolutamente sproporzionate rispetto a quello che effettivamente serve a un chimico, come se l'unico scopo fosse quello di mettere in crisi più matricole possibili (è un esame del primo anno), infatti un professore di un esame di stampo ingegneristico (che non posso dare perché mi manca Analisi 2) concorda assolutamente con me, e mi dice che c'è molta gente che passa questi esami, anche con buoni voti, che poi non sa cosa sia una derivata al suo esame. In pratica sento che l'unico modo di passare questi esami sarebbe impararmi a memoria una caterva di esercizi che poi mi dimenticherò immediatamente come risolvere. Insomma, uno sforzo che percepisco come inutile. L'utilità di laurearmi non la trovo sufficiente, perché non riesco a concepire l'idea di una laurea raggiunta con degli artifici. Insomma, mi sento una vittima di un tentativo di selezione sporca, più che un soggetto di un processo di valutazione corretta.
Il problema è che ogni santa volta che faccio Analisi 2 mi capitano sempre molti esercizi che mi mettono in crisi, ad esempio le equazioni differenziali non esatte. E il professore interroga per esercizi, non teoria. Potrei anche lasciare gli esercizi che non riesco a svolgere in bianco, tanto nell'ultimo appello sono riuscito a raggiungere la sufficienza (probabilmente un 18 stentato o qualcosa in più...), ma poi succede (l'ho visto succedere ad altri colleghi che hanno fatto l'esame, non so se succeda pure da te) che al colloquio il professore mi fa fare quegli stessi esercizi che non sono riuscito a fare e in pratica rischio che il professore me li faccia al posto mio mentre io annuisco stancamente a ogni obiezione, come successo in parte ad Analisi 1. Trascendendo ogni aspetto morale, è un esame questo secondo te?
Fosse stato un esame di chimica poteva anche andare bene, ma questo ragionamento secondo me non lo puoi fare con Analisi Matematica e Fisica.
Insomma, sento di non riuscire a raggiungere la padronanza delle materie in questione, che è quello che mi aspetterei di raggiungere studiando seriamente all'università.
Io da bambino e da adolescente riuscivo a prodigarmi in notevoli sforzi mnemonici, seguiti da risultati controllabili in base all'impegno, per i compiti in classe e le interrogazioni, ma all'incirca dal quarto anno di liceo non ci sono più riuscito come prima, e adesso sento che non ci riesco per niente, forse perché sono pervaso da pensieri e preoccupazioni da adulto.
Se riuscissi ad abbandonare i tuoi scrupoli morali, almeno per ora, ti basterebbe un buon eserciziario e tanti tanti esercizi. Secondo me facendoli ti ritroverai anche qualcosa di teoria. Comunque, secondo me, molte cose di teoria di analisi I e II tornano molto più in altri corsi successivi, almeno da me ad ingegneria, che non in quei stessi corsi.
Vorrei, Intermat, lo vorrei proprio, studiare solo ed esclusivamente per passare l'esame, ma sento una specie di conflitto o blocco mentale/morale/non so di cosa ogni volta che tento pensieri e strade simili, in particolare sento che lo farei volentieri ma solo di fronte alla sicurezza di passare l'esame (e la sensazione di aver capito quello che studio ha finora contribuito totalmente a darmi questa sicurezza), perché sento che il non passare l'esame dopo un impegno al 100% di me stesso lascerebbe in me una pericolosissima sensazione di vuoto, o comunque qualche sensazione assolutamente a me sconosciuta e per questo potenzialmente insidiosa. Il tutto mi succede soprattutto in questo periodo, certo, l'essermi lasciato per adesso gli esami "difficili" di certo non mi aiuta, ma l'avevo fatto sperando in una sorta di maturazione che purtroppo sembra non ci sia stata. Insomma, per me è un periodo assolutamente no, e volevo sapere come ne siete usciti se qualcosa di simile fosse accaduto anche a voi, tutto qui.
In particolare quello che mi preoccupa è che di recente metto di continuo in discussione il valore di esame, concorso, prova, selezione, insomma potenziale cambiamento, insomma il mettere nelle mani di uno sconosciuto il mio destino e dover subordinare il mio futuro alla sua decisione del momento, perché, magari con complicità della crisi, per me stesso riesco a vedere solo cambiamenti per me negativi (sconfitta) come risultato di questi momenti, quindi è come se cominciassi a prediligere la staticità e la tranquillità. Insomma, di fronte a sforzi inutili, tendo a tirare i remi in barca e pensare a me stesso e alla famiglia. Forse sono semplicemente depresso. Insomma, è come se il desiderio di competere fosse nullo.
È come se fossi circondato da persone che hanno una vita rappresentabile nel suo andamento con $y=sin x$, qualcuno $y=cos x$ (i meno fortunati...), una ristretta elite $y=e^x$, e io invece avessi scelto, andando sul sicuro, $y=1$.
Ma nonostante ciò in questo periodo mi sono adoperato per cercare di passare l'esame, prima mi sono acquistato WolframAlpha per ragionare sugli svolgimenti degli esercizi che non tornavano in nessun modo, successivamente ho assoldato un tutor privato con cui ho ragionato su molti esercizi abbastanza didattici, ma non c'è stato niente da fare per l'esame, sono arrivato a un passo dall'orale comunque.
Chiedo perdono per il il linguaggio filosofico.
In particolare quello che mi preoccupa è che di recente metto di continuo in discussione il valore di esame, concorso, prova, selezione, insomma potenziale cambiamento, insomma il mettere nelle mani di uno sconosciuto il mio destino e dover subordinare il mio futuro alla sua decisione del momento, perché, magari con complicità della crisi, per me stesso riesco a vedere solo cambiamenti per me negativi (sconfitta) come risultato di questi momenti, quindi è come se cominciassi a prediligere la staticità e la tranquillità. Insomma, di fronte a sforzi inutili, tendo a tirare i remi in barca e pensare a me stesso e alla famiglia. Forse sono semplicemente depresso. Insomma, è come se il desiderio di competere fosse nullo.
È come se fossi circondato da persone che hanno una vita rappresentabile nel suo andamento con $y=sin x$, qualcuno $y=cos x$ (i meno fortunati...), una ristretta elite $y=e^x$, e io invece avessi scelto, andando sul sicuro, $y=1$.
Ma nonostante ciò in questo periodo mi sono adoperato per cercare di passare l'esame, prima mi sono acquistato WolframAlpha per ragionare sugli svolgimenti degli esercizi che non tornavano in nessun modo, successivamente ho assoldato un tutor privato con cui ho ragionato su molti esercizi abbastanza didattici, ma non c'è stato niente da fare per l'esame, sono arrivato a un passo dall'orale comunque.
Chiedo perdono per il il linguaggio filosofico.
"Vikhr":
Ma davanti a uno studio motivato, quando lo stimolo scema, dal puro senso del dovere, che comunque accompagna e rinforza il primo negli altri casi, non seguito da risultati immediati è facile cominciare a mettersi sempre più in discussione e poi iniziare a perdere la motivazione ("L'Analisi non è il mio forte, ma devo comunque darla, quindi perché non dovrei studiarla" seguito, mesi dopo, da "Possibile che fra tutti gli esami non riesca a dare Analisi 2, che peraltro è l'unico che studio da molto tempo? Ma che sto studiando a fare, allora"? ecc.)
Scusa Vikhr, però ricordando altri tuoi post in cui ci siamo incrociati (sempre su argomenti simili) mi sembra che questo sia un po' in controtendenza. Qui ti "lamenti" di aver paura di non trovare lavoro e delle motivazioni che ti mancano mentre in altri post dici che tu non vuoi studiare per passare l'esame ma per capire bene la materia (cosa di per se onorevolissima). Non credi che in questo caso, proprio per superare questa impasse, non sia il caso di focalizzarsi unicamente sul superamento dell'esame? Ti sentirai più leggero perché ti sarai ulteriormente avvicinato alla laurea e comunque in futuro, quando avrai più tempo e sarai più sereno, potrai dedicarti a capire meglio il legame fra teoria ed esercizi. Inoltre mi pare che tu studi chimica (o qualcosa del genere, comunque non matematica o fisica) quindi il non aver completamente chiaro il legame teoria/esercizi di analisi II non mi sembra un dramma.
Sinceramente io nei momenti più "ansiogeni" della mia carriera universitaria ho cercato di togliermi il peso cercando di passare l'esame senza pensare ad altro. Di per se questo modo non mi piace però, per superare situazioni complicate, l'ho trovato necessario e, ad oggi, non me ne pento. Gli esami che ho superato così sono stati Fisica II (che non mi è mai servita e quindi se la volessi recuperare sarebbe solo per cultura personale), Geometria (l'ho recuperata nel corso degli anni successivi per necessità varie) e Informatica (questa ancora non l'ho recuperata e infatti sarà una cosa da fare nei prossimi anni!). Con questo voglio dire che forse, per superare il momento difficile, dovresti un attimo diminuire le tue pretese su alcuni esami e accontentarti di aver capito la teoria e, separatamente, gli esercizi. Non sarà il massimo ma per recuperare tale mancanza, se lo vorrai fare per soddisfazione personale, avrai sempre tempo.
"Vikhr":
Secondo me invece è il contrario, chi affronta tutti gli esami come un toro, senza un minimo dubbio e una minima battuta d'arresto, poi sul lavoro potrebbe peccare per arroganza e presunzione e per questo avere minori capacità di problem solving e minore autodisciplina, mentre chi da subito affronta e poi, magari non subito, supera ogni difficoltà, non commette questo errore, anzi, proprio per la serietà e l'approccio maturato nei confronti della risoluzione dei problemi è più competente del primo. L'ideale a mio avviso sarebbe un neolaureato caratterizzato da un perfetto ibrido fra i due set mentali (entrambi richiamabili a comando in base all'esigenza del momento), ma è molto raro trovarlo.
Condivido più quanto dice socio1985: l'indole insicura e timorosa non si cambia facilmente (io durante questi anni di università sono diventato molto meno insicuro e timoroso e credo sia una delle cose importanti che mi rimarranno) e si riverbererà sulle prime occupazioni che svolgerai. Se sei uno che fatica a chiedere spiegazioni al docente per timore reverenziale sarai anche uno che avrà timore di chiedere spiegazioni ai dirigenti o ai propri colleghi. L'essere presuntuoso o arrogante è un limite tanto quanto l'essere insicuro e timoroso ma l'università dovrebbe insegnarti anche questo. Non credo che chi supera i problemi senza batter ciglio (o quasi) sia tendenzialmente arrogante o presuntuoso. Ti posso garantire che, tra quelli bravi del mio corso, le persone che descrivi tu sono in un numero veramente irrisorio. Per assurdo io, quanto "cazzeggio" con gli amici, posso sembrare presuntuoso (ma non arrogante!) però non mi sognerei mai di esserlo sul lavoro. Semplicemente perché ho imparato a non esserlo nel momento in cui mi relaziono coi docenti o con altri colleghi e amici molto preparati!
In ogni caso, comprendendo la situazioni complicata che stai vivendo (ci passano quasi tutti prima o poi!), ti auguro di uscirne nel migliore dei modi...cominciando col passare il prossimo esame.

Secondo me invece è il contrario, chi affronta tutti gli esami come un toro, senza un minimo dubbio e una minima battuta d'arresto, poi sul lavoro potrebbe peccare per arroganza e presunzione e per questo avere minori capacità di problem solving e minore autodisciplina, mentre chi da subito affronta e poi, magari non subito, supera ogni difficoltà, non commette questo errore, anzi, proprio per la serietà e l'approccio maturato nei confronti della risoluzione dei problemi è più competente del primo. L'ideale a mio avviso sarebbe un neolaureato caratterizzato da un perfetto ibrido fra i due set mentali (entrambi richiamabili a comando in base all'esigenza del momento), ma è molto raro trovarlo.
"Vikhr":
Non è una giustificazione né tantomeno una difesa da attacchi di alcun genere. È solo la mia constatazione del fatto che l'Università non è un gioco, soprattutto quando la si prende sul serio.
Capisco di essermi espresso male. Con "non è un gioco" intendevo dire che non è avulsa da ciò che viene dopo. Almeno, per quanto mi riguarda, ho notato che certe carenze che ho riscontrato durante il percorso accademico le ho in qualche modo traslate nel modo del lavoro. Ad esempio è difficile che una persona insicura e timorosa prima degli esami va a lavorare e si trasforma in un toro. Poi con la forza di volontà e prendendo coscienza si può sopperire ma l'indole rimane.
"Vikhr":
È solo la mia constatazione del fatto che l'Università non è un gioco, soprattutto quando la si prende sul serio.
Mi sono sempre chiesto perché non fare come chi va per farsi gli affari suoi e passa gli esami dopo una mezza giornata/nottata di studio non di rado andando meglio di chi ha seguito con metodo.
Non è una giustificazione né tantomeno una difesa da attacchi di alcun genere. È solo la mia constatazione del fatto che l'Università non è un gioco, soprattutto quando la si prende sul serio.
"Vikhr":
Un conto è preferire fare altro invece di studiare qualcosa ritenuto poco stimolante, e sono d'accordo ("Ma chissene di Analisi 2, andiamo a rimorchiare ragazze che è meglio"). Ma davanti a uno studio motivato, quando lo stimolo scema, dal puro senso del dovere, che comunque accompagna e rinforza il primo negli altri casi, non seguito da risultati immediati è facile cominciare a mettersi sempre più in discussione e poi iniziare a perdere la motivazione ("L'Analisi non è il mio forte, ma devo comunque darla, quindi perché non dovrei studiarla" seguito, mesi dopo, da "Possibile che fra tutti gli esami non riesca a dare Analisi 2, che peraltro è l'unico che studio da molto tempo? Ma che sto studiando a fare, allora"? ecc.)
Non ho capito bene questo post, ma se stai cercando in qualche modo di "giustificarti" non è il caso, non è che sto quì ad attaccare chi attraversa un momento difficile a livello universitario. Facevo solo una considerazione quasi antropologica relativa alle caratteristiche di chi ha successo.
"Vikhr":
Inoltre, secondo me, una crisi accademica, se risolta e poi non seguita da una crisi lavorativa, è meglio di nessuna crisi accademica seguita da una gravissima crisi in ambito lavorativo, determinata magari da una mancanza di umiltà (perché certe esperienze, se insegnano qualcosa, insegnano sicuramente l'umiltà, a chi ne fosse sprovvisto).
Concordo
Un conto è preferire fare altro invece di studiare qualcosa ritenuto poco stimolante, e sono d'accordo ("Ma chissene di Analisi 2, andiamo a rimorchiare ragazze che è meglio"). Ma davanti a uno studio motivato, quando lo stimolo scema, dal puro senso del dovere, che comunque accompagna e rinforza il primo negli altri casi, non seguito da risultati immediati è facile cominciare a mettersi sempre più in discussione e poi iniziare a perdere la motivazione ("L'Analisi non è il mio forte, ma devo comunque darla, quindi perché non dovrei studiarla" seguito, mesi dopo, da "Possibile che fra tutti gli esami non riesca a dare Analisi 2, che peraltro è l'unico che studio da molto tempo? Ma che sto studiando a fare, allora"? ecc.)
"Vikhr":
Sono in parte d'accordo con quanto sostieni, ma qui, se mi permetti, senza offesa per nessuno, si parla di altro... si parla di qualcosa che personalmente ritengo molto più insidioso e per me più difficile da superare... una specie di blocco/rifiuto inconscio... e poi bisogna vedere cosa si intende per successo. Se per successo intendi il diventare un imprenditore multimiliardario, quella non è la mia idea di successo, e non è detto che un'eccellente carriera accademica sia sempre l'unica via oppure addirittura sempre la via per raggiungere il successo. Se per successo intendi il non rimanere mantenuti a vita dai genitori, invece, comincio un po' a preoccuparmi...
Inoltre, secondo me, una crisi accademica, se risolta e poi non seguita da una crisi lavorativa, è meglio di nessuna crisi accademica seguita da una gravissima crisi in ambito lavorativo, determinata magari da una mancanza di umiltà (perché certe esperienze, se insegnano qualcosa, insegnano sicuramente l'umiltà, a chi ne fosse sprovvisto).
Ho fatto un esempio, ma mi riferivo anche ai cali di motivazioni seguiti da un calo dell'impegno e conseguente rallentamento.
Non dico certo che uno non possa mantenersi e fare bene dopo, figuriamoci...però ho notato che per ottenere certi risultati notevoli bisogna avere quella determinazione; poi uno può anche fregarsene.
Aggiungo poi che l'università non è un "gioco". Nel senso che se hai certe abitudini o "tendenze" quando studi probabilmente te le porti dietro a lavoro. Fai fatica a preparare un esame poco stimolante? a lavoro difficilmente ti occuperai di cose che ti stimolano veramente, e comunque situazioni in cui si è tenuti a svolgere mansioni ritenute noiose o inutili si presentano a tutti prima o poi...
Sono in parte d'accordo con quanto sostieni, ma qui, se mi permetti, senza offesa per nessuno, si parla di altro... si parla di qualcosa che personalmente ritengo molto più insidioso e per me più difficile da superare... una specie di blocco/rifiuto inconscio... e poi bisogna vedere cosa si intende per successo. Se per successo intendi il diventare un imprenditore multimiliardario, quella non è la mia idea di successo, e non è detto che un'eccellente carriera accademica sia sempre l'unica via oppure addirittura sempre la via per raggiungere il successo. Se per successo intendi il non rimanere mantenuti a vita dai genitori, invece, comincio un po' a preoccuparmi...
Inoltre, secondo me, una crisi accademica, se risolta e poi non seguita da una crisi lavorativa, è meglio di nessuna crisi accademica seguita da una gravissima crisi in ambito lavorativo, determinata magari da una mancanza di umiltà (perché certe esperienze, se insegnano qualcosa, insegnano sicuramente l'umiltà, a chi ne fosse sprovvisto).
Inoltre, secondo me, una crisi accademica, se risolta e poi non seguita da una crisi lavorativa, è meglio di nessuna crisi accademica seguita da una gravissima crisi in ambito lavorativo, determinata magari da una mancanza di umiltà (perché certe esperienze, se insegnano qualcosa, insegnano sicuramente l'umiltà, a chi ne fosse sprovvisto).
Penso che una delle doti principali per aver successo sia proprio non avere o superare senza perder tempo queste crisi.
Almeno questo è quanto ho notato nei miei coscritti che hanno fatto più strada: potevano essere mollati dalla ragazza con cui erano fidanzati da anni e pensavano di sposare ma questo non inficiava minimamente sulla loro tabella di marcia.
Almeno questo è quanto ho notato nei miei coscritti che hanno fatto più strada: potevano essere mollati dalla ragazza con cui erano fidanzati da anni e pensavano di sposare ma questo non inficiava minimamente sulla loro tabella di marcia.
Ragazzi, grazie a tutti per i consigli. Anche, di nuovo, a chi si è fatto sentire per MP.
Purtroppo sto cominciando ad oscillare tra il comportamento tipico di uno studente fesso in queste situazioni e quello di uno studente intelligente. Prima di questa sessione era solo del secondo tipo, infatti gli esami erano accompagnati sempre da ansia, ma ora noto che mi sto lasciando scivolare tutto addosso. Non so se sia un bene o un male, anche in vista di una possibile ripresa, che non è detto che non avvenga in questa sessione, dato che mi resta un ultimo esame da affrontare e in esso nutro molte speranze.
Purtroppo sto cominciando ad oscillare tra il comportamento tipico di uno studente fesso in queste situazioni e quello di uno studente intelligente. Prima di questa sessione era solo del secondo tipo, infatti gli esami erano accompagnati sempre da ansia, ma ora noto che mi sto lasciando scivolare tutto addosso. Non so se sia un bene o un male, anche in vista di una possibile ripresa, che non è detto che non avvenga in questa sessione, dato che mi resta un ultimo esame da affrontare e in esso nutro molte speranze.
"snake-16":
pensa che io non ho passato gli ultimi due esami a causa di una ragazza che manco mi caga e per di più tutto ciò mi toglie la voglia di studiare... ah che fesso che sono
Non sei fesso. Comunque non è la stessa cosa di Vikhr. Insomma 2 esami non sono nulla e il problema di Vikhr è che sente di essersi impegnato, il tuo invece è che non lo hai fatto. Sono due cose ben diverse.
Anche i consigli sono diversi, nel tuo caso lascia perdere la ragazza (non le ragazze in sé, diciamo solo quelle che non ti prestano attenzione), accetta di aver perso la sessione o quasi e preoccupati di ciò che viene dopo.
Nel caso di Vikhr è già stato detto molto e penso sia piuttosto completo.
"j18eos":
Fermarsi un attimo, prendersi una piccola vacanza, coltivare un hobby fisico (io iniziai la palestra per finire la laurea magistrale); e infine, quando ci si sente un pò meglio, imporsi di dover finire!
Questo è il mio consiglio...
Anche io sto risolvendo in questo modo, anche se non con la palestra in particolare. Non so sinceramente se è vero che questo momento arrivi per tutti coloro che non siano fessi.
Hai fatto bene a porre la domanda secondo me, perché come vedi non sei il solo.
Se puoi, eventualmente dopo una minima pausa se ne hai bisogno, continua a studiare e rigestisci il tempo da dedicare allo studio in base a questo tua nuova visione.
Fallo e basta, hai posto la domanda giustamente e la risposta è accetta la realtá e arriva al traguardo.
pensa che io non ho passato gli ultimi due esami a causa di una ragazza che manco mi caga e per di più tutto ciò mi toglie la voglia di studiare... ah che fesso che sono

Fermarsi un attimo, prendersi una piccola vacanza, coltivare un hobby fisico (io iniziai la palestra per finire la laurea magistrale); e infine, quando ci si sente un pò meglio, imporsi di dover finire! 
Questo è il mio consiglio...

Questo è il mio consiglio...
"Vikhr":
Però nonostante tutto alla fine ti sei laureato, quindi ne sei uscito, positivamente.
Nel mio caso sì.
Ho avuto un grande momento di depressione - di tutt'altro tipo - a inizio magistrale e in quel caso m'hanno aiutato i saggi consigli dei miei amici e di... gugo82.
