Complessità e conoscenza

*L'universo è la Complessità per eccellenza e l'IO dell'Osservatore la singolarità seme intorno al quale si erge e si sviluppa la complessità stessa.
*La conoscenza è il progetto logico di questa complessità, credo la si possa definire come la rigidità dei legami che collegano qualsiasi oggetto 'osservabile' alla singolarità di cui sopra.
*Un oggetto -cioè qualsiasi cosa che cada o può cadere sotto l'analisi dell'osservatore- è tanto più conosciuto ("contiene" tanta più Conoscenza) quanto più è incorporato nella Complessità universale.
Mi pare che la Complessità universale somigli ad un gomitolo di filo strettamente ingarbugliato e annodato, costituito da un nucleo centrale grosso e duro di annodamenti ed ingarbugli inestricabili, di una parte più periferica più soffice ma sempre abbastanza dura ed ingarbugliata e, sulla parte più esterna, si distinguono, in fine, tantissimi tratti di filo che escono dal garbugli per rientrarvi un po' dopo senza poter essere districati dalla massa sferoidale della matassa da nessuna delle due loro estremità; questi tratti di filo sono però distinguibili l'uno dall'altro e costituiscono l'insieme degli osservabili. La matassa è costituita da un unico filo non si sa se aperto o chiuso
Per ora mi fermo qui.
Risposte
Io penso che il paragone giusto per la conoscenza sia una vite senza fine da svitare. Insomma da sola non si sviterà mai, bisogna essere lì a svitarla e a scoprirla sempre di più, pur coscienti che non avrà mai fine.
"mariodic":
Nota per SUBLIMINA
Solo per dire che il tuo lungo intervento, che solo ogi, 30/9 leggo, richiede qualche riflessione da parte mia. Mi riservo, quindi, di rispondere a breve.
Grazie
Quale che sia l'approccio al concetto di "Conoscenza", si finisce col coinvolgere quello di "Complessità". Secondo quanto ho potuto capire a partire dal 1973 ad oggi è che l'Osservatore (qui sta per l'ente che, osservando un sistema qualchessia, ne determini una variazione e la rilevi da un confronto con lo stesso sistema "archiviato" nel sistema dell'Osservatore stesso; si, perché l'Osservatore è l'Universo così come l'Universo è l'Osservatore, inoltre l'Osservatore è l'IOcosciente.
Può apparire assurdo ma l'acquisizione di qualcosa alla complessità dell'Osservatore significa ""conoscere" la cosa, conoscere, qui sta l'assurdo, significa banalizzare la cosa stessa sicché cessa, per questo motivo, di interessare l'Osservatore e richiamarne l'attenzione. Da questo momento la cosa sembra come dimenticata, nondimento il suo supporto vitale diventa tanto ovvio da non richiedere alcuna particolare attenzione da parte dell'Osservatore che si acorgerà della cosa solo quando vi fosse un'anomalia: un vecchio proverbio dice che la buona salute la si nota quando viene a mancare.
si può pesare alla Conoscenza come ad una grandezza misurabile ma non in senso meramente comparativo come accade per quella misura empirica che è la probabilità? Grazie.

Salve sublimina,
sembra più in sincretismo di cose,
Cordiali saluti
"sublimina":
Mi scuso se rispondo co un po' di ritardo. La discussione si sta facendo molto interessante.
@mariodic
Sono d'accordo con la tua distinzione tra visione solipsichica e visione oggettiva ed è effettvamente connesso con quanto ho scritto nel post precedente.
Sottolineo che quanto ho riassunto nella seconda parte di quel post deriva da un contributo reale operato da alcuni matematici nello stabilire cosa sia la Complessità e che relazione abbia con la Conoscenza. Oltretutto essi utilizzano la matematica per generare assersioni su questi temi e potrebbe sembrare che si muovano su un terreno stabile. In realtà, ed essi sanno, anzi lo "dimostrano", che il terreno su cui si stanno muovendo in realtà sono sabbie mobili, in quanto tali assersioni hanno da dire sulla stessa matematica che perde (vedi teoremi di Godel,Turing Chaitin) quindi lo status di scienza completa (dal punto di vista logico, attenzione). In ogni caso ribadisco che la conoscenza poggia sul concetto di informazione e quest'ultima può essere quantificata matematicamente attraverso semplici definizioni (vedi Teoria Matematica della comunicazione, Claude Shannon).
Altresì sembra (e mi rialaccio a quanto tu dici sulla divisione tra "visione" soggettivista e oggettivista) che una descrizione soggettivista porti con sè un numero elevato di possibili descrizioni (mondi) ogni uno con qualche differenza, mentre una descrizione oggettiva, altra da se, sia la stessa per tutti (a patto di avere le stesse capacità di comprensione). In linea con quanto ho affermato pare che una descrizione oggettiva fonte di Conoscenza porti con sè inesorabilmente una qualche forma di compressione (compressione, giusto:)) dell'informazione rispetto a quella inerente il divenire dell'Universo che invece ha massima complessità (mi riferisco all'informazione legata al divenire effettivo dell'universo).
Una esperienza solipsichica potrebbe forse cogliere tale informazione senza comprimerla ma probabilmente (la butto lì...) non permetterebbe di condividerla all'interno del divenire dell'universo stesso, quindi, non sarebbe fonte di Conoscenza, se per avere questo status l'informazione deve avere la possibilità di essere condivisa.
Un po' come se volessi condividere l'"intero facebook" in un post di facebook!!!! (soffermarsi un attimo a pensare a questo)
Per quanto concerne la MQ, a parte la "Old Quantum Theory", ne conosco una versione forse troppo divulgativa, ma provo lo stesso a fare qualche considerazione.
Sono d'accordo sul confine sfumato (oserei dire a questo punto fuzzy) tra le due res se si interpreta il tutto secondo una concezione quantistica del mondo. L'osservatore entra "troppo" a far parte dell'esperimento che ne modifica "inesorabilmente" (vedi interpretazione di Feynman dell'esperimento della doppia fenditura) l'esito. Bene se nel calderone si inserisce la MQ la descrizione dell'universo sembra essere un fatto meramente stocastico, e secondo l'interpretazione di Copenaghen non ha senso chiedere dov'era ad esempio la particella prima della misurazione. Prima della misurazione la particella è descritta da una funzione d'onda che collassa a seguito della stessa misurazione. Quindi una possibile descrizione oggettiva dell'Universo fisico dovrebbe comporsi di un numero astronomico di misurazioni e quindi di collassi della funzione d'onda, misurazioni protratte anche lungo la linea temporale oltre che spaziale, per far si che in qualsiasi punto dello spazio tempo tale funzione collassi. Eppure "qualcuno lì su" ha fatto in modo che tale collasso avvenga senza troppe apparecchiature sperimentali quando mangiamo un piatto di pastasciutta.
Ribadisco l'importanza della teoria dell'informazione, che ad oggi almeno per alcuni fisici ha lo status di teoria fisica (si veda ad esempio il fisico Charles Seife) e come essa riesca forse non ad interpretare ma a quantificare anche la fisica quantistica (non sto dicendo cose assurde se si penda alla teoria dell'informazione quantistica e al computer quantistico). Essa ha il pregio di frapporsi tra la matematica pura e astratta e la descizione matematica del mondo fisico, come una sorta di driver per le penne USB, (che si frappone tra hardware e sistema operativo e permette il dialogo tra i due dispositivi). In quest'ottica dovrebbe essere possibile quantificare l'informazione quantistica dell'universo sia qaundo la funzione d'onda non è collassata, sia quando questo accade.
P.S. un altro po' di carne a cuocere... ma quando si mangia?
sembra più in sincretismo di cose,

Cordiali saluti
Caro mariodic,
ho letto qualche tempo fa alcuni tuoi interventi che parlano dell'"unicità" dell'IO, non sarei lontano dal comprendere il significato di questa tua affermazione anche se qualche perplessità mi rimane. In un altro post tempo fa lessi, se non ricordo male, del problema della morte che, secondo quanto ricrodo, consisterebbe nel crollo entropico del "sistema strumentale" (?).
Qualche chiarimento mi sarebbe utile anche a mezzo messaggio di posta privata possibile in questo forum.
ho letto qualche tempo fa alcuni tuoi interventi che parlano dell'"unicità" dell'IO, non sarei lontano dal comprendere il significato di questa tua affermazione anche se qualche perplessità mi rimane. In un altro post tempo fa lessi, se non ricordo male, del problema della morte che, secondo quanto ricrodo, consisterebbe nel crollo entropico del "sistema strumentale" (?).
Qualche chiarimento mi sarebbe utile anche a mezzo messaggio di posta privata possibile in questo forum.

Mi scuso se rispondo co un po' di ritardo. La discussione si sta facendo molto interessante.
@mariodic
Sono d'accordo con la tua distinzione tra visione solipsichica e visione oggettiva ed è effettvamente connesso con quanto ho scritto nel post precedente.
Sottolineo che quanto ho riassunto nella seconda parte di quel post deriva da un contributo reale operato da alcuni matematici nello stabilire cosa sia la Complessità e che relazione abbia con la Conoscenza. Oltretutto essi utilizzano la matematica per generare assersioni su questi temi e potrebbe sembrare che si muovano su un terreno stabile. In realtà, ed essi sanno, anzi lo "dimostrano", che il terreno su cui si stanno muovendo in realtà sono sabbie mobili, in quanto tali assersioni hanno da dire sulla stessa matematica che perde (vedi teoremi di Godel,Turing Chaitin) quindi lo status di scienza completa (dal punto di vista logico, attenzione). In ogni caso ribadisco che la conoscenza poggia sul concetto di informazione e quest'ultima può essere quantificata matematicamente attraverso semplici definizioni (vedi Teoria Matematica della comunicazione, Claude Shannon).
Altresì sembra (e mi rialaccio a quanto tu dici sulla divisione tra "visione" soggettivista e oggettivista) che una descrizione soggettivista porti con sè un numero elevato di possibili descrizioni (mondi) ogni uno con qualche differenza, mentre una descrizione oggettiva, altra da se, sia la stessa per tutti (a patto di avere le stesse capacità di comprensione). In linea con quanto ho affermato pare che una descrizione oggettiva fonte di Conoscenza porti con sè inesorabilmente una qualche forma di compressione (compressione, giusto:)) dell'informazione rispetto a quella inerente il divenire dell'Universo che invece ha massima complessità (mi riferisco all'informazione legata al divenire effettivo dell'universo).
Una esperienza solipsichica potrebbe forse cogliere tale informazione senza comprimerla ma probabilmente (la butto lì...) non permetterebbe di condividerla all'interno del divenire dell'universo stesso, quindi, non sarebbe fonte di Conoscenza, se per avere questo status l'informazione deve avere la possibilità di essere condivisa.
Un po' come se volessi condividere l'"intero facebook" in un post di facebook!!!! (soffermarsi un attimo a pensare a questo)
Per quanto concerne la MQ, a parte la "Old Quantum Theory", ne conosco una versione forse troppo divulgativa, ma provo lo stesso a fare qualche considerazione.
Sono d'accordo sul confine sfumato (oserei dire a questo punto fuzzy) tra le due res se si interpreta il tutto secondo una concezione quantistica del mondo. L'osservatore entra "troppo" a far parte dell'esperimento che ne modifica "inesorabilmente" (vedi interpretazione di Feynman dell'esperimento della doppia fenditura) l'esito. Bene se nel calderone si inserisce la MQ la descrizione dell'universo sembra essere un fatto meramente stocastico, e secondo l'interpretazione di Copenaghen non ha senso chiedere dov'era ad esempio la particella prima della misurazione. Prima della misurazione la particella è descritta da una funzione d'onda che collassa a seguito della stessa misurazione. Quindi una possibile descrizione oggettiva dell'Universo fisico dovrebbe comporsi di un numero astronomico di misurazioni e quindi di collassi della funzione d'onda, misurazioni protratte anche lungo la linea temporale oltre che spaziale, per far si che in qualsiasi punto dello spazio tempo tale funzione collassi. Eppure "qualcuno lì su" ha fatto in modo che tale collasso avvenga senza troppe apparecchiature sperimentali quando mangiamo un piatto di pastasciutta.
Ribadisco l'importanza della teoria dell'informazione, che ad oggi almeno per alcuni fisici ha lo status di teoria fisica (si veda ad esempio il fisico Charles Seife) e come essa riesca forse non ad interpretare ma a quantificare anche la fisica quantistica (non sto dicendo cose assurde se si penda alla teoria dell'informazione quantistica e al computer quantistico). Essa ha il pregio di frapporsi tra la matematica pura e astratta e la descizione matematica del mondo fisico, come una sorta di driver per le penne USB, (che si frappone tra hardware e sistema operativo e permette il dialogo tra i due dispositivi). In quest'ottica dovrebbe essere possibile quantificare l'informazione quantistica dell'universo sia qaundo la funzione d'onda non è collassata, sia quando questo accade.
P.S. un altro po' di carne a cuocere... ma quando si mangia?
@mariodic
Sono d'accordo con la tua distinzione tra visione solipsichica e visione oggettiva ed è effettvamente connesso con quanto ho scritto nel post precedente.
Sottolineo che quanto ho riassunto nella seconda parte di quel post deriva da un contributo reale operato da alcuni matematici nello stabilire cosa sia la Complessità e che relazione abbia con la Conoscenza. Oltretutto essi utilizzano la matematica per generare assersioni su questi temi e potrebbe sembrare che si muovano su un terreno stabile. In realtà, ed essi sanno, anzi lo "dimostrano", che il terreno su cui si stanno muovendo in realtà sono sabbie mobili, in quanto tali assersioni hanno da dire sulla stessa matematica che perde (vedi teoremi di Godel,Turing Chaitin) quindi lo status di scienza completa (dal punto di vista logico, attenzione). In ogni caso ribadisco che la conoscenza poggia sul concetto di informazione e quest'ultima può essere quantificata matematicamente attraverso semplici definizioni (vedi Teoria Matematica della comunicazione, Claude Shannon).
Altresì sembra (e mi rialaccio a quanto tu dici sulla divisione tra "visione" soggettivista e oggettivista) che una descrizione soggettivista porti con sè un numero elevato di possibili descrizioni (mondi) ogni uno con qualche differenza, mentre una descrizione oggettiva, altra da se, sia la stessa per tutti (a patto di avere le stesse capacità di comprensione). In linea con quanto ho affermato pare che una descrizione oggettiva fonte di Conoscenza porti con sè inesorabilmente una qualche forma di compressione (compressione, giusto:)) dell'informazione rispetto a quella inerente il divenire dell'Universo che invece ha massima complessità (mi riferisco all'informazione legata al divenire effettivo dell'universo).
Una esperienza solipsichica potrebbe forse cogliere tale informazione senza comprimerla ma probabilmente (la butto lì...) non permetterebbe di condividerla all'interno del divenire dell'universo stesso, quindi, non sarebbe fonte di Conoscenza, se per avere questo status l'informazione deve avere la possibilità di essere condivisa.
Un po' come se volessi condividere l'"intero facebook" in un post di facebook!!!! (soffermarsi un attimo a pensare a questo)
Per quanto concerne la MQ, a parte la "Old Quantum Theory", ne conosco una versione forse troppo divulgativa, ma provo lo stesso a fare qualche considerazione.
Sono d'accordo sul confine sfumato (oserei dire a questo punto fuzzy) tra le due res se si interpreta il tutto secondo una concezione quantistica del mondo. L'osservatore entra "troppo" a far parte dell'esperimento che ne modifica "inesorabilmente" (vedi interpretazione di Feynman dell'esperimento della doppia fenditura) l'esito. Bene se nel calderone si inserisce la MQ la descrizione dell'universo sembra essere un fatto meramente stocastico, e secondo l'interpretazione di Copenaghen non ha senso chiedere dov'era ad esempio la particella prima della misurazione. Prima della misurazione la particella è descritta da una funzione d'onda che collassa a seguito della stessa misurazione. Quindi una possibile descrizione oggettiva dell'Universo fisico dovrebbe comporsi di un numero astronomico di misurazioni e quindi di collassi della funzione d'onda, misurazioni protratte anche lungo la linea temporale oltre che spaziale, per far si che in qualsiasi punto dello spazio tempo tale funzione collassi. Eppure "qualcuno lì su" ha fatto in modo che tale collasso avvenga senza troppe apparecchiature sperimentali quando mangiamo un piatto di pastasciutta.
Ribadisco l'importanza della teoria dell'informazione, che ad oggi almeno per alcuni fisici ha lo status di teoria fisica (si veda ad esempio il fisico Charles Seife) e come essa riesca forse non ad interpretare ma a quantificare anche la fisica quantistica (non sto dicendo cose assurde se si penda alla teoria dell'informazione quantistica e al computer quantistico). Essa ha il pregio di frapporsi tra la matematica pura e astratta e la descizione matematica del mondo fisico, come una sorta di driver per le penne USB, (che si frappone tra hardware e sistema operativo e permette il dialogo tra i due dispositivi). In quest'ottica dovrebbe essere possibile quantificare l'informazione quantistica dell'universo sia qaundo la funzione d'onda non è collassata, sia quando questo accade.
P.S. un altro po' di carne a cuocere... ma quando si mangia?
"sublimina":
Mi unisco a questa discussione essendo tale argomento uno dei miei interessi principali e a quanto pare di carne a cuocere ce n’è abbastanza, ne metto un altro pochetto
.
Complessità <--> Conoscenza.
Ho notato, anche rispetto a quanto appena detto, che per poterne parlare (di complessità) serva la conoscenza di qualche definizione, sono d’accordo. In verità è chiaro che non esiste una sola definizione di complessità, non esiste una Ur-definizione che ne permetta la conoscenza, per l’appunto. Sottolineo, da subito, che sono al corrente del fatto che il legame tra complessità e conoscenza non si identifica solamente con quello celato nelle righe precedenti. Tuttavia si può essere d’accordo sul fatto che una definizione è un buon punto di partenza per improntare un ragionamento quantomeno per essere sicuri di esercitarlo sugli stessi termini. Dalla mia ritengo che comprendere la complessità dell’Universo sia arduo, e questo sembra scontato, lapalissiano per dirlo in maniera dotta. Forse non è scontato cercare di spiegare perché la complessità dell’Universo è (almeno sembra) inconoscibile, ma ci sarebbe molto, molto altro da dire!
Caro Sublimina,avevo promesso di aver dato una risposta al tuo messaggio di cui mi sono limitato a riprendere solo la parte iniziale senza volerle dare priorità o significati particolari .
Ho capito benissimo che tu hai colta in pieno la problematica di fondo di questa discussione; se non commetto errori direi di sintetizzarla in questo modo:
-primo, la posizione di soggettivista implica che l'Osservatore si muova in un mare di autoreferenzialità sicché diventa praticamente impossibile non autoimpastarsi in se stesso (in sé stesso im quamdo l'universo è, appunto in sé stesso, cioè nell'IO osservante)
- secondo, al contrario, la posizione di oggettivista, che porta tutto l'universo fuori dal Sè o dall'IO osservante, sembra rendere la vita molto più semplice perchè: 1) l'Osservatore (l'IO) ha poche o nulle influenze sul mondo esterno sicchè il mondo, quindi, gli osservabili, non vengono alterati dall'osservazione stessa ed i giudizi dell'osservatore sul mondo diventano praticamente stabili ed oggettivamente tangibili.
E allora? Allora, dico che anche il più rigido dei soggettivisti, quando si allaccia le scarpe o mangia un piatto di pasta asciutta, lo fa allo stesso modo del più convinto oggettivista, ma questo signore soggettivista è, però, cosciente che si sta muovendo in un modo che ha dei limiti di pratica validità perchè il mondo è nella sua coscienza logica e non fuoti. Voglio dire che se quel signore, dopo aver mangiato un piatto du pasta asciutta, facesse ricerche nella meccanica quantistica, dove gli oggetti delle sue considerazioni (osservazioni) sono di un'astrazione tale da porli a livello dei suoi oggetti "del pensiero", allora deve necessariamente tornare oggettiviata sicchè si apra a sorprese come quelle che colsero il povero Plank, si apra, voglio dire, come si aprirono i partecipanti alla convenzione di Copenaghen. Quando Cartesio divise (erroneamende) l'universo in due qualità di oggtti nettamente separate, la res cogitans e la rex extensa, non si accorse che stava trattando della stessa specie di cose (oggi diremmo di osservabili dell'universo), ma di cose omogenee distinguibili solo per la diversissima quantità di Conocenza (la rex cogitans elevatissima, la rex extesa molto minore. La divisione tra le due categorie è, quindi, non netta ma sfumata ed è proprio in questa terra di nessuno al confine tra le due res che si collocano molti oggetti della MQ.
Posso, senza dubbio, essere con mille buoni motivi, criticato o censurato per l'approssimazione in cui ho esposto il mio pensiero, ma fido nella comprensione di chi mi legge.
"sublimina":Caro Sublimina,
, e terminando, se si prende per buona questa misura della complessità (quella fornita dall’AIT) che porta con se un abbozzo di definizione, le leggi fisiche sono algoritmi che comprimono l’Informazione dell’Universo, mentre potrebbe darsi che il vero metodo per domarne la complessità sia il n° 1 (quello della descrizione). E’ certo che questo non è realizzabile in quanto la quantità di informazione che serve coincide con quella stessa dell’Universo. In questi termini, sia in un modo sia che nell’altro sembra impossibile domarla, e per quanto concerne la Conoscenza, essa deve accontentarsi di comprimere i dati sensibili in leggi, facendo attenzione che siano sperimentabili, altrimenti si rischia l’etichetta di “mere elucubrazioni”, come questa che è appena terminata, forse.
P.S. Gregory Chaitin sostiene che la compressione è comprensione .
Scusate se mi sono dilungato, ma ci sarebbe molto, molto altro da dire!
Ho poco o niente da aggiungere alle tue osservazioni sul concetto di complessità; mi limito a dire che le pur valide soluzioni per misurare la quantità di informazione non sono inoppugnabili. Innanzitutto va notato che sarebbe necessario stabilire anche la definizione di conoscenza oltre quella di informazione, perchè una legame tra le due grandezze è innegabile. Una misura empirica e meramente comparativa di conoscenza in pratica l'abbiamo ed è la probabilità, che però è un numero puro di scala arbitraria. Una definizione di conoscenza potrebbe, secondo me, essere quella di capacità di dominio di un sistema, p. es. energetico, da parte dell'Osservatore, iunfatti le capacità dell'Osservatore di utilizzare l'energia di un sistema (ad anergia costante) diminuisce col crescere dell'entropia del sistema ovvero col decadere della qualità dell'energia stessa.

Salve mariodic,
io penso che la conoscenza oggi si avvia verso una generalità di fenomeni più crescente, diminuendo così la sua particolarità nei confronti di questi, contribuendo a rendere il tutto più complesso di com'è. E' un problema che andrebbe posto sul piano epistemologico, ma anche pedagogico (come si fa ad insegnare alla prole tutta questa immensa complessità dello scibile umano?). Insomma ne verrebbe fuori un bel discorso filosofico all'interno del quale si inseriscono involontariamente varie branche della filosofia e delle scienze.
Cordiali saluti
io penso che la conoscenza oggi si avvia verso una generalità di fenomeni più crescente, diminuendo così la sua particolarità nei confronti di questi, contribuendo a rendere il tutto più complesso di com'è. E' un problema che andrebbe posto sul piano epistemologico, ma anche pedagogico (come si fa ad insegnare alla prole tutta questa immensa complessità dello scibile umano?). Insomma ne verrebbe fuori un bel discorso filosofico all'interno del quale si inseriscono involontariamente varie branche della filosofia e delle scienze.
Cordiali saluti
Nota per SUBLIMINA
Solo per dire che il tuo lungo intervento, che solo ogi, 30/9 leggo, richiede qualche riflessione da parte mia. Mi riservo, quindi, di rispondere a breve.
Grazie
Solo per dire che il tuo lungo intervento, che solo ogi, 30/9 leggo, richiede qualche riflessione da parte mia. Mi riservo, quindi, di rispondere a breve.
Grazie
Mi unisco a questa discussione essendo tale argomento uno dei miei interessi principali e a quanto pare di carne a cuocere ce n’è abbastanza
, ne metto un altro pochetto
.
Complessità <--> Conoscenza.
Ho notato, anche rispetto a quanto appena detto, che per poterne parlare (di complessità) serva la conoscenza di qualche definizione, sono d’accordo. In verità è chiaro che non esiste una sola definizione di complessità, non esiste una Ur-definizione che ne permetta la conoscenza, per l’appunto. Sottolineo, da subito, che sono al corrente del fatto che il legame tra complessità e conoscenza non si identifica solamente con quello celato nelle righe precedenti. Tuttavia si può essere d’accordo sul fatto che una definizione è un buon punto di partenza per improntare un ragionamento quantomeno per essere sicuri di esercitarlo sugli stessi termini. Dalla mia ritengo che comprendere la complessità dell’Universo sia arduo, e questo sembra scontato, lapalissiano per dirlo in maniera dotta. Forse non è scontato cercare di spiegare perché la complessità dell’Universo è (almeno sembra) inconoscibile, datane una definizione. Non so se può essere ritenuta una semplificazione ma per quanto riguarda l’Universo vorrei analizzare, brevemente, l’Universo fisico o quantomeno quella parte materiale indagata dai fisici. Di nuovo semplificando (questa volta per brevità) l’attività dei fisici, e non solo, è quella di scoprire qual è la struttura dell’Universo fisico. Per struttura intendo, se la si vuole vedere matematicamente, come la relazione, tra gli enti che costituiscono l’universo stesso. Per enti non intendo qualcosa di filosofico quanto effimero, bensì le quantità in gioco (energia,massa, atomi etc.) nella descrizione del funzionamento della Macchina-Universo, o del Computer-Universo se vi piace, attraverso le leggi fisiche. Bene, tutti prendono per buono che le leggi fisiche sono “vere”, anche io del resto. Esse sono sottoposte alla macchina della verità del metodo sperimentale, e fino a prova contraria sono vere. Se però immaginiamo che l’Universo materiale sia in evoluzione continua (ahimé sono le leggi fisiche che lo indicano (e qui intravedo problemi di autoreferenzialità)), e se non forziamo quanto sto per dire con la non esistenza di un tempo assoluto ecc., gli esperimenti condotti dai fisici, da un grave che cade fino alla ricerca dell’higgs, sono effettuati all’interno della storia dell’universo, all’interno della sua stessa, forse irripetibile evoluzione. Con ciò voglio dire che possono esistere due modi di descrivere l’Universo:
1)Un primo è puramente descrittivo, ovvero “raccontando” come sono andate le cose, e gli esperimenti passati e futuri prendono parte al suo divenire ;
2)Un secondo è (ed è quello che la cosmologia per lo più cerca di fare) attraverso le leggi fisiche, delle black-box cui dato un input restituiscono un risultato.
Quest’ultimo metodo funziona, ma ho paura che nasconda qualche tranello. Ho l’impressione che la descrizione tramite le leggi fisiche sia la codifica di un qualcosa tramite un altro qualcosa direttamente manipolabile da colui che indaga l’universo, colui che aspira a “conoscere”. Ma questa codifica sembra non essere 1:1, in altre parole le leggi fisiche, attraverso la matematica, appaiono come una compressione di ciò che accade nell’Universo la fuori (o qui dentro?), che non tiene presente la sua intrinseca evoluzione che, in linea di principio si badi bene, potrebbe essere colta attraverso il primo metodo (quello puramente descrittivo). In altre parole le leggi fisiche possono essere inquadrate intuitivamente come ricette, (data una ricetta, più o meno il dolce viene simile se il pasticciere è bravo) o detto meglio come algoritmi. (se non vi suonano gli algoritmi si pensi all’utilizzo dei calcolatori, imprescindibile ormai sia negli esperimenti sul mondo microscopico che sull’universo in generale). Se le leggi fisiche possono essere identificate con gli algoritmi è possibile generare un ponte con la Complessità e quindi con la Conoscenza. Questo ponte è stato costruito sulla base della Teoria dell’Informazione di Claude Shannon. Quest’ultimo ha posto le basi matematiche della teoria della comunicazione, ma ha dato un primo vero modo di quantificare l’Informazione di un sistema. Sulla scia dei suoi studi Kolmogorov da un canto e Gregory Chaitin dall’altro hanno inventato quella che oggi è nota come Teoria Algoritmica dell’Informazione (AIT). Essa tenta di definire la complessità attraverso la nozione di “programma” o algoritmo se si vuole (non è proprio la stessa cosa ma per brevità non è malvagio assumerlo). La complessità di un numero, di una stringa di bit o di una proposizione formalizzata, è pari alla quantità di Informazione del programma (minimale) utilizzato per generarla. Ad esempio, l’algoritmo per generare pi greca è corto (poca informazione) rispetto all’irrazionalità del suo sviluppo decimale: pi greca non è un numero Reale complesso, anche se ha uno sviluppo infinito. Al contrario un numero che sia veramente casuale non ha un algoritmo per generarlo (le funzioni “random” dei linguaggi di programmazione sono implementate con algoritmi deterministici e generano numeri pseudo-casuai), il “suo algoritmo è esso stesso”, la sua complessità è massima (massima quantità di informazione). Questa è una grossa semplificazione della AIT, essa di fatto ha da dire molto sulla stessa matematica e sembra accordarsi su quanto Godel e Turing hanno mostrato coi teoremi di incompletezza…
Tornando all’Universo fisico, e terminando, se si prende per buona questa misura della complessità (quella fornita dall’AIT) che porta con se un abbozzo di definizione, le leggi fisiche sono algoritmi che comprimono l’Informazione dell’Universo, mentre potrebbe darsi che il vero metodo per domarne la complessità sia il n° 1 (quello della descrizione). E’ certo che questo non è realizzabile in quanto la quantità di informazione che serve coincide con quella stessa dell’Universo. In questi termini, sia in un modo sia che nell’altro sembra impossibile domarla, e per quanto concerne la Conoscenza, essa deve accontentarsi di comprimere i dati sensibili in leggi, facendo attenzione che siano sperimentabili, altrimenti si rischia l’etichetta di “mere elucubrazioni”, come questa che è appena terminata, forse.
P.S. Gregory Chaitin sostiene che la compressione è comprensione .
Scusate se mi sono dilungato, ma ci sarebbe molto, molto altro da dire!


Complessità <--> Conoscenza.
Ho notato, anche rispetto a quanto appena detto, che per poterne parlare (di complessità) serva la conoscenza di qualche definizione, sono d’accordo. In verità è chiaro che non esiste una sola definizione di complessità, non esiste una Ur-definizione che ne permetta la conoscenza, per l’appunto. Sottolineo, da subito, che sono al corrente del fatto che il legame tra complessità e conoscenza non si identifica solamente con quello celato nelle righe precedenti. Tuttavia si può essere d’accordo sul fatto che una definizione è un buon punto di partenza per improntare un ragionamento quantomeno per essere sicuri di esercitarlo sugli stessi termini. Dalla mia ritengo che comprendere la complessità dell’Universo sia arduo, e questo sembra scontato, lapalissiano per dirlo in maniera dotta. Forse non è scontato cercare di spiegare perché la complessità dell’Universo è (almeno sembra) inconoscibile, datane una definizione. Non so se può essere ritenuta una semplificazione ma per quanto riguarda l’Universo vorrei analizzare, brevemente, l’Universo fisico o quantomeno quella parte materiale indagata dai fisici. Di nuovo semplificando (questa volta per brevità) l’attività dei fisici, e non solo, è quella di scoprire qual è la struttura dell’Universo fisico. Per struttura intendo, se la si vuole vedere matematicamente, come la relazione, tra gli enti che costituiscono l’universo stesso. Per enti non intendo qualcosa di filosofico quanto effimero, bensì le quantità in gioco (energia,massa, atomi etc.) nella descrizione del funzionamento della Macchina-Universo, o del Computer-Universo se vi piace, attraverso le leggi fisiche. Bene, tutti prendono per buono che le leggi fisiche sono “vere”, anche io del resto. Esse sono sottoposte alla macchina della verità del metodo sperimentale, e fino a prova contraria sono vere. Se però immaginiamo che l’Universo materiale sia in evoluzione continua (ahimé sono le leggi fisiche che lo indicano (e qui intravedo problemi di autoreferenzialità)), e se non forziamo quanto sto per dire con la non esistenza di un tempo assoluto ecc., gli esperimenti condotti dai fisici, da un grave che cade fino alla ricerca dell’higgs, sono effettuati all’interno della storia dell’universo, all’interno della sua stessa, forse irripetibile evoluzione. Con ciò voglio dire che possono esistere due modi di descrivere l’Universo:
1)Un primo è puramente descrittivo, ovvero “raccontando” come sono andate le cose, e gli esperimenti passati e futuri prendono parte al suo divenire ;
2)Un secondo è (ed è quello che la cosmologia per lo più cerca di fare) attraverso le leggi fisiche, delle black-box cui dato un input restituiscono un risultato.
Quest’ultimo metodo funziona, ma ho paura che nasconda qualche tranello. Ho l’impressione che la descrizione tramite le leggi fisiche sia la codifica di un qualcosa tramite un altro qualcosa direttamente manipolabile da colui che indaga l’universo, colui che aspira a “conoscere”. Ma questa codifica sembra non essere 1:1, in altre parole le leggi fisiche, attraverso la matematica, appaiono come una compressione di ciò che accade nell’Universo la fuori (o qui dentro?), che non tiene presente la sua intrinseca evoluzione che, in linea di principio si badi bene, potrebbe essere colta attraverso il primo metodo (quello puramente descrittivo). In altre parole le leggi fisiche possono essere inquadrate intuitivamente come ricette, (data una ricetta, più o meno il dolce viene simile se il pasticciere è bravo) o detto meglio come algoritmi. (se non vi suonano gli algoritmi si pensi all’utilizzo dei calcolatori, imprescindibile ormai sia negli esperimenti sul mondo microscopico che sull’universo in generale). Se le leggi fisiche possono essere identificate con gli algoritmi è possibile generare un ponte con la Complessità e quindi con la Conoscenza. Questo ponte è stato costruito sulla base della Teoria dell’Informazione di Claude Shannon. Quest’ultimo ha posto le basi matematiche della teoria della comunicazione, ma ha dato un primo vero modo di quantificare l’Informazione di un sistema. Sulla scia dei suoi studi Kolmogorov da un canto e Gregory Chaitin dall’altro hanno inventato quella che oggi è nota come Teoria Algoritmica dell’Informazione (AIT). Essa tenta di definire la complessità attraverso la nozione di “programma” o algoritmo se si vuole (non è proprio la stessa cosa ma per brevità non è malvagio assumerlo). La complessità di un numero, di una stringa di bit o di una proposizione formalizzata, è pari alla quantità di Informazione del programma (minimale) utilizzato per generarla. Ad esempio, l’algoritmo per generare pi greca è corto (poca informazione) rispetto all’irrazionalità del suo sviluppo decimale: pi greca non è un numero Reale complesso, anche se ha uno sviluppo infinito. Al contrario un numero che sia veramente casuale non ha un algoritmo per generarlo (le funzioni “random” dei linguaggi di programmazione sono implementate con algoritmi deterministici e generano numeri pseudo-casuai), il “suo algoritmo è esso stesso”, la sua complessità è massima (massima quantità di informazione). Questa è una grossa semplificazione della AIT, essa di fatto ha da dire molto sulla stessa matematica e sembra accordarsi su quanto Godel e Turing hanno mostrato coi teoremi di incompletezza…
Tornando all’Universo fisico, e terminando, se si prende per buona questa misura della complessità (quella fornita dall’AIT) che porta con se un abbozzo di definizione, le leggi fisiche sono algoritmi che comprimono l’Informazione dell’Universo, mentre potrebbe darsi che il vero metodo per domarne la complessità sia il n° 1 (quello della descrizione). E’ certo che questo non è realizzabile in quanto la quantità di informazione che serve coincide con quella stessa dell’Universo. In questi termini, sia in un modo sia che nell’altro sembra impossibile domarla, e per quanto concerne la Conoscenza, essa deve accontentarsi di comprimere i dati sensibili in leggi, facendo attenzione che siano sperimentabili, altrimenti si rischia l’etichetta di “mere elucubrazioni”, come questa che è appena terminata, forse.
P.S. Gregory Chaitin sostiene che la compressione è comprensione .
Scusate se mi sono dilungato, ma ci sarebbe molto, molto altro da dire!

"nato_pigro":
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La parola "complessità" in filosofia ormai ha un suo precisa significato (http://it.wikipedia.org/wiki/Epistemolo ... ssit%C3%A0), per cui è fuorviante e ancor più impreciso usare questa parola a casaccio senza darne uno straccio di definizione.


E' d'uopo ricordare che spesso -se non sempre- i frequentatori di queste "dotte" discussioni, in questo ed altri forum analoghi, vi aderiscano per diletto, per il piacere della discussione in sé, con la perdonabile pretesa -o attesa- di una certa elevatezza dell'argomentazione, ciò almeno dalla parte di apre la discussione stessa. Veniamo all'argomento.
Partendo dall'interno di un sistema, sia esso aperto o chiuso, si possono dar luogo a definizioni abbastanza precise di sottosistemi di questo purché relativamente piccoli (poco pesanti) rispetto al sistema stesso, infatti è necessario che l'Osservatore, cioè colui che osserva ed opera l'analisi per la definizione del sottosistema e dei suoi limiti, si porti, per quanto è possibile, fuori dal sottosistema stesso per non influenzarlo troppo. Ritengo che il concetto di complessità, quella vera, interessi l'intero sistema universo che non è certamente un sistema chiuso, questo, per quanto prima detto, faciliterebbe sicuramente la formulazione di definizioni di sottosistemi piccoli e grandicelli dell'universo. Ora, in queste nostre discussioni, diciamo così, pretenziose, i sottosistemi che vorremmo e osiamo chiamare in causa con la piacevole pretesa di approfondirli o addirittura definirli, sono, si, grandicelli in rapporto alla infinità dell'universo, ma enormi in assoluto rispetto alla potenzialità conoscitiva dell'Osservatore sicché è impensabile che questi possa trarsene fuori senza lasciare sotto la porta strascici della sua lunga vestaglia. Il concetto di complessità si richiama a qualcosa di pervadente dell'universo e di ogni suo per quanto minimo sottosistema ed è proprio il concetto sotteso dal termine ad impedire la sua delimitazione descrittiva. Possiamo, è vero, definire una complessità parziale ma dobbiamo adattarla alle circostenze del suo uso volutamente limitato. Le nostre discussioni vorrebbero sfuggire a questi limiti sicchè l'unica cosa che si può chiedere a chi le apre è quella di tentare una definizione adattata dei termini "dificili" all'argomentazione che si ambisce trattare, difficilmente una qualsiasi definizione canonica potrà, quindi, soddisfare questa infinità varietà di esigenze.




"GPaolo":Potrei essere in via di massima in pieno accordo su questa osservazione. Ricordo qui solo che per "complessità" vengono intese, seppur con qualche zona d'ombra, due cose quasi antitetiche: il caos, cioè il disordine incontrollabile ovverosia la quasi assenza di Conoscenza, e la complessità come ordine superiore, p. es. l'Universo. Un esempio di questa ultima accezione ce la offrono matematicamente i frattali.
Ho guardato in giro per avere un'idea piu' chiara di "Complessità"; in realtà questo termine viene utilizzato associato quasi sempre ad altri per circoscrivere il campo di merito, ad esempio: sistemi complessi adattivi, scienza della complessità, sfida della complessità oppure pensiero della complessità. Tuttavia, ciò che mi sembra evidente è che queto termine dovrebbe essere considerato come una specie di "assioma", cioè non descrivibile, senza ulteriore definizione. Complessità come idea di qualche insieme che non è semplice da esaminare nella sua struttura totale. E' assai probabile, anzi, che gli elementi che costituiscono il "complesso" siano singolarmente riducibili a qualche definizione, ma il "tutto" no.
"GPaolo":Riprendo in ritardo questa discussione perchè sono stato diversi mesi fuori casa e senza accesso al mio computer.
Ho guardato in giro per avere un'idea piu' chiara di "Complessità"; in realtà questo termine viene utilizzato associato quasi sempre ad altri per circoscrivere il campo di merito, ad esempio: sistemi complessi adattivi, scienza della complessità, sfida della complessità oppure pensiero della complessità. Tuttavia, ciò che mi sembra evidente è che questo termine dovrebbe essere considerato come una specie di "assioma", cioè non descrivibile, senza ulteriore definizione. Complessità come idea di qualche insieme che non è semplice da esaminare nella sua struttura totale. E' assai probabile, anzi, che gli elementi che costituiscono il "complesso" siano singolarmente riducibili a qualche definizione, ma il "tutto" no.
La questione di una pseudo definizione di "complessità" presenta delle difficoltà, una per tutte: l'opposto di complessità dovrebbe essere semplicità, non è così? Ebbene qui s'evidenzia già una importante difficoltà, che quella che anche questo termine è difficilmente definibile, penso che i due termini, ancorchè essere opposti, sono quasi coincidenti. Direi al riguardo che la "complessità" è un concetto complesso che richiede una, diciamo così, spiegazione mentre "semplicità" e pure un oggetto complesso ma che non necessità di una spiegazione. Ovviamente questa è una mia idea di massima che ricgìhiede approfondimenti, perciò lascio aperta la questione e, per momentanea mancanza di tempo rinvio a dopo.

Ho guardato in giro per avere un'idea piu' chiara di "Complessità"; in realtà questo termine viene utilizzato associato quasi sempre ad altri per circoscrivere il campo di merito, ad esempio: sistemi complessi adattivi, scienza della complessità, sfida della complessità oppure pensiero della complessità. Tuttavia, ciò che mi sembra evidente è che queto termine dovrebbe essere considerato come una specie di "assioma", cioè non descrivibile, senza ulteriore definizione. Complessità come idea di qualche insieme che non è semplice da esaminare nella sua struttura totale. E' assai probabile, anzi, che gli elementi che costituiscono il "complesso" siano singolarmente riducibili a qualche definizione, ma il "tutto" no.
"nato_pigro":Una vera definizione di "complessità" non può esistere altrimenti non sarebbe più "complessità. Nondimeno non escludo che vi siano buoni tentativi in tal senso intesi a fornire -almeno per ragioni didattiche- indirizzi di definizione della complessità. Risultati buoni si hanno mediante l'illustrazione di esempi o paragoni: i frattali, per esempio, sono di questo tipo, anche se la complessità offerta da un frattale sia niente in confronto alla complessità univrsale. D'altro canto è inpossibile definire -dal di dentro di un sistema- il sistema stesso.
La parola "complessità" in filosofia ormai ha un suo precisa significato (http://it.wikipedia.org/wiki/Epistemolo ... ssit%C3%A0), per cui è fuorviante e ancor più impreciso usare questa parola a casaccio senza darne uno straccio di definizione.
sebbe, mariodic, io conosca già il tuo stile nello scrivere e sebbene tu sia già a conoscenza di cosa ne penso voglio comunque farti un appunto.
La parola "complessità" in filosofia ormai ha un suo precisa significato (http://it.wikipedia.org/wiki/Epistemolo ... ssit%C3%A0), per cui è fuorviante e ancor più impreciso usare questa parola a casaccio senza darne uno straccio di definizione.
La parola "complessità" in filosofia ormai ha un suo precisa significato (http://it.wikipedia.org/wiki/Epistemolo ... ssit%C3%A0), per cui è fuorviante e ancor più impreciso usare questa parola a casaccio senza darne uno straccio di definizione.
La conoscenza somiglia ad una cipolla infinita; ogni scoperta elimina uno strato e subito ne compare un altro.