Un quesito logico

zenone80
Ultimamente mi sto ponendo questo problema:
La logica classica esprime i tre principi aristotelici di identità, non contraddizione e terzo escluso nella seguente forma:

1) identità
p=>p

2) non contraddizione
non(p et non-p)

3) terzo escluso
p vel non-p

1) si ricava da 3) tramite la definizione di condizionale e 2) da 3) tramite De Morgan. Quindi 3) è la base. Ma se per ipotesi p vel non-p fosse falsa allora ciò significherebbe che p e non-p sono entrambi falsi. In questo caso, per le tavole della negazione, non-p e non-non-p sarebbero veri cioè, semplificando, p e non-p entrambi veri. Ma in quest'ultimo caso p vel non-p non dovrebbe essere vero?

Questa difficoltà si ripercuote sugli altri due principi. Se p è vera e non vera, cioè se non è identica, allora, per le tavole dell'implicazione (p=>p) pùo essere sia vera che falsa a seconda di come si intenda l'ordine dei termini, cioè falso l'antecedente e vero il conseguente o viceversa. Cioè se non vale l'identità allora l'identità può anche valere.

In ultimo. La non contraddizione significa p nand non-p, connettivo che non esclude la possibilità che p e non-p siano entrambi falsi, ora in quest'ultimo caso non-p è vera e non-non-p è vera, cioè p è vera e non-p è vera. Ma nand non doveva escludere proprio questo unico caso?

Risposte
Tuttle
"agaragar":
[quote="achazia"]Ultimamente mi sto ponendo questo problema:
La logica classica esprime i tre principi aristotelici di identità, non contraddizione e terzo escluso nella seguente forma:
Aristotele questi principi non li ha mai enunciati, si tratta di una sistemazione medioevale http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=285[/quote]

l'obienzione è discutibile: l'espressione 'logica aristotelica' sta non ad indicare l'Organon in senso stretto, quanto tutta la logica che si è ispirata a tale modello, quindi tutta la logica tardo-antica e quella medioevale (quest'ultima per la verità, attraverso la mediazione dei trattatelli di Boezio, aveva recepito anche gli argomenti anapodittici di Crisippo, ovvero modus ponens, modus tollens e metodo disgiuntivo, in altre parole i fondamenti del nostro calcolo proposizionale, ma la logica medioevale, pur occupandosene, li trattò sempre come un 'corpo estraneo', continuando a fare riferimento principalmente all'Organon e alla forma aristotelica soggetto-predicato; ed ecco che ancora a fine '700 le categorie kantiane si trascinano dietro questa specie di 'dualismo'; soltanto la moderna logica dei predicati, da Frege e Peano in poi, è riuscita a superarlo con un linguaggio sufficientemente potente); forse con Leibniz, che pure continua a fare principalmente riferimento ad Aristotele, si può parlare di logica non-aristotelica; e tuttavia ancora ai primi del '900 Wittgenstein scrive su una rivista filosofica inglese (mi pare si trattasse di 'Mind', ma non ne sono sicuro) un articolo velenosissimo in cui si lamenta di come accademici di bassa lega continuassero a pubblicare manuali di logica spudoratamente aristotelici, nonostante la rivoluzione degli ultimi decenni; oltre ai tre principi citati, molte altre nozioni 'aristoteliche' sono state enunciate dai medioevali: il famigerato 'quadrato' ad esempio, così come i nomi in codice delle figure sillogistiche; tuttavia è perfettamente legittimo parlare di 'principi aristotelici', o di 'quadrato aristotelico' e parlare di Barbara o di Cesare come di sillogismi aristotelici, fermo restando che per aristotelico non intendiamo 'di Aristotele' in senso stretto, ma 'degli aristotelici'; allo stesso modo per 'dinamica newtoniana' ovviamente non intendiamo le leggi enunciate dal solo Newton, ma tutta la dinamica fino a Lorentz escluso; come con tutti i grandi, chi viene dopo costruisce sulle loro teorie e quanto ne esce è spesso coerente e talora quasi indistinguibile dal pensiero originario del maestro, anche se non mancano le eccezioni: Marx fu talmente disgustato dalla banalizzazione del suo pensiero da dichiarare 'io non sono marxista' :lol: :lol: :lol:

Tuttle
la questione sollevata da achazia è interessante, ma non perchè sia particolarmente profonda o sottile, tutt'altro: ritengo che si tratti di un problema privo di senso, che deriva semplicemente da una incomprensione delle nozioni e delle strutture della logica moderna. individuare tali incomprensioni sarà interessante e permetterà di approfondire l'argomento
innanzitutto, guardando il problema da una prospettiva generale, trovo poco sensato negare il principio del terzo escluso e poi chiedersi quali siano le conseguenze per la logica classica, che si definisce 'classica' proprio in quanto in essa vale tale principio (assieme a quello di non contraddizione)...... (un po' come chiedersi quali sarebbero le conseguenze per la teoria della relatività se rifiutassimo la nozione di spazio-tempo: semplicemente non saremmo più nell'ambito della teoria della relatività)
possiamo piuttosto rifiutare il principio del terzo escluso: ma in tal caso costruiremo una logica intuizionista oppure una logica polivalente, ovvero una logica in cui sono ammessi altri valori-verità oltre a 'vero' e 'falso', quindi ci muoveremmo deliberatamente e consapevolmente in un ambito diverso rispetto a quello della logica classica
detto questo, adesso discuterò su quelli che (a mio avviso) sono i nonsense del problema proposto da achazia:
la formulazione dei tre principi aristotelici col linguaggio del calcolo proposizionale è formalmente corretta (per quanto riguarda l'osservazione fatta da agaragar, perchè p->p anzichè p<->p, molto semplicemente le due proposizioni si equivalgono, dato che p<->q equivale a (p->q) et (q->p), ovvero in questo caso (p->p) et (p->p), che equivale semplicemente a p->p; se ci sono ancora dubbi, una semplice prova con le tavole di verità mostrerà che si equivalgono, per cui scrivere p<->p anzichè p->p sarebbe corretto ma 'ridondante', ma è solo una questione di eleganza formale)
la confusione inizia quando achazia parla di derivare il principio di identità dagli altri due attraverso la definizione dell'implicazione e di ricavare il principio di non contraddizione da quello del terzo escluso con le leggi di De Morgan:
una volta definito il connettivo '->', cioè una volta fissatane la tavola di verità, p->p ne segue senza il ricorso a (2) e (3): semplicemente, avremo come possibili distribuzioni di valori VV e FF, e in entrambi i casi p->p sarà vera (essendo falsa solo per VF); l'obiezione potrebbe essere che per sapere che le uniche due distribuzioni possibili sono VV e FF (ovvero che VF e FV non sono possibili) abbiamo prima bisogno di porre (2) e (3), ma se ragioniamo in termini di 'definizione' dei connettivi, anche (2) e (3) risulteranno semplicemente da una definizione della congiunzione, della negazione e della disgiunzione; in altre parole, se possiamo decidere p->p definendo il suo operatore, perchè non fare lo stesso anche con gli altri due principi? a questo punto ciascun principio sarà tautologico una volta fissate le tavole di verità, e il ricavare un principio dall'altro sarà superfluo
in realtà la questione è molto più complessa, e la confusione di achazia deriva da una profonda incompresione della struttura delle teorie della logica classica:
una teoria si caratterizza per una grammatica, ovvero per una serie di simboli e per le regole che permettono di costruire formule ben formate attraverso la combinazione di tali simboli, per gli assiomi e per le regole di derivazione
gli assiomi sono formule che assumiamo come vere e indimostrate, le regole di derivazione sono procedimenti con cui trarre formule vere a partire da altre formule vere (quindi, in primis, dagli assiomi, che costituiscono il nostro punto di partenza per così dire)
finchè deriviamo formule vere a partire dagli assiomi, ovvero, detto altrimenti, finchè dimostriamo (parlo di dimostrazioni in senso intuitivo, perchè una definizione rigorosa di dimostrazione è necessariamente relativa ad una determinata teoria, ovvero ad un determinato sistema di assiomi e regole di derivazione, ma a noi interessa parlare in generale) ci muoviamo al livello di quello che chiamiamo 'linguaggio' (oppure 'linguaggio oggetto')
nel momento in cui parliamo delle strutture del linguaggio ci muoviamo al livello del 'metalinguaggio': detto altrimenti, il linguaggio consta degli assiomi e delle dimostrazioni di formule a partire da tali assiomi utilizzando la grammatica predefinita, insomma il linguaggio consta unicamente di formule (scritte in notazione simbolica) e di derivazioni
per metalinguaggio intendiamo invece qualsiasi discussione sul linguaggio oggetto svolta con strumenti ulteriori rispetto a quelli del linguaggio oggetto stesso: in questo momento noi stiamo parlando di logica formale, ma stiamo usando il nostro linguaggio naturale, cioè la lingua italiana, ovvero ci stiamo muovendo a livello del metalinguaggio
proprio qui sta l'incomprensione: achazia parla di tavole di verità, di definizione dei connettivi, di principi del terzo escluso etc.... ma tutto questo attiene al livello del metalinguaggio, mentre le dimostrazioni (almeno le dimostrazioni in senso strettamente logico, cioè le derivazioni di una formula dall'altra) attengono al linguaggio; achazia affianca le due cose, confondendo così tra linguaggio e metalinguaggio
le tavole di verità sono aliene al linguaggio: sono semplicemente un espediente utile ad indagare in modo informale le proprietà dei connettivi e per verificare le condizioni di verità di una funzione proposizionale; in altre parole, con le tavole di verità possiamo verificare, ad esempio, se una formula è una tautologia, ma non si tratta di una dimostrazione: verificare che una formula è logicamente vera e derivarla a partire dagli assiomi sono cose assai diverse; verità logica e dimostrabilità sono due nozioni distinte (altrimenti i teoremi di Goedel non avrebbero senso)
ovviamente ciò non significa che le tavole di verità siano soltanto un escamotage scolastico per indagare le condizioni di verità di una formula senza dimostrarla: la funzione storica, per così dire, delle tavole di verità è stata quella di permettere le riflessioni sui connettivi logici, e dato che proprio di connettivi logici stiamo parlando noi, ecco che siamo arrivati al punto chiave: quella agevole tabellina che ci fornisce la definizione di un connettivo ci è utile per comprendere l'espressività del linguaggio formale di cui ci stiamo occupando, ma all'interno del linguaggio stesso le tavole di verità non esistono: i connettivi sono, per così dire, definiti indirettamente attraverso gli assiomi; per fare un esempio, in molte assiomatizzazioni abbiamo gli assiomi (p et q)->p e (p et q)->q, che, considerati assieme, ci 'dicono' che data una congiunzione, ambedue i congiunti sono veri; ovviamente per comprendere i due assiomi che ho portato come esempio è necessario conoscere il significato anche dell'implicazione, ma questo è fornito da altri assiomi; complessivamente, un sistema assiomatico, attraverso i suoi soli assiomi, fornisce una descrizione completa dei connettivi che ricorrono nel proprio linguaggio; dire che 'et' è tale che la sua tabellina di verità è VFFF è solo un espediente metalinguistico per agevolare la comprensione del significato dei simboli che, finchè rimangono confinati nel linguaggio, costituiscono una teoria coerente, ma sono 'umanamente ardui' da comprendere.
ovviamente le tavole di verità hanno avuto gioco enorme nella storia della logica moderna per permettere la costruzione di linguaggi espressivi: molto prima che Wittgenstein introducesse le tavole di verità propriamente dette nel suo Tractatus Logico-philosophicus, posso citare, come esemplificativo, l'uso che ne fa Frege nel suo Begriffsschrift: per chi non lo avesse letto, Frege adotta, nel suo linguaggio, soltanto gli operatori di implicazione e negazione e, per discutere le potenzialità espressive del suo linguaggio, indaga le possibili condizioni di verità di proposizioni congiuntive e disgiuntive, mostrando infine che tali proposizioni possono essere espresse usando soltanto implicazione e negazione; ma una volta esaminate le potenzialità espressive della sua 'ideografia' pone degli assiomi, ovvero costruisce il linguaggio vero e proprio; il lavoro sulle condizioni di verità (quelle che oggi noi chiameremmo tavole) è un mero saggio preliminare sulle possibilità espressive del proprio formalismo. insomma qualsiasi discussione sulle possibilità espressive dei connettivi (e su quali connettivi usare) attiene al metalinguaggio
arriviamo finalmente a quanto interessava ad achazia: quando achazia dice che, se (1) e (2) possono essere ricavati da (3), allora il principio del terzo escluso è la base, dice una assurdità: nel contesto della logica moderna, i tre principi di cui parliamo sono 'principi' solo per modo di dire: valgono, certo (ovvero: p->p, -(p et -p) e p vel -p sono tautologie) ma non sono principi in senso assiomatico, ovvero non sono proposizioni fondamentali. le uniche proposizioni fondamentali in una teoria logica moderna, da Frege in poi, sono gli assiomi (nei Principles of Mathematics Russell parla di 'proposizioni fondamentali' e nei Principia Mathematica di 'principi di deduzione', ovvero integra quelli che solitamente si distinguono in assiomi e regole di derivazione, ma la sostanza non cambia molto): i tre principi succitati possono essere derivati dagli assiomi, ma non sono essi stessi assiomi, o almeno non lo sono necessariamente.
non conosco nessun sistema assiomatico in cui anche solo uno dei tre compaia come assioma: nella costruzione di una teoria, il trucco è porre il minor numero possibile di assiomi, e se possiamo derivare da essi questi tre principi non abbiamo alcun motivo per assumere essi stessi come assiomi, anche se a noi sembrano così evidenti e ci pare ridicola l'idea di doverli dimostrare; ad esempio, p->p può essere non solo dimostrato da altri assiomi senza tener conto di (2) e (3), ma addirittura possiamo derivarlo da assiomi in cui compare soltanto l'implicazione come unico operatore; ad esempio, taluni sistemi pongono tra i loro assiomi (p->(q->r))->((p->q)->(p->r)) (che, per così dire, 'incorpora' la transitività dell'implicazione) e p->(q->p) (che 'incorpora' il fatto che, data la verità del conseguente, il valore-verità dell'antecedente è indifferente); da questi due assiomi, per sostituzione di proposizioni simili con altre simili e usando come regola di derivazione il solo modus ponens (ovvero: da p->q e p deriviamo q) possiamo dimostrare p->p:
poniamo q=(p->p) e r=p; la formula ottenuta dal primo assioma sostituendo uniformemente le sotto-formule sarà (p->((p->p)->p))->((p->(p->p))->(p->p)), quella ottenuta dal secondo sarà p->((p->p)->p) (si tratta di 'istanze assiomatiche', ovvero di formule ottenute per sostituzione uniforme da assiomi, e che sono anch'esse logicamente vere)
la dimostrazione sarà a questo punto:
(a) (p->((p->p)->p))->((p->(p->p))->(p->p))
(b) p->((p->p)->p)
(c) (p->(p->p))->(p->p) (ricavato applicando il modus ponens ad (a) e (b))
(d) p->(p->p) (ricavato come istanza assiomatica da p->(q->p), ponendo p=q)
(e) p->p (ricavato applicando il modus ponens a (c) e (d))
abbiamo così dimostrato, e senza scomodare (2) e (3), p->p, ovvero l'equivalente (secondo achazia) nel nostro calcolo proposizionale, del 'ogni A è A' aristotelico; ecco, l'ultima grande confusione di achazia consiste appunto nel fatto che p->p non è affatto il 'principio di identità': nell'enunciato aristotelico i termini (in questo caso 'A') sono 'categorematici' (come li avrebbero definiti gli ockhamisti), cioè, parlando sempre nei termini della metafisica aristotelica, designano sostanze, mentre il nostro p->p è una proposizione composta da due proposizioni atomiche (in questo caso particolare uguali).
interpretare il principio di identità, che è riferito agli individui (dice appunto che 'ciascuna cosa è identica a se stessa'), nel contesto del calcolo proposizionale è semplicemente nonsense: il calcolo proposizionale opera solo a partire da proposizioni atomiche, ovvero inanalizzate, e per definizione, proprio in quanto 'calcolo proposizionale', non può parlare di individui (quelle che Russell avrebbe chiamato 'entity'): piuttosto a livello della logica dei predicati del I ordine possiamo esprimere il principio di identità molto semplicemente come Ux(x=x) (ho usato 'U' per scrivere il quantificatore universale), che risulta semplicemente dalla definizione del predicato binario I^2 (predicato di identità appunto), che possiamo altrimenti scrivere usando il simbolo '=' mutuato dalla notazione matematica; ovvero per scrivere I(a, b) (a e b sono costanti individuali, cioè indicano degli 'enti') scriviamo a=b (ovvero I(a, b)<=>a=b); in tal caso il principio di identità sarà contenuto nella nostra definizione del predicato I, e consiste semplicemente nel fatto che si tratta di una relazione riflessiva (ovvero UxI(x, x), cioè appunto Ux(x=x)); interpretato nel contesto del calcolo dei predicati, il principio di identità si riduce semplicemente alla riflessività della relazione di identità: in questo è importante notare che nell'enunciato aristotelico 'A è A' 'è' non ha funzione di copula, ma indica appunto la relazione di identità; d'altra parte la distinzione tra i differenti usi logici del verbo 'essere' (come copula, come predicato esistenziale e, appunto, come relazione di identità) è una delle maggiori critiche della logica e della filosofia del linguaggio analitiche alla logica precedente: l'ontologia sostanzialista di ascendenza aristotelica rifiutava la relazione definendola un non-ente, e nella logica ispirata a tale ontologia non c'era posto per predicati relazionali: da qui il ricorso alla forma soggetto-predicato (con la mediazione della copula), speculare alla diade sostanza-accidente; e invece proprio qui, nel cuore della logica aristotelica, nel principio di identità, si celava una relazione 'spacciata' per una copula.....
tornando agli altri due principi (questi formulati correttamente nel linguaggio del calcolo proposizionale) potremmo parimenti derivarli dagli assiomi; tra l'altro, a scanso di ogni dubbio, ricordiamo che il teorema di completezza del calcolo proposizionale ci garantisce la corrispondenza tra tautologie e teoremi, cioè che non solo ogni teorema è una formula vera, ma ogni formula vera è un teorema, ovvero è dimostrabile, quindi ovviamente sono SICURAMENTE dimostrabili anche p vel -p e -(p et -p).
quanto alle leggi di De Morgan citate da achazia, neanche esse sono assiomi (almeno non credo che qualcuno abbia mai costruito una teoria ponendole tra gli assiomi):
ovviamente però tutti i calcoli proposizionali sono tali che possiamo dimostrarvi tali leggi: anche in questo caso sappiamo che valgono per il significato che diamo, nel metalinguaggio, agli operatori di negazione, congiunzione e disgiunzione inclusiva, ma dimostrarle nel linguaggio derivandole dagli assiomi è un altro paio di maniche.
da un punto di vista storico credo (non garantisco ma sono quasi sicuro) che De Morgan stesso le avesse avvalorate solo a livello metalinguistico con una semplice indagine sulle condizioni di verità dei componenti, dato che siamo ancora a metà '800, (poco) prima dell'arrivo di Frege e Peano e della nascita della logica matematica rigorosa (tra l'altro queste leggi erano già note ad Ochkam, oltre cinque secoli prima di ogni tentativo di assiomatizzazione della logica).

agaragar
ho aggiustato gli interventi che ora sono abbastanza coerenti, o quasi.

adaBTTLS1
volevo dire, esprimendomi male, che A e nonA non possono essere nemmeno FF

al contrario delle risposte precedenti, questa si riferiva a due proposizioni generiche A e B, e non solo ad A e nonA.

@ agaragar
il topic è stato piuttosto frammentato e "riesumato" da te dopo parecchio tempo.
ti consiglio, se ti va di approfondire, di ripercorrere i vari post dall'inizio e di non inserire tanti post frammentati, ma eventualmente rielaborare il tutto e proporre una tua versione "compatta" sull'argomento (anche perché, tra parentesi, anche i miei interventi precedenti erano piuttosto frammentati, ma questo perché la vecchia discussione è stata portata avanti per piccoli passi): adesso tu, se hai qualcosa da dire, puoi farlo avendo presente l'intero percorso.
ciao.

agaragar
"achazia":
Ultimamente mi sto ponendo questo problema:
La logica classica esprime i tre principi aristotelici di identità, non contraddizione e terzo escluso nella seguente forma:

1) identità
p=>p

Non capisco perchè non usi il <=> , che comunque non è ancora adeguato, in quanto per i valori FF assume il valore V,
sarebbe più adeguato et, che assume il valore V solo nel caso VV
ma non credo che questo principio sia esprimibile nella logica proposizionale, sebbene in altri linguaggi del primo ordine esista il simbolo =

agaragar
"adaBTTLS":
nel caso di proposizioni che non sono mai contemporaneamente vere, il vel e l'aut coincidono.

questo è vero, infatti la risposta è in quello che hai scritto tu, però, vedi ultima osservazione, è solo una risposta ad un caso particolare.

sarebbe meglio dire che coincidono i valori

[quote]Mentre nel caso che non sia possibile avere i valori V V(e quinndi nemmeno F F) avremmo per vel solo V V, che non è uguale ai valori di aut, ma non è nemmeno una tavola di verità, in quanto incompleta, anzi è l'indicazione di un uso errato del calcolo proposizionale.

non è vero che l'impossibilità di VV implica l'ipossibilità di FF, anzi...[/quote]
Certo, ma volevo dire, esprimendomi male, che A e nonA non possono essere nemmeno FF

adaBTTLS1
e si potrebbe proseguire con aut=vel ??

naturalmente no... era solo una risposta ad un caso particolare!
nel caso di proposizioni che non sono mai contemporaneamente vere, il vel e l'aut coincidono.

questo è vero, infatti la risposta è in quello che hai scritto tu, però, vedi ultima osservazione, è solo una risposta ad un caso particolare.
le tavole di aut e vel sono:
F - V
V - V
V - V
F - F

Mentre nel caso che non sia possibile avere i valori V V(e quinndi nemmeno F F) avremmo per vel solo V V, che non è uguale ai valori di aut, ma non è nemmeno una tavola di verità, in quanto incompleta, anzi è l'indicazione di un uso errato del calcolo proposizionale.

non è vero che l'impossibilità di VV implica l'ipossibilità di FF, anzi...

agaragar
"achazia":
Ultimamente mi sto ponendo questo problema:
La logica classica esprime i tre principi aristotelici di identità, non contraddizione e terzo escluso nella seguente forma:
Aristotele questi principi non li ha mai enunciati, si tratta di una sistemazione medioevale http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=285

1) identità
p=>p

2) non contraddizione
non(p et non-p)

3) terzo escluso
p vel non-p

1) si ricava da 3) tramite la definizione di condizionale e 2) da 3) tramite De Morgan. Quindi 3) è la base. Ma se per ipotesi p vel non-p fosse falsa allora

Fai confusione fra i valori degli operatori proposizionali e l'enunciazione di un principio,

i possibili valori per vel sono VVVF, mentre quando enunci un principio affermi che ha un valore determinato, in questo caso che è vero, quindi non devi ipotizzare un valore, ma andare a controllare quando l'operatore vel assume il valore V,

dato che lo fa per le coppie VV VF FV, non esprime il principio del terzo escluso, devi usare aut, il che non vuol dire che P aut nonP esprime il principio di non contraddizione,
ma che il principio di non contraddizione significa che P aut non P è sempre vero, tu non devi ipotizzare nulla.

in particolare i 3 principi sono già inclusi nelle tavole di verità, infatti l'operatore NOT dà il valore F per V e viceversa, quindi per P e nonP avrai sempre la coppia V,F da usare negli operatori,
almeno gli ultimi due, per il primo l'identità non è un connettivo logico ma un operazione binaria, almeno assimilandola all'uguaglianza

agaragar
"adaBTTLS":
da una "brutale" applicazione formale delle formule nominate segue:

(A aut non-A)

A aut B = (A et (non B)) vel ((non A) et B)
A aut A = (A et (non A)) vel ((non A) et A)

A aut (non A) = (A et (non (nonA))) vel ((non A) et (non A))

A aut (non A) = (A et A) vel ((non A) et (non A))
A aut (non A) = A vel (non A)

e si potrebbe proseguire con aut=vel ?? :shock:

"adaBTTLS":
però c'è il fatto che nel caso di proposizioni che non sono mai contemporaneamente vere, il vel e l'aut coincidono.
le tavole di aut e vel sono:
F - V
V - V
V - V
F - F

Mentre nel caso che non sia possibile avere i valori V V(e quinndi nemmeno F F) avremmo per vel solo V V, che non è uguale ai valori di aut, ma non è nemmeno una tavola di verità, in quanto incompleta, anzi è l'indicazione di un uso errato del calcolo proposizionale.

le tavole presuppongono l'uso di tutte le coppie dei valori V, F, non l'uso di proposizioni specifiche come A o nonA, altrimenti mancano il loro scopo

agaragar
"adaBTTLS":
A aut B = (A et (non B)) vel ((non A) et B)

senza il non, è impossibile (almeno per me).

come ricavi invece il vel dall'aut?
suggerisco io, ma necessariamente usando et e non, cioè con de Morgan:
A vel B = non ((non A) et (non B))
tu invece come faresti?

ma non è A aut B = non(A et B) et non(nonA et nonB)??

No perchè altrimenti avrebbe ragione achazia dato che il vel significherebbe che (A et (non B)) e ((non A) et B) possano essere entrambe vere o false.

il vel non rende certo il principio del terzo escluso, anche perchè se è vero che i valori di vel sono VVVF, è anche vero che A e nonA non possono avere gli stessi valori.

adaBTTLS1
prego.
forse ti può essere utile il procedimento che abbiamo fatto noi per gli insiemi per esprimere, avendo due o tre insiemi base, tutto l'insieme ambiente in 4 o 8 parti a due a due disgiunte (non dico partizione perché qualcuna delle varie parti poteva anche essere vuota). in analogia, potresti usare solo et e non per rappresentare i vari casi incompatibili.

se hai una sola proposizione di base, hai due casi: A, non-A.
se hai due proposizioni di base, hai quattro casi: A et B, non-A et B, A et non-B, non-A et non-B.
se hai tre proposizioni di base, hai otto casi: A et B et C, non-A et B et C, A et non-B et C, A et B et non-C, A et non-B et non-C, non-A et B et non-C, non-A et non-B et C, non-A et non-B et non-C.

e così via.

magari lo sapevi già, magari non risponde alla tua richiesta.
però c'è il fatto che nel caso di proposizioni che non sono mai contemporaneamente vere, il vel e l'aut coincidono.

ciao.

zenone80
(A vel non-A) include e allo stesso tempo esclude (A et non-A)

questo è per me il problema. Comunque ci penserò ancora e ti ringrazio per l'attenzione.
Ciao

adaBTTLS1
da una "brutale" applicazione formale delle formule nominate segue:

(A aut non-A)

A aut B = (A et (non B)) vel ((non A) et B)
A aut A = (A et (non A)) vel ((non A) et A)

A aut (non A) = (A et (non (nonA))) vel ((non A) et (non A))

A aut (non A) = (A et A) vel ((non A) et (non A))
A aut (non A) = A vel (non A)

spero ti sia utile.
fammi sapere se ne deduci qualcosa di interessante.
ciao.

zenone80
No, non riesco a derivare et e vel da aut. Mi sembra impossibile e su questo sono d'accordo con te. In realtà io farei a meno di vel e et conservando solo aut e bicondizionale. Per quel che riguarda i tre principi mi sembra che si possa fare, ma non per quando si tira in ballo B. Non capisco perché tu dica che A e B non devono essere diversi. Ho cercato proprio di mostrare che nel caso non siano diversi vel e et non si possono applicare. Il mio rilievo è proprio che gli operatori simmetrici e quelli asimmetrici sono indipendenti e non possono essere derivati gli uni dagli altri, i primi sono riflessivi i secondi no.

adaBTTLS1
neanch'io ho nulla da eccepire sulle formule che citi.
il punto è che una formula binaria può essere trasformata banalmente in unaria, visto che non è richiesto che A e B debbano essere diversi tra loro, ma mi pareva di aver capito che tu useresti l'operatore aut anche per definire vel e/o et.
se è così, ti chiedo come proporresti di fare.

zenone80
Sulla formula che hai citato e non ho nulla da eccepire. Dico solamente che non mi sembra possa funzionare per la coppia (A, non-A). Per la coppia (A, B) funziona invece benissimo. Il punto è che per i tre principi: identità, non contraddizione e terzo escluso, per quanto mi risulta, i connettivi vel e et non si possono applicare. Mi sembra cioè che solo i connettivi simmetrici siano, se mi passi l'espressione, riflessivi.

Per quanto riguarda la negazione, tutti sanno che le tavole di verità di essa sono le uniche ad avere solo due righe. Perciò si dice "funtore unario". Ma VF e FV sono solo due dei quattro casi che dovrebbero essere considerati assieme a VV e FF. Per questo secondo me sono tavole di verità improprie. Se si completano, esplicitando che i casi VV e FF sono esclusi mentre VF e FV sono buoni, non si ottiene altro che la disgiunzione esclusiva (A aut non-A) che secondo me riassume i tre principi. Perciò sembrerebbe che la negazione sia solo un aspetto della disgiunzione esclusiva dalla quale non va mai separata e che oltre ad essere simmetrica è sempre riflessiva.

adaBTTLS1
A aut B = (A et (non B)) vel ((non A) et B)

senza il non, è impossibile (almeno per me).

come ricavi invece il vel dall'aut?
suggerisco io, ma necessariamente usando et e non, cioè con de Morgan:
A vel B = non ((non A) et (non B))
tu invece come faresti?

zenone80
Secondo me non puoi dire che 2) e 3) valgono per aut perché 2) e 3) sono la stessa cosa. Stando al significato di vel,(p vel non-p) significa che ad essere escluso è il solo caso in cui entrambi sono falsi cioè (non-p et non-non-p), che semplificando e commutando diventa (p et non-p). L'esclusione di questo caso viene espressa nella forma non-(p et non-p), che non è altro che la 2).
Quindi non si può prendere assieme 3) e 2) semplicemente perché 3) e 2) dicono la stessa cosa. Questo significa, per come la vedo io, che posta la disgiunzione non esclusiva tra p e non-p la stessa disgiunzione si rivela esclusiva. Per cui non solo non mi sembra possibile derivare i simmetrici dagli asimmetrici, ma neppure applicare gli asimmetrici alla coppia (p, non-p)

adaBTTLS1
il "non" l'hai citato anche tu nei tre principii della logica. l'aut, [la sottrazione (i vari tipi di sottrazione insiemistica)], l'implicazione materiale, la coimplicazione, e non so quali altri connettivi ti possano venire in mente: tutti si ricavano da et, vel, non (però la negazione deve esserci). tu invece da quali pensi di partire precisamente per definire tutti gli altri? da et e aut senza la negazione e senza vel?

zenone80
Io non credo si possano ricavare gli operatori simmetrici dagli operatori asimmetrici. Questo perché dal mio punto di vista non esiste un funtore unario "negazione" che inverta il valore di verità di una proposizione. Per farla breve non c'è alcuna differenza tra negazione e disgiunzione esclusiva, o se differenza c'è non riguarda la logica. Se si scrive (p aut q) q è un'espressione impropria di non-p. La negazione è il membro di una disgiunzione esclusiva, sempre. La logica riguarda semplicemente il rapporto tra una generica proposizione p e la sua negazione non-p, rapporto che è espresso dalla disgiunzione esclusiva. L'atomismo logico, secondo quanto mi sembra di aver capito, si sviluppa nel momento che si estrapola la "negazione"(NOT) dalla disgiunzione esclusiva (AUT). Ma in realtà a me sembrano essere la stessa cosa. Spero di essere stato chiaro.

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