Metodo di studio della matematica

DavideGenova1
In seguito ad alcune conversazioni private avute con dissonance e jitter e stimolato dal recente topic sempre di jitter sul ruolo della memorizzazione nello studio della matematica, vorrei esporre quella che è la mia abitudine di studio, raccogliere opinioni e confrontare metodi di apprendimento della nostra amata regina delle scienze.
Così come mi sono abituato nel corso dei miei studi accademici umanistici e anche nella coltivazione dei miei interessi personali, umanistici o no, sono solito procedere nel tentativo di rendere un po' meno ampio il cratere della mia ignoranza procurandomi un testo che affronti un determinato argomento che intendo esplorare e leggerlo, ordinatamente dall'inizio alla fine, cercando di capirne ogni dimostrazione, di svolgerne gli esercizi proposti e di dimostrare da solo, cercando conferma normalmente in rete sulla correttezza dei miei ragionamenti, gli enunciati trovati sul testo, ma da questo non dimostrati, che stimolano sempre la mia curiosità anche quando la loro connessione con l'argomento principale del libro è debole, o di trovarne dimostrazione on line, o chiedendo aiuto usualmente qui, se non riesco da solo nell'intento, sempre che la prova di tali enunciati non dimostrati non richieda conoscenze che vanno troppo oltre gli orizzonti del testo che sto seguendo e della mia preparazione personale.
Sia per preparare esami a lettere, sia per esplorare argomenti di mio interesse personale extra-accademico, ho sempre fatto così. Voglio imparare una lingua? Compro un corso e lo leggo dall'inizio alla fine cercando di capire che cosa dicono i testi presentati e di assimilarne la grammatica e il lessico, svolgo gli esercizi -ma qui se non ci sono le soluzioni la comprensione di altri argomenti non è normalmente inficiata, perché se non è chiaro come si comporti per esempio un verbo, ciò solitamente non impedisce di capire come si comporta un altro, a differenza di quanto accade con quei testi di matematica in cui un asserto la cui dimostrazione è lasciata al lettore come esercizio senza soluzione viene poi usato per dimostrarne un altro-, arrivo alla fine del corso. Spesso, dopo un corso, amo anche leggermi per intero un libro di grammatica di una lingua che intendo studiare, in modo da cogliere particolari che attraverso la sola lettura di corsi non si colgono. Sono interessato alla storia della conquista europea delle Americhe? Mi procuro un libro che ne parli e me lo leggo. Tale approccio è del tutto comune anche tra gli accademici: se uno storico vuole farsi una conoscenza base sulle dinamiche economiche, politiche e sociali di un dato tempo e di un dato luogo, è assolutamente normale che legga saggi scritti da colleghi sull'argomento, da capo a coda.
In questo modo, pur non essendo iscritto a nessun corso di laurea scientifico, avendo deciso di rimediare almeno un pochettino alla mia innumeracy, ho seguito due volumi di analisi matematica, due di geometria, uno di statistica e probabilità, uno di analisi numerica, uno di algebra, uno di matematica discreta, uno di analisi complessa e sto adesso assaporando le meraviglie dell'analisi funzionale.
Questo tipo di approccio, mi si fa notare, non è proprio la norma tra i matematici, tra cui vige una consultazione dei testi più che una loro lettura dall'inizio alla fine.
Mi piacerebbe quindi aprire uno spazio -se poi vi si potesse definire una struttura di spazio topologico lineare mi piacerebbe ancora di più... :lol: - in cui confrontare tecniche di studio e di apprendimento, raccogliere opinioni e consigli reciproci tra noi utenti del forum.
Grazie a tutti per ogni intervento!

Risposte
dissonance
Ho corretto il link nel mio ultimo post, ora punta alla discussione giusta: "How to avoid going down the Math Rabbit Hole".

dissonance
Segnalo questo interessante topic in un altro forum:

http://math.stackexchange.com/q/617625/8157

sapo931
Anche io studio molto da autodidatta, e anche io imparo da cima a fondo il testo, ma in maniera diversa da DavideGenova.
Inizio a leggiucchiare vari libri, saltando di capitolo in capitolo. Questo per avere un "feeling" della materia e delle varie notazioni usate. Cerco anche online materiale (dispense, articoli) con cui faccio allo stesso modo. Una volta inquadrata la materia, a cosa serve e aver capito quali sono gli argomenti trattati, ne faccio un elenco, con segnato per ogni macroargomento il libro/i dove viene trattato meglio (dove per meglio intendo sia per notazione, sia per tipo di presentazione dell'argomento che per i consigli che trovo online). Poi inizio a studiare, scrivendo tutte le definizioni, teoremi, dimostrazioni (che provo sempre a fare da solo, non sempre riuscendoci), ed esempi (diciamo che sono le mie dispense personali da usare come riferimento). Gli esempi non sono solo gli esercizi svolti, ma anche proprio degli esercizi che risolvo per esemplificare il concetto, con varie provenienze. Una volta finito il capitolo prendo un foglio e faccio un riassuntino di quello che ho fatto nel capitolo (definizioni, teoremi, intuizioni varie). Ogni tot. prendo tutti i fogli dei riassunti e li rileggo/riscrivo, cercando per ogni argomento ricordare quanto più posso (eventualmente tornando sulle dispense).
Se noto che una nuova materia mi da una prospettiva diversa di un argomento già fatto (ad esempio come sta facendo meccanica analitica sulle equazioni differenziali), mi riprendo le mie dispense e ristudio l'argomento secondo la nuova prospettiva, eventualmente aggiungendo riferimenti o esempi.

Il problema del mio metodo di studi è che richiede molto tempo, che purtroppo non c'è.

"ROMA91":

E', però, anche vero che l'università rappresenta - per molti aspetti - un "esamificio" ( e lo è sempre, più o meno, stata) e che davvero molti - colleghi e docenti - accettano e si adeguano. :( !


Su questo sono d'accordo, il tempo è poco per studiare ed approfondire. Si riesce a veramente conoscere una materia/due a semestre, ma non riesci a farlo per tutte. Gli esercizi diventano sempre più meccanici e richiedono che lo studente sappia dei trucchetti piuttosto che ragioni durante l'esame e usi dell'inventiva. Ricordo ad esempio che al mio esame di analisi 1 come integrali da svolgere non c'erano cose strane su cui inventarsi una soluzione (con sostituzioni particolari ad esempio, o manipolazioni con formule trigonometriche) ma erano esercizi standard con un procedimento di risoluzione ben delineato (uno era una polinomiale fratta e l'altro era un integrale notevole di seni e coseni).
Questo non solo per le materie matematiche, ma anche per quelle informatiche, in cui se vuoi imparare bene la teoria delle materie più "pratiche" (senza la quale sono ridotte ad un insieme di nozioni da sapere a memoria), devi perdere molto tempo per avere alla fine una preparazione non maggiore di chi impara senza riflettere e basta (intendo a livello di esame).

ROMA911
Premetto che, ovviamente - dato che sei anche in grado di farlo in modo adeguato -, hai il pieno diritto di poter criticare, se ritieni, qualunque parola io scriva. Se non riesco ad accettare le critiche, faccio meglio a non scrivere. Ciò chiarito, a livello personale, condivido la tua tensione cognitiva (e, anche, morale). Stavo per scrivere "epistemofilica", ma mi è parso eccessivo. Per altro, anche le moderne scienze psicologiche - vedi Berlyne - riconoscono alla "curiosità epistemica" un ruolo fondamentale di potentissima motivazione.

E', però, anche vero che l'università rappresenta - per molti aspetti - un "esamificio" ( e lo è sempre, più o meno, stata) e che davvero molti - colleghi e docenti - accettano e si adeguano. :(

Certamente, se, inoltre, la motivazione personale è scarsa, prevale l'ambiente con le sue "regole" non scritte, ma "scrupolosamente" osservate: "when in Rome, do as the Romans do!" !

fractalius
"ROMA91":
[quote="fractalius"]Ma la rappresentatività statistica può non essere indice di valore, bensì di tendenza comune: ognuno fondamentalmente ha un metodo personale, che calza alle proprie esigenze e ai propri gusti, e l'unicità usuale non rende un possibile metodo meno efficiente. Tant'è che vedo gente di una certa diligenza ignorare fatti studiati pochi mesi prima sfruttando il metodo da te descritto, e persone dal certosino interesse nei confronti della bibliografia estendere i propri confini intellettuali solo con la (faticosa) lettura. E poi non penso che ciò di cui parli sia attuabile nella matematica a tutti i livelli: poca teoria e tanti esercizi? Sono noti al grande pubblico i beceri calcolacci dei teorici delle categorie allora, o di quelli che si occupano di topologia algebrica! Tutto questo a meno di considerare prove, verifiche, osservazioni e dimostrazioni varie esercizi, ma nei primi anni di studio e nei primi esami è difficile che succeda: se succede, voglio vedere dove si arriva senza sapere i dettagli della trattazione.


Evidentemente, non ci capiamo. Quanto ho esposto non rappresenta la proposta di un metodo, ma la pura descrizione di prassi molto diffuse. E concordo sul fatto che i risultati non sono poi così lontani da quelli che indichi anche tu.

Volevo, per altro, descrivere anche fattori di contesto. E' chiaro che, se nessuno ti chiede mai le dimostrazioni, verrà dedicato più sforzo - o quasi tutto - alla preparazione degli esercizi per acquisire maggiore familiarità e superare bene i "compitini". Se viene posta molta enfasi sulle dispense, difficilmente i colleghi consulteranno libri et c. . . .
Neppure il mondo delle facoltà scientifiche rappresenta un mondo ideale e, se uno che non è proprio un genietto non intende stazionarci molto tempo, non può non risentire dei vincoli ambientali e riuscire a sviluppare un metodo ideale di studio, come se i voti e le tempistiche non contassero. Le singole individualità implicano certamente unicità metodologiche, ma i vincoli ambientali e le aspettative specifiche dei professori - indubbiamente - influenzano gli studenti e rendono piuttosto simili i comportamenti di studio.[/quote]
Sì certo, si era capito, e non stavo criticando te, ma la prassi comune: tu hai solo riportato la situazione nei vari dipartimenti scientifici. Il problema è che fondamentalmente tra le due situazioni contrastanti "studiare per fare l'università" e "fare l'università per studiare", tra le quali, realisticamente e relativamente al momento storico parlando, dovrebbe esserci un equilibrio arbitrario dettato dai propri progetti, è preponderante la prima, e ciò è giustificabile fino alla curva: io, come altri, rivolgo la mia vocazione interiore alla matematica, ne ammiro le componenti e ne rispetto l'integrità e le regole, dedicandomi ad essa con volontà e interesse, in modo che un giorno diventi il mio biglietto da visita, non come lavoratore, ma come uomo; vedere altra gente, nella mia stessa posizione, che ne fa uno strumento per racimolare un pezzo di carta, e lo fa approssimandola, squarciandola e detestandola mi fa rabbia. La comprensione dei fatti necessita di un percorso di studio che conseguentemente forma un percorso interiore, una storia "materiale" fatta di idee e fantasia, e di rivelazioni importantissime, che forse ognuno di noi dovrebbe vivere, perché si ramificano in ogni parte del proprio essere e lo migliorano. Ma tutto ciò non è ovviamente obbligatorio, anzi, è una bella grana. Se però si decide di "fare magia", allora bisogna farla bene: non esistono i compromessi, in Matematica.

Epimenide93
"DavideGenova":
Questo tipo di approccio, mi si fa notare, non è proprio la norma tra i matematici, tra cui vige una consultazione dei testi più che una loro lettura dall'inizio alla fine.

Direi che ciò è tutto sommato falso, o quantomeno incompleto. Avere un testo unico di riferimento, specie la prima volta che ci si avvicina ad un argomento (con ciò intendo un qualsiasi "cambio di paradigma", che si tratti di vedere per la prima volta la topologia algebrica o di passare dall'analisi reale a quella complessa) è fondamentale. Per una serie di ragioni (tra cui il fatto che discipline diverse sono fortemente interconnesse e quindi uno stesso argomento può essere affrontato da punti di vista molto diversi tra loro) non esistono testi completi, e dal momento che certamente il tempo per studiare integralmente tutti i testi dai quali si vuole estrarre qualcosa non c'è, il compromesso che di solito si raggiunge è quello di fissare un testo come riferimento, da sviscerare e studiare da cima a fondo, e integrare a seconda delle proprie necessità e del proprio gusto tramite la consultazione di altri testi. Avere un testo di riferimento è fondamentale sia per avere un percorso logico coerente all'interno del quale sviluppare lo studio materia (le materie si possono approcciare in prima istanza solo in maniera lineare, mentre i vari rami della matematica compongono una trama piuttosto complessa), sia per avere una prima impostazione di fondo per ciò che riguarda il metodo stricto sensu, una sorta di morale provvisoria di descartiana memoria. Altrimenti si corre il grossissimo rischio di cascare in qualche loop logico o di sviluppare l'intera teoria che si va a studiare in maniera infondata. Definiamo i naturali come cardinali finiti e dimostriamo l'induzione matematica come un teorema o definiamo i naturali con gli assiomi di Peano? Il principio del minimo è un assioma o un teorema? In prima istanza non si può fare uno studio parallelo delle possibili fondazioni, se ne deve seguire una per avere le idee chiare e lavorare in maniera coerente, per lo meno se si vuole sperare di capire qualcosa, una volta raggiunta una certa maturità e una certa "stabilità" sull'argomento si può mettere in discussione l'approccio seguito. D'altro canto limitarsi ad un unico testo dà una visione piuttosto limitata ed alla lunga può essere anche controproducente. Concetti come la misurabilità di una funzione o l'orientabilità di una varietà sono definite su testi diversi in modi anche molto diversi, finalizzati all'impostazione che l'autore vuole dare al testo. Incontrare le diverse definizioni e riconoscerne (o meglio dimostrarne) l'equivalenza è importante per avere una visione dinamica dei problemi che si affrontano e per sviluppare un'intuizione che non sia subordinata allo stile dei pochi autori coi quali si è venuti in contatto. Inoltre, è importante mettere in evidenza che sebbene tutti i testi di matematica sono, per la natura della materia, scritti rispettando un certo ordine logico, ci sono testi che sono dei veri e propri corsi fatti per essere studiati da cima a fondo, mentre ci sono testi nati col preciso scopo di essere delle reference, in cui l'apporto didattico è praticamente assente. Ovviamente ci sono vie di mezzo, ma in genere l'autore stesso nell'introduzione del proprio libro tiene a specificare lo scopo del testo e in linea di massima è saggio rispettarlo. Inoltre la matematica è una materia che si studia a più livelli, spesso è utile o addirittura fondamentale tornare su concetti già assimilati e digeriti per riguardarli da un punto di vista superiore e riconsiderare il tutto sotto una luce diversa. Alle elementari ci insegnano il concetto di numero primo e di massimo comune divisore, un testo/corso di algebra ci insegna gli stessi concetti in un dominio d'integrità distinguendo tra le nozioni "elemento primo" ed "elemento irriducibile", che per gli interi coincidono; le ragioni per introdurre in un preciso momento un certo concetto in un determinato modo sono chiare: ogni tanto è necessario ritornare da dove si è partiti e conoscere il posto per la prima volta, per parafrasare Eliot. Per fare questo è necessario mediare tra i nostri primi amori (tornare attivamente su testi che abbiamo già studiato) ed il nostro attuale corteggiamento. Insomma anche un testo in prima istanza sviscerato può trasformarsi in reference e viceversa. In breve, il mondo della matematica è vasto ed ogni esploratore sceglie la propria strategia, ma piantare dei riferimenti stabili qui e lì è in ogni caso fondamentale se non si vuole errare (in tutte le accezioni) ed i nostri riferimenti stabili sono i libri che abbiamo interiorizzato.

jitter1
Dovrebbero mescolarci un po', Davide: io non riesco a essere così sistematica, o forse non lo voglio essere.
Studiare un testo nei dettagli da cima a fondo, se ci riesci, è un certamente una buona cosa; nel mio caso, però, rischio di disperdere energie. L'ho fatto una volta, col famoso (famigerato) Sernesi, per il quale ho impiegato molta fatica, col risultato che nel tempo mi sono rimaste le stesse cose che avrei imparato da una dispensa sintetica (oddio, sintetico lo è, volevo dire da una dispensa più "semplice"). Con questo, ovviamente, non voglio dire che sia stato inutile lo sforzo, ma che il problema degli autodidatti (o almeno uno dei miei problemi) non è tanto la comprensione del testo, ma il trovare la strada globale meno inutilmente ripida. Per questo per quest'anno ho intenzione di prendere qualche lezione, per farmi aiutare soprattutto a programmare un percorso personale che non sia squilibrato (parlo del mio percorso, Davide).
Sul metodo, in genere leggo cercando di anticipare la dimostrazione, se non ha l'aria di essere troppo complessa, e poi cerco i temi d'esame su internet. Per la memorizzazione, sono in una fase sperimentale.

ROMA911
"fractalius":
Ma la rappresentatività statistica può non essere indice di valore, bensì di tendenza comune: ognuno fondamentalmente ha un metodo personale, che calza alle proprie esigenze e ai propri gusti, e l'unicità usuale non rende un possibile metodo meno efficiente. Tant'è che vedo gente di una certa diligenza ignorare fatti studiati pochi mesi prima sfruttando il metodo da te descritto, e persone dal certosino interesse nei confronti della bibliografia estendere i propri confini intellettuali solo con la (faticosa) lettura. E poi non penso che ciò di cui parli sia attuabile nella matematica a tutti i livelli: poca teoria e tanti esercizi? Sono noti al grande pubblico i beceri calcolacci dei teorici delle categorie allora, o di quelli che si occupano di topologia algebrica! Tutto questo a meno di considerare prove, verifiche, osservazioni e dimostrazioni varie esercizi, ma nei primi anni di studio e nei primi esami è difficile che succeda: se succede, voglio vedere dove si arriva senza sapere i dettagli della trattazione.


Evidentemente, non ci capiamo. Quanto ho esposto non rappresenta la proposta di un metodo, ma la pura descrizione di prassi molto diffuse. E concordo sul fatto che i risultati non sono poi così lontani da quelli che indichi anche tu.

Volevo, per altro, descrivere anche fattori di contesto. E' chiaro che, se nessuno ti chiede mai le dimostrazioni, verrà dedicato più sforzo - o quasi tutto - alla preparazione degli esercizi per acquisire maggiore familiarità e superare bene i "compitini". Se viene posta molta enfasi sulle dispense, difficilmente i colleghi consulteranno libri et c. . . .
Neppure il mondo delle facoltà scientifiche rappresenta un mondo ideale e, se uno che non è proprio un genietto non intende stazionarci molto tempo, non può non risentire dei vincoli ambientali e riuscire a sviluppare un metodo ideale di studio, come se i voti e le tempistiche non contassero. Le singole individualità implicano certamente unicità metodologiche, ma i vincoli ambientali e le aspettative specifiche dei professori - indubbiamente - influenzano gli studenti e rendono piuttosto simili i comportamenti di studio.

fractalius
Ma la rappresentatività statistica può non essere indice di valore, bensì di tendenza comune: ognuno fondamentalmente ha un metodo personale, che calza alle proprie esigenze e ai propri gusti, e l'unicità usuale non rende un possibile metodo meno efficiente. Tant'è che vedo gente di una certa diligenza ignorare fatti studiati pochi mesi prima sfruttando il metodo da te descritto, e persone dal certosino interesse nei confronti della bibliografia estendere i propri confini intellettuali solo con la (faticosa) lettura. E poi non penso che ciò di cui parli sia attuabile nella matematica a tutti i livelli: poca teoria e tanti esercizi? Sono noti al grande pubblico i beceri calcolacci dei teorici delle categorie allora, o di quelli che si occupano di topologia algebrica! Tutto questo a meno di considerare prove, verifiche, osservazioni e dimostrazioni varie esercizi, ma nei primi anni di studio e nei primi esami è difficile che succeda: se succede, voglio vedere dove si arriva senza sapere i dettagli della trattazione.

ROMA911
"fractalius":
[quote="ROMA91"]Ho effettuato una specie di inchiesta tra matematici e ingegneri. Un tratto comune - almeno per chi va bene o abbastanza bene - consiste nell'ottimizzare il risultato e ottimizzare lo sforzo - al minimo -. Mi spiego. Forte attenzione in aula, dove si cerca di capire il più possibile, grandissima attenzione quando vengono svolti esercizi e, a casa, tuffo immediato negli esercizi. Consultazione della teoria solo se davvero non s'è capito, ma - quasi esclusivamente - soltanto su appunti e dispense. Se superi bene i compitini, puoi passare un esame anche con voti molto alti e non andare all'orale. Le dimostrazioni possono essere chieste soltanto all'orale. Tutto ciò anche perché il tempo non basta mai, i professori consigliano diversi libri, ma, poi, sostanzialmente, chiedono quanto fatto da loro a lezione e che si trova nelle loro dispense, che contengono anche esercizi molto utili, perché, poi, ne vengono richiesti di molto simili. Anche a chi viene dato 30 e lode non vengono chieste cose al di fuori del contesto descritto - una specie di contratto didattico - e lo studente medio - non i genietti - non possiede la strategia per affrontare i testi. Nemmeno la strategia per "possedere" le dimostrazioni. Che vengono riguardate e talora non bene comprese per alzare il voto in un orale dopo uno scritto non eccezionale anziché attendere il prossimo appello scritto. Anche perché nessuno mai t'insegna mai nulla di valido e generale sulle dimostrazioni. Sembrano tutte fatte "ad hoc", difficilmente inquadrabili e generalizzabili. Spesso la conclusione segue dalle due ultime sibilline paroline del testo, ma il ragazzo non percepisce neppure, tutto e solo proteso a fare esercizi, velocemente, superare lo scritto e progredire verso l'obiettivo finale. Ciò emerge anche in molti interventi. Ci si strugge per capire la soluzione, non per capire se s'è capito né che cosa davvero si sia capito. E te ne accorgi chiedendo agli studenti degli anni successivi. Dalle loro risposte spesso emerge la pragmaticità non di chi ha dimenticato, ma di chi, molto mirato, ha sempre più badato a superare l'esame nell'ambito del paradigma pragmatico che ho cercato di contestualizzare piuttosto che a impegnarsi ad approfondire sui testi o - anche - in se stesso. Ricerca accanita dei testi - e degli svolgimenti - degli esercizi degli appelli precedenti, ma scarsissima consultazione dei testi. D'altronde, durante i compitini, manca sempre il tempo. Credo profondamente nell'evidenza del fatto che chi proprio non sa spiegarti - non sto parlando dei prof., ma dei colleghi - significa che non s'è mai posto il problema di riuscire a capire neppure per se stesso.

L'argomento del topic è il metodo di studio della Matematica, non il metodo per superare gli esami all'università.[/quote]
Non intendo essere polemico e, infatti, condivido che - in assoluto - l'osservazione è corretta. Volevo soltanto esprimere il fatto che un metodo, se non ha una base significativa di persone che davvero lo seguono, può essere interessantissimo, ma raggiunge scarsa rappresentatività statistica. Quanto ho descritto non vale solo in merito al superamento degli esami, ma proprio per quanto riguarda lo studio della matematica. Moltissimi all'università la studiano così. E le persone che studiano seriamente matematica al di fuori dei corsi curricolari sono davvero molto pochi. Tutto qui.

fractalius
"ROMA91":
Ho effettuato una specie di inchiesta tra matematici e ingegneri. Un tratto comune - almeno per chi va bene o abbastanza bene - consiste nell'ottimizzare il risultato e ottimizzare lo sforzo - al minimo -. Mi spiego. Forte attenzione in aula, dove si cerca di capire il più possibile, grandissima attenzione quando vengono svolti esercizi e, a casa, tuffo immediato negli esercizi. Consultazione della teoria solo se davvero non s'è capito, ma - quasi esclusivamente - soltanto su appunti e dispense. Se superi bene i compitini, puoi passare un esame anche con voti molto alti e non andare all'orale. Le dimostrazioni possono essere chieste soltanto all'orale. Tutto ciò anche perché il tempo non basta mai, i professori consigliano diversi libri, ma, poi, sostanzialmente, chiedono quanto fatto da loro a lezione e che si trova nelle loro dispense, che contengono anche esercizi molto utili, perché, poi, ne vengono richiesti di molto simili. Anche a chi viene dato 30 e lode non vengono chieste cose al di fuori del contesto descritto - una specie di contratto didattico - e lo studente medio - non i genietti - non possiede la strategia per affrontare i testi. Nemmeno la strategia per "possedere" le dimostrazioni. Che vengono riguardate e talora non bene comprese per alzare il voto in un orale dopo uno scritto non eccezionale anziché attendere il prossimo appello scritto. Anche perché nessuno mai t'insegna mai nulla di valido e generale sulle dimostrazioni. Sembrano tutte fatte "ad hoc", difficilmente inquadrabili e generalizzabili. Spesso la conclusione segue dalle due ultime sibilline paroline del testo, ma il ragazzo non percepisce neppure, tutto e solo proteso a fare esercizi, velocemente, superare lo scritto e progredire verso l'obiettivo finale. Ciò emerge anche in molti interventi. Ci si strugge per capire la soluzione, non per capire se s'è capito né che cosa davvero si sia capito. E te ne accorgi chiedendo agli studenti degli anni successivi. Dalle loro risposte spesso emerge la pragmaticità non di chi ha dimenticato, ma di chi, molto mirato, ha sempre più badato a superare l'esame nell'ambito del paradigma pragmatico che ho cercato di contestualizzare piuttosto che a impegnarsi ad approfondire sui testi o - anche - in se stesso. Ricerca accanita dei testi - e degli svolgimenti - degli esercizi degli appelli precedenti, ma scarsissima consultazione dei testi. D'altronde, durante i compitini, manca sempre il tempo. Credo profondamente nell'evidenza del fatto che chi proprio non sa spiegarti - non sto parlando dei prof., ma dei colleghi - significa che non s'è mai posto il problema di riuscire a capire neppure per se stesso.

L'argomento del topic è il metodo di studio della Matematica, non il metodo per superare gli esami all'università.

ROMA911
Ho effettuato una specie di inchiesta tra matematici e ingegneri. Un tratto comune - almeno per chi va bene o abbastanza bene - consiste nell'ottimizzare il risultato e ottimizzare lo sforzo - al minimo -. Mi spiego. Forte attenzione in aula, dove si cerca di capire il più possibile, grandissima attenzione quando vengono svolti esercizi e, a casa, tuffo immediato negli esercizi. Consultazione della teoria solo se davvero non s'è capito, ma - quasi esclusivamente - soltanto su appunti e dispense. Se superi bene i compitini, puoi passare un esame anche con voti molto alti e non andare all'orale. Le dimostrazioni possono essere chieste soltanto all'orale. Tutto ciò anche perché il tempo non basta mai, i professori consigliano diversi libri, ma, poi, sostanzialmente, chiedono quanto fatto da loro a lezione e che si trova nelle loro dispense, che contengono anche esercizi molto utili, perché, poi, ne vengono richiesti di molto simili. Anche a chi viene dato 30 e lode non vengono chieste cose al di fuori del contesto descritto - una specie di contratto didattico - e lo studente medio - non i genietti - non possiede la strategia per affrontare i testi. Nemmeno la strategia per "possedere" le dimostrazioni. Che vengono riguardate e talora non bene comprese per alzare il voto in un orale dopo uno scritto non eccezionale anziché attendere il prossimo appello scritto. Anche perché nessuno mai t'insegna mai nulla di valido e generale sulle dimostrazioni. Sembrano tutte fatte "ad hoc", difficilmente inquadrabili e generalizzabili. Spesso la conclusione segue dalle due ultime sibilline paroline del testo, ma il ragazzo non percepisce neppure, tutto e solo proteso a fare esercizi, velocemente, superare lo scritto e progredire verso l'obiettivo finale. Ciò emerge anche in molti interventi. Ci si strugge per capire la soluzione, non per capire se s'è capito né che cosa davvero si sia capito. E te ne accorgi chiedendo agli studenti degli anni successivi. Dalle loro risposte spesso emerge la pragmaticità non di chi ha dimenticato, ma di chi, molto mirato, ha sempre più badato a superare l'esame nell'ambito del paradigma pragmatico che ho cercato di contestualizzare piuttosto che a impegnarsi ad approfondire sui testi o - anche - in se stesso. Ricerca accanita dei testi - e degli svolgimenti - degli esercizi degli appelli precedenti, ma scarsissima consultazione dei testi. D'altronde, durante i compitini, manca sempre il tempo. Credo profondamente nell'evidenza del fatto che chi proprio non sa spiegarti - non sto parlando dei prof., ma dei colleghi - significa che non s'è mai posto il problema di riuscire a capire neppure per se stesso.

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