Matematica bourbakista
Salve a tutti, ho trovato ben poche cose sul forum a riguardo, qualcuno puo spiegarmi meglio cosa è?
A quanto ho capito è un nuovo approccio alla matematica, completamente riscritta, introducendo notazioni e concetti nuovi che prvilgiano l'intuito anzichè il ragionamento stesso... HO sentito che per quanto sia un metodo rivoluzionario, molte delle sue teorie sono alla base di tante dimostrazioni attualissime..!
A quanto ho capito è un nuovo approccio alla matematica, completamente riscritta, introducendo notazioni e concetti nuovi che prvilgiano l'intuito anzichè il ragionamento stesso... HO sentito che per quanto sia un metodo rivoluzionario, molte delle sue teorie sono alla base di tante dimostrazioni attualissime..!
Risposte
"hamming_burst":
levami una curiosità: quella che tu chiami "Godel Spector Dialectica" (dove è la prima volta che sento tale nome) e ciò che definisci sopra, non è un po' quello che accade nelle semantiche del model checking (temporal/tree logic perciò CTL, LTL,...) o son io che ho travisato?
Direi di no. Il model checking e' strettamente legato al concetto di verita' di un enunciato in un modello. Ma esiste un modo molto piu' profondo di concepire e interpretare gli enunciati matematici. Il punto di partenza e' l'osservazione che la verita' e' un concetto piuttosto sterile e privo di interesse, essendo accessibile soltanto attraverso le dimostrazioni. In altri termini, per noi, vero=dimostrabile. Quindi non ci si interessa piu' nel descrivere la verita', ma la dimostrabilita'.
E allora ci si e' accorti che da una dimostrazione di un enunciato si posso estrarre molte piu' informazioni del semplice fatto che l'enunciato e' vero: si e' scoperto che gli enunciati dimostrabili sono realizzabili. In altri termini, ogni dimostrazione matematica non e' altro che un insieme di istruzioni algoritmiche, che permettono di realizzare concretamente la verita' dell'enunciato dimostrato. Ad esempio, l'enunciato per ogni x esiste y tale che P(x,y) viene realizzato da un algoritmo che mappa un x in un y tale che P(x,y) e' vera.
Quello che Godel, Spector e altri hanno scoperto e' che esistono modelli dell'Analisi in cui tutti gli oggetti matematici sono calcolabili, ovvero sono funzionali computabili di tipo finito. Quindi si puo' assumere che tutte le funzioni da N in N, tutti i funzionali da N->N in N, i funzionali di funzionali etc… siano effettivamente calcolabili. A quel punto tutte le proposizioni matematiche dimostrabili diventano realizzabili algoritmicamente, secondo i concetti che ho tratteggiato nel mio post precedente. E questa interpretazione algoritmica equivale logicamente alla interpretazioni standard della verita' matematica; cioe', essa e' consistente se e solo se l'Analisi e' consistente.
[OT]
levami una curiosità: quella che tu chiami "Godel Spector Dialectica" (dove è la prima volta che sento tale nome) e ciò che definisci sopra, non è un po' quello che accade nelle semantiche del model checking (temporal/tree logic perciò CTL, LTL,...) o son io che ho travisato?
[/OT]
"fields":
Ogni enunciato matematico E, comprese le definizioni, definisce un insieme ||E|| effettivamente calcolabile di test algoritmici, che intuitivamente rappresentano le condizioni che devono essere soddisfatte per "costruire" E. In particolare un enunciato E(x) cha parla di un oggetto matematico x, definisce una funzione dagli oggetti z candidati a soddisfare E(x) a un insieme di test ||E(z)||. Ora una costruzione di un oggetto z zara' ancora un algoritmo A che passa tutti i test in ||E(z)||. In piu', la stessa nozione di passare il test e' algoritmica: esiste un operatore * che prende un algoritmo A e un test p in ||E(z)|| e computa A*p, che rappresenta un valore di verità' vero o falso, a seconda che A passi il test p o oppure no.
levami una curiosità: quella che tu chiami "Godel Spector Dialectica" (dove è la prima volta che sento tale nome) e ciò che definisci sopra, non è un po' quello che accade nelle semantiche del model checking (temporal/tree logic perciò CTL, LTL,...) o son io che ho travisato?
[/OT]
"lisdap":
Ok, bene sono contento...finalmente credo di aver esaurito tutte le domande di natura fondazionale circa la matematica.
beato te

Ok, ho scritto un pò veloce, giusto per rendere l'idea. Ok, bene sono contento...finalmente credo di aver esaurito tutte le domande di natura fondazionale circa la matematica.
"lisdap":
Allo stesso modo, al valore numerico che rappresenta l'area sotto una determinata curva i matematici hanno assegnato ula dicitura "integrale della funzione ecc..." e un certo simbolo.
Questo è falso.
A parte la doverosa correzione di questo strafalcione, hai capito il concetto che cercavo di esprimere.
"gugo82":
Perché risolvere problemi "pratici" è solo una parte della Matematica.
Se tutta la Matematica fosse ancora del tipo "questo è il problema e questa è la sua soluzione" saremmo ancora nel medioevo e studieremmo sul Liber Abbaci di Fibonacci.*
La Matematica vera parte da alcuni problemi, ne tira fuori concetti astratti e poi li studia; questo studio, dapprima legato (in qualche modo che non sto qui ad approfondire) alla concretezza del problema posto, diviene via via più astratto fino a perdere ogni contatto con il mondo concreto.
Ovviamente, in questa astrattezza ci si può perdere ed, in mancanza di punti fermi concreti, si possono commettere errori dovuti alla scarsa efficacia con cui il linguaggio di tutti i giorni si adatta a situazioni astratte (e di questi errori la Matematica "vecchia" è strapiena).
Nel periodo tra il 1870 ed il 1920 si è diventati sempre più consapevoli delle limitazioni del linguaggio naturale applicato alla Matematica**; ciò ha portato ad una completa revisione del modo di usare il linguaggio in Matematica e del modo di scriverla.
In linea teorica, si è a volte sostenuto che un appropriato linguaggio puramente formale avrebbe potuto sostituire del tutto quello naturale (vedi Leibniz ed il suo calculemus); tuttavia, una posizione massimalista del genere non è approdata a nulla, sia per le enormi difficoltà tipografiche che già segnalavano i Bourbaki (cfr. un mio post precedente) sia per le intrinseche limitazioni dei linguaggi formali scoperte da Goedel.
Pertanto i Matematici hanno fatto di necessità virtù ed hanno osservato che definire "con precisione" in linguaggio naturale i concetti astratti risolveva la maggior parte dei problemi (per lo più linguistici) in cui la vecchia Matematica inciampava di frequente; questo punto di vista è implicito nell'opera dei Bourbaki e nella Matematica che leggiamo oggi.
Proprio da considerazioni del genere, insomma, deriva l'impostazione che ha la Matematica moderna, i.e. "Definizione-Teorema-Dimostrazione".
Si vuole chiarezza, ma non si vuole rinunciare alla sintesi ed alle suggestioni che sono proprie del linguaggio naturale: perciò in ogni libro di Matematica si trovano affiancate formulazze ai ragionamenti spiegati con le parole di ogni giorno.
Ciao, allora, credo di aver capito finalmente la questione circa le definizioni che tanto mi hanno fatto penare.
Le mie idee attuali mi sembrano abbastanza vicine al tuo punto di vista evidenziato, il che mi rincuora.
Il discorso è questo. Così come nel mondo non-matematico l'uomo ha avviato tantissimo tempo fa un processo consistente nell'assegnare nomi e simboli a delle realtà esistenti (materiali), e non esistenti (emozioni, ecc...), allo stesso modo nel mondo matematico. Ad esempio, in termini molto semplicistici, l'uomo ha assegnato ad un certo oggetto la parola elicottero, a un altro oggetto il termine "cuscinetto a sfera", a un altro oggetto la parola albero, ad una certa emozione il termine dolore e così via. Nel mondo matematico, è avvenuto un processo simile. Ad esempio, suppongo che i matematici che si sono occupati di geometria analitica abbiano, in modo del tutto naturale, assegnato la dicitura "intorno sferico del punto x0 (nero)" all'insieme colorato in rosso nella figura:

Allo stesso modo, al valore numerico che rappresenta l'area sotto una determinata curva i matematici hanno assegnato ula dicitura "integrale della funzione ecc..." e un certo simbolo. Analogamente, data la funzione seno e preso l'elemento 90 del dominio, in modo del tutto naturale è stataassegnata al punto 90 la dicitura "punto di massimo relativo o locale" e al numero $sin(90)$ la dicitura massimo relativo o locale per la funzione seno...e così via. Insomma, anche nella matematica è avvenuto un processo di assegnazione di termini, vocaboli oppure di frasi vere e proprie a certe entità, cosi come è accaduto nel mondo reale. Tuttavia, a un certo punto, nella matematica si è iniziata a sentire un'esigenza di rigore. Mi spiego. Quando io assegno all'insieme rosso in figura la dicitura "intorno sferico del punto nero", seguo un criterio intuitivo. Assegno la frase "intorno sferico del punto nero" semplicemente seguendo un criterio intuitivo, il quale mi suggerisce una dicitura di questo tipoo perché l'insieme rosso ha il contorno di un cerchio. Allo stesso modo, quando assegno al valore numerico dell'area sotto la curva la dicitura "integrale ecc...", seguo un criterio intuitivo. Infatti il termine integrale deriva da un termine latino che significa "mettere insieme", e io infatti intuitivamente non ho fatto altro che mettere insieme una serie di rettangolini, motivo per cui uso la parola INTEGRALE. Nel linguaggio comune io assegno il termine "carta" a un determinato oggetto senza seguire una logica ben precisa. Tuttavia, tale fatto può essere tollerato nel mondo quotidiano, ma non nel mondo matematico. Nel linguaggio comune è lecito giustificare il fatto di aver chiamato un certo oggetto "turbocompressore" semplicemente perché esso è un unione di due oggetti, una "turbina" e un "compressore". Ciò, tuttavia, non è ammissibile nella Matematica. Nella matematica non posso giustificare il fatto di aver assegnato all'insieme rosso la dicitura "intorno sferico ddel punto nero" semplicemente affermando che l'insieme rosso è come un cerchio, perciç intorno sferico. Insomma, per farla breve, ad un certo punto nella Matematica è venuta fuori l'esigenza di disporre di un crtierio rigoroso che permettesse di associare a delle entita matematiche delle parole, in sostituzione del criterio intuitivo che prima era comunemente usato. Questo "criterio rigoroso" è costituito dalle definizioni appunto. CI sono secondo te? Scusa se sono stato lungo o se ci sono errori di battiutura.
"fields":
[quote="gugo82"]@ fields: Credo di aver su per giù capito quel che dici; però, come ho detto già a lisdap, quello cui ti riferisci quando parli di algoritmo è l'uso "pratico" che si fa di una definizione, non è la definizione stessa.
Ma la tesi è appunto questa: non c'è alcuna differenza d'espressività tra "uso pratico" (riprendendo le tue parole) e uso astratto![/quote]
Questa posizione (i.e., identificare qualcosa con l'uso che se ne fa) non mi convince del tutto, sia se applicata alle definizioni sia, e soprattutto, se applicata agli oggetti "reali".
"gugo82":
@ fields: Credo di aver su per giù capito quel che dici; però, come ho detto già a lisdap, quello cui ti riferisci quando parli di algoritmo è l'uso "pratico" che si fa di una definizione, non è la definizione stessa.
Ma la tesi è appunto questa: non c'è alcuna differenza d'espressività tra "uso pratico" (riprendendo le tue parole) e uso astratto!
Non per nulla Lewis Carroll era un matematico. Tra l'altro questo suo continuo giocare con le parole rende la versione inglese molto più bella che quelle tradotte.
Comunque magari a qualcuno può interessare http://arxiv.org/abs/math.HO/9307227 e le risposte che ha ricevuto da vari matematici del calibro di Atiyah e Thurston. (per le risposte ci sono i link http://golem.ph.utexas.edu/category/200 ... _on_u.html)
Comunque magari a qualcuno può interessare http://arxiv.org/abs/math.HO/9307227 e le risposte che ha ricevuto da vari matematici del calibro di Atiyah e Thurston. (per le risposte ci sono i link http://golem.ph.utexas.edu/category/200 ... _on_u.html)
@ fields: Credo di aver su per giù capito quel che dici; però, come ho detto già a lisdap, quello cui ti riferisci quando parli di algoritmo è l'uso "pratico" che si fa di una definizione, non è la definizione stessa.
@ lisdap: Tanto per capire, i matematici usano la definizione per far capire alle parole chi è il padrone... Proprio come Humpty Dumpty in Attraverso lo Specchio di Carrol:
@ lisdap: Tanto per capire, i matematici usano la definizione per far capire alle parole chi è il padrone... Proprio come Humpty Dumpty in Attraverso lo Specchio di Carrol:
"I don't know what you mean by 'glory,' " Alice said.
Humpty Dumpty smiled contemptuously. "Of course you don't—till I tell you. I meant 'there's a nice knock-down argument for you!' "
"But 'glory' doesn't mean 'a nice knock-down argument'," Alice objected.
"When I use a word," Humpty Dumpty said, in rather a scornful tone, "it means just what I choose it to mean—neither more nor less."
"The question is," said Alice, "whether you can make words mean so many different things."
"The question is," said Humpty Dumpty, "which is to be master—that's all."
"seven":
Intromettermi dopo un così bel post... quasi mi sento in dovere di scusarmi![]()
parziale OT
Io invece non capisco perchè alcune cose molto buone del modo di "costruirsi" della matematica
(della serie "thò, guarda che cosa comoda, e intelligente.. fa risparmiare un sacco di tempo,
non genera ambiguità e ogni volta che trovo scritta una cosa del genere so che vuol dire")
come la chiarezza Hp --> th --> dimostrazione non venga (almeno non sempre) ripresa per esempio
in corsi o nei testi di ingegneria; parlo quindi del modo di esporre,
di rendere chiari inizio e fine.
Il fatto di seguire alcune "regolette" rende più immediata la spiegazione;
al contrario trovo che facendo uso di un linguaggio molto naturale,
come accade in alcuni corsi di ingegneria, si complichino in realtà le cose
invece di semplificarle, è molto più facile perdersi (per chi segue) e generare ambiguità (per chi spiega).
Altra cosa che non mi piace è la prolificazione di nomi diversi per indicare la stessa cosa
e il linguaggio spesso poco appropriato, nel senso che induce a sbagliate considerazione
sulla natura fisica del fenomeno -ad esempio l'uso del termine sforzo per tensione..-.
Il fatto è che c'é una differenza sostanziare tra come si impara la matematica, come si costruisce la matematica e come, in definitiva, si fa matematica.
Per certi versi una dimostrazione in matematica è quello che per i fisici è l'esperimento. Si ha una ipotesi e la si prova con la dimostrazione. Una volta che si ha finito il tutto, la matematica viene scritta per essere divulgata ad altri esperti del settore nel modo più sintetico e preciso possibile. Questo modo di scrivere è l'unico che permetta a tutti di "ripetere l'esperimento". Ma per il resto i matematici non hanno un elenco di teoremi e definizioni di cui si deve dare una definizione. I matematici discutono sulle dimostrazioni, ne cercano di equivalenti, cercano di avere una conoscenza "interna" della definizione. Ipotizzano teoremi o intere teorie e cose così.
Quello che un ingegnere ha bisogno non è necessariamente l'esperimento, ma più che altro il risultato. E quello che devono imparare non è tanto che un risultato è vero ma il significato di quel risultato e che implicazioni ha.
Bisogna comunque dire che anche per i matematici i primi libri sono più "commentati" di quelli avanzati. Anche se esistono libri per matematici con scopi "intuitivi/divulgativi", specialmente in geometria e topologia, che servono a creare l'aspetto culturale nascosto del sistema definizioni-teoremi-dimostrazioni.
D'altra parte è difficile dimostrare teoremi di geometria sintetica senza "vederla", anche se il "vederla" è pericoloso.
Tra l'altro esistono correnti di pensiero secondo cui la continua ricerca di teoremi "semi-inutili" (richiesti da alcuni criteri "oggettivi" di qualità

"perplesso":
[quote="fields"]tutto in matematica si può interpretare in termini puramente algoritmici.

E' una interpretazione piuttosto bizzarra di quello che ho detto...

"fields":
tutto in matematica si può interpretare in termini puramente algoritmici.

"lisdap":
Io per algoritmo intendo un insieme di istruzioni, come nellì'esempio che sta nel link che ho postato sopra.
Comunque, ho capito che, come mi avete detto, le definizioni matematiche non sono degli algoritmi, e me ne sono convinto.
Vorrei invece salvare parte della tua tesi, che non e' così ingenua, anzi molto interessante e molto studiata da una branca ormai molto sofisticata della Logica. E' stato dimostrato -- da Godel e Spector per l'Analisi e piu' recentemente da Girard e Krivine per la teoria degli insiemi -- che tutto in matematica si può interpretare in termini puramente algoritmici.
Saro' sintetico, quasi lapidario. Ogni enunciato matematico E, comprese le definizioni, definisce un insieme ||E|| effettivamente calcolabile di test algoritmici, che intuitivamente rappresentano le condizioni che devono essere soddisfatte per "costruire" E. In particolare un enunciato E(x) cha parla di un oggetto matematico x, definisce una funzione dagli oggetti z candidati a soddisfare E(x) a un insieme di test ||E(z)||. Ora una costruzione di un oggetto z zara' ancora un algoritmo A che passa tutti i test in ||E(z)||. In piu', la stessa nozione di passare il test e' algoritmica: esiste un operatore * che prende un algoritmo A e un test p in ||E(z)|| e computa A*p, che rappresenta un valore di verità' vero o falso, a seconda che A passi il test p o oppure no.
Mi rendo conto che tutto e' un po' vago. Per maggiori informazioni, cercare: Godel Spector Dialectica interpretation oppure Realizability, e buona fortuna, non sono concetti molto user friendly

Intromettermi dopo un così bel post... quasi mi sento in dovere di scusarmi
parziale OT
Io invece non capisco perchè alcune cose molto buone del modo di "costruirsi" della matematica
(della serie "thò, guarda che cosa comoda, e intelligente.. fa risparmiare un sacco di tempo,
non genera ambiguità e ogni volta che trovo scritta una cosa del genere so che vuol dire")
come la chiarezza Hp --> th --> dimostrazione non venga (almeno non sempre) ripresa per esempio
in corsi o nei testi di ingegneria; parlo quindi del modo di esporre,
di rendere chiari inizio e fine.
Il fatto di seguire alcune "regolette" rende più immediata la spiegazione;
al contrario trovo che facendo uso di un linguaggio molto naturale,
come accade in alcuni corsi di ingegneria, si complichino in realtà le cose
invece di semplificarle, è molto più facile perdersi (per chi segue) e generare ambiguità (per chi spiega).
Altra cosa che non mi piace è la prolificazione di nomi diversi per indicare la stessa cosa
e il linguaggio spesso poco appropriato, nel senso che induce a sbagliate considerazione
sulla natura fisica del fenomeno -ad esempio l'uso del termine sforzo per tensione..-.

parziale OT
Io invece non capisco perchè alcune cose molto buone del modo di "costruirsi" della matematica
(della serie "thò, guarda che cosa comoda, e intelligente.. fa risparmiare un sacco di tempo,
non genera ambiguità e ogni volta che trovo scritta una cosa del genere so che vuol dire")
come la chiarezza Hp --> th --> dimostrazione non venga (almeno non sempre) ripresa per esempio
in corsi o nei testi di ingegneria; parlo quindi del modo di esporre,
di rendere chiari inizio e fine.
Il fatto di seguire alcune "regolette" rende più immediata la spiegazione;
al contrario trovo che facendo uso di un linguaggio molto naturale,
come accade in alcuni corsi di ingegneria, si complichino in realtà le cose
invece di semplificarle, è molto più facile perdersi (per chi segue) e generare ambiguità (per chi spiega).
Altra cosa che non mi piace è la prolificazione di nomi diversi per indicare la stessa cosa
e il linguaggio spesso poco appropriato, nel senso che induce a sbagliate considerazione
sulla natura fisica del fenomeno -ad esempio l'uso del termine sforzo per tensione..-.
"lisdap":
perché i matematici hanno scritto, oltre all'algoritmo, anche quella definizione? [...] Non si potevano fermare all'algoritmo?
Perché risolvere problemi "pratici" è solo una parte della Matematica.
Se tutta la Matematica fosse ancora del tipo "questo è il problema e questa è la sua soluzione" saremmo ancora nel medioevo e studieremmo sul Liber Abbaci di Fibonacci.*
La Matematica vera parte da alcuni problemi, ne tira fuori concetti astratti e poi li studia; questo studio, dapprima legato (in qualche modo che non sto qui ad approfondire) alla concretezza del problema posto, diviene via via più astratto fino a perdere ogni contatto con il mondo concreto.
Ovviamente, in questa astrattezza ci si può perdere ed, in mancanza di punti fermi concreti, si possono commettere errori dovuti alla scarsa efficacia con cui il linguaggio di tutti i giorni si adatta a situazioni astratte (e di questi errori la Matematica "vecchia" è strapiena).
Nel periodo tra il 1870 ed il 1920 si è diventati sempre più consapevoli delle limitazioni del linguaggio naturale applicato alla Matematica**; ciò ha portato ad una completa revisione del modo di usare il linguaggio in Matematica e del modo di scriverla.
In linea teorica, si è a volte sostenuto che un appropriato linguaggio puramente formale avrebbe potuto sostituire del tutto quello naturale (vedi Leibniz ed il suo calculemus); tuttavia, una posizione massimalista del genere non è approdata a nulla, sia per le enormi difficoltà tipografiche che già segnalavano i Bourbaki (cfr. un mio post precedente) sia per le intrinseche limitazioni dei linguaggi formali scoperte da Goedel.
Pertanto i Matematici hanno fatto di necessità virtù ed hanno osservato che definire "con precisione" in linguaggio naturale i concetti astratti risolveva la maggior parte dei problemi (per lo più linguistici) in cui la vecchia Matematica inciampava di frequente; questo punto di vista è implicito nell'opera dei Bourbaki e nella Matematica che leggiamo oggi.
Proprio da considerazioni del genere, insomma, deriva l'impostazione che ha la Matematica moderna, i.e. "Definizione-Teorema-Dimostrazione".
Si vuole chiarezza, ma non si vuole rinunciare alla sintesi ed alle suggestioni che sono proprie del linguaggio naturale: perciò in ogni libro di Matematica si trovano affiancate formulazze ai ragionamenti spiegati con le parole di ogni giorno.
__________
* In generale, tutti i libri di Matematica del 1200 erano come il Liber fibonacciano: insomma, erano per lo più manuali con esercizi svolti su come si convertivano somme di denaro in altra valuta, su come si convertivano i volumi, o su come fare "a occhio" contacci lunghi e tediosi (tipo determinare i volumi dei contenitori o calcolare gli interessi sui prestiti)... Questa era la Matematica che serviva ai mercanti, i quali si trovavano a dover comprare/vendere beni in monete distinte da stato a stato.
** E.g., in Teoria degli Insiemi, non ha senso parlare di "insieme di tutti gli insiemi", seppure questa sia un'espressione lecita nel linguaggio naturale.
"gugo82":
Innanzitutto, cos'è per te un algoritmo?
Io per algoritmo intendo un insieme di istruzioni, come nellì'esempio che sta nel link che ho postato sopra.
Comunque, ho capito che, come mi avete detto, le definizioni matematiche non sono degli algoritmi, e me ne sono convinto. Tuttavia, non posso non chiedermi: perché i matematici hanno introdotto tutte queste definizioni? Infatti, come ho già detto da qualche altra parte, la matematica di un pò di tempo fa non era fatta di definizioni. Ho un libro di analisi, datato 1795, che parla dell'analisi introdotta da Leibniz e nel quale non compare neppure una definizione! Forse le definizioni matematiche sono state introdotte nel momento in cui si è sentita l'esigenza di rigore? Cioè, mi spiego meglio. Da quello che ho letto, Fermat, pioniere della geometria analitica (insieme a Descartes), si è posto fra i tanti problemi quello di determinare l'area che il grafico di una funzione formava con il suo dominio (tale problema se l'erano posti anche i Greci però questi non avevano la rappresentazione della curva in termini di equazione/funzione). Questo problema è stato risolto in un certo modo (che non sto qui a descrivere), e dunque è stato creato un certo algoritmo. Questo algoritmo ha subito poi una lenta serie di modificazioni, fino ad arrivare alla versione attuale formulata da Riemann. L'algoritmo di cui parlo è quello che sta scritto a pag. 258 e 259 del bramanti -pagani-salsa. Ora subito dopo la presentazione di quest'algoritmo il libro enuncia la solita definizione di integrale che ha scritto anche retrocomputer. Domanda: perché i matematici hanno scritto, oltre all'algoritmo, anche quella definizione? Per motivi logici, di rigore? Non si potevano fermare all'algoritmo? Spero di essermi fatto capire.
@ retrocomputer: Usi il Giusti, scommetto.
Ad ogni buon conto, anche usando quella definizione lì si può andare a verificare "a mano" se una funzione è integrabile o meno... Solo che è un po' più complicato.
Ad ogni buon conto, anche usando quella definizione lì si può andare a verificare "a mano" se una funzione è integrabile o meno... Solo che è un po' più complicato.

Salve gugo82,
era da molto tempo che non mettevo piede in una discussione, però vedo che sono ricordato!!!
Guarda non ho intenzione di andarmi a leggere pagine della discussione però come ho già ribadito in molti post i miei sono ed erano solamente semplici curiosità matematiche, come direbbero molti "seghe mentali"... Io sono il primo che ripugna l'eccessivo formalismo anche nelle definizioni però mi piace talvolta soffermarmi per un pò anche se non mi porterà a nulla di buono! Ti ringrazio comunque del consiglio e quando non avrò nulla da fare forse leggerò la discussione!
Saluti!!
"gugo82":
A quanto già detto lì, sulla definizione come fatto puramente linguistico e semplificativo, potreste meditare sul seguente fatto (consiglio una meditazione profonda soprattutto a garnak.olegovic).
era da molto tempo che non mettevo piede in una discussione, però vedo che sono ricordato!!!


Guarda non ho intenzione di andarmi a leggere pagine della discussione però come ho già ribadito in molti post i miei sono ed erano solamente semplici curiosità matematiche, come direbbero molti "seghe mentali"... Io sono il primo che ripugna l'eccessivo formalismo anche nelle definizioni però mi piace talvolta soffermarmi per un pò anche se non mi porterà a nulla di buono! Ti ringrazio comunque del consiglio e quando non avrò nulla da fare forse leggerò la discussione!

Saluti!!

Secondo me certi autori tendono a definire le cose in modo troppo poco astratto
Invece sul mio libro di Analisi 1 l'integrale $I(f)$ viene definito prima per le funzioni semplici (ed è una ben precisa somma), poi per funzioni limitate e nulle fuori di un intervallo così:
Definizione. Una funzione $f$ si dice integrabile se, indicati con $S_1$ la classe delle funzioni semplici maggioranti la $f$ e con $S_2$ la classe delle funzioni semplici minoranti la $f$, risulta $Sup_{f_2\in S_2}I(f_2)=Inf_{f_1\in S_1}I(f_1)=\lambda$, e in tal caso $\lambda$ si chiama integrale di $f$.
Mi pare evidente che non c'è un algoritmo sotto, visto che non è molto praticabile l'operazione di prendere tutte le funzioni semplici maggioranti e minoranti e farne rispettivamente l'estremo inferiore e superiore, no?

Definizione. Una funzione $f$ si dice integrabile se, indicati con $S_1$ la classe delle funzioni semplici maggioranti la $f$ e con $S_2$ la classe delle funzioni semplici minoranti la $f$, risulta $Sup_{f_2\in S_2}I(f_2)=Inf_{f_1\in S_1}I(f_1)=\lambda$, e in tal caso $\lambda$ si chiama integrale di $f$.
Mi pare evidente che non c'è un algoritmo sotto, visto che non è molto praticabile l'operazione di prendere tutte le funzioni semplici maggioranti e minoranti e farne rispettivamente l'estremo inferiore e superiore, no?