Matematica bourbakista
Salve a tutti, ho trovato ben poche cose sul forum a riguardo, qualcuno puo spiegarmi meglio cosa è?
A quanto ho capito è un nuovo approccio alla matematica, completamente riscritta, introducendo notazioni e concetti nuovi che prvilgiano l'intuito anzichè il ragionamento stesso... HO sentito che per quanto sia un metodo rivoluzionario, molte delle sue teorie sono alla base di tante dimostrazioni attualissime..!
A quanto ho capito è un nuovo approccio alla matematica, completamente riscritta, introducendo notazioni e concetti nuovi che prvilgiano l'intuito anzichè il ragionamento stesso... HO sentito che per quanto sia un metodo rivoluzionario, molte delle sue teorie sono alla base di tante dimostrazioni attualissime..!
Risposte
"lisdap":
Allora, tutta la costruzione che conduce alle somme superiori e inferiori di cui poi si fa il limite per n che tende a più infinito è un algoritmo?
Non lo so... Dipende.
Innanzitutto, cos'è per te un algoritmo?
La costruzione che hai descritto è quella che si fa quando si vuole provare che una funzione (limitata) è integrabile (su un compatto): infatti, fai quella costruzione con l'intento di andare a vedere se la tua funzione soddisfa o no la definizione di funzione integrabile.
Allora, tutta la costruzione che conduce alle somme superiori e inferiori di cui poi si fa il limite per n che tende a più infinito è un algoritmo?
"lisdap":
- RISOLVO UN PROBLEMA;
- ELABORO DUNQUE L'ALGORITMO CORRISPONDENTE, che, a detta del libro, costituisce la definizione di integrale.
Ma anche no.
La definizione di funzione integrabile (e conseguentemente, la definizione di integrale) non è "l'algoritmo corrispondente" alla soluzione di un problema. Questa è quasi certamente una tua illazione, non sono parole del libro.
"Delirium":
La domanda potrebbe anche essere autoreferenziale visto che stai cercando la definizione di definizione.
Dal punto di vista "pratico", all'interno dell'edificio matematico c'è la necessità di mettersi d'accordo intorno ad un certo concetto, ad un certo ente: si procede pertanto a definirlo in modo che se ne possa parlare in maniera piana - ed è appunto per evitare di parlare del nulla, come fanno i filosofi, che i matematici definiscono.
No, dai... non è vero che i filosofi parlano del nulla, poi spesso matematico e filosofo sono la stessa persona.
Umm, grazie per le vostre risposte, però non ne sono convinto al 100%. Ad esempio il bramanti pagani salsa sull'integrale di una variabile fa questo discorso (pag. 258).
PROBLEMA: determinare l'area che il grafico della funzione parabola forma con l'asse delle ascisse da un certo punto ad un altro.
Il problema viene risolto dal testo attraverso una serie finita di passi.
Dopo aver risolto quel problema, dice: "La definione di integrale che daremo segue questi stessi passi".
Sia $f:[a,b]->RR, limitata$. Consideriamo la suddivisione dell'intervallo individuata dai punti...............
....costruiamo la somma di Cauchy-Riemann.....ecc...e poi passa al limite, sperando di ottenere un risultato significativo.
Beh, io queste righe scritte sul libro non riesco a non vederle come un algoritmo (ricavato subito dopo aver risolto il problema sopra indicato). Stesso discorso per le altre definizioni. Altra cosa: molto spesso si sente dire che la derivata, l'integrale, il differenziale ecc.. sono degli OPERATORI. Mi chiedo, dunque: come si fa a vedere la derivata, l'integrale ecc...come OPERATORI se senza pensare le loro rispettive definizioni come ALGORITMI? Se io vedo le varie definizioni come ALGORITMI, diventa evidente anche il concetto di OPERATORE.
Posto un link in cui si dice qualcosa di interessante sugli algoritmi:
http://www.sapere.it/enciclopedia/algoritmo.html
Avrò anche la testa dura, però come al solito i testi non sono campioni di chiarezza. L'approccio del bramanti sugli integrali normali e doppi mi sembra evidente e indiscutibile:
- RISOLVO UN PROBLEMA;
- ELABORO DUNQUE L'ALGORITMO CORRISPONDENTE, che, a detta del libro, costituisce la definizione di integrale.
SOno arrivato a pensare che si è giunti alla definizione attuale di derivata attraverso una lenta serie di modificazioni introdotte sugli algoritmo inventato da Fermat per risolvere il problema della determinazione della tangente in un punto di una curva (problema noto anche ai Greci, i quali, però, a differenza di Fermat non conoscevano la geometria analitica e quindi il fatto che equazioni e funzioni potessero essere rappresentate come curve geometriche).
PROBLEMA: determinare l'area che il grafico della funzione parabola forma con l'asse delle ascisse da un certo punto ad un altro.
Il problema viene risolto dal testo attraverso una serie finita di passi.
Dopo aver risolto quel problema, dice: "La definione di integrale che daremo segue questi stessi passi".
Sia $f:[a,b]->RR, limitata$. Consideriamo la suddivisione dell'intervallo individuata dai punti...............
....costruiamo la somma di Cauchy-Riemann.....ecc...e poi passa al limite, sperando di ottenere un risultato significativo.
Beh, io queste righe scritte sul libro non riesco a non vederle come un algoritmo (ricavato subito dopo aver risolto il problema sopra indicato). Stesso discorso per le altre definizioni. Altra cosa: molto spesso si sente dire che la derivata, l'integrale, il differenziale ecc.. sono degli OPERATORI. Mi chiedo, dunque: come si fa a vedere la derivata, l'integrale ecc...come OPERATORI se senza pensare le loro rispettive definizioni come ALGORITMI? Se io vedo le varie definizioni come ALGORITMI, diventa evidente anche il concetto di OPERATORE.
Posto un link in cui si dice qualcosa di interessante sugli algoritmi:
http://www.sapere.it/enciclopedia/algoritmo.html
Avrò anche la testa dura, però come al solito i testi non sono campioni di chiarezza. L'approccio del bramanti sugli integrali normali e doppi mi sembra evidente e indiscutibile:
- RISOLVO UN PROBLEMA;
- ELABORO DUNQUE L'ALGORITMO CORRISPONDENTE, che, a detta del libro, costituisce la definizione di integrale.
SOno arrivato a pensare che si è giunti alla definizione attuale di derivata attraverso una lenta serie di modificazioni introdotte sugli algoritmo inventato da Fermat per risolvere il problema della determinazione della tangente in un punto di una curva (problema noto anche ai Greci, i quali, però, a differenza di Fermat non conoscevano la geometria analitica e quindi il fatto che equazioni e funzioni potessero essere rappresentate come curve geometriche).
Ho pensato io al titolo.
La domanda potrebbe anche essere autoreferenziale visto che stai cercando la definizione di definizione.
Dal punto di vista "pratico", all'interno dell'edificio matematico c'è la necessità di mettersi d'accordo intorno ad un certo concetto, ad un certo ente: si procede pertanto a definirlo in modo che se ne possa parlare in maniera piana - ed è appunto per evitare di parlare del nulla, come fanno i filosofi, che i matematici definiscono.
Il processo che porta ad una definizione credo sia tutt'altro che breve, e si compone probabilmente di tutta una serie di fasi che si susseguono man mano che la comunità degli addetti ai lavori prende coscienza degli enti con cui sta avendo a che fare. E' probabile che si tratti di un'evoluzione in senso hegeliano, ma non voglio iniziare con queste cialtronate, quindi mi limito a buttare l'idea.
E no, a mio parere le definizioni non sono algoritmi (e non vedo in realtà come potrebbero esserlo). Algoritmi sono al massimo i processi che dalle definizioni (punto di partenza comune, universalmente accettato... Credo che tutti i matematici concordino sulla definizione di derivata in senso classico, seppur con tutte le varianti del caso, mentre sfido a trovare due filosofi d'accordo su Dio, o sull'essere) conducono ai risultati, ai teoremi.
Edit. Chiedo all'autore del topic: puoi correggere l'aggettivo nel titolo?
Dal punto di vista "pratico", all'interno dell'edificio matematico c'è la necessità di mettersi d'accordo intorno ad un certo concetto, ad un certo ente: si procede pertanto a definirlo in modo che se ne possa parlare in maniera piana - ed è appunto per evitare di parlare del nulla, come fanno i filosofi, che i matematici definiscono.
Il processo che porta ad una definizione credo sia tutt'altro che breve, e si compone probabilmente di tutta una serie di fasi che si susseguono man mano che la comunità degli addetti ai lavori prende coscienza degli enti con cui sta avendo a che fare. E' probabile che si tratti di un'evoluzione in senso hegeliano, ma non voglio iniziare con queste cialtronate, quindi mi limito a buttare l'idea.
E no, a mio parere le definizioni non sono algoritmi (e non vedo in realtà come potrebbero esserlo). Algoritmi sono al massimo i processi che dalle definizioni (punto di partenza comune, universalmente accettato... Credo che tutti i matematici concordino sulla definizione di derivata in senso classico, seppur con tutte le varianti del caso, mentre sfido a trovare due filosofi d'accordo su Dio, o sull'essere) conducono ai risultati, ai teoremi.
Edit. Chiedo all'autore del topic: puoi correggere l'aggettivo nel titolo?
No.
Però esse stesse possono essere usate (in maniera pressoché algoritmica) per sapere se si sta dicendo una cosa vera o una cosa falsa.
Ad esempio, potresti senza dubbio affermare che \(5\) è il limite per \(x\) che tende ad \(1\) della funzione \(f:\mathbb{R}\ni x\mapsto 3x+1\in \mathbb{R}\) ("senza dubbio" nel senso che ognuno è libero di dire ciò che vuole)... Tuttavia, non appena cerchi di usare la definizione di limite per fugare ogni dubbio sul fatto che \(5\) sia effettivamente il \(\displaystyle \lim_{x\to 1} 3x+1\) vedi che c'è qualcosa che non torna; e da ciò capisci che sei stato avventato, perché stai affermando una cosa falsa.
Però esse stesse possono essere usate (in maniera pressoché algoritmica) per sapere se si sta dicendo una cosa vera o una cosa falsa.
Ad esempio, potresti senza dubbio affermare che \(5\) è il limite per \(x\) che tende ad \(1\) della funzione \(f:\mathbb{R}\ni x\mapsto 3x+1\in \mathbb{R}\) ("senza dubbio" nel senso che ognuno è libero di dire ciò che vuole)... Tuttavia, non appena cerchi di usare la definizione di limite per fugare ogni dubbio sul fatto che \(5\) sia effettivamente il \(\displaystyle \lim_{x\to 1} 3x+1\) vedi che c'è qualcosa che non torna; e da ciò capisci che sei stato avventato, perché stai affermando una cosa falsa.
no era solo un esempio....in altre parole: le def matematiche sono degli algoritmi?
"lisdap":
Ad esempio, se ho risolto il problema A attraverso i 6 passi:
1) Rubo la macchina;
2) vado al supermercato;
2) taglio un tronco;
4) prendo una forchetta;
5) faccio un disegno;
6) chiudo la porta
C'è una logica in questo esempio?
Da quel che ho imparato leggendo il Boyer, i vari matematici, dall'antica grecia sino a qualche centinaio di anni fa, non hanno fatto altro che RISOLVERE PROBLEMI. Quando si ha un problema (anche di natura non matematica), si arriva alla sua soluzione FACENDO QUALCOSA; in particolare, si arriva alla soluzione di un problema matematico attraverso un certo numeri di passi (un problema può essere quello della quadratura del cerchio, della lunula, della trrisezione dell'angolo, della determinazione della tangente geometrica, della determinazione dell'equazione della tangente, della determinazione della lunghezza di una curva, della rettificazione di un arco ecc...). Una volta che è stato risolto un problema A attraverso un numero finito di azioni o passi, si passa in maniera semplice e nhaturale alla determinazione del cosiddetto algoritmo di risoluzione, ossia quell'insieme di istruzioni che ci consente di risolvere il problema A. Ad esempio, se ho risolto il problema A attraverso i 6 passi:
1) Rubo la macchina;
2) vado al supermercato;
2) taglio un tronco;
4) prendo una forchetta;
5) faccio un disegno;
6) chiudo la porta, dove "chiudo la porta" rappresenta la soluzione del mio problema, l'algoritmo che, seguendolo passo passo, mi permette di risolvere il problema A, è fatto da una serie di ORDINI, DI COMANDI, del tipo:
1)RUBA LA MACCHINA
2) VAI AL SUPERMERCATO
3) TAGLIA UN TRONCO
4)PRENDI UNA FORCHETTA
5)FAI UN DISEGNO
6)CHIUDI LA PORTA. Ubbidendo a ogni istruzione che compone il mio algoritmo io ho risolto il mio problema.
Dunque, ricapitolòando, i matematici non hanno fatto altro che risolvere problemi, e, di conseguenza, elaborare algoritmi, i quali con il tempo hanno subito modificazioni. Ad esempio, l'algoritmo usato da fermat poer determinare la tangente a una curva è stato sostituito da Barrow (su consiglio di Newton, come dice il Boyer) con uno più efficiente ecc....
Il nocciolo di tutta la Matematica, dunque, sono questi algoritmi. Ecco perchè io interpreto le definizioni che sono scrite sul mio libro di analisi in termini di algoritmi di questo tipo; perché, se non lo facessi, mi sembrerebbe di studiare il nulla.
1) Rubo la macchina;
2) vado al supermercato;
2) taglio un tronco;
4) prendo una forchetta;
5) faccio un disegno;
6) chiudo la porta, dove "chiudo la porta" rappresenta la soluzione del mio problema, l'algoritmo che, seguendolo passo passo, mi permette di risolvere il problema A, è fatto da una serie di ORDINI, DI COMANDI, del tipo:
1)RUBA LA MACCHINA
2) VAI AL SUPERMERCATO
3) TAGLIA UN TRONCO
4)PRENDI UNA FORCHETTA
5)FAI UN DISEGNO
6)CHIUDI LA PORTA. Ubbidendo a ogni istruzione che compone il mio algoritmo io ho risolto il mio problema.
Dunque, ricapitolòando, i matematici non hanno fatto altro che risolvere problemi, e, di conseguenza, elaborare algoritmi, i quali con il tempo hanno subito modificazioni. Ad esempio, l'algoritmo usato da fermat poer determinare la tangente a una curva è stato sostituito da Barrow (su consiglio di Newton, come dice il Boyer) con uno più efficiente ecc....
Il nocciolo di tutta la Matematica, dunque, sono questi algoritmi. Ecco perchè io interpreto le definizioni che sono scrite sul mio libro di analisi in termini di algoritmi di questo tipo; perché, se non lo facessi, mi sembrerebbe di studiare il nulla.
"lisdap":
La matematica ha raggiunto quest'impostazione solo in tempi recenti; infatti, in un libro di calcolo differenziale del 1795 di cui dispongo, non si accenna minimamente a una definizione oppure ad un teorema.
Non so di che libro tu sia un possesso, ma se tu guardi gli Elementi di Euclide, scritti verosimilmente 2300 anni fa, trovi assiomi, definizioni, proposizioni e teoremi. Anche i greci quindi sapevano già che la matematica si imposta come scienza logico-deduttiva.
Lisdap, questo punto non era stato già chiarito qui?
A quanto già detto lì, sulla definizione come fatto puramente linguistico e semplificativo, potreste meditare sul seguente fatto (consiglio una meditazione profonda soprattutto a garnak.olegovic).
Nel capitolo III del tomo degli Elements sugli Insiemi è riportata una definizione formale di \(1\) (il numero); sempre lì c'è una noticina in cui i Bourbaki stimano in alcune decine di migliaia il numero di simboli logici elementari che servirebbero per dare una definizione completamente formale dello stesso numero.
Recentemente, A. R. Mathias si è interessato al numero effettivo di simboli logici elementari richiesti per completare una definizione del numero \(1\) ed ha notato che i Bourbaki avevano sbagliato la stima di diversi ordini di grandezza... Ma per difetto!
Infatti, per dare una definizione di \(1\) usando solo i simboli logici elementari servono esattamente 4.523.659.424.929 simboli (cfr. A. R. Mathias, A Term of Lenght 4.523.659.424.929, Synthese 133 (2002), pagg. 75–86).
A quanto già detto lì, sulla definizione come fatto puramente linguistico e semplificativo, potreste meditare sul seguente fatto (consiglio una meditazione profonda soprattutto a garnak.olegovic).
Nel capitolo III del tomo degli Elements sugli Insiemi è riportata una definizione formale di \(1\) (il numero); sempre lì c'è una noticina in cui i Bourbaki stimano in alcune decine di migliaia il numero di simboli logici elementari che servirebbero per dare una definizione completamente formale dello stesso numero.
Recentemente, A. R. Mathias si è interessato al numero effettivo di simboli logici elementari richiesti per completare una definizione del numero \(1\) ed ha notato che i Bourbaki avevano sbagliato la stima di diversi ordini di grandezza... Ma per difetto!
Infatti, per dare una definizione di \(1\) usando solo i simboli logici elementari servono esattamente 4.523.659.424.929 simboli (cfr. A. R. Mathias, A Term of Lenght 4.523.659.424.929, Synthese 133 (2002), pagg. 75–86).
A nessuno interessa questa questione?
Come ha detto gugo, e come ho detto anch'io in un topic sulle definizioni matematiche, la matematica oggi è un insieme di definizioni, teoremi e dimostrazioni. E nient'altro. La matematica ha raggiunto quest'impostazione solo in tempi recenti; infatti, in un libro di calcolo differenziale del 1795 di cui dispongo, non si accenna minimamente a una definizione oppure ad un teorema.
Premesso questo, ultimamente mi sono soffermato molto sul concetto di definizione. Nei corsi di Analisi che ho seguito (seppur parzialmente) nessuno si è mai posto il problema di indurre delle riflessioni sul concetto di definizione matematica. Per quel che ho potuto capire, una definizione matematica non è come una definizione che si trova sul dizionario o come una delle tante definizioni che si trovano in wikipedia. Studiando sul libro di analisi, infatti, mi sono accorto che una definizione matematica è costituita da un insieme di COMANDI o ISTRUZIONI (espresse attraverso l'uso di imperativi), ai quali l'utente può obbedire come può non obbedire. Non so se ho reso l'idea. Avete presente le istruzioni sul montaggio di qualche cosa, oppure le istruzioni scritte sulle confezioni degli alimenti surgelati (METTI nel forno ventilato a 220°C per 12 min ecc....), oppure una semplice ricetta da cucina? In tutti i casi si tratta di un elenco di istruzioni alle quali l'utente deve obbedire. Anche se non ho mai letto questa cosa da nessuna parte, ho l'impressione che le definizioni matematiche abbiano questa struttura. Alcune definizioni, poi, sono fatte in maniera tale che se tu obbedisci a tutte le istruzioni che ti vengono date, parti da un numero e finisci con un numero (le definizioni delle varie funzioni/operazioni).
Altre sono fatte in maniera tale che, dopo aver obbedito a tutte le istruzioni, hai associato a una funzione un'altra funzione o un numero reale (e vengono dette operatori ecc...) e poi ci sono altre definizioni per le quali parti da un numero e termini con una frase (ad esempio, "la funzione f è differenziabile in x0). Insomma, per concludere, le definizioni matematiche per me hanno quest'impostazione (e cioè come insieme di istruzioni). Un calcolatore elettronico (o meccanico o elettromeccanico come quelli di una volta), altro non sono che degli strumenti inventati dall'uomo aventi la funzione di rispondere autonomamente alle istruzioni di una certa definizione (e dunque facendo risparmiare lavoro all'uomo). Spero di non essere bannato dal forum e dall'università con queste affermazioni
Premesso questo, ultimamente mi sono soffermato molto sul concetto di definizione. Nei corsi di Analisi che ho seguito (seppur parzialmente) nessuno si è mai posto il problema di indurre delle riflessioni sul concetto di definizione matematica. Per quel che ho potuto capire, una definizione matematica non è come una definizione che si trova sul dizionario o come una delle tante definizioni che si trovano in wikipedia. Studiando sul libro di analisi, infatti, mi sono accorto che una definizione matematica è costituita da un insieme di COMANDI o ISTRUZIONI (espresse attraverso l'uso di imperativi), ai quali l'utente può obbedire come può non obbedire. Non so se ho reso l'idea. Avete presente le istruzioni sul montaggio di qualche cosa, oppure le istruzioni scritte sulle confezioni degli alimenti surgelati (METTI nel forno ventilato a 220°C per 12 min ecc....), oppure una semplice ricetta da cucina? In tutti i casi si tratta di un elenco di istruzioni alle quali l'utente deve obbedire. Anche se non ho mai letto questa cosa da nessuna parte, ho l'impressione che le definizioni matematiche abbiano questa struttura. Alcune definizioni, poi, sono fatte in maniera tale che se tu obbedisci a tutte le istruzioni che ti vengono date, parti da un numero e finisci con un numero (le definizioni delle varie funzioni/operazioni).
Altre sono fatte in maniera tale che, dopo aver obbedito a tutte le istruzioni, hai associato a una funzione un'altra funzione o un numero reale (e vengono dette operatori ecc...) e poi ci sono altre definizioni per le quali parti da un numero e termini con una frase (ad esempio, "la funzione f è differenziabile in x0). Insomma, per concludere, le definizioni matematiche per me hanno quest'impostazione (e cioè come insieme di istruzioni). Un calcolatore elettronico (o meccanico o elettromeccanico come quelli di una volta), altro non sono che degli strumenti inventati dall'uomo aventi la funzione di rispondere autonomamente alle istruzioni di una certa definizione (e dunque facendo risparmiare lavoro all'uomo). Spero di non essere bannato dal forum e dall'università con queste affermazioni

Dove le hai lette/senite tutte queste cavolate? 
A parte il fatto che si dice "bourbakista", l'aggettivo si riferisce al modo di esporre la materia in maniera del tutto asciutta e formale, in modo da rendere totalmente asettici e insondabili all'intuito i suoi contenuti.
Insomma, è l'approccio che adesso (ed a partire dagli anni '60) si usa su quasi tutti i libri di testo, i.e. lo schema: assiomi - teorema - dimostrazione - teorema - dimostrazione...
Quando i Bourbaki cominciarono a scrivere gli Elements de Mathématique, l'approccio era vissuto come completamento di quel percorso di rigore nell'Analisi che è partito in Francia con Cauchy .
Tale approccio non era stato affatto compreso né molto seguito dai suoi connazionali (a parte uno sparuto gruppo di suoi allievi, tra i quali Liouville e Sturm) ed aveva dovuto aspettare Weierstrass e la sua scuola per affermarsi. Tuttavia, nello stesso periodo, Poincaré (uno dei Matematici francesi più importanti) predicava ancora che l'Analisi si doveva basare su nozioni intuitive.
L'opera dei Bourbaki si deve leggere in quest'ottica come l'affermazione delle posizioni "rigoriste" anche in Francia.
Però non è più di questo. Un modo come un altro di esporre la Materia, coi suoi pregi ed i suoi difetti, adatto in certe occasioni e detestabile in altre.

A parte il fatto che si dice "bourbakista", l'aggettivo si riferisce al modo di esporre la materia in maniera del tutto asciutta e formale, in modo da rendere totalmente asettici e insondabili all'intuito i suoi contenuti.
Insomma, è l'approccio che adesso (ed a partire dagli anni '60) si usa su quasi tutti i libri di testo, i.e. lo schema: assiomi - teorema - dimostrazione - teorema - dimostrazione...
Quando i Bourbaki cominciarono a scrivere gli Elements de Mathématique, l'approccio era vissuto come completamento di quel percorso di rigore nell'Analisi che è partito in Francia con Cauchy .
Tale approccio non era stato affatto compreso né molto seguito dai suoi connazionali (a parte uno sparuto gruppo di suoi allievi, tra i quali Liouville e Sturm) ed aveva dovuto aspettare Weierstrass e la sua scuola per affermarsi. Tuttavia, nello stesso periodo, Poincaré (uno dei Matematici francesi più importanti) predicava ancora che l'Analisi si doveva basare su nozioni intuitive.
L'opera dei Bourbaki si deve leggere in quest'ottica come l'affermazione delle posizioni "rigoriste" anche in Francia.
Però non è più di questo. Un modo come un altro di esporre la Materia, coi suoi pregi ed i suoi difetti, adatto in certe occasioni e detestabile in altre.