Versione di cicerone helppppp!!!
aiuto raga versione di cicerone intitolata: La spada di Damocle! help plsss
inizia con:
cum unus ex eius adsenatatoribus, damocles, commemoraret in sermone dionysii, syracusanorum tyranni, copias opes, maiestatem dominatus, rerum abudiantam, magnificentiamo aedium regiarum negaretque beatiorem virum fuisse, ipse dionysius dixit:
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cum unus ex eius adsenatatoribus, damocles, commemoraret in sermone dionysii, syracusanorum tyranni, copias opes, maiestatem dominatus, rerum abudiantam, magnificentiamo aedium regiarum negaretque beatiorem virum fuisse, ipse dionysius dixit:
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Quamquam hic quidem tyrannus ipse iudicavit, quam esset beatus. Nam cum quidam ex eius adsentatoribus, Damocles, commemoraret in sermone copias eius, opes, maiestatem dominatus, rerum abundantiam, magnificentiam aedium regiarum negaretque umquam beatiorem quemquam fuisse, 'Visne igitur' inquit, 'o Damocle, quoniam te haec vita delectat, ipse eam degustare et fortunam experiri meam?' Cum se ille cupere dixisset, conlocari iussit hominem in aureo lecto strato pulcherrimo textili stragulo, magnificis operibus picto, abacosque compluris ornavit argento auroque caelato. Tum ad mensam eximia forma pueros delectos iussit consistere eosque nutum illius intuentis diligenter ministrare.
Aderant unguenta coronae, incendebantur odores, mensae conquisitissimis epulis extruebantur. Fortunatus sibi Damocles videbatur. In hoc medio apparatu fulgentem gladium e lacunari saeta equina aptum demitti iussit, ut impenderet illius beati cervicibus. Itaque nec pulchros illos ministratores aspiciebat nec plenum artis argentum nec manum porrigebat in mensam; iam ipsae defluebant coronae; denique exoravit tyrannum, ut abire liceret, quod iam beatus nollet esse. Satisne videtur declarasse Dionysius nihil esse ei beatum, cui semper aliqui terror impendeat? Atque ei ne integrum quidem erat, ut ad iustitiam remigraret, civibus libertatem et iura redderet; is enim se adulescens inprovida aetate inretierat erratis eaque commiserat, ut salvus esse non posset, si sanus esse coepisset.
C'erano essenze, corone, si bruciavano profumi, la tavola veniva rifornita di cibi squisiti. Damocle si riteneva fortunato. In mezzo a queste magnificienze Dionisio fece appendere al soffitto, attaccata con un crine di cavallo, una spada scintillante, così che pendesse sul capo di quest'uomo felice. Pertanto non guardava né quei bei fanciulli né lo splendore artistico dell'argenteria né più allungava le mani verso i piatti; persino le corone gli scivolavano da sole; alla fine pregò il tiranno di lasciarlo andare via perché non voleva più essere felice. Non sembra che Dionisio abbia chiarito abbastanza che non esiste alcuna felicità per colui sul quale sovrasta sempre qualche terrore? e non aveva neppure la possibilità di tornare alla giustizia e restituire ai cittadini la libertà e i diritti civili; nella sua giovinezza, nell'età dell'imprevidenza, si era coinvolto in errori e aveva commesso tali cattiverie, che se avesse cominciato a essere ragionevole non avrebbe potuto essere salvo.
Eppure questo tiranno ha giudicato di persona, quanto fosse felice. Un giorno in un colloquio un suo cortigiano, Damocle, magnificava le sue ricchezze, la forza, il prestigio di monarca, l'abbondanza dei mezzi, lo splendore della reggia, e dicevache non era esistito nessuno più felice di lui, il tiranno gli disse: "Damocle, visto che questa vita ti piace vuoi tu assaporarla e provare la mia sorte? Alla risposta affermativa, fece stendere l'uomo su un letto d'oro ricoperto di uno splendido drappo damascato con magnifico lavoro, fece allestire tavolini carichi di vasellame d'oro e d'argento lavorato. Attorno alla mensa fece mettere giovani schiavi di non comune bellezza, e li fece servire prontamente osservando il suo cenno.
Aderant unguenta coronae, incendebantur odores, mensae conquisitissimis epulis extruebantur. Fortunatus sibi Damocles videbatur. In hoc medio apparatu fulgentem gladium e lacunari saeta equina aptum demitti iussit, ut impenderet illius beati cervicibus. Itaque nec pulchros illos ministratores aspiciebat nec plenum artis argentum nec manum porrigebat in mensam; iam ipsae defluebant coronae; denique exoravit tyrannum, ut abire liceret, quod iam beatus nollet esse. Satisne videtur declarasse Dionysius nihil esse ei beatum, cui semper aliqui terror impendeat? Atque ei ne integrum quidem erat, ut ad iustitiam remigraret, civibus libertatem et iura redderet; is enim se adulescens inprovida aetate inretierat erratis eaque commiserat, ut salvus esse non posset, si sanus esse coepisset.
C'erano essenze, corone, si bruciavano profumi, la tavola veniva rifornita di cibi squisiti. Damocle si riteneva fortunato. In mezzo a queste magnificienze Dionisio fece appendere al soffitto, attaccata con un crine di cavallo, una spada scintillante, così che pendesse sul capo di quest'uomo felice. Pertanto non guardava né quei bei fanciulli né lo splendore artistico dell'argenteria né più allungava le mani verso i piatti; persino le corone gli scivolavano da sole; alla fine pregò il tiranno di lasciarlo andare via perché non voleva più essere felice. Non sembra che Dionisio abbia chiarito abbastanza che non esiste alcuna felicità per colui sul quale sovrasta sempre qualche terrore? e non aveva neppure la possibilità di tornare alla giustizia e restituire ai cittadini la libertà e i diritti civili; nella sua giovinezza, nell'età dell'imprevidenza, si era coinvolto in errori e aveva commesso tali cattiverie, che se avesse cominciato a essere ragionevole non avrebbe potuto essere salvo.
Eppure questo tiranno ha giudicato di persona, quanto fosse felice. Un giorno in un colloquio un suo cortigiano, Damocle, magnificava le sue ricchezze, la forza, il prestigio di monarca, l'abbondanza dei mezzi, lo splendore della reggia, e dicevache non era esistito nessuno più felice di lui, il tiranno gli disse: "Damocle, visto che questa vita ti piace vuoi tu assaporarla e provare la mia sorte? Alla risposta affermativa, fece stendere l'uomo su un letto d'oro ricoperto di uno splendido drappo damascato con magnifico lavoro, fece allestire tavolini carichi di vasellame d'oro e d'argento lavorato. Attorno alla mensa fece mettere giovani schiavi di non comune bellezza, e li fece servire prontamente osservando il suo cenno.
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