Ragazzi un aiutino please...

Krikka219
Ciao a tutti spero state passando una bella estate xò mi serviava una iutino x sta versione allora è di curzio rufo e inizia cosìadeo altae nives premunt terram gelu et perpetuo paene rigore constrictae ut nullum vestigium avium et ferarum extet. vi ringrazio anticipatamente baci...

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pukketta
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SuperGaara
Non sapendo dove finiva la versione, ti ho postato tutto il testo che ho trovato a partire dalla frase iniziale che mi hai detto. Guarda tu fino a dove ti serve ;)

Adeo altae nives premunt terram gelu et perpetuo paene rigore constrictae, ut ne avium quidem feraeve ullius vestigium exstet. Obscura caeli verius umbra quam lux, nocti similis, premit terram, vix ut quae prope sunt conspici possint. In hac tanta omnis humani cultus solitudine destitutus exercitus, quidquid malorum tolerari potest, pertulit, inopiam, frigus, lassitudinem, desperationem. Multos exanimavit rigor insolitus nivis, multorum adussit pedes, plurimorum oculos. Praecipue perniciabilis fuit fatigatis: quippe in ipso gelu deficientia corpora sternebant, quae, cum moveri desissent, vis frigori ita adstringebat ut rursus ad surgendum coniti non possent. A commilitonibus torpentes excitabantur, neque aliud remedium erat quam ut ingredi cogerentur. Tum demum vitali calore moto membris aliquis redibat vigor. Si qui tuguria Barbarorum adire potuerunt, celeriter refecti sunt. Sed tanta caligo erat, ut aedificia nulla alia res quam fumus ostenderet; illi, nunquam ante in terris suis advena viso, cum armatos repente conspicerent, exanimati metu, quidquid in tuguriis erat adferebant, ut corporibus ipsorum parceretur orantes. Rex agmen circumibat pedes, iacentes quosdam erigens, et alios, cum aegre sequerentur, adminiculo corporis sui excipiens; nunc ad prima signa, nunc in medio, nunc in ultimo agmine itineris multiplicato labore aderat. Tandem ad loca cultiora perventum est, commeatuque largo recreatus exercitus; simul et qui consequi non potuerant, in illa castra venerunt. Inde agmen processit ad Caucasum montem, cuius dorsum Asiam perpetuo iugo dividit. Hinc simul mare quod Ciliciam subit, illinc Caspium fretum et amnem Araxen aliaque regionis Scythiae deserta spectat. Taurus, secundae magnitudinis mons, committitur Caucaso; a Cappadocia se attollens Ciliciam praeterit, Armeniaeque montibus iungitur. Sic inter se iuga velut serie cohaerentia perpetuum habent dorsum, ex quo Asiae omnia fere flumina, alia in Rubrum, alia in Caspium mare, alia in Hyrcanium et Ponticum decidunt. XVII dierum spatio Caucasum superavit exercitus. Rupes in eo X in circuitu stadia conplectitur, IIII in altitudinem excedit, in qua vinctum Promethea fuisse antiquitas tradidit. Condendae in radicibus montis urbi sedes electa est. VII milibus seniorum Macedonum et praeterea militibus, quorum opera uti desisset, permissum in novam urbem considere. Hanc quoque Alexandream incolae appellaverunt.

D’altronde così alte nevi opprimono la terra, indurite dal gelo e da un freddo quasi perenne, che non esistono impronte neppure di uccelli o di qualche animale selvatico. L’ombra oscura, più che la luce, del cielo, simile alla notte, avvolge la terra, tanto che a stento si può distinguere ciò che è vicino. L’esercito, abbandonato in mezzo a così grande desolazione di ogni civiltà umana, sopportò ogni disagio che è possibile patire, la fame, il freddo, la stanchezza, la disperazione. Molti stremò il freddo insolito della neve, di molti bruciò i piedi, di parecchi gli occhi. Soprattutto fu fatale per chi era stremato: infatti abbandonavano i corpi spossati nello stesso gelo, e quando smettevano di muoversi, la morsa del freddo li attanagliava a tal punto che non potevano sforzarsi a risollevarsi. Intirizziti, venivano sorretti dai commilitoni, e non vi era altro rimedio che costringersi a proseguire. Allora un certo vigore rinasceva nelle loro membra, una volta che ritornava a circolare il calore vitale. Quelli che potevano raggiungere i tuguri dei Barbari, venivano rapidamente ristorati. Ma il buio era così fitto, che solo il fumo faceva intravedere le abitazioni; i Barbari, poiché non avevano mai visto prima uno straniero nelle loro terre, quando all’improvviso si trovarono di fronte uomini armati, presi dallo spavento, portavano fuori tutto ciò che si trovava nei tuguri, pregando che risparmiassero i loro corpi. Il re si aggirava a piedi tra le truppe, sorreggendo chi stramazzava, ed offrendo ad altri, che tenevano dietro con difficoltà, il sostegno del proprio corpo; si spingeva ora tra le avanguardie, ora al centro dello schieramento, ora nella retroguardia, moltiplicando la propria fatica. Alla fine si giunse in un luogo più coltivato, e l’esercito fu ristorato da viveri in abbondanza; contemporaneamente anche quelli che non erano riusciti a tenere il passo giunsero in quell’accampamento. Quindi la colonna si mise in marcia verso il monte Caucaso, la cui dorsale separa l’Asia con una catena ininterrotta. Da un lato guarda contemporaneamente il mare che bagna la Cilicia, dall’altro il mar Caspio, il fiume Arasse e le altre zone desertiche della Scizia. Il Tauro, monte secondo per altezza, si unisce al Caucaso; partendo dalla Cappadocia oltrepassa la Cilicia, e si congiunge ai monti dell’Armenia. Così le alture, unite le une alle altre come in una concatenazione, presentano una dorsale ininterrotta, dalla quale quasi tutti i fiumi dell’Asia discendono alcuni verso il mar Rosso, altri verso il mar Caspio, altri nell’Ircanio e nel Pontico. L’esercito valicò il Caucaso in diciassette giorni. Su di esso una rupe abbraccia dieci stadi in circonferenza e si innalza per quattro stadi, sulla quale l’antichità ha favoleggiato che fu legato Prometeo. Alle pendici del monte fu scelto un luogo per fondarvi una città. Fu dato il permesso di fermarsi nella nuova città a settemila veterani macedoni ed anche ai soldati della cui opera il re aveva smesso di servirsi. Gli abitanti battezzarono anche questa città con il nome di Alessandria.

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