Ho bisogno della traduzione del "colloquium vicesimum" di latine disco
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Personaggi: Diodoro, Tlepolemo, Simmaco
Diodoro, maestro di scuola, che è lieto che i discepoli monelli siano già andati via, chiama il suo servo Tlepolemo.
Tlepolemo entrando si accorge del silenzio del padrone e gli chiede: “Stai bene, padrone?”.
Diodoro: “Non sto bene, Tlepolemo. Sono stanco. Mi fa male la testa e il braccio destro”.
Tlepolemo: “Perché non chiami il medico?”.
Diodoro: “Il medico è stolto. Io stesso posso guarirmi meglio. Prima di tutto voglio mangiare e bere, poi dormire. Portami del cibo!”.
Tlepolemo esce. Poco dopo porta al padrone del pane, due pesci e una tazza piena d’acqua.
Diodoro vedendo l’acqua dice: “Cosa? Mi porti l’acqua?”.
Tlepolemo: “A mezzogiorno conviene bere acqua”.
Diodoro: “Bisogna che i servi bevano acqua. Io voglio bere vino, non acqua”.
Tlepolemo: “Senza denaro non posso comprarti il vino, né tu mi dai denaro”.
Diodoro mostra al servo il borsellino pieno di monete e dice: “Oggi ho il denaro. Non sai che oggi sono le calende di Giugno? Alle calende ricevo il compenso dai discepoli. Ora posso comprare del buon vino”.
Tlepolemo: “Allora andrò all’osteria e ti comprerò il vino”.
Diodoro: “Farai bene. Ecco il denaro”. Il maestro da il denaro al suo servo.
Il servo fa un passo verso la porta, quando Diodoro dice: “Fermati! Non andare! Andrò io stesso all’osteria”
Tlepolemo: “Vuoi che venga con te? Io porterò il vino”.
Diodoro: “Voglio che tu resti qui. Non porterò il vino dall’osteria, ma lo berrò lì. Restituiscimi il denaro!”.
Il servo, restituendo il denaro al padrone, dice: “Bevi poco! Cura il tuo corpo!”.
“Tu bada agli affari tuoi!” dice Diodoro, “Sei il mio servo, non un medico”.
Tlepolemo: “Cosa vuoi che faccia?”.
Il maestro prende una lettera e dice: “Voglio che porti questa lettera a Lucio Giulio Balbo”.
Tlepolemo: “Dove abita?”.
“Guarda attraverso questa finestra!” dice Diodoro, “Vedi quella montagna?”
Tlepolemo osserva il monte Albano attraverso la finestra aperta.
Tra Tuscolo e il monte Albano c’è una piccola valle.
“Vedo” dice Tlepolemo, “E’ il monte Albano”.
Diodoro: “La villa di Giulio è posta ai piedi di quel monte, ma non può essere scorta da questo posto; ma ecco la strada stretta che conduce alla villa. Su, vai!”.
Tlepolemo: “Che c’è nella lettera?”.
Diodoro: “Non ti riguarda! Ora fa’ il tuo dovere! Addio!”.
Tlepolemo si allontana portando la lettera del maestro.
Diodoro mangia da solo il pane e i pesci e beve un po’ d’acqua. Ma oggi, sebbene sia stanco, non dorme dopo il cibo, ma subito esce di casa. Il maestro imbocca una strada stretta, dove c’è una buia osteria. Questa osteria è piena di uomini che bevono che parlano tra loro, alcuni gridano e ridono, altri cantano. Ora anche Diodoro beve vino da una grande coppa, mentre parla con degli amici.
“Salve, maestro di scuola!” dice uno di quelli che beve.
Diodoro sollevando la coppa dice: “Salve anche a te, Simmaco!”.
Simmaco: “Che fai, non insegni ai bambini?”.
Diodoro: “E tu, medico? Non curi i malati?”.
Simmaco: “In questo periodo dell’anno ci sono pochi malati”.
Diodoro: “Io ho pochi discepoli – che a mezzogiorno mando a casa, e ordino loro di non tornare dopo mezzogiorno. Insegnare per sei ore ai discepoli è abbastanza per me! Ora voglio bere il vino”
Simmaco “A mezzogiorno conviene bere acqua, non vino”.
Diodoro: “Perché non mi prescrivi di bere latte, medico, come un piccolo infante?”.
Simmaco: “Se vuoi vivere sano, bevi poco vino! Cura il tuo corpo!”.
Diodoro: “Mi ordini sempre di bere poco, ma tu stesso bevi più coppe di me”.
Simmaco: “Io sto bene, e non bevo più di quanto sia necessario. Invece vedo che tu stai male, Diodoro, e sono il tuo medico”.
Diodoro: “Io sto abbastanza bene, sebbene sia stanco e mi faccia male la testa”.
Simmaco: “Dunque ti avanza del sangue. Vuoi che ti faccia uscire il sangue?”.
Diodoro: “Non voglio di certo! Il braccio mi fa già abbastanza male. In questo modo non puoi guarirmi”.
Simmaco: “Credi che io sia un cattivo medico?”.
Diodoro: “Al contrario, credo che tu sia un ottimo medico. Ma ciò che mi rende stanco e dolente nessun medico può guarire”.
Simmaco: “Cos’è che non può essere guarito da nessun medico?”.
Diodoro: “Il fatto che io sia un cattivo maestro! I miei discepoli non mi ascoltano e non mi obbediscono..”.
Simmaco: “E io credevo che tu fossi un ottimo maestro”.
Diodoro: “I genitori non pensano ciò, e quindi non vogliono mandare i loro figli da me”.
Simmaco: “Quanti discepoli hai?”.
Diodoro: “Ancora quattro; ma presto anche loro mi lasceranno”.
Simmaco: “Perché temi ciò?”.
Diodoro: “Perché Giulio, il padre di due discepoli, presto leggerà la lettera in cui scrivo che ‘suo figlio maggiore è un discepolo mediocre e pigro’ – che è vero!”.
Simmaco: “Anche se è vero, non era necessario che lo scrivessi. Senza dubbio Giulio sarà non meno irato con te, dal momento che tu non riesci a insegnare niente a suo figlio maggiore, di quello che è già con me, dal momento che non riesco a guarire suo figlio minore”.
Diodoro: “Non sapevo fossi il medico di quella famiglia. Ma perché non riesci a guarire il figlio di Giulio?”.
Simmaco: “Certamente posso. Il bambino è malato ad un solo piede, e anche senza medico sarà subito sano. E dunque, come ora ritengo, non era necessario cavargli il sangue. Giulio dice che ‘suo figlio a causa del medico ora è malato non solo al piede, ma anche al braccio, e che io sono un cattivo medico!’”.
Diodoro: “Non badarci, Simmaco!”.
Simmaco: “E’ facile dirlo, ma Giulio non vuole chiamarmi di nuovo né darmi il compenso”.
Diodoro: “Lo stesso mi dice Giulio, che ‘sono un pessimo maestro di scuola’, e da questo momento non mi darà il compenso. Ma io non ci bado. Non voglio più insegnare ai bambini. Chiuderò la mia scuola. Mentre tento di insegnare le lettere e i numeri ai discepoli pigri, non mi resta tempo libero per i miei libri”.
Simmaco: “E come vivrai senza compenso?”.
Diodoro: “Io non ho né moglie né figli. Il poco mi è sufficiente. Venderò tutte le mie cose fuorché i libri: anche se non possederò nient’altro, potrò vivere bene con poco”.
Simmaco: “Mancherai anche di vino?”
Diodoro: “Se sarà necessario, berrò acqua – mentre leggerò buoni libri”.
Simmaco: “Che ‘buoni libri’ dici?”.
Diodoro: “Posso dire molti ‘buoni libri’, ma innanzitutto i libri di Platone, in cui immagina Socrate che discute con amici. Mi rallegro sempre quando leggo quei famosissimi discorsi, sebbene vi siano molte cose in essi che non comprendo bene; né Aristotele, dottissimo discepolo di Platone, mi sembra più facile. Ma ora inizierò a leggere i libri di Epicuro”.
Simmaco: “Chi è Epicuro?”.
Diodoro: “Epicuro è un filosofo Greco, come Socrate e Aristotele”.
Simmaco: “Io non ascolto o leggo mai un filosofo. Perché tu ami così i filosofi Greci?”.
Diodoro: “Perché i filosofi ci insegnano a vivere rettamente e felicemente. Non credere, Simmaco, che all’uomo sia sufficiente curare il corpo: è necessario anche curare la mente, e ciò non può avvenire senza le opere dei filosofi. Mi sembra sia beato solo colui che ha non solo il corpo sano, ma anche la mente sana in un corpo sano”.
Simmaco: “Io vivo felicemente e ho la mente sana, sebbene non legga i filosofi né veneri gli dei”.
Diodoro: “Epicuro insegna che gli dei non si curano delle cose umane”.
Simmaco: “Io credo che gli dei non esistano. Tu veneri Giove e le altre divinità?”.
Diodoro: “Non li venero, come mi insegna Epicuro. Ma, non so come, vedo molte cose che mi rendono dubbioso. Se non c’è nessuna divinità, come possono muoversi il sole e le stelle? Da dove nascono i venti e le piogge? Chi produce i fulmini e i tuoni?”.
Simmaco: “Chiedilo a Epicuro, il tuo maestro!”.
Diodoro: “Se comprendo bene Epicuro, dice che ‘tutte queste cose accadono di per sé’. Inoltre dice, come prima di lui Democrito, ‘che ogni cosa, ogni materia è costituita da parti piccolissime, che si muovono sempre’. Queste parti piccolissime, che non possono essere divise, sono chiamate in greco ‘atomi’”.
Simmaco sollevando la coppa dice: “Cosa? Ritieni che anche questa coppa sia formata di piccolissime particelle? Quando parli in modo così sciocco, non credo che tu abbia una mente sana!”.
Diodoro: “Sono ancora dubbioso, ma ora leggerò più cose sulla natura delle cose in Epicuro e in Lucrezio”.
Simmaco: “Chi è Lucrezio?”.
Diodoro: “E’ un discepolo Romano di Epicuro. Ho sei libri suoi a cui è il titolo “De rerum natura”.
A questo punto Simmaco, vuotando la coppa, dice: “Bene, addio discepolo di Epicuro!”. Ma in quello stesso istante un fulmine chiarissimo illumina la buia osteria, mentre segue un fortissimo tuono.
“Giove Ottimo Massimo!” esclama il medico spaventato, mentre la coppa gli cade dalla mano.
Diodoro ridendo dice: “Vedi che la tua coppa è formata da piccolissime parti?”.
Diodoro, maestro di scuola, che è lieto che i discepoli monelli siano già andati via, chiama il suo servo Tlepolemo.
Tlepolemo entrando si accorge del silenzio del padrone e gli chiede: “Stai bene, padrone?”.
Diodoro: “Non sto bene, Tlepolemo. Sono stanco. Mi fa male la testa e il braccio destro”.
Tlepolemo: “Perché non chiami il medico?”.
Diodoro: “Il medico è stolto. Io stesso posso guarirmi meglio. Prima di tutto voglio mangiare e bere, poi dormire. Portami del cibo!”.
Tlepolemo esce. Poco dopo porta al padrone del pane, due pesci e una tazza piena d’acqua.
Diodoro vedendo l’acqua dice: “Cosa? Mi porti l’acqua?”.
Tlepolemo: “A mezzogiorno conviene bere acqua”.
Diodoro: “Bisogna che i servi bevano acqua. Io voglio bere vino, non acqua”.
Tlepolemo: “Senza denaro non posso comprarti il vino, né tu mi dai denaro”.
Diodoro mostra al servo il borsellino pieno di monete e dice: “Oggi ho il denaro. Non sai che oggi sono le calende di Giugno? Alle calende ricevo il compenso dai discepoli. Ora posso comprare del buon vino”.
Tlepolemo: “Allora andrò all’osteria e ti comprerò il vino”.
Diodoro: “Farai bene. Ecco il denaro”. Il maestro da il denaro al suo servo.
Il servo fa un passo verso la porta, quando Diodoro dice: “Fermati! Non andare! Andrò io stesso all’osteria”
Tlepolemo: “Vuoi che venga con te? Io porterò il vino”.
Diodoro: “Voglio che tu resti qui. Non porterò il vino dall’osteria, ma lo berrò lì. Restituiscimi il denaro!”.
Il servo, restituendo il denaro al padrone, dice: “Bevi poco! Cura il tuo corpo!”.
“Tu bada agli affari tuoi!” dice Diodoro, “Sei il mio servo, non un medico”.
Tlepolemo: “Cosa vuoi che faccia?”.
Il maestro prende una lettera e dice: “Voglio che porti questa lettera a Lucio Giulio Balbo”.
Tlepolemo: “Dove abita?”.
“Guarda attraverso questa finestra!” dice Diodoro, “Vedi quella montagna?”
Tlepolemo osserva il monte Albano attraverso la finestra aperta.
Tra Tuscolo e il monte Albano c’è una piccola valle.
“Vedo” dice Tlepolemo, “E’ il monte Albano”.
Diodoro: “La villa di Giulio è posta ai piedi di quel monte, ma non può essere scorta da questo posto; ma ecco la strada stretta che conduce alla villa. Su, vai!”.
Tlepolemo: “Che c’è nella lettera?”.
Diodoro: “Non ti riguarda! Ora fa’ il tuo dovere! Addio!”.
Tlepolemo si allontana portando la lettera del maestro.
Diodoro mangia da solo il pane e i pesci e beve un po’ d’acqua. Ma oggi, sebbene sia stanco, non dorme dopo il cibo, ma subito esce di casa. Il maestro imbocca una strada stretta, dove c’è una buia osteria. Questa osteria è piena di uomini che bevono che parlano tra loro, alcuni gridano e ridono, altri cantano. Ora anche Diodoro beve vino da una grande coppa, mentre parla con degli amici.
“Salve, maestro di scuola!” dice uno di quelli che beve.
Diodoro sollevando la coppa dice: “Salve anche a te, Simmaco!”.
Simmaco: “Che fai, non insegni ai bambini?”.
Diodoro: “E tu, medico? Non curi i malati?”.
Simmaco: “In questo periodo dell’anno ci sono pochi malati”.
Diodoro: “Io ho pochi discepoli – che a mezzogiorno mando a casa, e ordino loro di non tornare dopo mezzogiorno. Insegnare per sei ore ai discepoli è abbastanza per me! Ora voglio bere il vino”
Simmaco “A mezzogiorno conviene bere acqua, non vino”.
Diodoro: “Perché non mi prescrivi di bere latte, medico, come un piccolo infante?”.
Simmaco: “Se vuoi vivere sano, bevi poco vino! Cura il tuo corpo!”.
Diodoro: “Mi ordini sempre di bere poco, ma tu stesso bevi più coppe di me”.
Simmaco: “Io sto bene, e non bevo più di quanto sia necessario. Invece vedo che tu stai male, Diodoro, e sono il tuo medico”.
Diodoro: “Io sto abbastanza bene, sebbene sia stanco e mi faccia male la testa”.
Simmaco: “Dunque ti avanza del sangue. Vuoi che ti faccia uscire il sangue?”.
Diodoro: “Non voglio di certo! Il braccio mi fa già abbastanza male. In questo modo non puoi guarirmi”.
Simmaco: “Credi che io sia un cattivo medico?”.
Diodoro: “Al contrario, credo che tu sia un ottimo medico. Ma ciò che mi rende stanco e dolente nessun medico può guarire”.
Simmaco: “Cos’è che non può essere guarito da nessun medico?”.
Diodoro: “Il fatto che io sia un cattivo maestro! I miei discepoli non mi ascoltano e non mi obbediscono..”.
Simmaco: “E io credevo che tu fossi un ottimo maestro”.
Diodoro: “I genitori non pensano ciò, e quindi non vogliono mandare i loro figli da me”.
Simmaco: “Quanti discepoli hai?”.
Diodoro: “Ancora quattro; ma presto anche loro mi lasceranno”.
Simmaco: “Perché temi ciò?”.
Diodoro: “Perché Giulio, il padre di due discepoli, presto leggerà la lettera in cui scrivo che ‘suo figlio maggiore è un discepolo mediocre e pigro’ – che è vero!”.
Simmaco: “Anche se è vero, non era necessario che lo scrivessi. Senza dubbio Giulio sarà non meno irato con te, dal momento che tu non riesci a insegnare niente a suo figlio maggiore, di quello che è già con me, dal momento che non riesco a guarire suo figlio minore”.
Diodoro: “Non sapevo fossi il medico di quella famiglia. Ma perché non riesci a guarire il figlio di Giulio?”.
Simmaco: “Certamente posso. Il bambino è malato ad un solo piede, e anche senza medico sarà subito sano. E dunque, come ora ritengo, non era necessario cavargli il sangue. Giulio dice che ‘suo figlio a causa del medico ora è malato non solo al piede, ma anche al braccio, e che io sono un cattivo medico!’”.
Diodoro: “Non badarci, Simmaco!”.
Simmaco: “E’ facile dirlo, ma Giulio non vuole chiamarmi di nuovo né darmi il compenso”.
Diodoro: “Lo stesso mi dice Giulio, che ‘sono un pessimo maestro di scuola’, e da questo momento non mi darà il compenso. Ma io non ci bado. Non voglio più insegnare ai bambini. Chiuderò la mia scuola. Mentre tento di insegnare le lettere e i numeri ai discepoli pigri, non mi resta tempo libero per i miei libri”.
Simmaco: “E come vivrai senza compenso?”.
Diodoro: “Io non ho né moglie né figli. Il poco mi è sufficiente. Venderò tutte le mie cose fuorché i libri: anche se non possederò nient’altro, potrò vivere bene con poco”.
Simmaco: “Mancherai anche di vino?”
Diodoro: “Se sarà necessario, berrò acqua – mentre leggerò buoni libri”.
Simmaco: “Che ‘buoni libri’ dici?”.
Diodoro: “Posso dire molti ‘buoni libri’, ma innanzitutto i libri di Platone, in cui immagina Socrate che discute con amici. Mi rallegro sempre quando leggo quei famosissimi discorsi, sebbene vi siano molte cose in essi che non comprendo bene; né Aristotele, dottissimo discepolo di Platone, mi sembra più facile. Ma ora inizierò a leggere i libri di Epicuro”.
Simmaco: “Chi è Epicuro?”.
Diodoro: “Epicuro è un filosofo Greco, come Socrate e Aristotele”.
Simmaco: “Io non ascolto o leggo mai un filosofo. Perché tu ami così i filosofi Greci?”.
Diodoro: “Perché i filosofi ci insegnano a vivere rettamente e felicemente. Non credere, Simmaco, che all’uomo sia sufficiente curare il corpo: è necessario anche curare la mente, e ciò non può avvenire senza le opere dei filosofi. Mi sembra sia beato solo colui che ha non solo il corpo sano, ma anche la mente sana in un corpo sano”.
Simmaco: “Io vivo felicemente e ho la mente sana, sebbene non legga i filosofi né veneri gli dei”.
Diodoro: “Epicuro insegna che gli dei non si curano delle cose umane”.
Simmaco: “Io credo che gli dei non esistano. Tu veneri Giove e le altre divinità?”.
Diodoro: “Non li venero, come mi insegna Epicuro. Ma, non so come, vedo molte cose che mi rendono dubbioso. Se non c’è nessuna divinità, come possono muoversi il sole e le stelle? Da dove nascono i venti e le piogge? Chi produce i fulmini e i tuoni?”.
Simmaco: “Chiedilo a Epicuro, il tuo maestro!”.
Diodoro: “Se comprendo bene Epicuro, dice che ‘tutte queste cose accadono di per sé’. Inoltre dice, come prima di lui Democrito, ‘che ogni cosa, ogni materia è costituita da parti piccolissime, che si muovono sempre’. Queste parti piccolissime, che non possono essere divise, sono chiamate in greco ‘atomi’”.
Simmaco sollevando la coppa dice: “Cosa? Ritieni che anche questa coppa sia formata di piccolissime particelle? Quando parli in modo così sciocco, non credo che tu abbia una mente sana!”.
Diodoro: “Sono ancora dubbioso, ma ora leggerò più cose sulla natura delle cose in Epicuro e in Lucrezio”.
Simmaco: “Chi è Lucrezio?”.
Diodoro: “E’ un discepolo Romano di Epicuro. Ho sei libri suoi a cui è il titolo “De rerum natura”.
A questo punto Simmaco, vuotando la coppa, dice: “Bene, addio discepolo di Epicuro!”. Ma in quello stesso istante un fulmine chiarissimo illumina la buia osteria, mentre segue un fortissimo tuono.
“Giove Ottimo Massimo!” esclama il medico spaventato, mentre la coppa gli cade dalla mano.
Diodoro ridendo dice: “Vedi che la tua coppa è formata da piccolissime parti?”.
Miglior risposta