Urgentissimo (78929)
riassunto la madre di italo svevo prf
è urgentissimooooooooooooooooooooooooooooooooooo
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In uno dei giardini, mentre il cane dormiva alla catena e il contadino si dava da fare intorno al frutteto, in un cantuccio, appartati, alcuni pulcini parlavano di loro grandi esperienze. Ce n’erano altri di più anziani nel giardino, ma i piccini il cui corpo conservava tuttavia la forma dell’uovo da cui erano usciti, amavano di esaminare fra di loro la vita in cui erano piombati perché non vi erano ancora tanto abituati da non vederla. Avevano già sofferto e goduto perché la vita di pochi giorni è più lunga di quanto possa sembrare a chi la subì per anni, e sapevano molto, visto che una parte della grande esperienza l’avevano portata con sé dall’uovo. Infatti appena arrivati alla luce, avevano saputo che le cose bisognava esaminarle bene prima con un occhio eppoi con l’altro per vedere se si dovevano mangiare o guardarsene.
E parlarono del mondo e della sua vastità, con quegli alberi e quelle siepi che lo chiudevano, e quella casa tanto vasta ed alta. Tutte cose che si vedevano già, ma si vedevano meglio parlandone.
Però uno di loro, dalla lanuggine gialla, satollo – perciò disoccupato – non s’accontentò di parlare delle cose che si vedevano, ma trasse dal tepore del sole un ricordo che subito disse: – Certamente noi stiamo bene perché c’è il sole, ma ho saputo che a questo mondo si può stare anche meglio, ciò che molto mi dispiace, e ve lo dico perché dispiaccia anche a voi. La figliuola del contadino disse che noi siamo tapini perché ci manca la madre. Lo disse con un accento di sì forte compassione ch’io dovetti piangere.
Un altro più bianco e di qualche ora più giovine del primo, per cui ricordava ancora con gratitudine l’atmosfera dolce da cui era nato, protestò: – Noi una madre l’abbiamo avuta. E quell’armadietto sempre caldo, anche quando fa il freddo più intenso, da cui escono i pulcini belli e fatti.
Il giallo che da tempo portava incise le parole della contadina, e aveva perciò avuto il tempo di gonfiarle sognando di quella madre fino a figurarsela grande come tutto il giardino e buona come il becchime, esclamò con un disprezzo destinato tanto al suo interlocutore quanto alla madre di cui costui parlava: – Se si trattasse di una madre morta, tutti l’avrebbero. Ma la madre è viva e corre molto più veloce di noi. Forse ha le ruote come il carro del contadino. Perciò ti può venire appresso senza che tu abbia il bisogno di chiamarla, per scaldarti quando sei in procinto di essere abbattuto dal freddo di questo mondo. Come dev’essere bello di avere accanto, di notte, una madre simile.
Interloquì un terzo pulcino, fratello degli altri perché uscito dalla stessa macchina che però l’aveva foggiato un po’ altrimenti, il becco più largo e le gambucce più brevi. Lo dicevano il pulcino maleducato perché quando mangiava si sentiva battere il suo beccuccio, mentre in realtà era un anitroccolo che al suo paese sarebbe passato per compitissimo. Anche in sua presenza la contadina aveva parlato della madre. Ciò era avvenuto quella volta ch’era morto un pulcino crollato esausto dal freddo nell’erba, circondato dagli altri pulcini che non l’avevano soccorso perché essi non sentono il freddo che tocca agli altri. E l’anitroccolo con l’aria ingenua che aveva la sua faccina invasa dalla base larga del beccuccio, asserì addirittura che quando c’era la madre i pulcini non potevano morire.
Il desiderio della madre presto infettò tutto il pollaio e si fece più vivo, più inquietante nella mente dei pulcini più anziani. Tante volte le malattie infantili attaccano gli adulti e si fanno per loro più pericolose, e le idee anche, talvolta. L’immagine della madre quale s’era formata in quelle testine scaldate dalla primavera, si sviluppò smisuratamente, e tutto il bene si chiamò madre, il bel tempo e l’abbondanza, e quando soffrivano pulcini, anitroccoli e tacchinucci divenivano veri fratelli perché sospiravano la stessa madre.
E parlarono del mondo e della sua vastità, con quegli alberi e quelle siepi che lo chiudevano, e quella casa tanto vasta ed alta. Tutte cose che si vedevano già, ma si vedevano meglio parlandone.
Però uno di loro, dalla lanuggine gialla, satollo – perciò disoccupato – non s’accontentò di parlare delle cose che si vedevano, ma trasse dal tepore del sole un ricordo che subito disse: – Certamente noi stiamo bene perché c’è il sole, ma ho saputo che a questo mondo si può stare anche meglio, ciò che molto mi dispiace, e ve lo dico perché dispiaccia anche a voi. La figliuola del contadino disse che noi siamo tapini perché ci manca la madre. Lo disse con un accento di sì forte compassione ch’io dovetti piangere.
Un altro più bianco e di qualche ora più giovine del primo, per cui ricordava ancora con gratitudine l’atmosfera dolce da cui era nato, protestò: – Noi una madre l’abbiamo avuta. E quell’armadietto sempre caldo, anche quando fa il freddo più intenso, da cui escono i pulcini belli e fatti.
Il giallo che da tempo portava incise le parole della contadina, e aveva perciò avuto il tempo di gonfiarle sognando di quella madre fino a figurarsela grande come tutto il giardino e buona come il becchime, esclamò con un disprezzo destinato tanto al suo interlocutore quanto alla madre di cui costui parlava: – Se si trattasse di una madre morta, tutti l’avrebbero. Ma la madre è viva e corre molto più veloce di noi. Forse ha le ruote come il carro del contadino. Perciò ti può venire appresso senza che tu abbia il bisogno di chiamarla, per scaldarti quando sei in procinto di essere abbattuto dal freddo di questo mondo. Come dev’essere bello di avere accanto, di notte, una madre simile.
Interloquì un terzo pulcino, fratello degli altri perché uscito dalla stessa macchina che però l’aveva foggiato un po’ altrimenti, il becco più largo e le gambucce più brevi. Lo dicevano il pulcino maleducato perché quando mangiava si sentiva battere il suo beccuccio, mentre in realtà era un anitroccolo che al suo paese sarebbe passato per compitissimo. Anche in sua presenza la contadina aveva parlato della madre. Ciò era avvenuto quella volta ch’era morto un pulcino crollato esausto dal freddo nell’erba, circondato dagli altri pulcini che non l’avevano soccorso perché essi non sentono il freddo che tocca agli altri. E l’anitroccolo con l’aria ingenua che aveva la sua faccina invasa dalla base larga del beccuccio, asserì addirittura che quando c’era la madre i pulcini non potevano morire.
Il desiderio della madre presto infettò tutto il pollaio e si fece più vivo, più inquietante nella mente dei pulcini più anziani. Tante volte le malattie infantili attaccano gli adulti e si fanno per loro più pericolose, e le idee anche, talvolta. L’immagine della madre quale s’era formata in quelle testine scaldate dalla primavera, si sviluppò smisuratamente, e tutto il bene si chiamò madre, il bel tempo e l’abbondanza, e quando soffrivano pulcini, anitroccoli e tacchinucci divenivano veri fratelli perché sospiravano la stessa madre.
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Risposte
di nientee :)
perfetto grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
puoi farlo un po + grande.......................... cmq grz lo stesso
Il racconto parla della riflessione di alcuni pulcini di allevamento cresciuti in un' incubatrice sulla loro ipotetica madre. Un pulcino di nome Curra scappa nel pollaio a fianco al suo e vede una gallina con i suoi pulcini. Quando questa cattura un lombrico e lo porge ai suoi piccoli ancora inesperti, Curra fa un balzo e se lo mangia. La gallina infuriata lo caccia via quasi uccidendolo. Molti anni dopo Curra è diventato un bellissimo gallo e viene a sapere che quella gallina era morta. Egli rimane prima attristito ma poi ricorda l' episodio della sua infanzia e si sente frustrato all'idea che la madre che aveva conosciuto era tutt'altra cosa di quella figura che doveva proteggere e donare affetto ai suoi piccoli.
ma ke dici o.O
io ricordo questo... Allegra Moravia (1832-95) era italiana