Testo di antologia?!?! Aiuto :(
Testo di antologia?!?! Ciaooo! Mi potreste aiutare a riscrivere questo testo, per favore? Allora..Devo riscrivere questo racconto eliminando la "storia cornice", ...e scriverlo in terza persona. Ecco il racconto:
A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem, fu chiesto di raccontare una storia. disse egli, E raccontò:
Grazie!!!!
A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem, fu chiesto di raccontare una storia. disse egli, E raccontò:
Grazie!!!!
Miglior risposta
“La parola che narra ha la sacralità di un rito , diventa essa stessa accadimento”.
Questa affermazione mi ha colpito particolarmente durante la lettura de “ I racconti dei Hassidim “ che Martin Buber ha raccolto e rielaborato impegnando quarantacinque anni della sua esistenza di studioso e di scrittore.
A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem fu chiesto di raccontare una storia. “ Una storia, “ disse egli , “ va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto”. E raccontò :
“Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie”.
Vengono subito in mente le formule della Genesi che sottolineano l’efficacia della parola creatrice di Dio. “E Dio disse”(Genesi 1,3) Dio parla e il suo parlare è creativo: attraverso la sua parola egli crea e fa buono tutto ciò che crea.
“L’agire teologale si concretizza tramite un racconto ancor prima che con un gesto”, dice Brunetto Salvarani.
I racconti dei Hassadim nascono in seno alla comunità hassidica sorta verso la metà del Settecento, in Europa orientale , per opera di Baalshem. Il proposito era quello di superare la frustrazione prodotta dall’attesa messianica accettando la vita nelle sue varie manifestazioni con la consapevolezza che qualsiasi azione, anche la più consueta, se fatta con purezza, contribuisce alla santificazione del mondo.
Le antiche norme e consuetudini rinascevano a vita nuova suscitando una fede gioiosa e un nuovo entusiasmo. Hassidim significa appunto gli entusiasti.
L’attività principale della comunità era il narrare.
I hassidim raccontano aneddoti, visioni, piccole e grandi imprese degli zaddikim (capi spirituali della comunità) cioè “i giusti” ma meglio “coloro che hanno provato di essere giusti”.
Pur radicati in un territorio storico e culturale ben preciso, i racconti hanno spesso un carattere leggendario, un alone di fantasia. Coloro che raccontano sono uomini appassionati che, nella loro esaltazione hanno veduto o hanno creduto di vedere.
Buber fa notare che il movimento hassidico aveva rimosso le barriere tra il sacro e il profano, ogni azione profana aveva un significato sacro. I hassidim vedevano in tutti gli esseri e in tutte le cose “irradiazioni divine, ardenti scintille divine”. Nelle comunità chassidiche, dice sempre Buber “non c’è separazione tra fede e opere, tra morale e politica: un solo regno, un solo spirito, una sola realtà“.
Comunque veri o inventati gli aneddoti e i racconti vanno presi così come sono, vanno “sentiti” più che ascoltati; non ci sono spiegazioni perché le spiegazioni annullano il potere magico delle parole.
Un esempio tra i tanti è il significativo Ostacoli alla luce:
Il Baalshem chiese un giorno al sua scolaro, Rabbi Meir Margaliot: “Meir, ti ricordi ancora di quel sabato, quando cominciasti a studiare il Pentateuco? Il tinello della tua casa paterna era pieno di ospiti, ti avevano messo sulla tavola e tu recitavi il tuo discorsino”.
Rabbi Meir disse : “Certo che lo ricordo. Improvvisamente entrò mia madre e in mezzo al discorso mi tirò giù dalla tavola. Mio padre si adirò, ma ella accennò soltanto a un uomo in corta pelliccia di contadino, che stava sulla pota e mi guardava; allora tutti capirono che temeva il malocchio. Mentre mia madre ancora additava la porta, l’uomo era scomparso”.
“Ero io”, disse il Baalshem. “In tali ore uno sguardo può riversare una gran luce in un’anima. Ma il timore degli uomini erige muri davanti alla luce”.
I racconti sono per lo più molto brevi, sempre molto condensati e “nudi”, cioè privi di ogni ornamento estetico-letterario o psicologico, non ci sono aggettivi, ma solo parole essenziali e concrete che nascono dal cuore e fanno sentire, vedere, toccare, sperimentare le cose che dicono.
Mounier afferma che nella nostra epoca le “parole parlanti” si sono fatte sempre più rare e le “parole parlate” sempre più frequenti.
E Calvino nelle sue celebri “Lezioni americane” scrive: “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza , cioè l’uso della parola…
La letteratura può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.
William Shakespeare ha scritto che “le parole senza pensiero non vanno mai in cielo”.
La vera comunicazione oggi come ieri è essenzialmente frutto di pensiero, ma anche di creatività e di amore del silenzio.
Dunque la riscoperta del silenzio e delle “parole parlanti” dei poeti e dei mistici ci possono aiutare a comunicare in modo più autentico e profondo e la narrazione può essere un antidoto alla morte della fantasia, oggi soffocata dalla noia e dal vuoto; può dare significato al vivere, come dice Soeren Kierkegaard; può salvare la vita, come dice il teologo Bonhoeffer; può vincere la malinconia che opprime le giornate dell’uomo, come dice Elie Diesel; può far continuare a sperare, come dice Ernst Bloch.
E mi piace concludere con le parole di Antonio Spadaro: “la narrazione è segno di libertà personale perché narrare significa liberare l’esperienza della nostra vita dal mutismo, dall’isolamento comunicativo”.
http://pietrediscarto.wordpress.com/2008/10/16/martin-buber-i-racconti-dei-hassidim/
Questa affermazione mi ha colpito particolarmente durante la lettura de “ I racconti dei Hassidim “ che Martin Buber ha raccolto e rielaborato impegnando quarantacinque anni della sua esistenza di studioso e di scrittore.
A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem fu chiesto di raccontare una storia. “ Una storia, “ disse egli , “ va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto”. E raccontò :
“Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie”.
Vengono subito in mente le formule della Genesi che sottolineano l’efficacia della parola creatrice di Dio. “E Dio disse”(Genesi 1,3) Dio parla e il suo parlare è creativo: attraverso la sua parola egli crea e fa buono tutto ciò che crea.
“L’agire teologale si concretizza tramite un racconto ancor prima che con un gesto”, dice Brunetto Salvarani.
I racconti dei Hassadim nascono in seno alla comunità hassidica sorta verso la metà del Settecento, in Europa orientale , per opera di Baalshem. Il proposito era quello di superare la frustrazione prodotta dall’attesa messianica accettando la vita nelle sue varie manifestazioni con la consapevolezza che qualsiasi azione, anche la più consueta, se fatta con purezza, contribuisce alla santificazione del mondo.
Le antiche norme e consuetudini rinascevano a vita nuova suscitando una fede gioiosa e un nuovo entusiasmo. Hassidim significa appunto gli entusiasti.
L’attività principale della comunità era il narrare.
I hassidim raccontano aneddoti, visioni, piccole e grandi imprese degli zaddikim (capi spirituali della comunità) cioè “i giusti” ma meglio “coloro che hanno provato di essere giusti”.
Pur radicati in un territorio storico e culturale ben preciso, i racconti hanno spesso un carattere leggendario, un alone di fantasia. Coloro che raccontano sono uomini appassionati che, nella loro esaltazione hanno veduto o hanno creduto di vedere.
Buber fa notare che il movimento hassidico aveva rimosso le barriere tra il sacro e il profano, ogni azione profana aveva un significato sacro. I hassidim vedevano in tutti gli esseri e in tutte le cose “irradiazioni divine, ardenti scintille divine”. Nelle comunità chassidiche, dice sempre Buber “non c’è separazione tra fede e opere, tra morale e politica: un solo regno, un solo spirito, una sola realtà“.
Comunque veri o inventati gli aneddoti e i racconti vanno presi così come sono, vanno “sentiti” più che ascoltati; non ci sono spiegazioni perché le spiegazioni annullano il potere magico delle parole.
Un esempio tra i tanti è il significativo Ostacoli alla luce:
Il Baalshem chiese un giorno al sua scolaro, Rabbi Meir Margaliot: “Meir, ti ricordi ancora di quel sabato, quando cominciasti a studiare il Pentateuco? Il tinello della tua casa paterna era pieno di ospiti, ti avevano messo sulla tavola e tu recitavi il tuo discorsino”.
Rabbi Meir disse : “Certo che lo ricordo. Improvvisamente entrò mia madre e in mezzo al discorso mi tirò giù dalla tavola. Mio padre si adirò, ma ella accennò soltanto a un uomo in corta pelliccia di contadino, che stava sulla pota e mi guardava; allora tutti capirono che temeva il malocchio. Mentre mia madre ancora additava la porta, l’uomo era scomparso”.
“Ero io”, disse il Baalshem. “In tali ore uno sguardo può riversare una gran luce in un’anima. Ma il timore degli uomini erige muri davanti alla luce”.
I racconti sono per lo più molto brevi, sempre molto condensati e “nudi”, cioè privi di ogni ornamento estetico-letterario o psicologico, non ci sono aggettivi, ma solo parole essenziali e concrete che nascono dal cuore e fanno sentire, vedere, toccare, sperimentare le cose che dicono.
Mounier afferma che nella nostra epoca le “parole parlanti” si sono fatte sempre più rare e le “parole parlate” sempre più frequenti.
E Calvino nelle sue celebri “Lezioni americane” scrive: “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza , cioè l’uso della parola…
La letteratura può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.
William Shakespeare ha scritto che “le parole senza pensiero non vanno mai in cielo”.
La vera comunicazione oggi come ieri è essenzialmente frutto di pensiero, ma anche di creatività e di amore del silenzio.
Dunque la riscoperta del silenzio e delle “parole parlanti” dei poeti e dei mistici ci possono aiutare a comunicare in modo più autentico e profondo e la narrazione può essere un antidoto alla morte della fantasia, oggi soffocata dalla noia e dal vuoto; può dare significato al vivere, come dice Soeren Kierkegaard; può salvare la vita, come dice il teologo Bonhoeffer; può vincere la malinconia che opprime le giornate dell’uomo, come dice Elie Diesel; può far continuare a sperare, come dice Ernst Bloch.
E mi piace concludere con le parole di Antonio Spadaro: “la narrazione è segno di libertà personale perché narrare significa liberare l’esperienza della nostra vita dal mutismo, dall’isolamento comunicativo”.
http://pietrediscarto.wordpress.com/2008/10/16/martin-buber-i-racconti-dei-hassidim/
Miglior risposta