Tema su giovanni pascoli
pascoli
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Giovanni Pascoli costituisce la svolta nuova in cui si va a modificare o, meglio, rifugiare il romanticismo. L'ultima espressione dell'estetica romantica.
Per opporsi alla morale cattolica che mirava a volgere tutta la potenza del sentimento in prò della vita avvenire, il romanticismo, continuando ad opporsi alla ragione, in nome del puro sentimento, andò dirigendosi verso l'irrazionale. Non più conquista mediante il sentimento e la volontà, della realtà obiettiva riconosciuta come inafferabile, bensì un'esperienza mistica primitiva, fatta di terrore, di erotismo, di turbamento, di ebrezza, di dolore fisico. Tutto quello che esiste ed avvertiamo come irrazionale nella vita e che è poggiato sull'oscurità del sentimento va cantato, valorizzato come la vera e profonda realtà da proseguire.
Ecco per quale motivo Pascoli, che di questa estetica costituisce l'espressione più schietta e sincera, oltre che più pura, dopo aver ricevuto l'intuizione del mistero che avvolge la vita, che sviluppa la storia e la natura, esprime tutto ciò nei suoi versi.
Anche se scrive e studia i classici, fino a vincere per alcuni anni dei premi, Pascoli si limita ad intuire, ad adombrare il misterioso significato di quella realtà che per lui diventa simbolo. Così la parola, per adeguarsi a quel mistero, non esprime, ma suggerisce, incanta.
In questo modo le piante, i fiori si armonizzano; così le cose esprimono il loro essere profondo, la loro ragione di vivere il mondo degli uomini. Così nasce quella che è stata detta «l'estetica del fanciullino», dove la poesia deve essere intesa come la vocale espressione dell'inconscio, a guisa di fanciullo. Una poesia che vale come una creazione fatta in sogno, come rivelazione di cose ignote anche a noi stessi, ed anche per tale ragione una poesia che vive con il popolo, ricca di fantasia e sentimento.
Nasce così l'Aquilone, nascono le tante poesie ricche di mistero e di sentimento che sentiamo vicinissime a noi; nasce quel senso di struggente malinconia e nostalgia che si prova quando ci si accorge di essere andati vicini all'essenza delle cose e del vivere umano.
Pascoli, che in un primo tempo, per farsi strada, era stato attento agli studi di latino e greco, dovendo mantenere una famiglia battuta dalla sorte, a quarant'anni sentì la possibilità di lasciarsi andare al proprio estro poetico.
Rimasto come quando era fanciullo, con gli stessi sogni, con le stesse aspirazioni travasò tutti i suoi sogni in quella sua esperienza di vita, con le cose migliori. Poi lentamente, dopo Myriacae, che costituiscono un vero gioiello formale, ricche di purissimo sentimento, appena nascosto dall'armonioso incedere dei versi, dopo aver dimostrato che il suo estro politico poteva benissimo travasarsi in rime italiane, Pascoli si atteggiò come l'istinto lo portava ad essere, nei Canti di Castelvecchio, dove il poeta sembra finalmente esprimere tutto il suo sentimento vivo ed immediato per la natura, per il prossimo, tutta quella struggente malinconia che l'aveva accompagnato per i lunghi anni della sua giovinezza e della sua maturità.
Vi è, infatti, in qualche componimento poetico di questa raccolta, il sapore delle cose perdute e non più riacquistabili e un desiderio smodato di fare, sia pure in ritardo, quanto avrebbe voluto fare da giovane.
In conclusione la poesia pascoliana non va vista tanto all'insegna del realismo e della classicità, quanto nella prospettiva di una sensibilità «decadente», quella stessa che alimenta la poetica del «fanciullino» e sempre qui, come si vede, torna a convergere il discorso sul Pascoli, da qualsiasi punto lo si sviluppi.
Discorso che mette in evidenza i limiti del poeta e il suo morboso vittimismo, con la sua volontà di estraneazione dal mondo, appena mascherata da velleitarie e confuse idee socialiste, ma che al tempo stesso ne fa capire anche l'indiscutibile originalità.
CIAO CIAO
Per opporsi alla morale cattolica che mirava a volgere tutta la potenza del sentimento in prò della vita avvenire, il romanticismo, continuando ad opporsi alla ragione, in nome del puro sentimento, andò dirigendosi verso l'irrazionale. Non più conquista mediante il sentimento e la volontà, della realtà obiettiva riconosciuta come inafferabile, bensì un'esperienza mistica primitiva, fatta di terrore, di erotismo, di turbamento, di ebrezza, di dolore fisico. Tutto quello che esiste ed avvertiamo come irrazionale nella vita e che è poggiato sull'oscurità del sentimento va cantato, valorizzato come la vera e profonda realtà da proseguire.
Ecco per quale motivo Pascoli, che di questa estetica costituisce l'espressione più schietta e sincera, oltre che più pura, dopo aver ricevuto l'intuizione del mistero che avvolge la vita, che sviluppa la storia e la natura, esprime tutto ciò nei suoi versi.
Anche se scrive e studia i classici, fino a vincere per alcuni anni dei premi, Pascoli si limita ad intuire, ad adombrare il misterioso significato di quella realtà che per lui diventa simbolo. Così la parola, per adeguarsi a quel mistero, non esprime, ma suggerisce, incanta.
In questo modo le piante, i fiori si armonizzano; così le cose esprimono il loro essere profondo, la loro ragione di vivere il mondo degli uomini. Così nasce quella che è stata detta «l'estetica del fanciullino», dove la poesia deve essere intesa come la vocale espressione dell'inconscio, a guisa di fanciullo. Una poesia che vale come una creazione fatta in sogno, come rivelazione di cose ignote anche a noi stessi, ed anche per tale ragione una poesia che vive con il popolo, ricca di fantasia e sentimento.
Nasce così l'Aquilone, nascono le tante poesie ricche di mistero e di sentimento che sentiamo vicinissime a noi; nasce quel senso di struggente malinconia e nostalgia che si prova quando ci si accorge di essere andati vicini all'essenza delle cose e del vivere umano.
Pascoli, che in un primo tempo, per farsi strada, era stato attento agli studi di latino e greco, dovendo mantenere una famiglia battuta dalla sorte, a quarant'anni sentì la possibilità di lasciarsi andare al proprio estro poetico.
Rimasto come quando era fanciullo, con gli stessi sogni, con le stesse aspirazioni travasò tutti i suoi sogni in quella sua esperienza di vita, con le cose migliori. Poi lentamente, dopo Myriacae, che costituiscono un vero gioiello formale, ricche di purissimo sentimento, appena nascosto dall'armonioso incedere dei versi, dopo aver dimostrato che il suo estro politico poteva benissimo travasarsi in rime italiane, Pascoli si atteggiò come l'istinto lo portava ad essere, nei Canti di Castelvecchio, dove il poeta sembra finalmente esprimere tutto il suo sentimento vivo ed immediato per la natura, per il prossimo, tutta quella struggente malinconia che l'aveva accompagnato per i lunghi anni della sua giovinezza e della sua maturità.
Vi è, infatti, in qualche componimento poetico di questa raccolta, il sapore delle cose perdute e non più riacquistabili e un desiderio smodato di fare, sia pure in ritardo, quanto avrebbe voluto fare da giovane.
In conclusione la poesia pascoliana non va vista tanto all'insegna del realismo e della classicità, quanto nella prospettiva di una sensibilità «decadente», quella stessa che alimenta la poetica del «fanciullino» e sempre qui, come si vede, torna a convergere il discorso sul Pascoli, da qualsiasi punto lo si sviluppi.
Discorso che mette in evidenza i limiti del poeta e il suo morboso vittimismo, con la sua volontà di estraneazione dal mondo, appena mascherata da velleitarie e confuse idee socialiste, ma che al tempo stesso ne fa capire anche l'indiscutibile originalità.
CIAO CIAO