Purgatorio XIII - Sapia
Metti a confronto il personaggio della senese Sapia con Pia dei Tolomei (Purgatorio,V) e Francesca da Rimini (Inferno,V),cercando di descrivere la personalità delle tre protagoniste e gli elementi che distinguono la gentil-donna senese.
Qualcuno mi può aiutare?
Grazie in anticipo
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Risposte
poi tieni sempre presenta questa sezione con prose e riassunti dei vari canti di tutti e 3 i libri:
https://www.skuola.net/dante
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grazie mille
-SAPIA SALVANI
Cornice II - invidiosi
Sapia apparteneva alla famiglia senese dei Salvani ed era zia, quindi, di Provenzano. Andò sposa a Ghinibaldo di Saracino, signore di Castiglioncello.
Poco si conosce della sua vita; il suo testamento, datato 1274, fa luce sulla protezione, accordata da Sapia dopo la morte del marito, all'ospizio di S. Maria per i pellegrini in viaggio verso Roma, ma nessun altro documento testimonia quanto si legge nella Divina Commedia, cioè l'odio verso i suoi concittadini ed il nipote Provenzano, di cui sperò la sconfitta ad opera dei fiorentini a Colle Val d'Elsa l'8 giugno 1269.
Il personaggio di Dante è soprattutto rappresentazione poetica priva di circostanziati agganci alla realtà, paradigma di quella invidia che non ha bisogno di motivazioni, ma è semplice anti-carità.
Sulla scorta del più celebre esempio evangelico petram/Petrus il gioco etimologico qui è imperniato sul vocabolo tardo-latino "sapius" origine del nome Sapia e dell'aggettivo "savia": Sapia, che aveva la saggezza scritta nel nome, non si rivelò, tuttavia, altrettanto saggia nella vita da evitare il peccato di invidia.
Tipico atteggiamento medievale è quello di cercare una corrispondenza fra le cose ed i loro nomi: "nomina sunt consequentia rerum" diceva, infatti, la filosofia scolastica e largo fu il parallelo fiorire di dizionari etimologici.
-PIA DE' TOLOMEI
Pia della famiglia dei Tolomei di Siena, andata sposa a Nello dei Pannocchieschi, che ricoprì la carica di podestà di Volterra e di Lucca verso la fine del 1200, morì precipitando dal balcone del Castello della Pietra, in Maremma. Secondo alcuni l'uccisione di Pia puniva un adulterio, reale o soltanto
presunto dalla gelosia, secondo altri copriva più semplicemente l'aspirazione del marito a nuove e più vantaggiose nozze con Margherita degli Aldobrandeschi.
Il testo di Dante non chiarisce tutti i particolari della vicenda (la colpa di Pia, le modalità della morte), ma fa luce sul nodo essenziale, sulle circostanze violente della morte, e sui sentimenti della donna: Pia fu uccisa dal marito e non vuole vendetta. Il suo discorso è breve, pudico e nobile, così come si addice a una donna. Lo scenario del suo dramma è tutto domestico e privato, non è una rievocazione di un fatto di sangue, tanto che nella maggior parte del discorso descrive la cerimonia nuziale. Il poeta sviluppa qui il tema dell'inutilità dell'odio umano, nell'intimità della famiglia come nelle vicende politiche.
-FRANCESCA
Francesca da Rimini, figlia di Guido signore di Ravenna, andata in sposa a Gianciotto Malatesta, fu da questi uccisa perché sorpresa in tresca amorosa col cognato Paolo.
La storia di Paolo e Francesca è una storia vera, che Dante conosce bene perché i due giovani amanti muoiono quando il poeta è poco più che ventenne.
Il De Sanctis fa di lei la prima vera donna della letteratura italiana, ed ella fu -in effetti- almeno la prima protagonista in senso tecnico della letteratura medievale.
Come altri personaggi dell’Inferno, Francesca vive in un contrasto, quello fra nobiltà d’animo e peccato, fra pietà suscitata e giudizio di condanna: nei vv. 91-92 (…se fosse amico il Re dell’universo / noi pregheremo Lui…) notiamo infatti quella che i teologi morali chiamano ambiguitas animi: la possibile coesistenza, cioè, di rimorso e di peccato, di comprensione della gravità della colpa e dell’impossibilità di liberarsi di essa.
Qui Dante sottolinea non solo il rimpianto implicito per una situazione che frustra la possibilità di compiere un’azione gentile, ma soprattutto la logica contraddittoria dell’amore che trasforma l’impossibile in reale, tranne poi cozzare contro realtà esterne più forti.
Per quel che riguarda la pietà, essa non investe l’autore ma il personaggio: se la concezione ideologica dell’autore è salda, l’uomo Dante trema meditabondo sul peccato e sulle conseguenze del giusto castigo che provoca, e Dante poeta e teorico di poesia nega una visione di vita e di letteratura disgiunta dall’etica religiosa, ma non può tagliare una parte di sé non soffrendo. Dante non riscatta umanamente ciò che deve cristianamente condannare: sono le persone e le loro vicende quelle che fanno nascere il sentimento di Dante. Pietà è allora atteggiamento verso casi e persone specifiche, verso il se stesso di un tempo riflesso in chi ora trova dannato, verso il mistero dell’uomo travolto dall’amore che è fatto naturale ma anche peccato (per molti versi si ricollega quindi al concetto latino di pietas che la presenza di Didone e di Virgilio suggeriscono).
Ciò che distingue Francesca è la delicatezza dolorosa propria dell’immagine femminile stilnovistico-cortese, tuttavia non è nella posizione lontana e irraggiungibile delle donne-angelo, oggetto di contemplazione e mai soggetto di discorsi: nella Commedia compare come un individuo concreto, con una posizione sociale precisa (di nobile, di donna sposata, di traditrice) e con una coscienza morale autonoma. Perciò è protagonista della propria storia ed è lei stessa a narrarla ponendo eccezionalmente sullo sfondo l’uomo (che invece è il protagonista attivo della lirica). Proprio questa coscienza e questa volontà (Francesca ha peccato e il peccato deriva da una scelta razionale) fanno di lei un personaggio di straordinaria forza e di una modernità che lo stilnovo non conosceva.
va bene così???...prego...
Cornice II - invidiosi
Sapia apparteneva alla famiglia senese dei Salvani ed era zia, quindi, di Provenzano. Andò sposa a Ghinibaldo di Saracino, signore di Castiglioncello.
Poco si conosce della sua vita; il suo testamento, datato 1274, fa luce sulla protezione, accordata da Sapia dopo la morte del marito, all'ospizio di S. Maria per i pellegrini in viaggio verso Roma, ma nessun altro documento testimonia quanto si legge nella Divina Commedia, cioè l'odio verso i suoi concittadini ed il nipote Provenzano, di cui sperò la sconfitta ad opera dei fiorentini a Colle Val d'Elsa l'8 giugno 1269.
Il personaggio di Dante è soprattutto rappresentazione poetica priva di circostanziati agganci alla realtà, paradigma di quella invidia che non ha bisogno di motivazioni, ma è semplice anti-carità.
Sulla scorta del più celebre esempio evangelico petram/Petrus il gioco etimologico qui è imperniato sul vocabolo tardo-latino "sapius" origine del nome Sapia e dell'aggettivo "savia": Sapia, che aveva la saggezza scritta nel nome, non si rivelò, tuttavia, altrettanto saggia nella vita da evitare il peccato di invidia.
Tipico atteggiamento medievale è quello di cercare una corrispondenza fra le cose ed i loro nomi: "nomina sunt consequentia rerum" diceva, infatti, la filosofia scolastica e largo fu il parallelo fiorire di dizionari etimologici.
-PIA DE' TOLOMEI
Pia della famiglia dei Tolomei di Siena, andata sposa a Nello dei Pannocchieschi, che ricoprì la carica di podestà di Volterra e di Lucca verso la fine del 1200, morì precipitando dal balcone del Castello della Pietra, in Maremma. Secondo alcuni l'uccisione di Pia puniva un adulterio, reale o soltanto
presunto dalla gelosia, secondo altri copriva più semplicemente l'aspirazione del marito a nuove e più vantaggiose nozze con Margherita degli Aldobrandeschi.
Il testo di Dante non chiarisce tutti i particolari della vicenda (la colpa di Pia, le modalità della morte), ma fa luce sul nodo essenziale, sulle circostanze violente della morte, e sui sentimenti della donna: Pia fu uccisa dal marito e non vuole vendetta. Il suo discorso è breve, pudico e nobile, così come si addice a una donna. Lo scenario del suo dramma è tutto domestico e privato, non è una rievocazione di un fatto di sangue, tanto che nella maggior parte del discorso descrive la cerimonia nuziale. Il poeta sviluppa qui il tema dell'inutilità dell'odio umano, nell'intimità della famiglia come nelle vicende politiche.
-FRANCESCA
Francesca da Rimini, figlia di Guido signore di Ravenna, andata in sposa a Gianciotto Malatesta, fu da questi uccisa perché sorpresa in tresca amorosa col cognato Paolo.
La storia di Paolo e Francesca è una storia vera, che Dante conosce bene perché i due giovani amanti muoiono quando il poeta è poco più che ventenne.
Il De Sanctis fa di lei la prima vera donna della letteratura italiana, ed ella fu -in effetti- almeno la prima protagonista in senso tecnico della letteratura medievale.
Come altri personaggi dell’Inferno, Francesca vive in un contrasto, quello fra nobiltà d’animo e peccato, fra pietà suscitata e giudizio di condanna: nei vv. 91-92 (…se fosse amico il Re dell’universo / noi pregheremo Lui…) notiamo infatti quella che i teologi morali chiamano ambiguitas animi: la possibile coesistenza, cioè, di rimorso e di peccato, di comprensione della gravità della colpa e dell’impossibilità di liberarsi di essa.
Qui Dante sottolinea non solo il rimpianto implicito per una situazione che frustra la possibilità di compiere un’azione gentile, ma soprattutto la logica contraddittoria dell’amore che trasforma l’impossibile in reale, tranne poi cozzare contro realtà esterne più forti.
Per quel che riguarda la pietà, essa non investe l’autore ma il personaggio: se la concezione ideologica dell’autore è salda, l’uomo Dante trema meditabondo sul peccato e sulle conseguenze del giusto castigo che provoca, e Dante poeta e teorico di poesia nega una visione di vita e di letteratura disgiunta dall’etica religiosa, ma non può tagliare una parte di sé non soffrendo. Dante non riscatta umanamente ciò che deve cristianamente condannare: sono le persone e le loro vicende quelle che fanno nascere il sentimento di Dante. Pietà è allora atteggiamento verso casi e persone specifiche, verso il se stesso di un tempo riflesso in chi ora trova dannato, verso il mistero dell’uomo travolto dall’amore che è fatto naturale ma anche peccato (per molti versi si ricollega quindi al concetto latino di pietas che la presenza di Didone e di Virgilio suggeriscono).
Ciò che distingue Francesca è la delicatezza dolorosa propria dell’immagine femminile stilnovistico-cortese, tuttavia non è nella posizione lontana e irraggiungibile delle donne-angelo, oggetto di contemplazione e mai soggetto di discorsi: nella Commedia compare come un individuo concreto, con una posizione sociale precisa (di nobile, di donna sposata, di traditrice) e con una coscienza morale autonoma. Perciò è protagonista della propria storia ed è lei stessa a narrarla ponendo eccezionalmente sullo sfondo l’uomo (che invece è il protagonista attivo della lirica). Proprio questa coscienza e questa volontà (Francesca ha peccato e il peccato deriva da una scelta razionale) fanno di lei un personaggio di straordinaria forza e di una modernità che lo stilnovo non conosceva.
va bene così???...prego...