Parafrasi dell'Iliade vv. 1-133

watanka
mi potete fare la parafrasi di questi versi?
Cantami, o Diva, del Pelide Achille,
l’ira funesta, che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco
generose travolse alme d’eroi,
e di cani e d’augelli orrido pasto
lor salme abbandonò ( così di Giove
l’alto consiglio s’adempìa ), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de’ prodi Atrìde e il divo Achille.
E qual de’ numi inimicolli? Il figlio
di Latóna e di Giove. Irato al Sire
destò quel Dio nel campo un feral morbo,
e la gente pería: colpa d’Atride
che fece a Crise sacerdote oltraggio.
Degli Achivi era Crise alle veloci
prore venuto a riscattar la figlia
con molto prezzo. In man le bende avea,
e l’aureo scettro dell’arciero Apollo,
e agli Achei tutti supplicando, e in prima
ai due supremi condottieri Atridi:
« O Atridi, » ei disse, « o coturnati Achei,
gl’immortali del cielo abitatori
concèdanvi espugnar la priamèia
cittade, e salvi al patrio suol tornarvi.
Deh, mi sciogliete la diletta figlia,
ricevétene il prezzo, e il saettante
figlio di Giove rispettate ». Al prego
tutti acclamâr: doversi il sacerdote
riverire, e accettar le ricche offerte.
Ma la proposta al cor d’Agamemnóne
non talentando, in guise aspre il superbo
accomiatollo, e minaccioso aggiunse:
« Vecchio, non far che presso a queste navi
ned or né poscia più ti colga io mai;
chè forse nulla ti varrà lo scettro,
né l’infula del Dio. Franca non fia
costei, se lungi dalla patria in Argo,
nella nostra magion pría non la sfiori
vecchiezza, all’opra delle spole intenta.
Or va’, né m’irritar, se salvo ir brami».
Impaurissi il vecchio, ed al comando
obbedì. Taciturno incamminossi
del risonante mar lungo la riva;
e, in disparte venuto, al santo Apollo
di Latóna figliuol fe’ questo prego:
«Dio dall’arco d’argento, o tu, che Crisa
proteggi e l’alma Cilla,e sei di Tènedo
possente imperador, Smintèo, deh, m’odi:
se di serti devoti unqua il leggiadro
tuo delúbro adornai, se di giovenchi
e di caprette io t’arsi i fianchi opimi,
questo voto m’adempi: il pianto mio
paghino i Greci per le tue saette».
Sí disse orando: L’udì Febo, e scese
dalle cime d’Olimpo, in gran disdegno
coll’ arco sulle spalle, e la faretra
tutta chiusa. Mettean le frecce orrendo
su gli òmeri all’irato un tintinnío
al mutar de’ gran passi; ed ei simíle
a fosca notte giù venía. Piantossi
delle navi al cospetto: indi uno strale
liberò dalla corda, ed un ronzío
terribile mandò l’arco d’argento.
Prima i giumenti e i presti veltri assalse,
poi le schiere a ferir prese, vibrando
le mortifere punte; onde per tutto
degli esanimi corpi ardéan le pire.
Nove giorni volâr pel campo acheo
le divine quadrella. A parlamento
nel decimo chiamò le turbe Achille;
ché gli pose nel cuor questo consiglio
Giuno, la diva dalle bianche braccia,
de’ moribondi Achei fatta pietosa.
Come fûr giunti e in un raccolti, in mezzo
levossi Achille piè veloce, e disse:
« Atríde, or sí cred’ io volta daremo
nuovamente errabondi al patrio lido,
se pur morte fuggir ne fía concesso:
ché guerra e peste ad un medesmo tempo
ne struggono. Ma via; qualche indovino
interroghiamo, o sacerdote, o pure
interprete di sogni ( ché da Giove
anche il sogno procede ), onde ne dica
perché tanta con noi d’Apollo è l’ira:
se di preci o di vittime neglette
il Dio n’incolpa, o se d’agnelli e scelte
capre accettando l’odoroso fumo,
il crudel morbo, allontanar gli piaccia».
Cosí detto, s’ assise. In piedi allora
di Tèstore il figliuol, Calcante, alzossi,
de’ veggenti il più saggio, a cui le cose
eran conte che fûr, sono e saranno;
e per quella, che dono era d’Apollo,
profetica virtù. De’ Greci a Troia
avea scòrte le navi. Ei dunque in mezzo
pien di senno parlò queste parole:
«Amor di Giove, generoso Achille,
vuoi tu che dell’ arcier sovrano Apollo
ti riveli lo sdegno? Io t’obbedisco.
Ma del braccio l’aíta e della voce
a me tu pría, signor, prometti e giura:
perché tal, che qui grande ha sugli Argivi
tutti possanza e a cui l’Acheo s’inchina,
n’andrà, per mio pensar, molto sdegnoso.
Quando il potente col minor s’adira,
reprime ei, sí, del suo rancor la vampa
per alcun tempo, ma nel cor la cova,
finché prorompa alla vendetta. Or dinne
se salvo mi farai». «Parla securo»,
rispose Achille, «e del tuo cor l’arcano,
qual ch’ei si sia, di’ franco. Per Apollo
che pregato da te ti squarcia il velo
de’ fati, e aperto tu li mostri a noi,
per questo Apollo a Giove caro io giuro:
nessun, finch’ io m’avrò spirto e pupilla,
con émpia mano innanzi a queste navi
oserà vïolar la tua persona,
nessun degli Achei; no, s’anco parli
d’Agamennón, che sé medesmo or vanta
dell’esercito tutto il più possente».
Allor fe’ core il buon profeta, e disse:
«Né d’ oblïati sacrifici il Dio
né di voti si duol; ma dell’oltraggio
che al sacerdote fe’ poc’anzi Atríde,
che francargli la figlia ed accettarne
il riscatto negò. La colpa è questa
onde cotante ne diè strette, ed altre
l’arcier divino ne darà; né pría
ritrarrà dal castigo la man grave
che si rimandi la fatal donzella,
non redenta né compra, al padre amato,
e si spedisca un’ecatombe a Crisa.
Così forse avverrà che il Dio si plachi».
( traduzione di Vincenzo Monti)

Risposte
Annie__
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ciao Anna :hi

Narcos03
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