Italiano (10305)
mi servirebbero delle informazioni sulla poetica di questi autori:Carducci,Corazzini,Palazzeschi,Pascoli,D'Annunzio,Ungaretti e Montale e se è possibile anche la loro concezione politica.é importante,grazie
Risposte
chiudo:hi
vi ringrazio tantissimo
Credo proprio che basti...
POETICA CARDUCCI:
Carducci ritiene che il poeta debba svolgere la missione di confortare gli uomini, oppressi dalla contraddizione fra gli ideali e l'amara realtà(si allontana dagli ultimi romantici e dagli ideali del suo tempo perchè deluso dal contrasto tra i grandi ideali del Risorgimento e la miseria della realtà italiana dopo le guerre di indipendenza) , con le immagini dell'armonia e del bello. Egli è contro il romanticismo perchè in questo vede il rifiuto della -tradizione patria-, vede, poi, sentimentalismo e malattia, perchè vide anche in questo, lamento e fantasticheria, che secondo lui rendono deboli. Carducci ama invece il classicismo, che per lui vuole dire armonia, chiarezza e cultura della bellezza (culto), della forma che egli considerava molto importante. Diceva che per rinnovare la forma, bisognava rifarsi alla grande tradizione italiana da Dante, Parini, Alfieri fino al Foscolo.
Il poeta vuole contribuire a formare la coscienza civile dei suoi concittadini, e deve spronare a nobili ed eroiche azioni narrando le imprese degli antichi. Il poeta deve anche accendere gli animi agli ideali religiosi e patriottici: Carducci viene considerato il "poeta vate" cioè il poeta simbolo della nazione italiana. Lui rifiuta la poesia moderna che da Leopardi in poi non si riteneva più obbligata a seguire le regole della metrica. Egli nelle Rime nuove segue la tradizione dei modelli italiani e nelle Odi barbare applica le regole della metrica greca e latina. .
Carducci dice che il poeta non è un servo dei potenti ma un grande artiere, un fabbro, che lavora sull'incudine: il pensiero, le memorie patrie, la libertà e la bellezza, i sentimenti familiari. In questi concetti si vede un certo -parnassianesimo- che si avrà nel Carducci maturo .I Parnassiani erano contro il sentimentalismo della poesia romantica e vogliono un'arte chiara e perfetta nella forma. Il realismo del Carducci è amore dell'oggettivo, del concreto (romanticismo oggettivo) e questo si ha quando Carducci parla di argomenti storici o paesaggi molto forti (di San Martino) e anche amore del classicismo che in lui vuole dire serenità spirituale, ma una poesia precisa e chiara. Bisogna ricordare che Carducci, realista classico e romantico, non accetta il Naturalismo e il Verismo degli scrittori dell'800 nè la poesia troppo umile ma nella sua poesia vi sono pure aspetti inquieti, sognanti che ci possono far pensare al Decadentismo. Carducci per la forza morale del suo realismo è vicino al Verga anche se sono due scrittori diversi: tutti e due hanno dato alla loro età modesta il sentimento dell'eroico: Verga l'ha dato mostrandoci la vita degli umili, come una dura lotta quotidiana ed eroica; Carducci cantando i grandi eroi e i fatti storici, mettendo in questi il suo carattere attivo. E tutti e due gli scrittori, Verga in modo cupo e Carducci in modo luminoso, sono serviti a rinforzare lo spirito nazionale. Nel Carducci ci sono anche motivi romantici: il progresso storico, l'amore della libertà, della giustizia, della patria, la poesia che deve educare, il realismo, l'amore verso il mondo classico e la storia medioevale, in cui vede una vita ideale.
Il Carducci sente nostalgia per la storia passata in cui vede la sua Patria ideale soprattutto verso il Medioevo, l'età comunale (il comune rustico, il parlamento). La storia per il Carducci non è solo nostalgia ma anche attualità, cioè deve servire a smuovere gli animi nelle sue poesie ispirate a figure del Risorgimento dove parla di Mazzini, Garibaldi; i poeti antichi e moderni che egli ricorda nelle sue poesie come Parini, Goldoni, Alfieri, Monti, Omero, Dante e Foscolo, gli servono come esempi d'arte e di vita, di bellezza e di amor patrio.
Come il Manzoni vede il mondo dominato dalla provvidenza anche il Carducci vede la storia come -Nemesi- (dea greca che rappresentava la giustizia: quindi la Nemesi è la legge della storia) che vuole dire, infatti, distribuzione di giustizia. Quindi abbiamo detto che Nemesi vuole dire giustizia della storia che punisce le colpe dei tiranni facendole ricadere sui discendenti senza colpa; colpito da lutti familiari si rifugia nel ricordo. Infatti gli argomenti principali di queste opere sono: momenti di confessioni deluse e il paesaggio fa ricordare cari ricordi. Molto importanti sono i ricordi classici e storici ma anche il sentimentalismo della Nemesi con cui Carducci vede spesso la storia. Carducci ebbe il premio "Nobel" perchè i suoi scritti hanno portato novità nel campo letterario, presentando al posto di una poesia languida una poesia forte, chiara e umanitaria, ma anche al posto di una lingua trascurata, ha dato una lingua curata sui modelli classici; in pratica dopo la delusione, nata in seguito all'unificazione, fu di incitamento alla lotta civile.
ODI BARBARE(OPERA PIù IMPORTANTE)
L’imitazione dei metri greco-latini ha trovato nella letteratura italiana un’importanza maggiore che in altre letterature romanze. Questa sperimentazione, definita poesia metrica, dal Carducci in poi assumerà la definizione di poesia barbara, perché come afferma lo scrittore, tale sarebbe sembrata «al giudizio dei greci e dei romani». Questo tipo di tecnica consiste nell’applicare la metrica quantitativa dell’antichità classica, basata sulla lunghezza delle sillabe, alla poesia italiana. La lingua italiana, al contrario del greco e del latino, non fa distinzione tra sillabe lunghe e sillabe brevi: per la struttura delle singole parole e per l’intonazione della frase, ha invece valore decisivo la netta differenza tra sillabe atone e sillabe toniche, aspetto che nel verso antico aveva un’importanza secondaria. Inoltre per il verso italiano è fondamentale il numero delle sillabe, che nella poesia greca e latina era oltremodo variabile, data la possibilità di sostituzione della sillaba lunga con due brevi. Carducci studiò a lungo e pubblicò i risultati dei precedenti tentativi firmati Leon Battista Alberti, Leonardo Dati, Claudio Tolomei, Annibal Caro e Gabriello Chiabrera, noti al mondo letterario, eppure la pubblicazione delle Odi barbare nel 1877 attirò numerose polemiche. La novità del poeta ottocentesco era il risultato raggiunto nella sperimentazione attuata sull’esametro e sul distico elegiaco che, per la loro particolare struttura metrica, avevano sempre rappresentato un ostacolo nella poesia metrica. Per raggiungere il suo scopo, ossia riprodurre nel miglior modo possibile il ritmo antico, trovò l’espediente di applicare al verso la lettura accentativa italiana o, in alternativa, di comporre versi in cui le sillabe lunghe fossero sostituite con arsi. Carducci lavorò anche ad altre forme metriche, dedicandosi in particolare all’imitazione delle strofe saffiche e alcaiche. Possiamo paragonare la sua attività di sperimentazione a quella svolta dai ricercatori nei laboratori: operazioni delicate, curate nei minimi dettagli, non solo dal punto di vista formale ma anche lessicale. Infatti, nell’esprimere la quotidianità, il poeta non impiega un linguaggio comune, ma propende sempre verso vocaboli di netta impronta classica, scelta che, come afferma il Salinari, potrebbe a sua volta essere considerata un limite: «il suo linguaggio che ha grande forza espressiva nelle rappresentazioni epiche o comunque di sentimenti dai contorni ben precisi, è troppo poco allusivo, sfumato, musicale per rappresentare situazioni sfuggenti, indefinite, contraddittorie, che riflettono i conflitti intimi delle zone più oscure e incerte della coscienza.» I temi preponderanti nelle Odi sono la natura e la storia, ma non mancano anche componimenti dedicati agli affetti familiari e all’infanzia, all’amore e alla morte. Una poesia, Ragioni metriche, addirittura ha come protagonisti i versi greci e latini, attorno ai quali tanto si affannò l’autore. Di particolare interesse è la visione carducciana della storia, in cui una sorta di ‘peccato originale’ intacca alcune famiglie di regnanti: i discendenti, pur se innocenti, pagano le conseguenze della cattiva politica condotta dai loro avi, come nel caso degli Asburgo e dei Bonaparte. Le Odi barbare quindi, pur non essendo un’opera dai contenuti innovativi, segnano una tappa importante dello sperimentalismo romantico alla continua ricerca di forme diverse per dare voce agli eventi caratterizzanti la storia e la società ottocentesca. ([url=http://209.85.135.104/search?q=cache:lIvLS26Zn8AJ:balbruno.altervista.org/index-215.html+carducci+poetica&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]tratto da qui[/url])
POETICA CORAZZINI:
La sua poesia è focalizzata su "piccole cose", dietro le quali non emergono valori segreti, ma si nasconde il vuoto, tipico dei poeti crepuscolari tra i quali Corazzini fu annoverato. I suoi versi esprimono da un lato un malinconico desiderio per quella vita che la malattia gli negava, dall'altro un nostalgico ritrarsi dall'esistenza presente, proprio perché avara di prospettive future.
Nelle poesie di Corazzini si possono cogliere due momenti: quello del povero poeta sentimentale che racconta la propria malinconia con un linguaggio semplice e dimesso e quello del poeta ironico che adotta un linguaggio meno trasparente, più polisemico, a volte addirittura simbolico.
In Desolazione del povero poeta sentimentale si esprime tutta la poetica di Corazzini dove il "piccolo fanciullo che piange" proclama l'impossibilità di essere chiamato "poeta", affermando così, per la prima volta, la concezione della poetica crepuscolare così in contrasto con il trionfante dannunzianesimo.
(TRATTO DA WIKIPEDIA)
POETICA PALAZZESCHI:
, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto una sua individualità e una particolare fisionomia.
Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi dei languori e degli abbandoni tipici di un Corazzini, e se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.
Analoghe considerazioni valgono per l'adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista "Lacerba", nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: "bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L'uomo non può essere considerato seriamente che quando ride...Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...". Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall'immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo.
Sempre in tema di futurismo, si pensi all'originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente, o in Passeggiata: quella che all'inizio pare un'incomprensibile macedonia di numeri, lettere e parole è in realtà un componimento logico ed originale, creato con una tecnica inventata nelle arti figurative pochi anni prima. Si tratta del Collage. La poesia non è infatti altro che l'enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l'io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l'esaltazione del movimento, né l'attivismo politico, ma solo la distruzione delle tradizionali strutture.
L'umorismo funambolesco di Palazzeschi ha purtroppo portato ad interpretazioni discutibili. Spesso si propone una lettura del poeta in chiave di stile infantile, interpretazione che viene avanzata da parte di critici che sottovalutano la natura tragicomica della vena scherzosa di Palazzeschi. Egli non fu affatto un poeta infantile come spesso tutt'oggi si dice; né tanto meno possiamo parlare di un poeta particolarmente adatto all'insegnamento della letteratura nella scuola elementare (fatta eccezione per pochissimi componimenti). Gli elementi naïf della sua arte scrittoria ricorrono in fondo proprio nei componimenti più tetri e sconcertanti. Si tratta allora di un infantilismo irriverente che per Palazzeschi costituiva una forma di ritirata, di protesta. Basti infatti pensare a quanto dichiarava l'artista a proposito delle sue opere di gioventù: "Il mio lettore si aspetta che io scriva qualcosa per spiegare questa poesia simbolistica, che è il contrario della poesia sana. Ma non posso farlo: lo spaventerei troppo!"
Va infine ricordato che l'autore stesso è sempre stato allergico alle etichette, ragion per cui nella celeberrima Chi sono? rifiuta persino lo status di poeta o artista, per limitarsi a definirsi provocatoriamente "saltimbanco dell'anima mia". (TRATTO DA WIKIPEDIA)
POETICA PASCOLI
La poesia è per Pascoli la voce del poeta-fanciullo che riscopre la realtà delle cose, anche delle più piccole; è uno sguardo vergine e primigenio che si posa sul mondo e ne evidenzia gli aspetti più nascosti. Secondo Pascoli, dunque, può dirsi poeta colui che è riuscito ad esprimere quello che tutti stavano pensando ma che nessuno riusciva a dire.
La poesia però deve avere anche un compito sociale e civile: deve migliorare l'uomo, renderlo buono, renderlo etico. Questa concezione riflette pienamente il suo socialismo umanitario, utopistico, interclassista, patriottico.
Il discorso La grande proletaria si è mossa (con cui Pascoli si dichiarava favorevole all'entrata in guerra dell'Italia)è stato il manifesto di questa sorta di "socialismo nazionale", vicino per alcuni aspetti ad un nazionalismo populista, che considera la guerra come un momento di superamento dei conflitti sociali e delle differenze di classe.
Si tratta, in realtà, di una prospettiva indubbiamente falsata, basata su posizioni che in seguito lo stesso Pascoli provvederà a rivedere:
- lo spostamento della lotta di classe all'esterno delle nazioni: non più tra parti sociali di una stessa nazione, ma tra nazioni ricche e nazioni proletarie.
- il continuo scivolare delle argomentazioni politiche e sociali dal piano della ragione a quello del sentimento (illusione di una possibile fratellanza e di un'istintiva bontà che porterebbe gli uomini di una stessa nazione ad abbattere le differenze e ad unirsi nella lotta contro il nemico comune).
Si intrecciano nella sua poetica due spinte fondamentali:
- una verso l'esterno, verso l'intervento attivo nella società per produrre nei cambiamenti nelle cose e negli uomini.
- una verso l'interno, intimista, abbinata al gusto contadino per le cose semplici e all'attenzione a volte ossessiva alle complicazioni tortuose del suo animo decadente.
Uno scambio continuo, insomma, tra grande e piccolo, in un rovesciamento di prospettiva e di valori.
Il fanciullino
Come nel mito platonico del Fedone esiste dentro di noi un fanciullino che nell'infanzia si confonde con noi, ma, anche con il sopraggiungere della maturità, non cresce e continua a far sentire la sua voce ingenua e primigenia, suggerendoci quelle emozioni e sensazioni che solo un fanciullo può avere.
Spesso, però, questa parte che non è cresciuta non viene più ascoltata dall'adulto. Il poeta invece è colui che è capace di ascoltare e dare voce al fanciullino che è in lui e di provare di fronte alla natura le stesse sensazioni di stupore e di meraviglia proprie del bambino o dello stato primigenio dell'umanità.
Il fanciullino prova sensazioni che sfuggono alla ragione, ci spinge alle lacrime o al riso in momenti tragici o felici, ci salva con la sua ingenuità, è sogno, visione, astrazione. È come Adamo che dà per la prima volta il nome alle cose e scopre tra esse relazioni e somiglianze ingegnose, che nulla hanno a che vedere con la logica della razionalità. Il nuovo si scopre, non si inventa, la poesia è nelle cose, anche nelle più piccole.
La poesia ha un compito civile e sociale: il poeta in quanto tale esprime il fanciullino ed ispira i buoni e civili costumi e l'amor patrio, senza fare comizi, senza dedicarsi alla politica nel senso classico, ma solo grazie al suo sguardo puro ed incantato.
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POETICA D'ANNUNZIO
La poetica e la poesia del D’Annunzio sono l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti decadenti europei egli accoglie modi e forme, senza però approfondirne l’intima problematica, ma usandoli come elementi decorativi della sua arte fastosa e composita. Aderisce soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico del Decadentismo, collegandoli alla propria ispirazione narrativa, naturalistica e sensuale. Egli rigetta la ragione come strumento di conoscenza per abbandonarsi alle suggestioni del senso e dell’istinto; spesso vede nell’erotismo e nella sensualità il mezzo per attingere la vita profonda e segreta dell’io. Egli cerca una fusione dei sensi e dell’animo con le forze della vita, accogliendo in sé e rivivendo l’esistenza molteplice della natura, con piena adesione fisica, prima ancora che spirituale. E’ questo il “panismo dannunziano”, quel sentimento di unione con il tutto, che ritroviamo in tutte le poesie più belle di D’Annunzio, in cui riesce ad aderire con tutti i sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, s’immerge in essa e si confonde con questa stessa. La poesia diviene quindi scoperta intuitiva; la parola del poeta, modulata in un verso privo di ogni significato logico, ridotta a pura musica evocativa, coglie quest’armonia e la esprime continuando e completando l’opera della natura. La sua vocazione poetica si muta poi in esibizionismo e la poesia vuol diventare atto vitale supremo, una sorta di moralità alla rovescia, estremamente individualistica e irrazionale. Abbiamo allora l’esaltazione del falso primitivo, dell’erotismo o quella sfrenata del proprio io, indicata nei due aspetti dell’estetismo e del superomismo. L’estetismo è in definitiva il culto del bello, in pratica vivere la propria vita come se fosse un’opera d’arte, o al contrario vivere l’arte come fosse vita. Quest’atteggiamento, preso dal Decadentismo francese, è molto consono, corrispondente cioè alla personalità del poeta. Quindi l’esteta si limita a realizzare l’arte, ricercando sempre la bellezza; ogni suo gesto deve distinguersi dalla normalità, dalle masse. Di conseguenza vengono meno i principi sociali e morali che legano al contrario gli altri uomini. A differenza di questo il superuomo assomiglia all’esteta, ma si distingue per il suo desiderio di agire. Il superuomo considera che la civiltà è un dono dei pochi ai tanti e per questo motivo si vuole elevare al di sopra della massa; è l’esteta attivo, che cerca di realizzare la sua superiorità a danno delle persone comuni. ([url=http://209.85.135.104/search?q=cache:nnrWoNmHsuQJ:www.itcbz.it/didattica/archivio/decadentismo/dannunzio.htm+D%27ANNUNZIO+poetica&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]TRATTO DA QUI[/url])
UNGARETTI POETICA
Ungaretti vive nel periodo in cui la borghesia, dopo aver realizzato in Italia il capitalismo, non porta avanti gli ideali di giustizia e libertà, ma si chiude in se stessa, temendo di perdere la propria egemonia, e affida la risoluzione delle proprie contraddizioni sociali prima al colonialismo-imperialismo, poi alla guerra mondiale, al fascismo e alla II guerra mondiale.
Ungaretti è il maestro riconosciuto dell'Ermetismo. Il termine "ermetico" significa "chiuso", "oscuro". La definizione venne adottata per la prima volta dalla critica nel '36, in riferimento soprattutto alla sua poesia. Successivamente si inclusero negli ermetici anche Montale, Saba e in parte Quasimodo.
- L'Ermetismo si oppone soprattutto al Decadentismo di D'Annunzio, cioè agli atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale.
- L'Ermetismo si oppone anche ai crepuscolari, ai futuristi, ai "vociani", perché non si accontenta di una riforma stilistica e non sopporta la retorica.
E' l'esperienza della guerra che rivela al poeta la povertà dell'uomo, la sua fragilità e solitudine, ma anche la sua spontaneità e semplicità (primitivismo) che viene ritrovata nel dolore. L'esistenza è un bene precario ma anche prezioso. In guerra egli si è sottratto ad ogni vanità e orgoglio; nella distruzione e nella morte ha però riscoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, primitiva. Ha acquisito compassione per ogni soldato coinvolto nell'assurda logica della guerra: ha maturato, per questo, un profondo senso di fraterna solidarietà. La sua visione esistenziale è dolorosa perch'egli pensa che l'uomo non abbia la possibilità di concretizzare le sue aspirazioni conoscitive e morali. Ungaretti non crede nelle filosofie razionali e cerca di cogliere la realtà attraverso una poetica che s'incentri sull'analogia, cioè sul rapido congiungimento di ordini fenomenici diversi, di immagini fra loro molto lontane che la coscienza comune non metterebbe insieme.
Questa esperienza lo porta a rifiutare -soprattutto nell'Allegria- ogni forma metrica tradizionale: rifiuta il lessico letterario, le convenzioni grammaticali, sintattiche e retoriche (ad es. elimina la punteggiatura, il "come" nelle analogie, ecc. Diventano importanti gli accenti tonici, le pause). Crea un ritmo totalmente libero, con versi scomposti, brevissimi, scarni, fulminei, dove la singola parola acquista un valore assoluto, dove il titolo è parte integrante del testo. La poetica qui è frammentaria, allusiva, scabra, anche perché il poeta non ha una realtà ben chiara da offrire.
Ne Il porto sepolto Ungaretti lascia intendere che poesia significa possibilità di contemplare la purezza in un mondo caotico e assurdo, ma la poesia dev'essere espressione di un'esperienza particolare, intensamente vissuta: la ricerca del vocabolo giusto è faticosa, perché l'uomo deve liberarsi del male che è in lui e fuori di lui.
Ne L'allegria il poeta non accetta le illusioni e preferisce star solo con la sua sofferenza (cfr. Peso, dove al contadino-soldato che si affida, ingenuamente, alla medaglia di Sant'Antonio per sopportare meglio il peso della guerra, il poeta preferisce stare "solo", "nudo", cioè senza illusioni ("senza miraggio"), con la sua anima. Ungaretti tuttavia non è ateo: si limita semplicemente a chiedersi che senso ha Dio in un mondo di orrori (cfr Risvegli) e perché gli uomini continuano a desiderarlo quando ciò non serve loro ad evitare gli orrori (cfr Dannazione). Il contrasto è fra una religiosità tradizionale, superficiale, e una religiosità più intima e sofferta, che in Fratelli si esprime come profonda umanità, partecipazione al dolore universale. E' solo negli Inni che Ungaretti ripone nella fede religiosa la soluzione delle contraddizioni umane (cfr La preghiera).
Il superamento dell'autobiografismo e la modificazione dello stile ermetico avviene nel Sentimento del tempo. Qui il poeta ha consapevolezza che il tempo è cosa effimera rispetto all'eterno (la riflessione è molto vicina ai temi della religione). La poesia aspira a dar voce ai conflitti eterni, a interrogativi drammatici: solitudine e ansia di una comunicazione con gli altri, rimpianto di un'innocenza perduta e ricerca di un'armonia col mondo, ecc. In questa raccolta Ungaretti ritrova i metri e i moduli della tradizione poetica italiana (ad es. riscopre il valore dell'endecasillabo, del sistema strofico, della struttura sintattica).
L'ultima importante raccolta, Il dolore, contiene 17 liriche dedicate al figlio e altre poesia di contenuto storico (sulla IIa guerra mondiale). Qui il discorso diventa più composto, quasi rasserenato. Toni e parole paiono affiorare da un'alta saggezza raggiunta al prezzo di una drammatica sofferenza. Il poeta esprime una inappagata ma inesauribile tensione alla pace e all'amore universali. ([url=http://209.85.135.104/search?q=cache:NW4L8WUdev0J:www.homolaicus.com/letteratura/ungaretti.htm+UNGARETTI+poetica&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]TRATTO DA QUI[/url])
MONTALE POETICA:
Montale capovolge l'atteggiamento fondamentale della poesia: il poeta non può dare risposte. Montale sa che la poesia rappresentativa non ha futuro, il poeta non è più "vate" e la stessa poesia è costituita da "qualche storta sillaba, e secca come un ramo" (per citare nuovamente Non chiederci la parola).
Consapevole che la conoscenza umana non può raggiungere l'assoluto, nemmeno tramite la poesia, a cui spesso si tende ad affidare il ruolo di fonte d'elevazione spirituale per eccellenza (ciò avviene, per esempio, in Ungaretti), Montale scrive poesia perché questa possa essere una sorta di strumento/testimonianza d'indagine della condizione esistenziale dell'uomo novecentesco. A differenza delle allusioni e delle analogie ungarettiana, Montale fa un ampio uso di quello che è stato definito da T.S. Eliot "correlativo oggettivo": anche gli oggetti, le idee, le emozioni e le sensazioni più indefinite risultano correlate in oggetti ben definiti e concreti. Montale cerca una soluzione simbolica in cui la realtà dell'esperienza è assunta a testimonianza di vita. Il "male di vivere", per esempio, nella lirica degli Ossi di seppia Spesso il male di vivere ho incontrato viene definito come "rivo strozzato", "incartocciarsi della foglia riarsa", "cavallo stramazzato" e nella lirica "Meriggiare pallido e assorto", appartenente alla stessa raccolta, l'aridità esistenziale è significativamente correlata alle "crepe del suolo", e la negatività esistenziale vissuta dall'uomo novecentesco dilaniato e consunto dal divenire storico, è vista come "una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". Il poeta, però, vede in alcune immagini una sorta di speranza contro questa situazione di "male di vivere": ad esempio, il mare (pensando ad "Ossi di seppia": essi provengono comunque dal mare ed infatti ricorre spesso questo pensiero), il "falco alto levato", anche titolo di una delle sue poesie, ed infine alcune figure di donne che sono state importanti nella sua vita.
La poesia di Montale assume dunque il valore di testimonianza e un preciso significato morale: Montale esalta lo stoicismo etico di chi (un po' come Agricola, suocero dello scrittore latino Tacito, da cui viene descritto nell'opera omonima) compie in qualsiasi situazione storica e politica il proprio dovere. (TRATTO DA WIKIPEDIA)
Carducci ritiene che il poeta debba svolgere la missione di confortare gli uomini, oppressi dalla contraddizione fra gli ideali e l'amara realtà(si allontana dagli ultimi romantici e dagli ideali del suo tempo perchè deluso dal contrasto tra i grandi ideali del Risorgimento e la miseria della realtà italiana dopo le guerre di indipendenza) , con le immagini dell'armonia e del bello. Egli è contro il romanticismo perchè in questo vede il rifiuto della -tradizione patria-, vede, poi, sentimentalismo e malattia, perchè vide anche in questo, lamento e fantasticheria, che secondo lui rendono deboli. Carducci ama invece il classicismo, che per lui vuole dire armonia, chiarezza e cultura della bellezza (culto), della forma che egli considerava molto importante. Diceva che per rinnovare la forma, bisognava rifarsi alla grande tradizione italiana da Dante, Parini, Alfieri fino al Foscolo.
Il poeta vuole contribuire a formare la coscienza civile dei suoi concittadini, e deve spronare a nobili ed eroiche azioni narrando le imprese degli antichi. Il poeta deve anche accendere gli animi agli ideali religiosi e patriottici: Carducci viene considerato il "poeta vate" cioè il poeta simbolo della nazione italiana. Lui rifiuta la poesia moderna che da Leopardi in poi non si riteneva più obbligata a seguire le regole della metrica. Egli nelle Rime nuove segue la tradizione dei modelli italiani e nelle Odi barbare applica le regole della metrica greca e latina. .
Carducci dice che il poeta non è un servo dei potenti ma un grande artiere, un fabbro, che lavora sull'incudine: il pensiero, le memorie patrie, la libertà e la bellezza, i sentimenti familiari. In questi concetti si vede un certo -parnassianesimo- che si avrà nel Carducci maturo .I Parnassiani erano contro il sentimentalismo della poesia romantica e vogliono un'arte chiara e perfetta nella forma. Il realismo del Carducci è amore dell'oggettivo, del concreto (romanticismo oggettivo) e questo si ha quando Carducci parla di argomenti storici o paesaggi molto forti (di San Martino) e anche amore del classicismo che in lui vuole dire serenità spirituale, ma una poesia precisa e chiara. Bisogna ricordare che Carducci, realista classico e romantico, non accetta il Naturalismo e il Verismo degli scrittori dell'800 nè la poesia troppo umile ma nella sua poesia vi sono pure aspetti inquieti, sognanti che ci possono far pensare al Decadentismo. Carducci per la forza morale del suo realismo è vicino al Verga anche se sono due scrittori diversi: tutti e due hanno dato alla loro età modesta il sentimento dell'eroico: Verga l'ha dato mostrandoci la vita degli umili, come una dura lotta quotidiana ed eroica; Carducci cantando i grandi eroi e i fatti storici, mettendo in questi il suo carattere attivo. E tutti e due gli scrittori, Verga in modo cupo e Carducci in modo luminoso, sono serviti a rinforzare lo spirito nazionale. Nel Carducci ci sono anche motivi romantici: il progresso storico, l'amore della libertà, della giustizia, della patria, la poesia che deve educare, il realismo, l'amore verso il mondo classico e la storia medioevale, in cui vede una vita ideale.
Il Carducci sente nostalgia per la storia passata in cui vede la sua Patria ideale soprattutto verso il Medioevo, l'età comunale (il comune rustico, il parlamento). La storia per il Carducci non è solo nostalgia ma anche attualità, cioè deve servire a smuovere gli animi nelle sue poesie ispirate a figure del Risorgimento dove parla di Mazzini, Garibaldi; i poeti antichi e moderni che egli ricorda nelle sue poesie come Parini, Goldoni, Alfieri, Monti, Omero, Dante e Foscolo, gli servono come esempi d'arte e di vita, di bellezza e di amor patrio.
Come il Manzoni vede il mondo dominato dalla provvidenza anche il Carducci vede la storia come -Nemesi- (dea greca che rappresentava la giustizia: quindi la Nemesi è la legge della storia) che vuole dire, infatti, distribuzione di giustizia. Quindi abbiamo detto che Nemesi vuole dire giustizia della storia che punisce le colpe dei tiranni facendole ricadere sui discendenti senza colpa; colpito da lutti familiari si rifugia nel ricordo. Infatti gli argomenti principali di queste opere sono: momenti di confessioni deluse e il paesaggio fa ricordare cari ricordi. Molto importanti sono i ricordi classici e storici ma anche il sentimentalismo della Nemesi con cui Carducci vede spesso la storia. Carducci ebbe il premio "Nobel" perchè i suoi scritti hanno portato novità nel campo letterario, presentando al posto di una poesia languida una poesia forte, chiara e umanitaria, ma anche al posto di una lingua trascurata, ha dato una lingua curata sui modelli classici; in pratica dopo la delusione, nata in seguito all'unificazione, fu di incitamento alla lotta civile.
ODI BARBARE(OPERA PIù IMPORTANTE)
L’imitazione dei metri greco-latini ha trovato nella letteratura italiana un’importanza maggiore che in altre letterature romanze. Questa sperimentazione, definita poesia metrica, dal Carducci in poi assumerà la definizione di poesia barbara, perché come afferma lo scrittore, tale sarebbe sembrata «al giudizio dei greci e dei romani». Questo tipo di tecnica consiste nell’applicare la metrica quantitativa dell’antichità classica, basata sulla lunghezza delle sillabe, alla poesia italiana. La lingua italiana, al contrario del greco e del latino, non fa distinzione tra sillabe lunghe e sillabe brevi: per la struttura delle singole parole e per l’intonazione della frase, ha invece valore decisivo la netta differenza tra sillabe atone e sillabe toniche, aspetto che nel verso antico aveva un’importanza secondaria. Inoltre per il verso italiano è fondamentale il numero delle sillabe, che nella poesia greca e latina era oltremodo variabile, data la possibilità di sostituzione della sillaba lunga con due brevi. Carducci studiò a lungo e pubblicò i risultati dei precedenti tentativi firmati Leon Battista Alberti, Leonardo Dati, Claudio Tolomei, Annibal Caro e Gabriello Chiabrera, noti al mondo letterario, eppure la pubblicazione delle Odi barbare nel 1877 attirò numerose polemiche. La novità del poeta ottocentesco era il risultato raggiunto nella sperimentazione attuata sull’esametro e sul distico elegiaco che, per la loro particolare struttura metrica, avevano sempre rappresentato un ostacolo nella poesia metrica. Per raggiungere il suo scopo, ossia riprodurre nel miglior modo possibile il ritmo antico, trovò l’espediente di applicare al verso la lettura accentativa italiana o, in alternativa, di comporre versi in cui le sillabe lunghe fossero sostituite con arsi. Carducci lavorò anche ad altre forme metriche, dedicandosi in particolare all’imitazione delle strofe saffiche e alcaiche. Possiamo paragonare la sua attività di sperimentazione a quella svolta dai ricercatori nei laboratori: operazioni delicate, curate nei minimi dettagli, non solo dal punto di vista formale ma anche lessicale. Infatti, nell’esprimere la quotidianità, il poeta non impiega un linguaggio comune, ma propende sempre verso vocaboli di netta impronta classica, scelta che, come afferma il Salinari, potrebbe a sua volta essere considerata un limite: «il suo linguaggio che ha grande forza espressiva nelle rappresentazioni epiche o comunque di sentimenti dai contorni ben precisi, è troppo poco allusivo, sfumato, musicale per rappresentare situazioni sfuggenti, indefinite, contraddittorie, che riflettono i conflitti intimi delle zone più oscure e incerte della coscienza.» I temi preponderanti nelle Odi sono la natura e la storia, ma non mancano anche componimenti dedicati agli affetti familiari e all’infanzia, all’amore e alla morte. Una poesia, Ragioni metriche, addirittura ha come protagonisti i versi greci e latini, attorno ai quali tanto si affannò l’autore. Di particolare interesse è la visione carducciana della storia, in cui una sorta di ‘peccato originale’ intacca alcune famiglie di regnanti: i discendenti, pur se innocenti, pagano le conseguenze della cattiva politica condotta dai loro avi, come nel caso degli Asburgo e dei Bonaparte. Le Odi barbare quindi, pur non essendo un’opera dai contenuti innovativi, segnano una tappa importante dello sperimentalismo romantico alla continua ricerca di forme diverse per dare voce agli eventi caratterizzanti la storia e la società ottocentesca. ([url=http://209.85.135.104/search?q=cache:lIvLS26Zn8AJ:balbruno.altervista.org/index-215.html+carducci+poetica&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]tratto da qui[/url])
POETICA CORAZZINI:
La sua poesia è focalizzata su "piccole cose", dietro le quali non emergono valori segreti, ma si nasconde il vuoto, tipico dei poeti crepuscolari tra i quali Corazzini fu annoverato. I suoi versi esprimono da un lato un malinconico desiderio per quella vita che la malattia gli negava, dall'altro un nostalgico ritrarsi dall'esistenza presente, proprio perché avara di prospettive future.
Nelle poesie di Corazzini si possono cogliere due momenti: quello del povero poeta sentimentale che racconta la propria malinconia con un linguaggio semplice e dimesso e quello del poeta ironico che adotta un linguaggio meno trasparente, più polisemico, a volte addirittura simbolico.
In Desolazione del povero poeta sentimentale si esprime tutta la poetica di Corazzini dove il "piccolo fanciullo che piange" proclama l'impossibilità di essere chiamato "poeta", affermando così, per la prima volta, la concezione della poetica crepuscolare così in contrasto con il trionfante dannunzianesimo.
(TRATTO DA WIKIPEDIA)
POETICA PALAZZESCHI:
, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto una sua individualità e una particolare fisionomia.
Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi dei languori e degli abbandoni tipici di un Corazzini, e se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.
Analoghe considerazioni valgono per l'adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista "Lacerba", nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: "bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L'uomo non può essere considerato seriamente che quando ride...Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...". Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall'immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo.
Sempre in tema di futurismo, si pensi all'originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente, o in Passeggiata: quella che all'inizio pare un'incomprensibile macedonia di numeri, lettere e parole è in realtà un componimento logico ed originale, creato con una tecnica inventata nelle arti figurative pochi anni prima. Si tratta del Collage. La poesia non è infatti altro che l'enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l'io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l'esaltazione del movimento, né l'attivismo politico, ma solo la distruzione delle tradizionali strutture.
L'umorismo funambolesco di Palazzeschi ha purtroppo portato ad interpretazioni discutibili. Spesso si propone una lettura del poeta in chiave di stile infantile, interpretazione che viene avanzata da parte di critici che sottovalutano la natura tragicomica della vena scherzosa di Palazzeschi. Egli non fu affatto un poeta infantile come spesso tutt'oggi si dice; né tanto meno possiamo parlare di un poeta particolarmente adatto all'insegnamento della letteratura nella scuola elementare (fatta eccezione per pochissimi componimenti). Gli elementi naïf della sua arte scrittoria ricorrono in fondo proprio nei componimenti più tetri e sconcertanti. Si tratta allora di un infantilismo irriverente che per Palazzeschi costituiva una forma di ritirata, di protesta. Basti infatti pensare a quanto dichiarava l'artista a proposito delle sue opere di gioventù: "Il mio lettore si aspetta che io scriva qualcosa per spiegare questa poesia simbolistica, che è il contrario della poesia sana. Ma non posso farlo: lo spaventerei troppo!"
Va infine ricordato che l'autore stesso è sempre stato allergico alle etichette, ragion per cui nella celeberrima Chi sono? rifiuta persino lo status di poeta o artista, per limitarsi a definirsi provocatoriamente "saltimbanco dell'anima mia". (TRATTO DA WIKIPEDIA)
POETICA PASCOLI
La poesia è per Pascoli la voce del poeta-fanciullo che riscopre la realtà delle cose, anche delle più piccole; è uno sguardo vergine e primigenio che si posa sul mondo e ne evidenzia gli aspetti più nascosti. Secondo Pascoli, dunque, può dirsi poeta colui che è riuscito ad esprimere quello che tutti stavano pensando ma che nessuno riusciva a dire.
La poesia però deve avere anche un compito sociale e civile: deve migliorare l'uomo, renderlo buono, renderlo etico. Questa concezione riflette pienamente il suo socialismo umanitario, utopistico, interclassista, patriottico.
Il discorso La grande proletaria si è mossa (con cui Pascoli si dichiarava favorevole all'entrata in guerra dell'Italia)è stato il manifesto di questa sorta di "socialismo nazionale", vicino per alcuni aspetti ad un nazionalismo populista, che considera la guerra come un momento di superamento dei conflitti sociali e delle differenze di classe.
Si tratta, in realtà, di una prospettiva indubbiamente falsata, basata su posizioni che in seguito lo stesso Pascoli provvederà a rivedere:
- lo spostamento della lotta di classe all'esterno delle nazioni: non più tra parti sociali di una stessa nazione, ma tra nazioni ricche e nazioni proletarie.
- il continuo scivolare delle argomentazioni politiche e sociali dal piano della ragione a quello del sentimento (illusione di una possibile fratellanza e di un'istintiva bontà che porterebbe gli uomini di una stessa nazione ad abbattere le differenze e ad unirsi nella lotta contro il nemico comune).
Si intrecciano nella sua poetica due spinte fondamentali:
- una verso l'esterno, verso l'intervento attivo nella società per produrre nei cambiamenti nelle cose e negli uomini.
- una verso l'interno, intimista, abbinata al gusto contadino per le cose semplici e all'attenzione a volte ossessiva alle complicazioni tortuose del suo animo decadente.
Uno scambio continuo, insomma, tra grande e piccolo, in un rovesciamento di prospettiva e di valori.
Il fanciullino
Come nel mito platonico del Fedone esiste dentro di noi un fanciullino che nell'infanzia si confonde con noi, ma, anche con il sopraggiungere della maturità, non cresce e continua a far sentire la sua voce ingenua e primigenia, suggerendoci quelle emozioni e sensazioni che solo un fanciullo può avere.
Spesso, però, questa parte che non è cresciuta non viene più ascoltata dall'adulto. Il poeta invece è colui che è capace di ascoltare e dare voce al fanciullino che è in lui e di provare di fronte alla natura le stesse sensazioni di stupore e di meraviglia proprie del bambino o dello stato primigenio dell'umanità.
Il fanciullino prova sensazioni che sfuggono alla ragione, ci spinge alle lacrime o al riso in momenti tragici o felici, ci salva con la sua ingenuità, è sogno, visione, astrazione. È come Adamo che dà per la prima volta il nome alle cose e scopre tra esse relazioni e somiglianze ingegnose, che nulla hanno a che vedere con la logica della razionalità. Il nuovo si scopre, non si inventa, la poesia è nelle cose, anche nelle più piccole.
La poesia ha un compito civile e sociale: il poeta in quanto tale esprime il fanciullino ed ispira i buoni e civili costumi e l'amor patrio, senza fare comizi, senza dedicarsi alla politica nel senso classico, ma solo grazie al suo sguardo puro ed incantato.
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POETICA D'ANNUNZIO
La poetica e la poesia del D’Annunzio sono l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti decadenti europei egli accoglie modi e forme, senza però approfondirne l’intima problematica, ma usandoli come elementi decorativi della sua arte fastosa e composita. Aderisce soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico del Decadentismo, collegandoli alla propria ispirazione narrativa, naturalistica e sensuale. Egli rigetta la ragione come strumento di conoscenza per abbandonarsi alle suggestioni del senso e dell’istinto; spesso vede nell’erotismo e nella sensualità il mezzo per attingere la vita profonda e segreta dell’io. Egli cerca una fusione dei sensi e dell’animo con le forze della vita, accogliendo in sé e rivivendo l’esistenza molteplice della natura, con piena adesione fisica, prima ancora che spirituale. E’ questo il “panismo dannunziano”, quel sentimento di unione con il tutto, che ritroviamo in tutte le poesie più belle di D’Annunzio, in cui riesce ad aderire con tutti i sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, s’immerge in essa e si confonde con questa stessa. La poesia diviene quindi scoperta intuitiva; la parola del poeta, modulata in un verso privo di ogni significato logico, ridotta a pura musica evocativa, coglie quest’armonia e la esprime continuando e completando l’opera della natura. La sua vocazione poetica si muta poi in esibizionismo e la poesia vuol diventare atto vitale supremo, una sorta di moralità alla rovescia, estremamente individualistica e irrazionale. Abbiamo allora l’esaltazione del falso primitivo, dell’erotismo o quella sfrenata del proprio io, indicata nei due aspetti dell’estetismo e del superomismo. L’estetismo è in definitiva il culto del bello, in pratica vivere la propria vita come se fosse un’opera d’arte, o al contrario vivere l’arte come fosse vita. Quest’atteggiamento, preso dal Decadentismo francese, è molto consono, corrispondente cioè alla personalità del poeta. Quindi l’esteta si limita a realizzare l’arte, ricercando sempre la bellezza; ogni suo gesto deve distinguersi dalla normalità, dalle masse. Di conseguenza vengono meno i principi sociali e morali che legano al contrario gli altri uomini. A differenza di questo il superuomo assomiglia all’esteta, ma si distingue per il suo desiderio di agire. Il superuomo considera che la civiltà è un dono dei pochi ai tanti e per questo motivo si vuole elevare al di sopra della massa; è l’esteta attivo, che cerca di realizzare la sua superiorità a danno delle persone comuni. ([url=http://209.85.135.104/search?q=cache:nnrWoNmHsuQJ:www.itcbz.it/didattica/archivio/decadentismo/dannunzio.htm+D%27ANNUNZIO+poetica&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]TRATTO DA QUI[/url])
UNGARETTI POETICA
Ungaretti vive nel periodo in cui la borghesia, dopo aver realizzato in Italia il capitalismo, non porta avanti gli ideali di giustizia e libertà, ma si chiude in se stessa, temendo di perdere la propria egemonia, e affida la risoluzione delle proprie contraddizioni sociali prima al colonialismo-imperialismo, poi alla guerra mondiale, al fascismo e alla II guerra mondiale.
Ungaretti è il maestro riconosciuto dell'Ermetismo. Il termine "ermetico" significa "chiuso", "oscuro". La definizione venne adottata per la prima volta dalla critica nel '36, in riferimento soprattutto alla sua poesia. Successivamente si inclusero negli ermetici anche Montale, Saba e in parte Quasimodo.
- L'Ermetismo si oppone soprattutto al Decadentismo di D'Annunzio, cioè agli atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale.
- L'Ermetismo si oppone anche ai crepuscolari, ai futuristi, ai "vociani", perché non si accontenta di una riforma stilistica e non sopporta la retorica.
E' l'esperienza della guerra che rivela al poeta la povertà dell'uomo, la sua fragilità e solitudine, ma anche la sua spontaneità e semplicità (primitivismo) che viene ritrovata nel dolore. L'esistenza è un bene precario ma anche prezioso. In guerra egli si è sottratto ad ogni vanità e orgoglio; nella distruzione e nella morte ha però riscoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, primitiva. Ha acquisito compassione per ogni soldato coinvolto nell'assurda logica della guerra: ha maturato, per questo, un profondo senso di fraterna solidarietà. La sua visione esistenziale è dolorosa perch'egli pensa che l'uomo non abbia la possibilità di concretizzare le sue aspirazioni conoscitive e morali. Ungaretti non crede nelle filosofie razionali e cerca di cogliere la realtà attraverso una poetica che s'incentri sull'analogia, cioè sul rapido congiungimento di ordini fenomenici diversi, di immagini fra loro molto lontane che la coscienza comune non metterebbe insieme.
Questa esperienza lo porta a rifiutare -soprattutto nell'Allegria- ogni forma metrica tradizionale: rifiuta il lessico letterario, le convenzioni grammaticali, sintattiche e retoriche (ad es. elimina la punteggiatura, il "come" nelle analogie, ecc. Diventano importanti gli accenti tonici, le pause). Crea un ritmo totalmente libero, con versi scomposti, brevissimi, scarni, fulminei, dove la singola parola acquista un valore assoluto, dove il titolo è parte integrante del testo. La poetica qui è frammentaria, allusiva, scabra, anche perché il poeta non ha una realtà ben chiara da offrire.
Ne Il porto sepolto Ungaretti lascia intendere che poesia significa possibilità di contemplare la purezza in un mondo caotico e assurdo, ma la poesia dev'essere espressione di un'esperienza particolare, intensamente vissuta: la ricerca del vocabolo giusto è faticosa, perché l'uomo deve liberarsi del male che è in lui e fuori di lui.
Ne L'allegria il poeta non accetta le illusioni e preferisce star solo con la sua sofferenza (cfr. Peso, dove al contadino-soldato che si affida, ingenuamente, alla medaglia di Sant'Antonio per sopportare meglio il peso della guerra, il poeta preferisce stare "solo", "nudo", cioè senza illusioni ("senza miraggio"), con la sua anima. Ungaretti tuttavia non è ateo: si limita semplicemente a chiedersi che senso ha Dio in un mondo di orrori (cfr Risvegli) e perché gli uomini continuano a desiderarlo quando ciò non serve loro ad evitare gli orrori (cfr Dannazione). Il contrasto è fra una religiosità tradizionale, superficiale, e una religiosità più intima e sofferta, che in Fratelli si esprime come profonda umanità, partecipazione al dolore universale. E' solo negli Inni che Ungaretti ripone nella fede religiosa la soluzione delle contraddizioni umane (cfr La preghiera).
Il superamento dell'autobiografismo e la modificazione dello stile ermetico avviene nel Sentimento del tempo. Qui il poeta ha consapevolezza che il tempo è cosa effimera rispetto all'eterno (la riflessione è molto vicina ai temi della religione). La poesia aspira a dar voce ai conflitti eterni, a interrogativi drammatici: solitudine e ansia di una comunicazione con gli altri, rimpianto di un'innocenza perduta e ricerca di un'armonia col mondo, ecc. In questa raccolta Ungaretti ritrova i metri e i moduli della tradizione poetica italiana (ad es. riscopre il valore dell'endecasillabo, del sistema strofico, della struttura sintattica).
L'ultima importante raccolta, Il dolore, contiene 17 liriche dedicate al figlio e altre poesia di contenuto storico (sulla IIa guerra mondiale). Qui il discorso diventa più composto, quasi rasserenato. Toni e parole paiono affiorare da un'alta saggezza raggiunta al prezzo di una drammatica sofferenza. Il poeta esprime una inappagata ma inesauribile tensione alla pace e all'amore universali. ([url=http://209.85.135.104/search?q=cache:NW4L8WUdev0J:www.homolaicus.com/letteratura/ungaretti.htm+UNGARETTI+poetica&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]TRATTO DA QUI[/url])
MONTALE POETICA:
Montale capovolge l'atteggiamento fondamentale della poesia: il poeta non può dare risposte. Montale sa che la poesia rappresentativa non ha futuro, il poeta non è più "vate" e la stessa poesia è costituita da "qualche storta sillaba, e secca come un ramo" (per citare nuovamente Non chiederci la parola).
Consapevole che la conoscenza umana non può raggiungere l'assoluto, nemmeno tramite la poesia, a cui spesso si tende ad affidare il ruolo di fonte d'elevazione spirituale per eccellenza (ciò avviene, per esempio, in Ungaretti), Montale scrive poesia perché questa possa essere una sorta di strumento/testimonianza d'indagine della condizione esistenziale dell'uomo novecentesco. A differenza delle allusioni e delle analogie ungarettiana, Montale fa un ampio uso di quello che è stato definito da T.S. Eliot "correlativo oggettivo": anche gli oggetti, le idee, le emozioni e le sensazioni più indefinite risultano correlate in oggetti ben definiti e concreti. Montale cerca una soluzione simbolica in cui la realtà dell'esperienza è assunta a testimonianza di vita. Il "male di vivere", per esempio, nella lirica degli Ossi di seppia Spesso il male di vivere ho incontrato viene definito come "rivo strozzato", "incartocciarsi della foglia riarsa", "cavallo stramazzato" e nella lirica "Meriggiare pallido e assorto", appartenente alla stessa raccolta, l'aridità esistenziale è significativamente correlata alle "crepe del suolo", e la negatività esistenziale vissuta dall'uomo novecentesco dilaniato e consunto dal divenire storico, è vista come "una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". Il poeta, però, vede in alcune immagini una sorta di speranza contro questa situazione di "male di vivere": ad esempio, il mare (pensando ad "Ossi di seppia": essi provengono comunque dal mare ed infatti ricorre spesso questo pensiero), il "falco alto levato", anche titolo di una delle sue poesie, ed infine alcune figure di donne che sono state importanti nella sua vita.
La poesia di Montale assume dunque il valore di testimonianza e un preciso significato morale: Montale esalta lo stoicismo etico di chi (un po' come Agricola, suocero dello scrittore latino Tacito, da cui viene descritto nell'opera omonima) compie in qualsiasi situazione storica e politica il proprio dovere. (TRATTO DA WIKIPEDIA)
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