Ho bisogno di aiuto (277603)
Per favore mi serve il riassunto:
Nella mia casa di Roma, la mia casa di adesso, c’è il libro per il comodino, di cui leggere una manciata di pagine prima di dormire – ed è una pila di una quindicina di volumi quella che al momento si erge traballante accanto alla luce della notte – quello per il viaggio in autobus da casa all’ufficio (e spesso uno diverso per il viaggio di ritorno: influisce sulla scelta pure il grado di stanchezza, l’orario, la luce, la direzione di marcia e la rispettiva vista dal finestrino, la disponibilità o meno del posto a sedere…), quello per la lettura frettolosa della mattina nei pochi minuti in cui si raffredda la tazza del tè, il libro per il bagno e quello appoggiato sul divano, da leggiucchiare la sera, al ritorno dal lavoro, in attesa del telegiornale; c’è qualcosa da sfogliare sulla sedia arancio accanto alla cucina, e una piletta consistente sulla panca di legno a tre sedili che sta nel corridoio; almeno un paio sulla cassapanca dei liquori, come a ricordarmi che in fondo un vizio vale l’altro; un mucchietto consistente anche all’ingresso, libri appoggiati lì al ritorno da una puntata a qualche bancarella oppure pronti per essere presi al volo prima di uscire di casa. Ce n’è più di qualcuno che è rimasto, per dimenticanza o per l’intenzione di rinnovare un appuntamento al buio, in borse o valigie, e che ritrovo – insieme a molto altro – quando mi preparo a un nuovo viaggio.
E nei viaggi questa mania diventa un’ossessione. Che sia un week end, una permanenza lunga o la trasferta di una sola giornata, devo essere sicuro di avere più libri di quanti riuscirei a leggerne anche se non dovessi fare altro per ogni istante di quel viaggio e poi non potrei convivere con un libro che non fosse adatto a quel momento, quindi mi devo dare sempre per lo meno un’altra chance: devo insomma avere la sicurezza, come si dice in gergo calcistico, della panchina lunga, cioè la possibilità di mettere in campo un gran numero di riserve [10] qualora ce ne sia la necessità.
Questo è il modo in cui riesco ad affrontare un universo che è troppo più grande di me: ci sono milioni di libri scritti da milioni di scrittori, e in così tanti paesi, in così tante lingue, e in così tante epoche, che non mi riuscirà mai di salire nemmeno un centimetro dell’Everest che ho di fronte. Mi illudo che zigzagando, prendendo una strada meno convenzionale, farò un tragitto originale, creativo, che potrò definire mio. Lascio un libro a metà perché una frase, un passaggio di questo mi ha fatto venir voglia di
ricercare qualcosa che potrò trovare in un altro testo, e quello mi porta inevitabilmente altrove. Ho trovato una soddisfazione diversa e particolare, ho messo in relazione opere e autori vissuti in secoli e continenti diversi, ho creato ponti.
Del resto, se fare l’editore è il mio mestiere, come lettore mi considero giustamente un dilettante, un non-professionista. E allora è naturale che mi ritagli un metodo non scientifico, non rigoroso ma che mi
metta a mio agio: e, in fondo, credo di aver trovato il mio, un metodo di cui esploro continuamente, e felicemente, i limiti e le virtù. Mi porta a conoscere più cose, cose che spesso poi finiranno col diventare parte del mio lavoro, mentre diventeranno anche parte della mia vita.
Nella mia casa di Roma, la mia casa di adesso, c’è il libro per il comodino, di cui leggere una manciata di pagine prima di dormire – ed è una pila di una quindicina di volumi quella che al momento si erge traballante accanto alla luce della notte – quello per il viaggio in autobus da casa all’ufficio (e spesso uno diverso per il viaggio di ritorno: influisce sulla scelta pure il grado di stanchezza, l’orario, la luce, la direzione di marcia e la rispettiva vista dal finestrino, la disponibilità o meno del posto a sedere…), quello per la lettura frettolosa della mattina nei pochi minuti in cui si raffredda la tazza del tè, il libro per il bagno e quello appoggiato sul divano, da leggiucchiare la sera, al ritorno dal lavoro, in attesa del telegiornale; c’è qualcosa da sfogliare sulla sedia arancio accanto alla cucina, e una piletta consistente sulla panca di legno a tre sedili che sta nel corridoio; almeno un paio sulla cassapanca dei liquori, come a ricordarmi che in fondo un vizio vale l’altro; un mucchietto consistente anche all’ingresso, libri appoggiati lì al ritorno da una puntata a qualche bancarella oppure pronti per essere presi al volo prima di uscire di casa. Ce n’è più di qualcuno che è rimasto, per dimenticanza o per l’intenzione di rinnovare un appuntamento al buio, in borse o valigie, e che ritrovo – insieme a molto altro – quando mi preparo a un nuovo viaggio.
E nei viaggi questa mania diventa un’ossessione. Che sia un week end, una permanenza lunga o la trasferta di una sola giornata, devo essere sicuro di avere più libri di quanti riuscirei a leggerne anche se non dovessi fare altro per ogni istante di quel viaggio e poi non potrei convivere con un libro che non fosse adatto a quel momento, quindi mi devo dare sempre per lo meno un’altra chance: devo insomma avere la sicurezza, come si dice in gergo calcistico, della panchina lunga, cioè la possibilità di mettere in campo un gran numero di riserve [10] qualora ce ne sia la necessità.
Questo è il modo in cui riesco ad affrontare un universo che è troppo più grande di me: ci sono milioni di libri scritti da milioni di scrittori, e in così tanti paesi, in così tante lingue, e in così tante epoche, che non mi riuscirà mai di salire nemmeno un centimetro dell’Everest che ho di fronte. Mi illudo che zigzagando, prendendo una strada meno convenzionale, farò un tragitto originale, creativo, che potrò definire mio. Lascio un libro a metà perché una frase, un passaggio di questo mi ha fatto venir voglia di
ricercare qualcosa che potrò trovare in un altro testo, e quello mi porta inevitabilmente altrove. Ho trovato una soddisfazione diversa e particolare, ho messo in relazione opere e autori vissuti in secoli e continenti diversi, ho creato ponti.
Del resto, se fare l’editore è il mio mestiere, come lettore mi considero giustamente un dilettante, un non-professionista. E allora è naturale che mi ritagli un metodo non scientifico, non rigoroso ma che mi
metta a mio agio: e, in fondo, credo di aver trovato il mio, un metodo di cui esploro continuamente, e felicemente, i limiti e le virtù. Mi porta a conoscere più cose, cose che spesso poi finiranno col diventare parte del mio lavoro, mentre diventeranno anche parte della mia vita.
Risposte
Ho fatto questo
Nella mia casa, c’è il libro di cui leggere una manciata di pagine prima di dormire – quello per il viaggio in autobus da casa all’ufficio, quello per la lettura frettolosa della mattina nei pochi minuti in cui si raffredda la tazza del tè, il libro per il bagno e quello appoggiato sul divano, da leggiucchiare la sera, al ritorno dal lavoro, in attesa del telegiornale o quando mi preparo a un nuovo viaggio.
E nei viaggi questa mania diventa un’ossessione e devo essere sicuro di avere più libri di quanti riuscirei a leggerne. Questo è il modo in cui riesco ad affrontare un universo che è troppo più grande di me. Lascio un libro a metà perché una frase, un passaggio di questo mi ha fatto venir voglia di
ricercare qualcosa che potrò trovare in un altro testo, e quello mi porta inevitabilmente altrove. Ho trovato una soddisfazione diversa e particolare, ho messo in relazione opere e autori vissuti in secoli e continenti diversi, ho creato ponti.
Del resto, se fare l’editore è il mio mestiere, come lettore mi considero giustamente un dilettante. E allora è naturale che mi ritagli un metodo non scientifico, non rigoroso ma che mi
metta a mio agio: e, in fondo, credo di aver trovato il mio, un metodo di cui esploro continuamente, e felicemente, i limiti e le virtù. Mi porta a conoscere più cose, cose che spesso poi finiranno col diventare parte del mio lavoro, mentre diventeranno anche parte della mia vita.
Nella mia casa, c’è il libro di cui leggere una manciata di pagine prima di dormire – quello per il viaggio in autobus da casa all’ufficio, quello per la lettura frettolosa della mattina nei pochi minuti in cui si raffredda la tazza del tè, il libro per il bagno e quello appoggiato sul divano, da leggiucchiare la sera, al ritorno dal lavoro, in attesa del telegiornale o quando mi preparo a un nuovo viaggio.
E nei viaggi questa mania diventa un’ossessione e devo essere sicuro di avere più libri di quanti riuscirei a leggerne. Questo è il modo in cui riesco ad affrontare un universo che è troppo più grande di me. Lascio un libro a metà perché una frase, un passaggio di questo mi ha fatto venir voglia di
ricercare qualcosa che potrò trovare in un altro testo, e quello mi porta inevitabilmente altrove. Ho trovato una soddisfazione diversa e particolare, ho messo in relazione opere e autori vissuti in secoli e continenti diversi, ho creato ponti.
Del resto, se fare l’editore è il mio mestiere, come lettore mi considero giustamente un dilettante. E allora è naturale che mi ritagli un metodo non scientifico, non rigoroso ma che mi
metta a mio agio: e, in fondo, credo di aver trovato il mio, un metodo di cui esploro continuamente, e felicemente, i limiti e le virtù. Mi porta a conoscere più cose, cose che spesso poi finiranno col diventare parte del mio lavoro, mentre diventeranno anche parte della mia vita.
Devi prima provarci da solo e poi noi ti aiutiamo con eventuali correzioni :hi