Help!!!!!!commento di un altra poesia.....

Uno di tanti
HELP per domani ho un commento da fare....la poesia che devo odiare (perche nn voglio fare.....)è "i fiumi" di Giuseppe Ungaretti......CERCASI COMMENTO FATTO BENE.....o almeno qualche parte per fare un commento coi fiocchi come quelli precedenti che ho fatto fin'ora.....VI PREGO AIUTATEMI sono nella c***a.....grazie in anticipo

Risposte
IPPLALA
ho trovato solo questo.... se ti posso aiutare in qualche modo

Il primo tema è il recupero del passato attraverso la memoria e il secondo tema è il ristabilimento di un rapporto di armonia con il creato, che l’esperienza della guerra sembra aver infranto. Bagnandosi nelle acque dell’Isonzo, il poeta ha la sensazione di essere in piena sintonia con l’universo e con sé stesso. Ciò l'induce a ripensare a tutti i fiumi che ha conosciuto, simbolo delle diverse tappe della sua vita: il Serchio, legato alle vicende dei suoi avi, il Nilo, che lo ha visto crescere negli anni della fervida giovinezza egiziana, La Senna, che ha accompagnato la sua maturazione durante il periodo parigino»
Nella prima parte della poesia il poeta descrive sè stesso immerso nella sua condizione esterna, ambientale, presso una dolina, [una formazione tipica del paesaggio carsico, una cavità di forma approssimativamente circolare che si è creata ad opera dell'acqua che scorre o precipita sulla roccia calcarea ndr.]. Quindi descrive il suo stato d’animo di reduce dalla guerra. Disteso nel letto del fiume Isonzo si sente come una reliquia, un frammento superstite – e pertanto maggiormente prezioso – di un resto mortale, si sente come uno dei sassi levigati su cui cammina con movenze d'acrobata, sotto il sole, il cui calore benefico riceve con la stessa familiarità di un beduino.
Ora affidato alle “mani” amorevoli dell’Isonzo il poeta si riconosce parte dell’universo, cosciente che il suo rammarico è frutto sempre di una disarmonia con il creato. Le acque del fiume lo lavano e lo purificano e gli danno una rara innocente felicità. Ungaretti rammenta i fiumi che hanno accompagnato la sua vita. Il Serchio, fiume della toscana, dove ha attinto l’acqua la sua stirpe. Il Nilo, che lo ha visto nascere e crescere adolescente. La Senna, il fiume di Parigi, dove il poeta ha conosciuto se stesso. Il ricordo di questi fiumi affolla la memoria nostalgica dell'uomo, ora che la sua vita è oscura e che sembra una collana di tenebre, perché «le tenebre della notte evocano l’immagine di una vita piena di incognite, racchiusa in un cerchio oscuro di timori e di presagi di morte»

SuperGaara
Fatti un'idea generale leggendo questo materiale: per il commento, prendi le parti essenziali e uniscile assieme...verrà più che bene ;):yes!!!!

E' la rappresentazione degli orrori commessi dai nazisti sulla popolazione inerme degli italiani, massacri che suscitavano panico e paura tra i civili e il silenzio dei poeti. Orribili erano i morti abbandonati nelle piazze, il lamento dei fanciulli, il grido straziante della madre che vedeva il proprio figlio appeso sul palo del telegrafo. Scene reali che si verificavano nelle città e nelle campagne italiane. I nazisti occupavano il Paese e i poeti non trovavano le parole per esprimere lo sconforto e il dolore che avevano nel cuore, nell’anima. Tanto dolore paralizza la mano e offusca la mente. I poeti erano ridotti all’impotenza, avevano finito di scrivere versi e avevano appeso i lori fogli puliti al vento della guerra perché la poesia è impotente di fronte ai morti e alla barbarie. Come scrive Maurizio Dardano: «Lievi. Questo aggettivo sottolinea la fragilità della poesia e quasi la sua inconsistenza, la sua apparente impotenza di fronte ai grandi rivolgimenti della storia». Marisa Carlà scrive: «L’idea che muove tutta la lirica è che, in presenza della violenza e della crudeltà della guerra e della disumanizzazione dell’uomo, la poesia è costretta a tacere. Nel verso conclusivo la poesia viene simboleggiata dalle cetre appese ai salici oscillanti al vento, per l’angoscia di quei giorni dolorosi della nostra storia. La sospensione della poesia durante gli anni dell’oppressione straniera significa anche la volontà di fare poesia diversa e nuova dopo l’impronta profonda e incancellabile lasciata dalla guerra nella coscienza degli uomini».

È l’impossibilità da parte dei poeti di scrivere poesie quando la patria è occupata dal nemico, quando la popolazione soffre e piange i suoi difensori, quando la madre perde il proprio figlio. Il poeta non aveva l’animo lieto e non riusciva a trovare le parole per esprimere la propria rabbia contro il nemico occupante, così come gli ebrei, durante la prigionia in Babilonia, non riuscivano a cantare i loro salmi ed avevano appeso le loro cetre sulle fronde dei salici. Quasimodo prende spunto proprio dal salmo 137 della Bibbia dove si narra che gli ebrei avevano appeso le loro cetre sui rami dei salici e avevano perso la gioia di cantare perché prigionieri in terra straniera.
I poeti non potevano scrivere poesie finché la patria era in mani nemiche. «Un sentimento di commozione religiosa pervade questi versi, che nascono non a caso da una memoria biblica. Di qui il carattere meditativo e solenne che assume lo stesso orrore, mescolando al presente immagini archetipiche di sacrificio e di martirio ( il ricordo di agnelli sgozzati, le esecuzioni paragonate all’uccisione di Cristo, una madre che ricorda la figura di Maria ai piedi della Croce). Ma il dolore è impotente e la poesia non può offrire, per voto, che il silenzio, nell’immagine delle cetre che oscillano – quasi in balia di se stesse – alle fronde dei salici, un albero che rappresenta il pianto e il dolore». (Guido Baldi, Storie e testi pagina 353). Maurizio Dardarno scrive: «Al grido di sconforto iniziale segue la rievocazione delle atrocità commesse dagli occupanti tedeschi; in una situazione del genere il poeta non può astrarsi dalla realtà, rifugiandosi nella letteratura, ma deve condividere fino in fondo il dramma del suo popolo. Anche l’arte muore, quando muoiono i sentimenti più elementari di pietà e di umanità; di conseguenza la cetra, strumento e simbolo della poesia, rimane appesa agli alberi, inutilizzata, finché non si ristabiliscano, con il contribuito di tutti, le condizioni del vivere civile». ( da I testi, le forme, la storia pagina 839).

Il linguaggio della poesia è contemporaneamente alto e figurato, simbolico e concreto, retorico e limpido. È costruito su molteplici figure retoriche, ma è anche ritmato e cadenzato. I versi, endecasillabi sciolti, danno un andamento veloce alla poesia che inizia con una domanda retorica e una spiegazione finale. Le immagini di dolore si succedono una dopo l’altra con una velocità crescente. La risposta è lenta ed esprime la rassegnazione del poeta sull’impotenza della poesia a risolvere le sorti della guerra. Come scrive Marisa Carlà: «La lirica è composta da due periodi: il primo, in cui le immagini evocano gli orrori della guerra dell’occupazione nazista, è una lunga domanda che si apre con “E come”, che già dà il senso dell’interrogarsi angoscioso del poeta; gli ultimi tre versi costituiscono la seconda parte, esplicativa». (da Epoche e culture pagina 615)
Guido Baldi scrive: «Il discorso si sviluppa in forme più comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro misurato rigore, attraverso la chiara scansione degli endecasillabi». ( pagina 353)
Figure di stile si susseguono numerose: «la domanda retorica iniziale, la metafora (con il piede straniero sopra il cuore), l’analogia (al lamento d’agnello dei fanciulli ) la sinestesia (l’urlo nero ), l’enjambement (al lamento / d’agnello) contribuisce a mettere in rilievo l’analogia istituita tra il pianto dei bambini, e il belato degli agnelli, indifesi di fronte allo spettacolo della violenza, i simboli della cetra che rappresenta la poesia, e il salice che simboleggia l’albero del pianto». (Dardano, pagina 840).
Per molti critici Alle fronde dei salici è costruita con figure retoriche proprie dell’ermetismo, secondo altri la poesia è costruita con un linguaggio più prosastico e più nuovo. Secondo Marisa Carlà: «Dell’ermetismo rimane soprattutto il gusto per l’analogia e la sinestesia, che tende a rendere più drammatico il senso di crudeltà e di orrore della guerra, che assume nella lirica un carattere solenne, mescolando insieme immagini bibliche si sacrificio e di martirio». Mentre Riccardo Marchese scrive: «Il testo, molto suggestivo, può essere letto anche come dichiarazione di poetica: la sospensione della poesia durante gli anni dell’oppressione sembra significare la volontà di dare poesia diversa e nuova, ora che tale oppressione ha lasciato un’impronta incancellabile nella coscienza degli uomini. Di tale intenzione sono testimonianza l’uso della prima persona plurale. Con cui il poeta si fa interprete di un sentimento collettivo, la denuncia della barbarie e l’implicito richiamo ai valori primari della vita e dell’umanità e soprattutto l’urgenza comunicativa, che rende trasparente lo stile e cancella quasi ogni traccia dell’analogismo ermetico, che si riduce al lamento / d’agnello e all’urlo nero della madre, in cui peraltro si ravvisa piuttosto una intenzione espressionistica (ancora più evidente nel corpo appeso al palo del telegrafo). ( Da Atlante letterario pagina 551)
Il tono emotivo è intenso e vibrante. l'autore manifesta tutta la sua l'impotenza come uomo e come poeta; ne esce una poesia sofferta e rabbiosa, che esprime la volontà di urlare il proprio dolore contro il dominio straniero, ma esprime anche il senso di liberazione che il poeta, insieme al popolo italiano, stava vivendo in quei mesi, mentre lotta con i fucili in pugno. La lirica esprime in modo chiaro che la poesia è tornata, e ora può dire tutto il silenzio che è stato necessario subire nei due lunghi anni di guerra fratricida, come ha spiegato lo stesso autore:
«La poesia è stata scritta alla fine dell’inverno del 1944 nel periodo più credule della nostra storia. Nasce da un richiamo a un salmo della Bibbia, precisamente il 137°, che parla del popolo ebreo trascinato in schiavitù a Babilonia. È un riferimento culturale. Il poeta non canta, dico io nel primo verso; e questo lo dicevano gli ebrei perché il canto è la rivelazione più profonda del sentimento dell’uomo. “Al lamento / d’agnello dei fanciulli” , da questo sterminio non è stata risparmiata nemmeno l’infanzia. Basta ricordare l’episodio di Marzabotto dove sono stati fucilati e bruciati 1800 italiani. Fra questi, anche bambini di due anni» (Salvatore Quasimodo).
La lexis di Alle fronde dei salici è chiara e personale. Esprime il nuovo modo si scrivere di Quasimodo dopo la prima opera Acque e terre e dopo il periodo ermetico. Ora il poeta si avvia alla nuova di poesia sociale, civile e corale come scrive nel primo dei saggi sulla poesia nel 1946.
La sua bellezza poggia su di un linguaggio nuovo e chiaro, costruito su tecniche ermetiche ma oramai sganciate dall’ermetismo, ed esprime la volontà del poeta di far parlare la poesia dopo il periodo di silenzio. Come scrive Francesco Puccio: «Il testo è animato da una fortissima tensione etica che trova riscontro nell’impegno di Quasimodo di definire il ruolo del poeta e della poesia. In Alle fronde dei salici, pubblica nel 1945, quando la ferocia e la barbarie nazifascista imperversavano, il poeta esprime la volontà di “rifare l’uomo”. Davanti alla poesia sconvolta dalle distruzioni della guerra il poeta si chiude nella protesta del silenzio, animandola di una forte tensione etica.

Dal componimento emerge che di fronte al terribile quadro della guerra anche la poesia, nella tradizione fonte di libertà, ha dovuto tacere nei confronti dell’uomo, lacerato, torturato, offeso, ucciso. L’opera fa riferimento al Salmo 137, composta dal popolo ebraico durante la conquista babilonese, e rappresenta il lamento di un popolo per l’occupazione straniera che calpesta la dignità, la libertà, i sentimenti di ognuno e umilia profondamente. Per rendere ancor più forte l’atmosfera rievocata da Quasimodo eseguo una breve parafrasi: "Com’era possibile che noi poeti componessimo poesie allegre di fronte all’occupazione straniera nella nostra sacra Patria, di fronte all’umiliazione, ai morti abbandonati in mezzo alle piazze, sulla terra raggelata dall’angoscia, di fronte all’urlo cupo, segno di infinita disperazione, della madre che andava incontro al figlio "crocifisso" sul palo del telegrafo (riferimento religioso: come Cristo, ma sugli strumenti della spietata tecnica moderna), al pianto degli innocenti figli di coloro che erano morti sulle piazze? Alle fronde dei salici piangenti

Uno di tanti
CERCASI COMMENTO "ALLE FRONDE DEI SALICI" DI SALVATORE QUASIMODO ci ce l'avesse o chi riesce a trovarmela...me lo comunichi!!!!!

SuperGaara
:D:lol non esagerare dai ;)!!!

Daniele
Tranqui Stefano, la tua risposta è sicuramente migliore della mia.

Uno di tanti
tra l'altro ne da inviare di commento solo che nn trovo il tempo........

SuperGaara
Oh scusa Daniele non avevo visto che avevi già risposto :dozingoff;)!!!

SuperGaara
Ti metto qui di seguito alcuni testi che ho trovato in internet. Lavoraci un po' su e ti viene fuori un commento coi fiocchi :yes;)!!!

La lirica, una delle più lunghe dell’Allegria, registra un’importante momento di auto-conoscenza del poeta, stimolato dall’esperienza della guerra: essa dunque non solo porta il poeta a comprendere i valori fondamentali della Vita, a scoprirne l’essenza, ma anche l conoscere se stesso, il suo passato e il suo presente.
Lo scenario in cui è immaginata questa auto-rivelazione è quello scabro del Carso, teatro della Grande Guerra, la cui natura già aspra è ulteriormente deformata dalla guerra. Bagnandosi nell’Isonzo, il poeta conosce uno stato di improvvisa armonia, forse perché è riuscito momentaneamente a far tacere in sé “l’uomo di pena” , come dice di sé, forse perché ha saputo porsi in una posizione di docile, passiva recettività, riconoscendosi parte del tutto.
Dall’Isonzo, per improvvisa analogia, altri fiumi, altri frammenti di vita affiorano alla memoria, altre tappe esistenziali: dall’origine campagnola presso il Serchio ai fervidi entusiasmi dell’adolescenza (il Nilo), alle scoperte conoscitive della giovinezza (la Senna). Alla fine si questo percorso memoriale la poesia torna alla condizione del presente, ma l’immagine finale non è più armonica e serena, bensì densa di presagi angosciosi.

È questa una poesia di guerra, forse la più nota, scritta sul Carso: il poeta ha fatto il bagno nell’Isonzo, e questo fiume gli riporta il ricordo di altri fiumi, legati a momenti altrettanto importanti della sua vita: il Serchio, il Nilo e la Senna. Il Serchio rappresenta le radici della sua esistenza, è il fiume al quale i suoi avi hanno attinto acqua per secoli, e quindi gli permette di gettare un ponte tra il presente e un passato lontano, addirittura prenatale; il Nilo gli ricorda la fanciullezza; alla Senna è legato il primo contatto con la cultura e la storia; l’Isonzo rappresenta l’esperienza della guerra.

Forma metrica:

nel 1931 usciva la raccolta “L’Allegria” dove si trovano le poesie della prima sperimentazione formale di Ungaretti, nelle quali la scomposizione del verso tende a mettere in evidenza il valore della parola e la sua carica di significati e di suggestioni. C’è in questa raccolta anche una significativa presenza biografica: il poeta si racconta, presentando di volta in volta la sua condizione di “uomo di pena”, già con la consapevolezza che questa è in fondo la condizione comune a tutti gli uomini.
Questa poesia appartiene a “L’Allegria” e si compone di quindici strofe di vario numero di versi di diversa lunghezza, senza rima.
La lirica si apre e si chiude con la descrizione di un paesaggio notturno collocato, dal punto di vista temporale, nel presente. La prima strofa contiene tre elementi paesaggistici: l’albero mutilato, la dolina carsica e la luna. L’aggettivo mutilato umanizza l’albero e lo riconduce ai corpi di tanti uomini colpiti dalle granate. Le doline sono cavità tipiche del terreno carsico, dove si rifugiavano i soldati nella prima guerra mondiale, usandole come trincee. In una di esse si trova appunto il poeta. In questa dolina c’è una tristezza solitaria di un circo senza spettatori, quando le luci festose si sono spente e le cose rivelano il loro aspetto. Nelle urne, vasi di cristallo, vengono conservate le reliquie, i resti, ricordi dei santi e dei martiri, e le cose preziose in genere. Come una reliquia si sente il poeta nelle dolci acque dell’Isonzo che, scorrendo, lo lisciava come se fosse una pietra del suo greto. Dopo essersi alzato, il poeta cammina adagio, faticosamente come un acrobata, cioè un ginnasta del circo a causa del fondo pieno di sassi. Dopo aver fatto il bagno, raggiunge gli abiti impregnati di sudiciume fisico e morale della guerra e si siede accanto come un arabo al sole.
Qui nell’Isonzo il poeta si è riconosciuto in una parte piccolissima dell’universo. Il poeta è felice: sentirsi in armonia con il resto del mondo è per lui fonte di gioia. Sofferenza è invece sentirsi solo, incapace di entrare in comunicazione con gli altri. Ma le acque del fiume, simili a mani misteriose che lo guariscono dalle ferite del suo spirito inquieto regalano al poeta la felicità, così raramente provata, di comunicare, partecipare.
Poi passa in rassegna le epoche della sua vita ricordandosi i fiumi: primo fra tutti il Serchio, che scorre nella regione lucchese, dove sono nati i suoi genitori, ha irrigato le campagne dove vissero i suoi avi, gente campagnola. Poi viene il Nilo, che scorre in Egitto, dove il poeta nacque e crebbe e questo fiume lo vide inconsapevole del mondo, ignaro delle cose che lo avrebbero poi tormentato. Segue la Senna, che scorre a Parigi, lo vide immergersi nella caotica vita della grande capitale, vita convulsa e agitata, che però gli affinò lo spirito. Questi sono i fiumi ritrovati nelle acque dell’Isonzo, fiume che attraversa il Friuli. A ciascun fiume è legata la nostalgia del poeta.
Ora che è notte e il buio lo avvolge, la vita assomiglia a un cerchio (“corolla”) di buio e silenzio.

In questa poesia Ungaretti descrive le tappe principali della sua vita. Queste tappe sono simboleggiate dai fiumi Isonzo, Nilo ,Senna.
Il Nilo rappresenta il luogo in cui è nato e dove ha trascorso la sua infanzia; l’Isonzo rappresenta l’esperienza della guerra; la Senna, il periodo in cui ha vissuto a Parigi.
Mette in contrapposizione la morte e la vita, quindi la gioia e la malinconia. Sono molto usate descrizioni paesaggistiche per esprimere questi concetti.
La sintassi è semplice e lineare. Lo stile è paratattico. C’è l’uso molto frequente di ricorrere a parole nude che indicano elementi della natura.
E’ ricorrente l’uso dell’aggettivo dimostrativo “questo”, che esprime la vicinanza del poeta alla natura e una sensazione di stabilità.

Daniele
Allora vediamo un po':
http://balbruno.altervista.org/index-184.html
Commento audio
Poi ecco un commento
«L'Allegria di Naufragi [il primitivo titolo dell'Allegria] è la presa di coscienza di sé, è la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina d'improvviso in un canto scritto il 16 agosto 1916, in piena guerra, alla trincea, e che s'intitola I fiumi. Vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolarono le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti che allora scrissi» (Ungaretti).

Mi pare di averlo già accennato, ma meglio di quanto potrei dirlo io in questo momento l'hanno detto i miei Fiumi, che è il vero momento nel quale la mia poesia prende insieme a me chiara coscienza di sé: l'esperienza poetica è esplorazione d'un personale continente d'inferno, e l'atto poetico, nel compiersi, provoca e libera, qualsiasi prezzo possa costare, il sentire che solo in poesia si può cercare e trovare libertà. Continente d'inferno, ho detto, a causa dell'assoluta solitudine che l'atto di poesia esige, a causa della singolarità del sentimento di non essere come gli altri, ma in disparte, come dannato, e come sotto il peso d'una speciale responsabilità, quella di scoprire un segreto e di rivelarlo agli altri. La poesia è scoperta della condizione umana nella sua essenza, quella d'essere un uomo d'oggi, ma anche un uomo favoloso, come un uomo dei tempi della cacciata dall'Eden: nel suo gesto d'uomo, il vero poeta sa che è prefigurato il gesto degli avi ignoti, nel seguito di secoli impossibile a risalire, oltre le origini del suo buio.

Vedi un po' se riesci a fare un bel collage, magari poi ce lo invii come appunto!

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