Figure retorike...
mi servono le figure retoriche di qst versi del purgatorio e dell inferno.. nn la parafrasi sole le figure retorike!!
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
123 fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
126 che vola a la giustizia sanza schermi?
(purg. canto X)
Buio d’inferno e di notte privata
d’ogni pianeta, sotto pover cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata,
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo ch’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo;
(Purg. XVI, 1-6)
Ed io, che di mirar stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.
Questi si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co’ denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi
l’anime di color cui vinse l’ira;
(Inf. VII, 103-116)
Savia non fui, avvegna che Sapia
fossi chiamata, e fui delli altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
(Purg. XIII, 109-111)
Rotti fuor quivi e volti nelli amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispàri,
tanto ch’io volsi in su l’ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai più non ti temo!"
(Purg. XIII, 118-122)
Questo misero modo
tengon l’anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo".
(Inf. III, 31-36)
"non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
(Inf. III, 51)
«Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
102 punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
«Prima fue
morta la gente a cui il mar s'aperse,
135 che vedesse Iordan le rede sue
E quella che l'affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d'Anchise,
138 sé stessa a vita sanza gloria offerse».
Maledetta sie tu, antica lupa,
che più di tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!
(Purg. XX, 10-12)
O avarizia, che puoi tu più farne,
poscia ch’a’ il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura della propria carne?
(Purg. XX, 82-84)
Qui vidi gente più ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand'urli,
27 voltando pesi per forza di poppa.
Poi quando fuor da noi tanto divise
quell'ombre, che veder più non potiersi,
141 novo pensiero dentro a me si mise,
(inferno,canto VII)
Io sono al terzo cerchio, della piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sopra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spiriti, scuoia e disquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani:
(Inf. VI, 7-19)
Nelli occhi era ciascuna oscura e cava,
pallida nella faccia, e tanto scema,
che dall’ossa la pelle s’informava:
(Purg. XXIII, 22-24)
Paren l’occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso legge omo
ben avria quivi conusciuta l'emme.
(Purg. XXIII, 31)
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltre misura,
in fame e ’n sete qui si rifà santa.
(Purg. XXIII, 64-66)
Vidi gente sott’esso [pomo] alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde
quasi bramosi fantolini e vani,
che pregano e ’l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor desio e nol nasconde.
(Purg. XXIV, 106-111)
Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie l’appetito,
(Purg. XXVI, 82-84)
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
123 fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
126 che vola a la giustizia sanza schermi?
(purg. canto X)
Buio d’inferno e di notte privata
d’ogni pianeta, sotto pover cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata,
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo ch’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo;
(Purg. XVI, 1-6)
Ed io, che di mirar stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.
Questi si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co’ denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi
l’anime di color cui vinse l’ira;
(Inf. VII, 103-116)
Savia non fui, avvegna che Sapia
fossi chiamata, e fui delli altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
(Purg. XIII, 109-111)
Rotti fuor quivi e volti nelli amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispàri,
tanto ch’io volsi in su l’ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai più non ti temo!"
(Purg. XIII, 118-122)
Questo misero modo
tengon l’anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo".
(Inf. III, 31-36)
"non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
(Inf. III, 51)
«Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
102 punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
«Prima fue
morta la gente a cui il mar s'aperse,
135 che vedesse Iordan le rede sue
E quella che l'affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d'Anchise,
138 sé stessa a vita sanza gloria offerse».
Maledetta sie tu, antica lupa,
che più di tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!
(Purg. XX, 10-12)
O avarizia, che puoi tu più farne,
poscia ch’a’ il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura della propria carne?
(Purg. XX, 82-84)
Qui vidi gente più ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand'urli,
27 voltando pesi per forza di poppa.
Poi quando fuor da noi tanto divise
quell'ombre, che veder più non potiersi,
141 novo pensiero dentro a me si mise,
(inferno,canto VII)
Io sono al terzo cerchio, della piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sopra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spiriti, scuoia e disquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani:
(Inf. VI, 7-19)
Nelli occhi era ciascuna oscura e cava,
pallida nella faccia, e tanto scema,
che dall’ossa la pelle s’informava:
(Purg. XXIII, 22-24)
Paren l’occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso legge omo
ben avria quivi conusciuta l'emme.
(Purg. XXIII, 31)
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltre misura,
in fame e ’n sete qui si rifà santa.
(Purg. XXIII, 64-66)
Vidi gente sott’esso [pomo] alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde
quasi bramosi fantolini e vani,
che pregano e ’l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor desio e nol nasconde.
(Purg. XXIV, 106-111)
Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie l’appetito,
(Purg. XXVI, 82-84)
Risposte
per la prima parte prova a guardare qui
mentre per questo pezzo:
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista della mente infermi,
fidanza avete ne’ritrosi passi,
non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?
Di che l’animo vostro in alto galla
poi siete quasi entomata in difetto
si come vermo in cui formazion falla?
ho trovato:
La solenne reprimenda si fa similitudine; figurazione dove bene s’incastona il termine scientifico “entomata” (dal vocabolo della bassa latinità “entoma-atis”, quasi a dire “bacherozzolo”); e la metafora, seppure desunta da Aurelio Agostino: “Omnes homines de carne nascentes, quid sunt nisi vermes?”, e “Et de vermibus angelos facit”, diviene una descrizione poeticamente allegorica.
Non a caso ho voluto riportare questi exempla, ponendo a confronto due tipi di scritture opposte, affinché si possa valutare, con imparzialità, la differenza tra ciò che è poesia e ciò che non lo è
mentre per questo pezzo:
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista della mente infermi,
fidanza avete ne’ritrosi passi,
non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?
Di che l’animo vostro in alto galla
poi siete quasi entomata in difetto
si come vermo in cui formazion falla?
ho trovato:
La solenne reprimenda si fa similitudine; figurazione dove bene s’incastona il termine scientifico “entomata” (dal vocabolo della bassa latinità “entoma-atis”, quasi a dire “bacherozzolo”); e la metafora, seppure desunta da Aurelio Agostino: “Omnes homines de carne nascentes, quid sunt nisi vermes?”, e “Et de vermibus angelos facit”, diviene una descrizione poeticamente allegorica.
Non a caso ho voluto riportare questi exempla, ponendo a confronto due tipi di scritture opposte, affinché si possa valutare, con imparzialità, la differenza tra ciò che è poesia e ciò che non lo è