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mi puoi fare il riassunto su il brano omertà
Miglior risposta
immagino tu stia parlando di Sciascia...spero che questo possa esserti di aiuto.
“Tutta l’Italia va diventando Sicilia”
“Rimuginando queste notizie e vampando di impotente rabbia, il capitano andava a caso per le strade di Parma; pareva diretto ad un appuntamento e preoccupato di giungervi in ritardo. E non sentì il suo amico Brescianelli che dal marciapiede opposto lo chiamava per nome; e restò sorpreso e contrariato quando l’amico lo raggiunse e gli si parò davanti, sorridente affettuoso, scherzosamente reclamando almeno un saluto in nome dei lieti, e ahimè lontani giorni del liceo. Bellodi con serietà si scusò per non aver sentito, disse che non si sentiva bene: dimenticando che Brescianelli era medico, e non avrebbe facilmente mollato un vecchio amico che non stava bene. Infatti indietreggiò di un passo per osservarlo meglio, constatò che era dimagrito, e si vedeva dal cappotto che gli stava addosso un po’ largo e cascante; poi si avvicinò a guardarlo negli occhi, che avevano nel bianco, disse, un po’ di terra di Siena, che voleva dire disfunzione epatica: e domandò dei sintomi, e nominò medicine. Bellodi ascoltava con un sorriso distratto.
“Mi senti?” disse Brescianelli. “O forse ti sto seccando?”
“No no” protestò Bellodi “ho tanto piacere di rivederti. Anzi: dov’è che vai?...” e senza attendere risposta prese sottobraccio l’amico e disse “Ti accompagno”.
E appoggiandosi al braccio dell’amico, un gesto che aveva quasi dimenticato, sentì davvero bisogno di compagnia, bisogno di parlare, di svagare in cose lontane la sua collera. Ma Brescianelli domandò della Sicilia: com’era, come ci si stava; e dei delitti.
Bellodi disse che la Sicilia era incredibile.
“Eh sì, dici bene: incredibile.. Ho conosciuto anch’io dei siciliani: straordinari… E ora hanno la loro autonomia, il loro governo… Il governo della lupara, dico io… Incredibile: è la parola che ci vuole”.
Incredibile è anche l’Italia: e bisogna andare in Sicilia per constare quanto è incredibile l’Italia.
“Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale, gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di 500 metri, mi pare, ogni anno…La linea della palma…Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato…E sale come l’ago di un termometro, questa lirica della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma…” si fermò improvvisamente e disse, ad una giovane donna che veniva loro incontro ridente “Sei incredibile anche tu: bellissima…”
“Come, anch’io? E l’altra chi è?”
“La Sicilia…donna anche lei: misteriosa, implacabile, vendicativa; e bellissima…Come te. Il capitano Bellodi, che ti presento, stava raccontandomi della Sicilia… E questa è Livia” disse rivolto a Bellodi “Livia Giannelli, che tu forse ricordi bambina: ed ora è donna, e di me non vuol saperne”.
“Lei viene dalla Sicilia?” domandò Livia.
“Sì” disse Brescianelli “viene dalla Sicilia: sta laggiù a fare, come dicono loro, lo sbirro fetente” e pronunciò l’espressione rifacendo la voce cavernosa e l’accento catanese di Angelo Musco.
“Adoro la Sicilia” disse Livia, e si mise tra loro prendendoli a braccetto.
“Questa è Parma” pensò Bellodi con improvvisa felicità “questa è una ragazza di Parma: sei a casa tua, al diavolo la Sicilia” ; ma Livia voleva sentire le cose incredibili della incredibile Sicilia. “Io sono stata a Taormina, una volta, e a Siracusa per le rappresentazioni classiche: ma mi dicono che per conoscere la Sicilia bisogna andare verso l’interno…Lei in quale città risiede?”
Bellodi disse il nome del paesee; né Livia né Brescianelli lo avevano mai sentito.
“E com’è?” domandò la ragazza.
“Un vecchio paese con case murate in gesso, con strade ripide e gradinate: e in cime a ogni strada, a ogni gradinata, c’è una brutta chiesa…”
“E gli uomini: sono molto gelosi gli uomini?”
“In un certo modo” disse Bellodi.
“E la mafia: cos’è questa mafia di cui parlano sempre i giornali?”
“Già cos’è la mafia?” incalzò Brescianelli.
“È molto complicata da spiegare.” Disse Bellodi “è… incredibile, ecco”.
Cominciava a scendere un nevischio pungente, il cielo bianco prometteva nevicata lunga. Livia propose che l’accompagnassero a casa: sarebbero venute delle amiche, avrebbero ascoltato formidabili pezzi di vecchio jazz, dischi miracolosamente reperiti; e ci sarebbe stato buon whisky di Scozia e cognac Carlos primero. “E da mangiare?” chiese Brescianelli. Livia promise che ci sarebbe stato anche da mangiare.
Trovarono la sorella di livia e due altre ragazze distese su un tappeto davanti al fuoco: i bicchieri a lato e il funerale al Vieux Colombier, New Orleans, che batteva ossessivo dal giradischi. Anche loro adoravano la Sicilia. Rabbrividirono deliziosamente dei coltelli che, secondo loro, la gelosia faceva lampeggiare. Compiansero le donne siciliane e un po’ le invidiarono. Il rosso del sangue diventò il rosso Guttuso. Il gallo di Ricasso, che faceva da copertina al Bell’Antonio di Brancati, dissero delizioso emblema della Sicilia. Di nuovo rabbrividirono pensando alla mafia; e chiesero spiegazioni, racconti delle terribili cose che, certamente, il capitano aveva visto.
Bellodi raccontò la storia del medico di un carcere siciliano che si era messo in testa, giustamente, di togliere ai detenuti mafiosi il privilegio di risiedere in infermeria: c’erano nel carcere molti malati, ed alcuni addirittura tubercolotici, che stavano nelle celle e nelle camerate comuni; mentre i caporioni, sanissimi, occupavano l’infermeria per godere di un trattamento migliore. Il medico ordinò che tornassero ai reparti comuni, e che i malati venissero in infermeria. Né gli agenti né il direttore diedero seguito alla disposizione medica. Il medico scrisse al ministero. E così, una notte fu chiamato dal carcere, gli dissero che un detenuto aveva urgente bisogno del medico. Il medico andò. Ad un certo punto si trovò, dentro un carcere, solo in mezzo ai detenuti: i caporioni lo picchiarono, accuratamente, con giudizio. Le guardie non si accorsero di niente. Il medico denunciò l’aggressione al procuratore della Repubblica, al ministero. I caporioni, non tutti, furono trasferiti ad altro carcere. Il medico fu dal ministero esonerato dal suo compito: visto che il suo zelo aveva dato luogo ad incidenti. Poiché militava in un partito di sinistra, si rivolse ai compagni di partito per averne appoggio: gli risposero che era meglio lasciar correre. Non riuscendo ad ottenere soddisfazione dell’offesa ricevuta, si rivolse allora ad un capo mafia: che gli desse la soddisfazione, almeno, di far picchiare, nel carcere dove era stato trasferito, uno di coloro che lo avevano picchiato. Ebbe poi assicurazione che, il colpevole era stato picchiato a dovere.
Le ragazze trovarono delizioso l’episodio. Brescianelli lo trovò terribile.
Le ragazze prepararono dei tramezzini. Mangiarono, bevvero whisky e cognac, ascoltarono jazz, parlarono ancora della Sicilia, e poi dell’amore, e poi del sesso. Bellodi si sentiva come un convalescente: sensibilissimo, tenero, affamato. “Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto”.
Rincasò verso mezzanotte, attraversando tutta la città a piedi. Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. “ In Sicilia le nevicate sono rare” pensò: e che forse il carattere delle civiltà era dato dal neve e dal sole, secondo che neve o sole prevalesse. Si sentiva un po’ confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.
“Mi ci romperò la testa”disse a voce alta.
Il capitano Bellodi, originario del Nord Italia, rappresenta nella Sicilia de “ Il giorno della civetta”, valori di concretezza e decoro civile negati alla radice dalla mentalità mafiosa e più in generale dall’antropologia siciliana (infatti il personaggio è tratto dal reale ufficiale dei carabinieri Renato Candida, grande amico di Sciascia).
Il suo ritorno a casa, ha il valore di una resa dei conti: quello a cui assistiamo è, infatti, un bilancio del suo tentativo di correggere gli eterni mali che affliggono l’isola: “tutta la sua accurata ricostruzione dei fatti di S. era stata sfasciata come un castello di carte dal soffio di inoppugnabili alibi”: l’autore dell’omicidio di Colasberna (dal quale l’intreccio del romanzo si snoda), viene infatti scagionato dalle testimonianze di “persone incensurate, assolutamente insospettabili, per censo o per cultura rispettabilissime”.
La polizia si deve accontentare di ricostruire i fatti successivi (la scomparsa del testimone chiave del delitto) seguendo la tradizionale pista del delitto d’onore, così sospendendo le scottanti indagini con le quali Bellodi mira a sollevare il coperchio sugli intrecci fra criminalità mafiosa e coperture politiche assolutamente insospettabili. Ritengo che l’autore pensi che solo coloro che hanno forte carisma possano affrontare questo mondo di intrecci, cultura e mafia. Ed è significativo notare come l’autore affermi che il fenomeno presto diventerà una problematica nazionale per via delle connivenze politiche.
La passeggiata notturna per le vie di Parma. Sotto il nevischio, vede Bellodi riflettere amaramente sul proprio rovescio. Ha la tentazione di lasciar perdere quel luogo. La Sicilia, che può definire solo in un modo “incredibile”; vorrebbe tornare nell’atmosfera ovattata e confortevole del suo ambiente di estrazione, mandare “al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto”. La Sicilia non è però limitata alla sua posizione geografica; la mentalità mafiosa si sta allargando al resto d’Italia e chissà dove troverà un limite: “forse tutta l’Italia va diventando Sicilia”. Perché Sciascia lo sa già bene, la Sicilia è soprattutto una metafora, un modo per designare tutto un complesso di atteggiamenti e mentalità che anche la parola mafia designa in misura insufficiente. Nel 1969 Sciascia parlerà di sicilitudine, condensando in questa formula il senso di insicurezza della terra mille volte invasa, che ingenera: “paura, apprensione, diffidenza, chiuse passioni, incapacità di stabilire rapporti al di fuori degli affetti, violenza, pessimismo, fatalismo”; e ancora: indipendentismo, separatismo e altro ancora.
Per tutto questo, riflette Bellodi, pretendere di trovare un rimedio è un’impresa ai limiti dell’assurdo. Ma l’esperienza siciliana non gli ha lasciato solo l’amarezza della sconfitta: gli ha lasciato anche una passione inguaribile. La tentazione di mollare, alla fine se la getta alle spalle: “sapeva, lucidamente di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.” A combattere, se necessario, fino a rompersi la testa.
Lo stile è molto particolare. In questo passo, i periodi sono abbastanza frammentati, prevale l’uso delle coordinate rispetto alla subordinazione ed è forte il ricorso al dialogo tra i personaggi. Questo modo di scrivere e gli argomenti trattati mi riportano alla mente la corrente del Verismo, in particolare Verga, ma anche Pirandello, con le sue maschere; quindi il pensiero del capitano Bellodi che descrive prima la Sicilia come incredibile luogo, in cui però non tornerebbe, e in seguito riflettendo, capisce che quella è la terra che lo vedrà morire.
“Tutta l’Italia va diventando Sicilia”
“Rimuginando queste notizie e vampando di impotente rabbia, il capitano andava a caso per le strade di Parma; pareva diretto ad un appuntamento e preoccupato di giungervi in ritardo. E non sentì il suo amico Brescianelli che dal marciapiede opposto lo chiamava per nome; e restò sorpreso e contrariato quando l’amico lo raggiunse e gli si parò davanti, sorridente affettuoso, scherzosamente reclamando almeno un saluto in nome dei lieti, e ahimè lontani giorni del liceo. Bellodi con serietà si scusò per non aver sentito, disse che non si sentiva bene: dimenticando che Brescianelli era medico, e non avrebbe facilmente mollato un vecchio amico che non stava bene. Infatti indietreggiò di un passo per osservarlo meglio, constatò che era dimagrito, e si vedeva dal cappotto che gli stava addosso un po’ largo e cascante; poi si avvicinò a guardarlo negli occhi, che avevano nel bianco, disse, un po’ di terra di Siena, che voleva dire disfunzione epatica: e domandò dei sintomi, e nominò medicine. Bellodi ascoltava con un sorriso distratto.
“Mi senti?” disse Brescianelli. “O forse ti sto seccando?”
“No no” protestò Bellodi “ho tanto piacere di rivederti. Anzi: dov’è che vai?...” e senza attendere risposta prese sottobraccio l’amico e disse “Ti accompagno”.
E appoggiandosi al braccio dell’amico, un gesto che aveva quasi dimenticato, sentì davvero bisogno di compagnia, bisogno di parlare, di svagare in cose lontane la sua collera. Ma Brescianelli domandò della Sicilia: com’era, come ci si stava; e dei delitti.
Bellodi disse che la Sicilia era incredibile.
“Eh sì, dici bene: incredibile.. Ho conosciuto anch’io dei siciliani: straordinari… E ora hanno la loro autonomia, il loro governo… Il governo della lupara, dico io… Incredibile: è la parola che ci vuole”.
Incredibile è anche l’Italia: e bisogna andare in Sicilia per constare quanto è incredibile l’Italia.
“Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale, gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di 500 metri, mi pare, ogni anno…La linea della palma…Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato…E sale come l’ago di un termometro, questa lirica della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma…” si fermò improvvisamente e disse, ad una giovane donna che veniva loro incontro ridente “Sei incredibile anche tu: bellissima…”
“Come, anch’io? E l’altra chi è?”
“La Sicilia…donna anche lei: misteriosa, implacabile, vendicativa; e bellissima…Come te. Il capitano Bellodi, che ti presento, stava raccontandomi della Sicilia… E questa è Livia” disse rivolto a Bellodi “Livia Giannelli, che tu forse ricordi bambina: ed ora è donna, e di me non vuol saperne”.
“Lei viene dalla Sicilia?” domandò Livia.
“Sì” disse Brescianelli “viene dalla Sicilia: sta laggiù a fare, come dicono loro, lo sbirro fetente” e pronunciò l’espressione rifacendo la voce cavernosa e l’accento catanese di Angelo Musco.
“Adoro la Sicilia” disse Livia, e si mise tra loro prendendoli a braccetto.
“Questa è Parma” pensò Bellodi con improvvisa felicità “questa è una ragazza di Parma: sei a casa tua, al diavolo la Sicilia” ; ma Livia voleva sentire le cose incredibili della incredibile Sicilia. “Io sono stata a Taormina, una volta, e a Siracusa per le rappresentazioni classiche: ma mi dicono che per conoscere la Sicilia bisogna andare verso l’interno…Lei in quale città risiede?”
Bellodi disse il nome del paesee; né Livia né Brescianelli lo avevano mai sentito.
“E com’è?” domandò la ragazza.
“Un vecchio paese con case murate in gesso, con strade ripide e gradinate: e in cime a ogni strada, a ogni gradinata, c’è una brutta chiesa…”
“E gli uomini: sono molto gelosi gli uomini?”
“In un certo modo” disse Bellodi.
“E la mafia: cos’è questa mafia di cui parlano sempre i giornali?”
“Già cos’è la mafia?” incalzò Brescianelli.
“È molto complicata da spiegare.” Disse Bellodi “è… incredibile, ecco”.
Cominciava a scendere un nevischio pungente, il cielo bianco prometteva nevicata lunga. Livia propose che l’accompagnassero a casa: sarebbero venute delle amiche, avrebbero ascoltato formidabili pezzi di vecchio jazz, dischi miracolosamente reperiti; e ci sarebbe stato buon whisky di Scozia e cognac Carlos primero. “E da mangiare?” chiese Brescianelli. Livia promise che ci sarebbe stato anche da mangiare.
Trovarono la sorella di livia e due altre ragazze distese su un tappeto davanti al fuoco: i bicchieri a lato e il funerale al Vieux Colombier, New Orleans, che batteva ossessivo dal giradischi. Anche loro adoravano la Sicilia. Rabbrividirono deliziosamente dei coltelli che, secondo loro, la gelosia faceva lampeggiare. Compiansero le donne siciliane e un po’ le invidiarono. Il rosso del sangue diventò il rosso Guttuso. Il gallo di Ricasso, che faceva da copertina al Bell’Antonio di Brancati, dissero delizioso emblema della Sicilia. Di nuovo rabbrividirono pensando alla mafia; e chiesero spiegazioni, racconti delle terribili cose che, certamente, il capitano aveva visto.
Bellodi raccontò la storia del medico di un carcere siciliano che si era messo in testa, giustamente, di togliere ai detenuti mafiosi il privilegio di risiedere in infermeria: c’erano nel carcere molti malati, ed alcuni addirittura tubercolotici, che stavano nelle celle e nelle camerate comuni; mentre i caporioni, sanissimi, occupavano l’infermeria per godere di un trattamento migliore. Il medico ordinò che tornassero ai reparti comuni, e che i malati venissero in infermeria. Né gli agenti né il direttore diedero seguito alla disposizione medica. Il medico scrisse al ministero. E così, una notte fu chiamato dal carcere, gli dissero che un detenuto aveva urgente bisogno del medico. Il medico andò. Ad un certo punto si trovò, dentro un carcere, solo in mezzo ai detenuti: i caporioni lo picchiarono, accuratamente, con giudizio. Le guardie non si accorsero di niente. Il medico denunciò l’aggressione al procuratore della Repubblica, al ministero. I caporioni, non tutti, furono trasferiti ad altro carcere. Il medico fu dal ministero esonerato dal suo compito: visto che il suo zelo aveva dato luogo ad incidenti. Poiché militava in un partito di sinistra, si rivolse ai compagni di partito per averne appoggio: gli risposero che era meglio lasciar correre. Non riuscendo ad ottenere soddisfazione dell’offesa ricevuta, si rivolse allora ad un capo mafia: che gli desse la soddisfazione, almeno, di far picchiare, nel carcere dove era stato trasferito, uno di coloro che lo avevano picchiato. Ebbe poi assicurazione che, il colpevole era stato picchiato a dovere.
Le ragazze trovarono delizioso l’episodio. Brescianelli lo trovò terribile.
Le ragazze prepararono dei tramezzini. Mangiarono, bevvero whisky e cognac, ascoltarono jazz, parlarono ancora della Sicilia, e poi dell’amore, e poi del sesso. Bellodi si sentiva come un convalescente: sensibilissimo, tenero, affamato. “Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto”.
Rincasò verso mezzanotte, attraversando tutta la città a piedi. Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. “ In Sicilia le nevicate sono rare” pensò: e che forse il carattere delle civiltà era dato dal neve e dal sole, secondo che neve o sole prevalesse. Si sentiva un po’ confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.
“Mi ci romperò la testa”disse a voce alta.
Il capitano Bellodi, originario del Nord Italia, rappresenta nella Sicilia de “ Il giorno della civetta”, valori di concretezza e decoro civile negati alla radice dalla mentalità mafiosa e più in generale dall’antropologia siciliana (infatti il personaggio è tratto dal reale ufficiale dei carabinieri Renato Candida, grande amico di Sciascia).
Il suo ritorno a casa, ha il valore di una resa dei conti: quello a cui assistiamo è, infatti, un bilancio del suo tentativo di correggere gli eterni mali che affliggono l’isola: “tutta la sua accurata ricostruzione dei fatti di S. era stata sfasciata come un castello di carte dal soffio di inoppugnabili alibi”: l’autore dell’omicidio di Colasberna (dal quale l’intreccio del romanzo si snoda), viene infatti scagionato dalle testimonianze di “persone incensurate, assolutamente insospettabili, per censo o per cultura rispettabilissime”.
La polizia si deve accontentare di ricostruire i fatti successivi (la scomparsa del testimone chiave del delitto) seguendo la tradizionale pista del delitto d’onore, così sospendendo le scottanti indagini con le quali Bellodi mira a sollevare il coperchio sugli intrecci fra criminalità mafiosa e coperture politiche assolutamente insospettabili. Ritengo che l’autore pensi che solo coloro che hanno forte carisma possano affrontare questo mondo di intrecci, cultura e mafia. Ed è significativo notare come l’autore affermi che il fenomeno presto diventerà una problematica nazionale per via delle connivenze politiche.
La passeggiata notturna per le vie di Parma. Sotto il nevischio, vede Bellodi riflettere amaramente sul proprio rovescio. Ha la tentazione di lasciar perdere quel luogo. La Sicilia, che può definire solo in un modo “incredibile”; vorrebbe tornare nell’atmosfera ovattata e confortevole del suo ambiente di estrazione, mandare “al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto”. La Sicilia non è però limitata alla sua posizione geografica; la mentalità mafiosa si sta allargando al resto d’Italia e chissà dove troverà un limite: “forse tutta l’Italia va diventando Sicilia”. Perché Sciascia lo sa già bene, la Sicilia è soprattutto una metafora, un modo per designare tutto un complesso di atteggiamenti e mentalità che anche la parola mafia designa in misura insufficiente. Nel 1969 Sciascia parlerà di sicilitudine, condensando in questa formula il senso di insicurezza della terra mille volte invasa, che ingenera: “paura, apprensione, diffidenza, chiuse passioni, incapacità di stabilire rapporti al di fuori degli affetti, violenza, pessimismo, fatalismo”; e ancora: indipendentismo, separatismo e altro ancora.
Per tutto questo, riflette Bellodi, pretendere di trovare un rimedio è un’impresa ai limiti dell’assurdo. Ma l’esperienza siciliana non gli ha lasciato solo l’amarezza della sconfitta: gli ha lasciato anche una passione inguaribile. La tentazione di mollare, alla fine se la getta alle spalle: “sapeva, lucidamente di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.” A combattere, se necessario, fino a rompersi la testa.
Lo stile è molto particolare. In questo passo, i periodi sono abbastanza frammentati, prevale l’uso delle coordinate rispetto alla subordinazione ed è forte il ricorso al dialogo tra i personaggi. Questo modo di scrivere e gli argomenti trattati mi riportano alla mente la corrente del Verismo, in particolare Verga, ma anche Pirandello, con le sue maschere; quindi il pensiero del capitano Bellodi che descrive prima la Sicilia come incredibile luogo, in cui però non tornerebbe, e in seguito riflettendo, capisce che quella è la terra che lo vedrà morire.
Miglior risposta