Domande parini
Benché l'umana superbia sia discesa fino ne' sepolcri, d'oro e di velluto coperta, unta di preziosi aromi e di balsami, seco recando la distinzione de' luoghi perfino tra' cadaveri, pure un tratto, non so per quale accidente, s'abbatterono nella medesima sepoltura un
Nobile: ed un
Poeta:, e tennero questo ragionamento:
Nobile: Fatt'in là mascalzone!
Poeta: Ell'ha il torto, Eccellenza. Teme Ella forse che i suoi vermi non l'abbandonino per venire a me? Oh! le so dir io ch'e' vorrebbon fare il lauto banchetto sulle ossa spolpate d'un
Poeta:.
Nobile: Miserabile! non sai tu chi io mi sono? Ora perché ardisci tu di starmi così fitto alle costole come tu fai?
Poeta: Signore, s'io stovvi così accosto, incolpatene una mia depravazione d'olfatto, per la quale mi sono avezzo a' cattivi odori. Voi puzzate che è una maraviglia. Voi non olezzate già più muschio ed ambra, voi ora. Quanto son io obbligato a cotesti bachi che ora vi si raggirano per le intestina! essi destano effluvii così fattamente soavi che il mio naso ne disgrada a quello di Copronimo, che voi sapete quanto fosse squisito in fatto di porcherie.
Nobile: Poltrone! Tu motteggi, eh? Se io ora do che rodere a' vermi, egli è perché in vita ero avezzo a dar mangiare a un centinaio di persone; dove tu, meschinaccio, non avevi con che far cantare un cieco: e perciò anche ora, se uno sciagurato di verme ti si accostasse, si morrebbe di fame.
Poeta: Oh, oh, sibbene, Eccellenza! Io ricordomi ancora di quella turba di gnatoni e di parassiti, che vi s'affollavan dintorno. Oh, quante ballerine, quante spie, quanti barattieri, quanti buffoni, quanti ruffiani! Diavolo! perché m'è egli toccato di scender quaggiù vosco; ch'altrimenti io gli avrei annoverati tutti quanti nel vostro epitaffio?
Nobile: Olà, chiudi cotesta succida bocca; o io chiamo il mio lacché, e ti fo bastonar di santa ragione.
Poeta: Di grazia, Vostra Eccellenza non s'incomodi. Il vostro lacché sta ora qua sopra con gli altri servi e co' creditori facendo un panegirico de' vostri meriti, ch'è tutt'altra cosa che l'orazion funebre di quel frate pagato da' vostri figliuoli. Egli non vi darebbe orecchio, vedete, Eccellenza.
Nobile: Linguaccia, tu se' tanto incallita nel dir male, che né manco i vermi ti possono rosicare.
Poeta: Che Dio vi dia ogni bene: ora voi parlate propriamente da vostro pari. Voi dite ch'io dico male, perché anco quaggiù seguo pure a darvi dell'Eccellenza, eh? Quanto ho caro che voi siate morto! Ben si vede che questo era il punto in cui voi avevate a far giudizio. Or bene, io darovvi, con vostra buona pace, del Tu. Noi parremo due Consoli Romani che si parlino la loro lingua. Povero Tu! Tu se' stato seppellito insieme colla gloria del Campidoglio: bisogna pur venire quaggiù nelle sepolture chi ha caro di rivederti; oh! tu se' pure la snella e disinvolta parola!
Nobile: Cospetto! se io non temessi di troppo avvilirmi teco, io non so chi mi tenesse dal batterti attraverso del ceffo questa trippa ch'ora m'esce del bellico che infradicia. Io dicoti, che tu se' una linguaccia, io.
Poeta: Di grazia, Signore, fatelo, se il potete; ché voi non vi avvilirete punto. Questo è un luogo ove tutti riescono pari; e coloro, che davansi a credere tanto giganti sopra di noi colassù, una buona fiata che sien giunti qua, trovansi perfettamente appaiati a noi altra canaglia: non ècci altra differenza, se non che, chi più grasso ci giugne, così anco più vermi se 'l mangiano. Voi avete in oltre a sapere che quaggiù solo stassi ricoverata la verità. Quest'aria malinconica, che qui si respira fino a tanto che reggono i polmoni, non è altro che verità, e le parole, ch'escono di bocca, il sono pure.
Nobile: Or bene, io t'ho còlto adunque, balordo: io dico adunque il vero, chiamandoti una linguaccia, un maldicente, dappoiché qui non si respira né si dice altro che verità.
Poeta: Piano, Signore. Vi ricorda egli quanti giorni sieno che voi veniste quaggiù?
Nobile: Sibbene, tre dì; e qualche ore dappoi ci giugnesti tu ancora.
Poeta: Gli è vero. Fu per lo appunto il giorno che quegli sciocchi di là sopra, dopo avermi lasciato morir di fame, si credettero di beatificarmi, qua collocandomi in compagnia di Vostra Eccellenza.
Nobile: Egli avevano ben ragione; se non che tu non meritavi cotesta beatitudine.
Poeta: Or dite, nel momento che voi spiraste non vi fu tosto serrata la bocca?
Nobile: Sì.
Poeta: Non vi si radunò poi d'intorno un'esercito di mosche che ve la turarono vie più?
Nobile: Che vuoi tu dire perciò?
Poeta: Non veniste voi chiuso fra quattro assi?
Nobile: Sì, e coperte di velluto, e guernite d'oro finissimo, e portato da quattro becchini e da assai gentiluomini con ricchissime vesti nere, colle mie arme dintorno, con mille torchi, che m'accompagnavano...
Poeta: Via, codesto non importa. Non foste voi, così imprigionato, gittato quaggiù?
Nobile: Sì, e, per ventura, cadendo si scommessero le assi, sì ch'io ne sdrucciolai fuora, e rimasimi quale or mi vedi.
Poeta: Non vedete voi adunque che voi avete tuttavia in corpo l'aria di là sopra, ch'e' non ci fu verso ch'essa ne potesse uscire, tanto voi eravate ben chiuso da ogni banda?
Nobile: E cotesto che ci fa egli?
Poeta: Egli ci fa assai: conciossiaché l'aria, piena di verità, di quaggiù, non vi può entrare, e per conseguente non ne può uscire colle parole; laddove in me è seguito tutto il contrario. Io fui abbandonato alla discrezione del caso quand'io mi morii, e que' ladri de' becchini non m'ebbero punto di rispetto, concioffosseché io non fossi un cadavere Eccellenza: anzi, levatimi alcuni cenci ond'io era involto, quaggiù mi gittarono così gnudo com'io era nato. Voi vedete ora, che l'aria di colassù ben tosto si fu dileguata da' miei polmoni; e che in quel cambio ci scese quest'aria veritiera di questo luogo ov'ora insieme abitiamo; e staracci finché qualche topo non m'abbia tanto bucato i polmoni ch'essa non ci possa più capire.
Nobile: Bestia! tu vuoi dunque conchiuder con ciò che tu solo dici il vero quaggiù, e ch'io dico la bugia?
Poeta: Io non dico già questo, io. Voi ben sapete che, quando altri è ben persuaso che ciò ch'ei dice sia vero, non si può già dire ch'egli faccia bugia, sebbene egli dica il falso, non avendo egli animo d'ingannare altrui, comeché egli per un cattivo raziocinio inganni sé medesimo.
Nobile: Mariuolo! tu fai bene a cercare di sgabellartene: ben sai che cosa importi il dare una mentita in sul viso ad un mio pari. Or via, poiché qui non ci resta altro che fare infino a tanto che questi vermi abbiano finito di rosicarci, io voglio pur darti retta: di' pure; in che cosa m'inganno io? Egli sarà però la prima volta che un tuo pari abbia ardito di dirmi ch'io m'ingannassi.
Poeta: Signore, fatemi la cortesia di rispondere voi prima a me. Per qual ragione non volevate voi, dianzi, ch'io vi stessi vicino, a voi.
Nobile: Non te 'l dissi io già? perché ciò non si conviene ad un pari tuo.
Poeta: E che? vi pungevo io forse, v'assordavo io, vi mandavo io qualche tristo odore alle narici, vi dava io infine qualche disagio alla persona?
Nobile: Benché cotesto fosse potuto essere per avventura, non è però per questo ch'io sommene doluto: ma solamente perché ciò non si conveniva.
Poeta: Or perché non si conveniva egli ciò? Forse che non può l'uomo star vicino all'altr'uomo quando egli no 'l punga, non l'assordi, non gli mandi tristo odore alle narici, e finalmente non gli rechi verun disagio alla persona?
Nobile: Sì certo ch'egli il può; ma quando l'altro sia suo pari.
Poeta: E quand'egli no 'l sia?
Nobile: Colui ch'è inferiore è tenuto a rispettar l'altro, che gli è superiore; e il non osare accostarsi è segno di rispetto; laddove il contrario è indizio di troppa famigliarità, come dianzi ti accennai.
Poeta: Voi non potete pensar di meglio: ma ditemi, se il cielo vi faccia salvo, chi, di noi due, giudicate voi che sia tenuto a rispettar l'altro?
Nobile: No 'l vedi tu da te medesimo, balordo? Tu dèi rispettar me.
Poeta: Voi volete dire adunque che voi siete mio superiore. Non è egli 'l vero?
Nobile: Sì certo.
Poeta: E per qual ragione il siete voi? Sareste voi per avventura il Re?
Nobile: Perché io son nobile, dove tu se' plebeo.
Poeta: E che diacine d'animale è egli mai cotesto nobile? o perché dobbiam noi essere obbligati a rispettarlo? È egli uno elefante o una balena, che altri debba cedergli così grande spazio da occupare? O vuol egli forse dire un uomo pieno di virtù, e così benefico al genere umano, sicché l'altr'uomo sia forzato a portargli riverenza?
Nobile: Oh! tu se' pure il grande scioccone. Uomo nobile non vuol dire niente di ciò; né per questo è ch'ei merita d'essere rispettato.
Poeta: E perché adunque?
Nobile: Perché egli ha avuto una nascita diversa dalla tua.
Poeta: Oh poffare! voi mi fareste strabiliare. Affé, che voi mi pigliaste ora per un bambolo da contargli le fole della fata e dell'orco. Non son io forse stato generato e partorito alla stessa stessissima foggia che il foste voi? E che! vi moltiplicate voi forse per mezzo delle stampe, voi altri nobili?
Nobile: Noi nasciamo come se' nato tu medesimo, se io ho a dirti 'l vero: ma il sangue che in noi è provenuto dai nostri maggiori è tutt'altra cosa che il tuo.
Poeta: Dàlle! e voi seguite pure a infilzarmi maraviglie. Forseché il vostro sangue non è come il nostro fluido e vermiglio? È egli fatto alla foggia di quello degli Dei d'Omero?
Nobile: Egli è anzi così, come il vostro, fluidissimo e vermiglissimo: ma tu ben sai che possa il nostro sangue sopra gli animi nostri.
Poeta: Io non so nulla, io. Di grazia, che credete però voi che il vostro sangue possa sopra gli animi vostri?
Nobile: Esso ci può più che non credi: esso rende i nostri spiriti svegliati, gentili e virtuosi; laddove il vostro li rende ottusi, zotici e viziosi.
Poeta: E perché ciò?
Nobile: Perché esso è disceso purissimo per insino a noi per li purissimi canali de' nostri antenati.
Poeta: Se la cosa è come a voi pare, voi sarete adunque, voi altri Nobili, tutti quanti forniti d'animo svegliato, gentile e virtuoso.
Nobile: Sì certamente.
Poeta: Onde vien egli però che, quando io era colassù tra' viventi, a me pareva che una così gran parte di voi altri fosse ignorante, stupida, prepotente, avara, bugiarda, accidiosa, ingrata, vendicativa e simili altre gentilezze? Forse che talora per qualche impensato avvenimento si è introdotta qualche parte del nostro sangue eterogeneo per entro a que' purissimi canali de' vostri antenati? Ed onde viene ancora, che tra noi altra plebe io ho veduto tante persone letterate, valorose, intraprendenti, liberali, gentili, magnanime e dabbene? Forse che qualche parte del vostro purissimo sangue vien talora, per qualche impensato avvenimento, ad introddursi negli oscuri canali di noi altra canaglia?
Nobile: Io non ti saprei ben dire onde ciò procedesse; ma egli è pur certo che bisogna sempre dir bene de' nobili, perché bisogna rispettarli, se non per altro, almeno per l'antichità della nostra prosapia.
Poeta: Deh, Signore, ditemi per vita vostra, quanti secoli prima della creazione cominciò egli mai la vostra prosapia?
Nobile: Ah ah, tu mi fai ridere: pretenderesti tu forse, minchione, che ci avesse delle famiglie prima che nulla ci fosse?
Poeta: Or bene; di che tempo credete voi che avesse cominciamento la vostra famiglia?
Nobile: Dal tempo di Carlo Magno, cicala.
Poeta: Olà, tu fammi dunque il cappello tu, scòstati da me tu.
Nobile: Insolente! che linguaggio tieni tu ora con me? Tu mi faresti po' poi scappare la pazienza.
Poeta: Olà! scòstati, ti dico io.
Nobile: E perché?
Poeta: Perché la mia famiglia è di gran lunga più antica della tua.
Nobile: Taci là, buffone; e da chi presumeresti però tu d'esser disceso?
Poeta: Da Adamo, vi dico io.
Nobile: Oh, io l'ho detto che tu ci avverresti bene a fare il buffone. Io comincio quasi ad avere piacere d'essermi qui teco incontrato. Suvvia, fammi adunque il catalogo de' tuoi antenati.
Poeta: Eh, pensate! La vorrebb'esser la favola dell'uccellino se io avessi ora a contarvi ogni cosa. Questi rospi che ora ci rodono non hanno mica tanta pazienza, sapete! Così fosse stato addentato il vostro primo ascendente dov'ora uno d'essi m'addenta; che voi non vi vantereste ora di così antica famiglia.
Nobile: Ispàcciati; comincia prima da tuo padre, e va' via salendo. Come chiamavas'egli?
Poeta: Il signor Giambattista, per servirvi.
Nobile: E il tuo nonno?
Poeta: Il mio nonno...
Nobile: Or di'.
Poeta: Zitto, aspettate ch'io lo rinvenga: il mio nonno...
Nobile: Sbrigati, ti dico, in tua malora!
Poeta: Il mio nonno chiamavasi messer Guasparri.
Nobile: E il tuo bisavolo?
Poeta: Oh questo, affé ch'io non me 'l ricordo, e gli altri assai meno: ricorderestivi voi i vostri?
Nobile: Se io me li ricordo? Or senti: Rolando il primo, da Rolando il primo Adolfo, da Adolfo Bertrando, da Bertrando Gualtieri, da Gualtieri Rolando secondo, da Rolando secondo Agilulfo, da Agilulfo...
Poeta: Deh, lasciate lasciate, ch'io son ben persuaso che voi vi ricordate ogni cosa. Cappita! voi siete fornito d'una sperticata memoria, voi. Egli si par bene che voi non abbiate studiato mai altro che la vostra genealogia.
Nobile: Ora ti dài tu per vinto? mi concedi tu oggimai che io e gli altri nobili miei meritiamo d'esiggere rispetto e venerazione da voi altri plebei?
Poeta: Io vi concedo che voi aveste di molta memoria voi e i vostri ascendenti; ma, se cotesto vi fa degni di riverenza, io non so perché io non debba dare dello Illustrissimo anco a colui che mostra le anticaglie, dappoiché egli si ricorda di tanti nomi quanti voi fate, e d'assai più ancora.
Nobile: È egli però possibile, animale, che tu non ti avveda quanto celebri, quanto illustri, e quanto grandi uomini sieno stati questi miei avoli?
Poeta: Io giurovi ch'io non ne ho udito mai favellare. Ma che hann'eglino però fatto cotesti sì celebri avoli vostri? Hanno eglino forse trovato la maniera del coltivare i campi; hanno eglino ridotti gli uomini selvaggi a vivere in compagnia? Hanno eglino forse trovato la religione, le leggi e le arti che sono necessarie alla vita umana? S'egli hanno fatto niente di questo, io confessovi sinceramente che cotesti vostri avoli meritavano d'essere rispettati da' loro contemporanei, e che noi ancora non possiamo a meno di non portar riverenza alla memoria loro. Or dite, che hanno eglino fatto?
Nobile: Tu dèi sapere che que' primi de' nostri avoli prestarono de' grandi servigi a gli antichi nostri principi, aiutandoli nelle guerre ch'eglino intrapresero; e perciò furono da quelli beneficati insignemente e renduti ricchi sfondolati. Dopo questi, altri divenuti fieri per la loro potenza, riuscirono celebri fuorusciti, e segnalarono la loro vita faccendo stare al segno il loro Principe e la loro patria; altri si diedero per assoldati a condurre delle armate in servigio ora di questo or di quell'altro signore, e fecero un memorabile macello di gente d'ogni paese. Tu ben vedi che in simili circostanze, sia per timore d'essere perseguitati, sia che per le varie vicende s'erano scemate le loro facoltà, si ritirarono a vivere ne' loro feudi; ricoverati in certe loro ròcche sì ben fortificate, che gli orsi non vi si sarebbono potuti arrampicare; dove non ti potrei ben dire quanto fosse grande la loro potenza. Bastiti il dire che nelle colline ov'essi rifugiavano, non risonava mai altro che un continovo eco delle loro archibusate, e ch'egli erano dispotici padroni della vita e delle mogli de' loro vassalli. Ora intendi quanto grandi e quanto rispettabili uomaccioni fosser costoro, de' quali tenghiamo tuttavia i ritratti appesi nelle nostre sale.
Poeta: Or via, voi avete detto abbastanza dello splendore e del merito de' vostri avi. Non andate, vi priego, più oltre, perché noi entreremmo forse in qualche ginepraio. Per altro voi fate il bell'onore alla vostra prosapia, attribuendo a' vostri ascendenti il merito che finora avete attribuito loro. Voi fate tutto il possibile per rivelare la loro vergogna e per isvergognare anche voi stesso, se fosse vero, come voi dite, che a voi dovesse discendere il merito de' vostri maggiori e che questi fossero stati i meriti loro. Io credo bene che tra' vostri antenati, così come tra' nobili che io ho conosciuti, vi saranno stati di quelli che meriterebbono d'essere imitati per l'eccellenza delle loro sociali virtù; ma siccome queste virtù non si curano di andare in volta a processione, così si saranno dimenticate insieme col nome di que' felici vostri antenati, che le hanno possedute.
Nobile: Or ti rechi molto in sul serio tu, ora.
Poeta: Finché voi non mi faceste vedere altro che vanità, io mi risi della leggerezza del vostro cervello; ma, dappoiché mi cominciate a scambiare i vizii per virtù, egli è pur forza che mi si ecciti la bile. Volete voi ora che noi torniamo a' nostri scherzi?
Nobile: Sì, torniamoci pure, che il tuo discorso mi comincia oggimai a piacere; e quasi m'hai persuaso che questa Nobiltà non sia po' poi così gran cosa, come questi miei pari la fanno.
Poeta: Rallegromene assai. Ben si vede che l'aria veritiera di questo nostro sepolcro comincia ora ad insinuarvisi ne' polmoni, cacciandone quella che voi ci avevate recato di colassù.
1)al nobile nn viene contrapposto un plebeo, ma un poeta.per quale motivo?
2)poco dp l'inizio del brano il poeta afferma che la tomba è un luogo ove tt riescono pari e che lìi solamente stassi ricoverata la verità. riporoponi cn parole tue, senza tralasciare alcun particolare, tt l'intervento del poeta in cui sn contenute qst frasi.
3)qual'è la tesi sostenuta da parini?
4)evidenzia gli epiteti oltraggiosi che il nobile rivolge al poeta. si presentano con la medesima frequanza in tt il testo? in quale parte diminuiscono?come puoi spiegare qst cambiamento?
5)individua le frasi e i passaggi ironici.
6)commenta la parte finale del dialogo (se io avessi a risuscitare.........)
Nobile: ed un
Poeta:, e tennero questo ragionamento:
Nobile: Fatt'in là mascalzone!
Poeta: Ell'ha il torto, Eccellenza. Teme Ella forse che i suoi vermi non l'abbandonino per venire a me? Oh! le so dir io ch'e' vorrebbon fare il lauto banchetto sulle ossa spolpate d'un
Poeta:.
Nobile: Miserabile! non sai tu chi io mi sono? Ora perché ardisci tu di starmi così fitto alle costole come tu fai?
Poeta: Signore, s'io stovvi così accosto, incolpatene una mia depravazione d'olfatto, per la quale mi sono avezzo a' cattivi odori. Voi puzzate che è una maraviglia. Voi non olezzate già più muschio ed ambra, voi ora. Quanto son io obbligato a cotesti bachi che ora vi si raggirano per le intestina! essi destano effluvii così fattamente soavi che il mio naso ne disgrada a quello di Copronimo, che voi sapete quanto fosse squisito in fatto di porcherie.
Nobile: Poltrone! Tu motteggi, eh? Se io ora do che rodere a' vermi, egli è perché in vita ero avezzo a dar mangiare a un centinaio di persone; dove tu, meschinaccio, non avevi con che far cantare un cieco: e perciò anche ora, se uno sciagurato di verme ti si accostasse, si morrebbe di fame.
Poeta: Oh, oh, sibbene, Eccellenza! Io ricordomi ancora di quella turba di gnatoni e di parassiti, che vi s'affollavan dintorno. Oh, quante ballerine, quante spie, quanti barattieri, quanti buffoni, quanti ruffiani! Diavolo! perché m'è egli toccato di scender quaggiù vosco; ch'altrimenti io gli avrei annoverati tutti quanti nel vostro epitaffio?
Nobile: Olà, chiudi cotesta succida bocca; o io chiamo il mio lacché, e ti fo bastonar di santa ragione.
Poeta: Di grazia, Vostra Eccellenza non s'incomodi. Il vostro lacché sta ora qua sopra con gli altri servi e co' creditori facendo un panegirico de' vostri meriti, ch'è tutt'altra cosa che l'orazion funebre di quel frate pagato da' vostri figliuoli. Egli non vi darebbe orecchio, vedete, Eccellenza.
Nobile: Linguaccia, tu se' tanto incallita nel dir male, che né manco i vermi ti possono rosicare.
Poeta: Che Dio vi dia ogni bene: ora voi parlate propriamente da vostro pari. Voi dite ch'io dico male, perché anco quaggiù seguo pure a darvi dell'Eccellenza, eh? Quanto ho caro che voi siate morto! Ben si vede che questo era il punto in cui voi avevate a far giudizio. Or bene, io darovvi, con vostra buona pace, del Tu. Noi parremo due Consoli Romani che si parlino la loro lingua. Povero Tu! Tu se' stato seppellito insieme colla gloria del Campidoglio: bisogna pur venire quaggiù nelle sepolture chi ha caro di rivederti; oh! tu se' pure la snella e disinvolta parola!
Nobile: Cospetto! se io non temessi di troppo avvilirmi teco, io non so chi mi tenesse dal batterti attraverso del ceffo questa trippa ch'ora m'esce del bellico che infradicia. Io dicoti, che tu se' una linguaccia, io.
Poeta: Di grazia, Signore, fatelo, se il potete; ché voi non vi avvilirete punto. Questo è un luogo ove tutti riescono pari; e coloro, che davansi a credere tanto giganti sopra di noi colassù, una buona fiata che sien giunti qua, trovansi perfettamente appaiati a noi altra canaglia: non ècci altra differenza, se non che, chi più grasso ci giugne, così anco più vermi se 'l mangiano. Voi avete in oltre a sapere che quaggiù solo stassi ricoverata la verità. Quest'aria malinconica, che qui si respira fino a tanto che reggono i polmoni, non è altro che verità, e le parole, ch'escono di bocca, il sono pure.
Nobile: Or bene, io t'ho còlto adunque, balordo: io dico adunque il vero, chiamandoti una linguaccia, un maldicente, dappoiché qui non si respira né si dice altro che verità.
Poeta: Piano, Signore. Vi ricorda egli quanti giorni sieno che voi veniste quaggiù?
Nobile: Sibbene, tre dì; e qualche ore dappoi ci giugnesti tu ancora.
Poeta: Gli è vero. Fu per lo appunto il giorno che quegli sciocchi di là sopra, dopo avermi lasciato morir di fame, si credettero di beatificarmi, qua collocandomi in compagnia di Vostra Eccellenza.
Nobile: Egli avevano ben ragione; se non che tu non meritavi cotesta beatitudine.
Poeta: Or dite, nel momento che voi spiraste non vi fu tosto serrata la bocca?
Nobile: Sì.
Poeta: Non vi si radunò poi d'intorno un'esercito di mosche che ve la turarono vie più?
Nobile: Che vuoi tu dire perciò?
Poeta: Non veniste voi chiuso fra quattro assi?
Nobile: Sì, e coperte di velluto, e guernite d'oro finissimo, e portato da quattro becchini e da assai gentiluomini con ricchissime vesti nere, colle mie arme dintorno, con mille torchi, che m'accompagnavano...
Poeta: Via, codesto non importa. Non foste voi, così imprigionato, gittato quaggiù?
Nobile: Sì, e, per ventura, cadendo si scommessero le assi, sì ch'io ne sdrucciolai fuora, e rimasimi quale or mi vedi.
Poeta: Non vedete voi adunque che voi avete tuttavia in corpo l'aria di là sopra, ch'e' non ci fu verso ch'essa ne potesse uscire, tanto voi eravate ben chiuso da ogni banda?
Nobile: E cotesto che ci fa egli?
Poeta: Egli ci fa assai: conciossiaché l'aria, piena di verità, di quaggiù, non vi può entrare, e per conseguente non ne può uscire colle parole; laddove in me è seguito tutto il contrario. Io fui abbandonato alla discrezione del caso quand'io mi morii, e que' ladri de' becchini non m'ebbero punto di rispetto, concioffosseché io non fossi un cadavere Eccellenza: anzi, levatimi alcuni cenci ond'io era involto, quaggiù mi gittarono così gnudo com'io era nato. Voi vedete ora, che l'aria di colassù ben tosto si fu dileguata da' miei polmoni; e che in quel cambio ci scese quest'aria veritiera di questo luogo ov'ora insieme abitiamo; e staracci finché qualche topo non m'abbia tanto bucato i polmoni ch'essa non ci possa più capire.
Nobile: Bestia! tu vuoi dunque conchiuder con ciò che tu solo dici il vero quaggiù, e ch'io dico la bugia?
Poeta: Io non dico già questo, io. Voi ben sapete che, quando altri è ben persuaso che ciò ch'ei dice sia vero, non si può già dire ch'egli faccia bugia, sebbene egli dica il falso, non avendo egli animo d'ingannare altrui, comeché egli per un cattivo raziocinio inganni sé medesimo.
Nobile: Mariuolo! tu fai bene a cercare di sgabellartene: ben sai che cosa importi il dare una mentita in sul viso ad un mio pari. Or via, poiché qui non ci resta altro che fare infino a tanto che questi vermi abbiano finito di rosicarci, io voglio pur darti retta: di' pure; in che cosa m'inganno io? Egli sarà però la prima volta che un tuo pari abbia ardito di dirmi ch'io m'ingannassi.
Poeta: Signore, fatemi la cortesia di rispondere voi prima a me. Per qual ragione non volevate voi, dianzi, ch'io vi stessi vicino, a voi.
Nobile: Non te 'l dissi io già? perché ciò non si conviene ad un pari tuo.
Poeta: E che? vi pungevo io forse, v'assordavo io, vi mandavo io qualche tristo odore alle narici, vi dava io infine qualche disagio alla persona?
Nobile: Benché cotesto fosse potuto essere per avventura, non è però per questo ch'io sommene doluto: ma solamente perché ciò non si conveniva.
Poeta: Or perché non si conveniva egli ciò? Forse che non può l'uomo star vicino all'altr'uomo quando egli no 'l punga, non l'assordi, non gli mandi tristo odore alle narici, e finalmente non gli rechi verun disagio alla persona?
Nobile: Sì certo ch'egli il può; ma quando l'altro sia suo pari.
Poeta: E quand'egli no 'l sia?
Nobile: Colui ch'è inferiore è tenuto a rispettar l'altro, che gli è superiore; e il non osare accostarsi è segno di rispetto; laddove il contrario è indizio di troppa famigliarità, come dianzi ti accennai.
Poeta: Voi non potete pensar di meglio: ma ditemi, se il cielo vi faccia salvo, chi, di noi due, giudicate voi che sia tenuto a rispettar l'altro?
Nobile: No 'l vedi tu da te medesimo, balordo? Tu dèi rispettar me.
Poeta: Voi volete dire adunque che voi siete mio superiore. Non è egli 'l vero?
Nobile: Sì certo.
Poeta: E per qual ragione il siete voi? Sareste voi per avventura il Re?
Nobile: Perché io son nobile, dove tu se' plebeo.
Poeta: E che diacine d'animale è egli mai cotesto nobile? o perché dobbiam noi essere obbligati a rispettarlo? È egli uno elefante o una balena, che altri debba cedergli così grande spazio da occupare? O vuol egli forse dire un uomo pieno di virtù, e così benefico al genere umano, sicché l'altr'uomo sia forzato a portargli riverenza?
Nobile: Oh! tu se' pure il grande scioccone. Uomo nobile non vuol dire niente di ciò; né per questo è ch'ei merita d'essere rispettato.
Poeta: E perché adunque?
Nobile: Perché egli ha avuto una nascita diversa dalla tua.
Poeta: Oh poffare! voi mi fareste strabiliare. Affé, che voi mi pigliaste ora per un bambolo da contargli le fole della fata e dell'orco. Non son io forse stato generato e partorito alla stessa stessissima foggia che il foste voi? E che! vi moltiplicate voi forse per mezzo delle stampe, voi altri nobili?
Nobile: Noi nasciamo come se' nato tu medesimo, se io ho a dirti 'l vero: ma il sangue che in noi è provenuto dai nostri maggiori è tutt'altra cosa che il tuo.
Poeta: Dàlle! e voi seguite pure a infilzarmi maraviglie. Forseché il vostro sangue non è come il nostro fluido e vermiglio? È egli fatto alla foggia di quello degli Dei d'Omero?
Nobile: Egli è anzi così, come il vostro, fluidissimo e vermiglissimo: ma tu ben sai che possa il nostro sangue sopra gli animi nostri.
Poeta: Io non so nulla, io. Di grazia, che credete però voi che il vostro sangue possa sopra gli animi vostri?
Nobile: Esso ci può più che non credi: esso rende i nostri spiriti svegliati, gentili e virtuosi; laddove il vostro li rende ottusi, zotici e viziosi.
Poeta: E perché ciò?
Nobile: Perché esso è disceso purissimo per insino a noi per li purissimi canali de' nostri antenati.
Poeta: Se la cosa è come a voi pare, voi sarete adunque, voi altri Nobili, tutti quanti forniti d'animo svegliato, gentile e virtuoso.
Nobile: Sì certamente.
Poeta: Onde vien egli però che, quando io era colassù tra' viventi, a me pareva che una così gran parte di voi altri fosse ignorante, stupida, prepotente, avara, bugiarda, accidiosa, ingrata, vendicativa e simili altre gentilezze? Forse che talora per qualche impensato avvenimento si è introdotta qualche parte del nostro sangue eterogeneo per entro a que' purissimi canali de' vostri antenati? Ed onde viene ancora, che tra noi altra plebe io ho veduto tante persone letterate, valorose, intraprendenti, liberali, gentili, magnanime e dabbene? Forse che qualche parte del vostro purissimo sangue vien talora, per qualche impensato avvenimento, ad introddursi negli oscuri canali di noi altra canaglia?
Nobile: Io non ti saprei ben dire onde ciò procedesse; ma egli è pur certo che bisogna sempre dir bene de' nobili, perché bisogna rispettarli, se non per altro, almeno per l'antichità della nostra prosapia.
Poeta: Deh, Signore, ditemi per vita vostra, quanti secoli prima della creazione cominciò egli mai la vostra prosapia?
Nobile: Ah ah, tu mi fai ridere: pretenderesti tu forse, minchione, che ci avesse delle famiglie prima che nulla ci fosse?
Poeta: Or bene; di che tempo credete voi che avesse cominciamento la vostra famiglia?
Nobile: Dal tempo di Carlo Magno, cicala.
Poeta: Olà, tu fammi dunque il cappello tu, scòstati da me tu.
Nobile: Insolente! che linguaggio tieni tu ora con me? Tu mi faresti po' poi scappare la pazienza.
Poeta: Olà! scòstati, ti dico io.
Nobile: E perché?
Poeta: Perché la mia famiglia è di gran lunga più antica della tua.
Nobile: Taci là, buffone; e da chi presumeresti però tu d'esser disceso?
Poeta: Da Adamo, vi dico io.
Nobile: Oh, io l'ho detto che tu ci avverresti bene a fare il buffone. Io comincio quasi ad avere piacere d'essermi qui teco incontrato. Suvvia, fammi adunque il catalogo de' tuoi antenati.
Poeta: Eh, pensate! La vorrebb'esser la favola dell'uccellino se io avessi ora a contarvi ogni cosa. Questi rospi che ora ci rodono non hanno mica tanta pazienza, sapete! Così fosse stato addentato il vostro primo ascendente dov'ora uno d'essi m'addenta; che voi non vi vantereste ora di così antica famiglia.
Nobile: Ispàcciati; comincia prima da tuo padre, e va' via salendo. Come chiamavas'egli?
Poeta: Il signor Giambattista, per servirvi.
Nobile: E il tuo nonno?
Poeta: Il mio nonno...
Nobile: Or di'.
Poeta: Zitto, aspettate ch'io lo rinvenga: il mio nonno...
Nobile: Sbrigati, ti dico, in tua malora!
Poeta: Il mio nonno chiamavasi messer Guasparri.
Nobile: E il tuo bisavolo?
Poeta: Oh questo, affé ch'io non me 'l ricordo, e gli altri assai meno: ricorderestivi voi i vostri?
Nobile: Se io me li ricordo? Or senti: Rolando il primo, da Rolando il primo Adolfo, da Adolfo Bertrando, da Bertrando Gualtieri, da Gualtieri Rolando secondo, da Rolando secondo Agilulfo, da Agilulfo...
Poeta: Deh, lasciate lasciate, ch'io son ben persuaso che voi vi ricordate ogni cosa. Cappita! voi siete fornito d'una sperticata memoria, voi. Egli si par bene che voi non abbiate studiato mai altro che la vostra genealogia.
Nobile: Ora ti dài tu per vinto? mi concedi tu oggimai che io e gli altri nobili miei meritiamo d'esiggere rispetto e venerazione da voi altri plebei?
Poeta: Io vi concedo che voi aveste di molta memoria voi e i vostri ascendenti; ma, se cotesto vi fa degni di riverenza, io non so perché io non debba dare dello Illustrissimo anco a colui che mostra le anticaglie, dappoiché egli si ricorda di tanti nomi quanti voi fate, e d'assai più ancora.
Nobile: È egli però possibile, animale, che tu non ti avveda quanto celebri, quanto illustri, e quanto grandi uomini sieno stati questi miei avoli?
Poeta: Io giurovi ch'io non ne ho udito mai favellare. Ma che hann'eglino però fatto cotesti sì celebri avoli vostri? Hanno eglino forse trovato la maniera del coltivare i campi; hanno eglino ridotti gli uomini selvaggi a vivere in compagnia? Hanno eglino forse trovato la religione, le leggi e le arti che sono necessarie alla vita umana? S'egli hanno fatto niente di questo, io confessovi sinceramente che cotesti vostri avoli meritavano d'essere rispettati da' loro contemporanei, e che noi ancora non possiamo a meno di non portar riverenza alla memoria loro. Or dite, che hanno eglino fatto?
Nobile: Tu dèi sapere che que' primi de' nostri avoli prestarono de' grandi servigi a gli antichi nostri principi, aiutandoli nelle guerre ch'eglino intrapresero; e perciò furono da quelli beneficati insignemente e renduti ricchi sfondolati. Dopo questi, altri divenuti fieri per la loro potenza, riuscirono celebri fuorusciti, e segnalarono la loro vita faccendo stare al segno il loro Principe e la loro patria; altri si diedero per assoldati a condurre delle armate in servigio ora di questo or di quell'altro signore, e fecero un memorabile macello di gente d'ogni paese. Tu ben vedi che in simili circostanze, sia per timore d'essere perseguitati, sia che per le varie vicende s'erano scemate le loro facoltà, si ritirarono a vivere ne' loro feudi; ricoverati in certe loro ròcche sì ben fortificate, che gli orsi non vi si sarebbono potuti arrampicare; dove non ti potrei ben dire quanto fosse grande la loro potenza. Bastiti il dire che nelle colline ov'essi rifugiavano, non risonava mai altro che un continovo eco delle loro archibusate, e ch'egli erano dispotici padroni della vita e delle mogli de' loro vassalli. Ora intendi quanto grandi e quanto rispettabili uomaccioni fosser costoro, de' quali tenghiamo tuttavia i ritratti appesi nelle nostre sale.
Poeta: Or via, voi avete detto abbastanza dello splendore e del merito de' vostri avi. Non andate, vi priego, più oltre, perché noi entreremmo forse in qualche ginepraio. Per altro voi fate il bell'onore alla vostra prosapia, attribuendo a' vostri ascendenti il merito che finora avete attribuito loro. Voi fate tutto il possibile per rivelare la loro vergogna e per isvergognare anche voi stesso, se fosse vero, come voi dite, che a voi dovesse discendere il merito de' vostri maggiori e che questi fossero stati i meriti loro. Io credo bene che tra' vostri antenati, così come tra' nobili che io ho conosciuti, vi saranno stati di quelli che meriterebbono d'essere imitati per l'eccellenza delle loro sociali virtù; ma siccome queste virtù non si curano di andare in volta a processione, così si saranno dimenticate insieme col nome di que' felici vostri antenati, che le hanno possedute.
Nobile: Or ti rechi molto in sul serio tu, ora.
Poeta: Finché voi non mi faceste vedere altro che vanità, io mi risi della leggerezza del vostro cervello; ma, dappoiché mi cominciate a scambiare i vizii per virtù, egli è pur forza che mi si ecciti la bile. Volete voi ora che noi torniamo a' nostri scherzi?
Nobile: Sì, torniamoci pure, che il tuo discorso mi comincia oggimai a piacere; e quasi m'hai persuaso che questa Nobiltà non sia po' poi così gran cosa, come questi miei pari la fanno.
Poeta: Rallegromene assai. Ben si vede che l'aria veritiera di questo nostro sepolcro comincia ora ad insinuarvisi ne' polmoni, cacciandone quella che voi ci avevate recato di colassù.
1)al nobile nn viene contrapposto un plebeo, ma un poeta.per quale motivo?
2)poco dp l'inizio del brano il poeta afferma che la tomba è un luogo ove tt riescono pari e che lìi solamente stassi ricoverata la verità. riporoponi cn parole tue, senza tralasciare alcun particolare, tt l'intervento del poeta in cui sn contenute qst frasi.
3)qual'è la tesi sostenuta da parini?
4)evidenzia gli epiteti oltraggiosi che il nobile rivolge al poeta. si presentano con la medesima frequanza in tt il testo? in quale parte diminuiscono?come puoi spiegare qst cambiamento?
5)individua le frasi e i passaggi ironici.
6)commenta la parte finale del dialogo (se io avessi a risuscitare.........)
Risposte
allora??? :( perfavore
Bravo hai ragione...