Contro l'ipse dixit

lucio125
Mi serve aiuto nel brano contro l'ipse dixit mi basta rispondere almeno a 4 o 5 domande
SIMPLICIO — Io vi confesso che tutta questa notte sono andato ruminando le cose di ieri (5), e veramente trovo di molte belle, nuove e gagliarde considerazioni; con tutto ciò mi sento stringer assai più dall'autorità di tanti grandi scrittori, ed in particolare... Voi scotete la testa, signor Sagredo, e sogghignerete, come se io dicessi qualche grande esorbitanza.
SAGREDO — Io sogghigno solamente, ma credetemi ch'io scoppio nel voler far forza di ritener le risa maggiori, perché mi avete fatto sovvenire di un bellissimo caso, al quale io mi trovai presente, non sono molti anni, insieme con alcuni altri nobili amici miei, i quali vi potrei ancora nominare.
SALVIATI — Sarà bene che voi ce lo raccontiate, acciò forse il signor Simplicio non continuasse di creder d'avervi esso mosse le risa.
SAGREDO — Sono contento. Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità convenivano talvolta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno che si andava ricercando l'origine e nascimento dei nervi, sopra di che è famosa controversia tra i medici galenisti ed i peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca il grandissimo ceppo dei nervi, si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentiluomo ch'egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò s'ei restava ben pago e sicuro l'origine dei nervi venir dal cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, dopo essere stato alquanto sopra di sé, rispose: Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d'Aristotele non fusse in contrario, ché apertamente dice i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera.
SIMPLICIO — Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell'origine dei nervi non è mica così smaltita e decisa come forse alcuno si persuade.
SAGREDO — Né sarà mai al sicuro, come si abbiano di simili contraddittori; ma questo che voi dite non diminuisce punto la stravaganza della risposta del peripatetico, il quale contro a così sensata esperienza non produsse altre esperienze o ragioni di Aristotele, ma la sola autorità ed il puro ipse dixit.
SIMPLICIO — Aristotele non si è acquistata sì grande autorità, se non per forza delle sue dimostrazioni e della profondità dei suoi discorsi; ma bisogna intenderlo, e non solamente intenderlo, ma aver tanta gran pratica ne' suoi libri che se ne sia formata un'idea perfettissima, in modo che ogni suoi detto vi sia sempre innanzi alla mente; perché e' non ha scritto per il volgo, né si è obbligato a infilzare i suoi sillogismi col metodo triviale ordinato; anzi, servendosi del perturbato, ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par che trattino di ogni altra cosa; e però bisogna aver tutta quella grande idea, e saper combinar questo passo con quello, accozzar questo testo con un altro remotissimo; ch'ei non è dubbio che chi avrà questa pratica saprà cavar da' suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perché in essi è ogni cosa.
SAGREDO — Ma, signor Simplicio mio, come l'esser le cose disseminate in qua e in là non vi dà fastidio, e che voi crediate con l'accozzamento e con la combinazione di varie particelle trarne il sugo, questo che voi dite e gli altri filosofi bravi farete con i testi d'Aristotele, farò io con i versi di Virgilio o di Ovidio, formandone centoni, ed esplicando con quelli tutti gli affari degli uomini e i segreti della natura. Ma che dico io di Virgilio o di altro poeta? Io ho un libretto assai più breve di Aristotele e d'Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea; e questo è l'alfabeto; e non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa e quella vocale con quelle consonanti o con quell'altre, ne caverà le risposte verissime a tutti i dubbii, e ne trarrà gl'insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, in quella maniera appunto che il pittore dai semplici colori diversi, separatamente posti sopra la tavolozza, va, con l'accozzare un poco di questo e di quell'altro, figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, pesci, ed insomma imitando tutti gli oggetti visibili, senza che su la tavolozza sieno né occhi, né penne, né squamme, né foglie, né sassi. Anzi, pure è necessario che nessuna delle cose da imitarsi o parte alcuna di quelle, sieno attualmente tra i colori, volendo che con essi si possano rappresentare tutte le cose; ché se vi fussero, v. g., penne, queste non servirebbero per dipingere altro che uccelli o pennacchi.

SALVIATI — E' son vivi e sani alcuni gentiluomini che furono presenti quando un dottor leggente in uno studio famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio da sé non ancora veduto, disse che l'invenzione era presa da Aristotele; e fattosi portare un testo, trovò certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo d'un pozzo molto cupo si possono di giorno veder le stelle in Cielo; e disse ai circostanti: Eccovi il pozzo, che denota il cannone; eccovi i vapori grossi, da' quali è tolta l'invenzione dei cristalli, ed eccovi finalmente fortificata la vista nel passare i raggi per il diafano più denso ed oscuro.
SAGREDO — Questo è un modo di contener tutti gli scibili assai simile a quello col quale un marmo contiene in sé una bellissima, anzi mille bellissime statue; ma il punto sta a saperle scoprire; o vogliam dire che e' sia simile alle profezie di Giovacchino , o a' responsi degli oracoli de' gentili, che non s'intendono se non dopo gli eventi delle cose profetizzate.
SALVIATI — E dove lasciate voi le predizioni dei genetliaci, che tanto chiaramente dopo l'esito si veggono nel tema, o vogliam dire nella figura celeste?
SAGREDO — In questa guisa trovano gli alchimisti, guidati dall'umore melanconico, tutti i più elevati ingegni del mondo non aver veramente scritto mai d'altro che del modo di far l'oro; ma per dirlo senza palesarlo al volgo, esser andati ghiribizzando chi questa chi quell'altra maniera di adombrarlo sotto varie coperte; e piacevolissima cosa è il sentire i comenti loro sopra i poeti antichi, ritrovando i misteri importantissimi che sotto le favole loro si nascondono; e quello che importino gli amori della Luna, e 'l suo scendere in Terra per Endimione; l'ira sua contra Atteone; e quando Giove si converte in pioggia d'oro, e quando in fiamme ardenti; e quanti gran secreti dell'arte sieno in quel Mercurio interprete, in quei ratti di Plutone, in quei rami d'oro.
SIMPLICIO — Io credo, e in parte so, che, non mancano al mondo de' cervelli molto stravaganti, le vanità de' quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d'Aristotele, del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e la sola antichità e 'l gran nome che si è acquistato nelle menti di tanti uomini segnalati, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole appresso di tutti i letterati.
SALVIATI — Il fatto non cammina così, signor Simplicio: sono alcuni suoi seguaci troppo pusillanimi che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero occasione di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggerezze. E voi, ditemi in grazia, sete così semplice che non intendiate che, quando Aristotele fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che, quando Aristotele vedesse le novità scoperte in Cielo, e' non fusse per mutar opinione e per emendar i suoi libri, e per accostarsi alle più sensate dottrine, discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimemente s'inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che, quando Aristotele fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che reputando tutti gli altri come pecore stolide, volesse che i suoi decreti fussero anteposti ai sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno data l'autorità ad Aristotele, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perché è più facile il coprirsi sotto lo scudo d'un altro che 'l comparire a faccia aperta, temono, né si ardiscono d'allontanarsi un sol passo; e più tosto che mettere qualche alterazione nel Cielo di Aristotele, vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel Cielo della natura.
SAGREDO — Questi tali mi fan sovvenire di quello scultore che, avendo ridotto un gran pezzo di marmo all'immagine non so se d'un Ercole o d'un Giove fulminante, e datogli con mirabile artifizio tanta vivacità e fierezza, che moveva spavento a chiunque lo rimirava, esso ancora cominciò ad averne paura, sebben tutto lo spirito e la movenza era opera delle sue mani; e il terrore era tale, che più non si sarebbe ardito di affrontarlo con le subbie e 'l mazzuolo.
SALVIATI — Io mi son più volte maravigliato come possa esser che questi puntuali mantenitori d'ogni detto d'Aristotele non si accorgano di quanto gran pregiudizio e' sieno alla reputazione ed al credito di quello, e quanto nel volergli accrescere autorità gliene detraggono; perché, mentre io li veggo ostinati in volere sostener proposizioni, le quali io tocchi con mano esser manifestamente false, ed in volermi persuadere che così far convenga al vero filosofo, e che così farebbe Aristotele medesimo, molto si diminuisce in me l'opinione che egli abbia rettamente filosofato intorno ad altre conclusioni a me più recondite; ché quando io li vedessi cedere e mutare opinione per le verità manifeste, io crederei che in quelle dove e' persistessero potessero avere salde dimostrazioni da me non intese o sentite.
SAGREDO — Ovvero, quando gli paresse di metter troppo della lor reputazione e di quella d'Aristotele nel confessar di non aver saputa questa o quella conclusione ritrovata da un altro, non sarebb'ei manco male il ritrovarla tra i suoi testi, con l'accozzarne diversi, conforme alla pratica significataci dal signor Simplicio? perché se vi è ogni scibile, è ben anco forza vi si possa ritrovare.
SALVIATI — Signor Sagredo, non vi fate beffe di questo avvedimento, che mi par che lo proponghiate burlando; perché non è gran tempo che avendo un filosofo di gran nome composto un libro dell'Anima, nel quale, in riferir l'opinione d'Aristotele circa l'esser o non essere immortale, adduceva molti testi (non già dei citati da Alessandro, perché in quelli diceva che Aristotele non trattava né anco di tal maniera, non che determinasse cosa veruna attenente a ciò, ma altri da sé ritrovati in altri luoghi reconditi che piegavano al senso pernizioso) e venendo avvisato che egli avrebbe avute delle difficoltà nel farlo licenziare, riscrisse all'amico che non però restasse di procurarne la spedizione, perché, quando non se gli intraversasse altro ostacolo, non aveva difficultà niuna circa il mutare la dottrina d'Aristotele, e con altre esposizioni e con altri testi sostenere l'opinione contraria pur conforme alla mente d'Aristotele.
SAGREDO — O questo dottor sì che mi può comandare, che non si vuol lasciar infinocchiare da Aristotele, ma vuol esso menar lui per il naso, e farlo dire a suo modo! Vedete quanto importa il saper pigliare il tempo opportuno: ei non si deve ridurre a negoziar con Ercole, mentre è imbizzarrito e su le furie, ma quando sta favoleggiando tra le Meonie Ancelle. Ah viltà inaudita d'ingegni servili: farsi spontaneamente mancipio, accettar per inviolabili decreti, obbligarsi a chiamarsi persuaso e convinto da argomenti che sono tanto efficaci e chiaramente concludenti, che gli stessi non sanno risolversi s'e'sien pure scritti in quel proposito, o se e' servano per provar quella tal conclusione! Ma dichiamo la pazzia maggiore, che tra lor medesimi sono ancora dubbii se l'istesso autore abbia tenuto la parte affermativa o la negativa. È egli questo un far loro oracolo una statua di legno, ed a quella correr per i responsi, quella temere, quella riverire, quella adorare?
SIMPLICIO — Ma quando si lasci Aristotele, chi ne ha da essere scorta nella filosofia? Nominate, voi, qualche autore.
SALVIATI — Ci è bisogno di scorta nei paesi incogniti e selvaggi, ma nei luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti a casa. Ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta; né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotele, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto, e senza cercarne altra ragione si debba avere per decreto inviolabile. Il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d'intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che 'l sentir nelle pubbliche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir un di traverso con un testo, e ben spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all'avversario? Ma, quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai si usurpino l'onorato titolo di filosofo. Ma è ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago infinito, del quale in tutt'oggi non si uscirebbe. Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni vostre o di Aristotele, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632, giornata seconda.

Comprensione
1. Svolgi la sintesi interpretativa del brano, evidenziandone l’idea centrale.
2. Quali sono gli interlocutori del Dialogo? Quali ruoli incarnano?
Analisi
1. Esamina la figura di Simplicio: quali aspetti intellettuali la caratterizzano? Quali motivazioni adduce per difendere il pensiero aristotelico? Con quale linguaggio si esprime?
2. Spiega il significato dell’esempio, addotto da Sagredo, del filosofo peripatetico di fronte alla dimostrazione della vera origine dei nervi.
3. Sagredo afferma che le interpretazioni di Aristotele da parte degli aristocratici è “simile alle profezie di Giovacchino o ai responsi degli oracoli dei gentili”: chiarisci il valore polemico di questo giudizio.
4. Individua e commenta i passi del testo nei quali Salviati opera una netta distinzione tra la dottrina di Aristotele e coloro che non sono “filosofi”, ma “dottori di memorie”.
5. Analizza il linguaggio di Salviati e di Sagredo, mettendo in luce come il pensiero nuovo si traduce in una lingua nuova e brillante.
Approfondimenti
1. Illustra la forza innovativa del pensiero di Galileo Galilei rispetto alla tradizionale concezione della scienza, evidenziandone gli aspetti più significativi, anche in riferimento alle altre opere e ai brani letti.

Miglior risposta
melody_gio
Buongiorno Lucio,

prova a svolgere tu l'esercizio, riportalo qua e ti aiutiamo con le correzioni.

Ciao,
Giorgia.
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