Art. 53 CI e progressività dell'imposta

Cheguevilla
Art. 53 C.I.
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.


Cerchiamo di valutare le ragioni sostanziali del secondo comma dell'art. 53 C.I. anche in funzione dell'art. 3 C.I..
La questione deve essere analizzata sotto due aspetti: l'utilizzo e la contribuzione.
Per quanto riguarda l'utilizzo, anche se non è una regola dimostrabile, vi è una tendenza marcata verso un maggiore sfruttamento dei servizi pubblici da parte di coloro che detengono i redditi più elevati.
Ad esempio, un imprenditore avrà necessità che le reti (es. energia, trasporto) siano efficienti, più di quanto non lo necessiti un semplice impiegato.
In generale, chi dispone di un reddito più elevato utilizza maggiormente la gamma di servizi a disposizione anche, ma non solo, per via della maggiore capacità di spesa.
Avendo interessi maggiori da tutelare, ha maggiori necessità di un sistema efficiente, quindi lo sfrutta in misura maggiore.
Dal punto di vista della contribuzione, bisogna considerare che il denaro ha una funzione utilità sempre crescente, ma con derivata seconda negativa.
Possiamo supporre una funzione come $f(x)=sqrtx$ oppure $f(x)=logx$.
Un'aliquota fissa, come paventato da alcuni, violerebbe il primo comma dell'art. 53, poiché un prelievo del 30% per chi ha un reddito pari a 20.000 euro ha un impatto di gran lunga maggiore rispetto a quello che ha su un individuo che guadagna 200.000 euro annui in termini di utilità, quindi di capacità contributiva.

Risposte
kinder1
Non mi sento di obiettare sui tuoi argomenti, perché non sono in grado di valutare la dipendenza di un ipotetico bilancio dare-avere, riferito alla contribuzione ed all'utilizzo dei servizi pubblici, dal livello di reddito di una persona. In particolare, non riesco a percepire come l'impiego dei servizi debba, o possa, essere a sua volta progressivo e non semplicemente proporzionale al reddito. Sarebbe interessante modellarlo.

Torno alla costituzione, ed all'indicazione della progressività, notando che se fosse questa la fonte d'ispirazione, bisognerebbe spiegare come giustificare un sistema di imposte strutturato sia su quelle dirette sia su quelle indirette, che costituiscono una quota significativa di quanto un cittadino medio paga. Questo anche ricollegandomi a quanto dici, sul valore marginale che una piccola somma può avere per un soggetto a basso reddito. Questo è sicuramente vero; peccato però che le varie accise, le varie imposte addizionali comunali e provinciali, l'IVA etc. le paga pari pari anche la persona a basso reddito. Insomma, mi rendo conto che la questione è complicata; mi rimane però poco convincente.

Approfitto della mia ignoranza e mancanza di titolo, per spararla grossa. Io, le imposte sul reddito le abolirei, scaricando tutto il prelievo fiscale sulle indirette e sulle tasse, che mi sembra si possano calibrare e controllare meglio, anche per tenere conto del potere di acquisto delle persone (mi riferisco per esempio all'IVA differenziata sulle varie tipologie di prodotto). L'ho detta grossa? Forse si; però sono sicuro che una cosa del genere attirerebbe in Italia molti investimenti, con tutte le ricadute positive sull'occupazione e sul reddito medio.
Credo anche che sarebbe più facile e più efficace l'azione di controllo, perché si ridurrebbe il numero dei soggetti da controllare.

SnakePlinsky
Sulla natura della progressività delle imposte sul reddito Cheguevilla espone la spiegazione "classica".

Dal canto mio posso aggiungere che è possibile un'altra interpretazione, politico-fattuale:
ipotizzando che i governi degli stati siano rappresentativi della popolazione e che i governanti agiscano nell'interesse unico dei mandatari, è ovvio che la tassazione debba essere progressiva, in quanto [empiricamente in ogni parte del mondo] c'è la tendenza ad avere più quota di reddito in mano a poche persone. (la curva di Lorenz riguardo al reddito è sempre concava http://en.wikipedia.org/wiki/Lorenz_curve , http://it.wikipedia.org/wiki/Indice_di_concentrazione ). Essendo i "più poveri" la maggioranza, è ovvio che tassino maggiormente i " più ricchi", che sono la minoranza, se non altro per una mera questione numerica.

A kinder rispondo dicendo che le imposte indirette sono inique proprio perchè colpiscono le fascie più deboli della popolazione: la cosa è nota nella teoria della Scienza delle Finanze.
http://it.wikipedia.org/wiki/Scienza_delle_finanze
http://it.wikipedia.org/wiki/Imposta

Prima di proseguire la discussione ricordo che l'argomento imposte (e tributi in generale), è sempre e comunque di natura politico per definizione, in quanto imposte da un soggetto di intrinseca natura politica, lo stato. In questo campo bisogna sempre cercare di distinguere il fatto oggettivo (positivo) da quello politico.

kinder1
cercando rapidamente in rete ho trovato quest'articolo della Repubblica, agosto 2006, http://www.repubblica.it/2006/08/sezion ... trate.html in cui si riportano i consuntivi a giugno 2006. Si rileva che le imposte indirette costituivano il 46% del totale delle entrate, e non credo che nel frattempo la struttura delle entrate sia cambiata significativamente.
Questo mi consente di dire che, al di la di tutte le argomentazioni che la teoria può fornire (e che io non confuto), nella pratica il prelievo non si attiene strettamente alle presumibili indicazioni costituzionali. Mi aspetto poi che un'analisi dei contributori maggiori a questi gettiti difficilmente dimostrerebbe che "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. ".
Ma voglio esplicitare il retropensiero che mi sta guidando, per fare capire meglio la mia posizione.
Intanto, sia chiaro che non mi sto proponendo come novello teorico in materie di macroeconomia o scienza delle finanze. Sono discipline dalle quali sono molto lontano, come preparazione, e non oso invaderle. Mi sono andato, però, formando nel tempo l'opinione che in molti casi accade che chi pensa di regolamentare in qualche modo un gruppo sociale (che va dallo stato ai comuni, alla definizione di organizzazione e processi aziendali) spesso si ispira a principi e/o a modelli attraenti per le loro caratteristiche, nonché per la loro rispondenza alle opinioni, gusti , interessi o ideologie di chi deve normare, senza chiedersi se tale modello tenga realmente conto della natura del gruppo sociale che deve regolamentare. Poi ne consegue, ovviamente, che le cose non funzionano come si sperava (o ci si illudeva), e comincia la caccia alle responsabilità, quasi sempre indirizzata alla ricerca di chi avrebbe avuto il dovere di dare completa ed efficace attuazione alle regole, e non l'ha fatto. Io penso che se uno prende una qualunque costituzione, per esempio, e poi pretende di vederla completamente attuata da un gregge di pecore, certamente rimarrà deluso; se poi comincia ad individuare nel montone il principale responsabile del non rispetto delle regole, allora è proprio un cretino. Certamente l'esempio è esagerato, ma aiuta ad esemplificare, in maniera estrema, il mio pensiero. Io sono convinto che in Italia non si sbaglia sui principi, e forse, grosso modo, neanche sulle norme. Quello che si sbaglia è l'associazione gruppo sociale-norme. Tornando ad una citazione di Cheguevilla in un altro post, dico che non si può pensare di far adottare agli italiani norme che funzionano cogli scandinavi. Semplicemente perché noi non siamo scandinavi. E questo, in barba all'equità ed al valore civile di quelle norme. Noi certe cose non ce le possiamo ancora permettere. Pensate a come riesce a sopravvivere ed a prosperare la mafia ed organizzazioni simili, approfittando degli ampi spazi lasciati liberi dai principi civilissimi di garantismo delle nostre leggi. Che questi non siano adeguati a fronteggiare certe situazioni l'ha dimostrato anche il fatto che, quando la politica fu messa sotto pressione dal terrorismo degli anni '70/'80, si dovette ricorrere a leggi speciali.
La verità è che noi abbiamo bisogno di molte leggi speciali; una per ogni questione che non siamo capaci di gestire. Consideriamo l'immondizia di Napoli; il commissariamento è un provvedimento simile all'adozione di una legge speciale perché, di fatto, crea una situazione che si sovrappone a strutture istituzionali pre-esistenti, che non funzionano.
Tornando al problema delle imposte, credo che noi non ci possiamo permettere sistemi teoricamente equi, ma di difficile attuabilità. La conseguenza di questa cosa è l'iniquità reale. Io credo che chi paga le tasse abbia più interesse a che si azzeri l'evasione, piuttosto che il sistema tributario si ispiri a principi, ma solo principi, di equità.

delfo2
Naturalmente senza alcuna pretesa, ma raccogliendo spunti qua e là, e con un poco di esperienza di vita, mi permetto di avanzare un paio di idee.
La progressività (giusta, equa, e richiesta dalla Costituzione) può ottenersi sia con aliquote progressive, sia con una aliquota unica, applicata però solo a partire da un certo reddito in sù, lasciando una "zoccolo" esentasse (es.:12mila euro/anno).
La tassazione dovrebbe riguardare tutti i soggetti e tutti i tipi di guadagno; sia che si tratti di soldi guadagnati "producendo" concretamente qualcosa, sia che venga corrisposto un servizio, sia che si sia fatta una speculazione in borsa.
Infine, aggiungo un pensierino, riguardo il problema del "caro pane". Certamente non è pensabile un regime di prezzi obbligati di tipo sovietico, ma è un dato di fatto oggettivo che oggi, rispetto a 10-20 o 30 anni fa il costo del pane è "lievitato"; così come è lievitato lo status sociale del fornaio (quando ero piccolo il garzone faceva le consegne con una bici; oggi ha un furgone mercedes ultimo modello...).
La mia proposta è di tornare ad un sistema come c'era, almeno a Bologna, negli anni '50 '60. I panettieri potevano produrre ogni tipo e formato di pane,e venderli al porezzo che preferivano, ma erano obblligati a produrre "anche" un "modellobase" semplice e a pezzatura standard, da vendere ad un prezzo fissato. Qualora ne fossero risultati sforniti, o l'avessero finito, dovevano vendere gli altri tipi più raffinati, al prezzo di quello standard.

kinder1
"Sergio":
Può forse essere utile, per cominciare: Ruggero Paladini, L'imposta progressiva e la finanziaria 2003, Quaderni del Dipartimento di Economia Politica dell'Università degli Studi di Siena.


L'articolo è interessante e mostra, almeno a me, come il tema non sia né banale né dalla soluzione scontata.

Cheguevilla
Naturalmente, nessuno ha mai detto che la questione sia scontata.
Un articolo simile dovrebbe essere sufficiente a dimostrare che il 99% delle cose che si sentono in TV o si leggono sui giornali sulle finanziarie sono stupidate.

@ Sergio: Il problema dei monopoli naturali è una questione annosa su cui la scienza delle finanze, ma non solo, è abbastanza concorde nel riconoscere il fallimento del mercato.
Tuttavia, molti liberisti, credenti nella privatizzazione come integralisti religiosi, si ostinano a sostenere la maggiore efficienza di questo modello.
Anche qui, sono curioso di sapere quanti di questi abbiano una conoscenza profonda della questione.

Naturalmente, l'imposizione progressiva ha come prima finalità la redistribuzione del reddito. Non a caso, in un altro topic, ho affiancato l'art. 53 all'art. 3 della Costituzione.
Si tratta di un metodo di realizzazione dell'equità verticale.
La non linearità della funzione utilità del denaro rafforza comunque la validità di questo metodo.

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