Il significato dell'aggettivo "canonico" in geometria
Salve a tutti, vi sottopongo una questione che mi accompagna fin dall'inizio dei miei studi universitari
Spesso, in geometria ma anche altrove, compare l'aggettivo "canonico" per descrivere delle applicazioni. Per quanto ho capito, questo può avere due significati. Il primo è "naturale", "ovvio"; tale è ad esempio l'epimorfismo canonico tra una struttura algebrica e un suo quoziente, e su questo c'è poco da dire. Il secondo è "indipendente da scelte". In quest'accezione, l'aggettivo si trova specialmente quando si studiano strutture algebriche "libere" (io ho incontrato moduli liberi, semigruppi liberi e ovviamente spazi vettoriali, magari con strutture aggiuntive), o strutture geometriche basate su di esse (ad esempio gli spazi affini). E' noto che un'applicazione definita su una base si estende in modo unico a un omomorfismo definito su tutto l'ambiente; tuttavia, un'applicazione definita in questo modo non è "canonica", mentre lo è una che non si serve della scelta di una base. Accenno solo al fatto che l'aggettivo si trova anche in altri contesti: ad esempio, se $X$ è uno spazio topologico connesso per archi, $x, y \in X$, i gruppi fondamentali di $X$ con punti base $x$ e $y$ sono isomorfi, ma l'isomorfismo solitamente costruito non è "canonico", in quanto dipende dalla scelta di un cammino da $x$ a $y$.
Ora, i miei dubbi sono i seguenti:
1) Ho letto da qualche parte che è possibile formalizzare questa proprietà mediante la teoria delle categorie. Come si fa?
2) Questa domanda è direttamente collegata alla prima. Seguendo il discorso precedente, si può subito riconoscere un omomorfismo canonico e uno non canonico. Ma, quando l'omomorfismo (l'isomorfismo, di solito) esibito è non canonico, come si potrebbe provare che non ne esistono di canonici? E' chiaro che, fin quando non si formalizza una definizione, nessuna prova formale può essere data; tuttavia già dal primo anno gli studenti di matematica sentono frasi del tipo "lo spazio duale di uno spazio vettoriale $V$ di dimensione finita è isomorfo a $V$, ma non canonicamente", che restano, appunto, nozioni solo intuitive e dalla dubbia utilità.
3) Questa è più pratica. Cosa ci permette di fare un isomorfismo canonico, rispetto a uno non canonico? Ci sono delle costruzioni possibili solo in un caso? Ho letto che, in geometria differenziale, è possibile identificare canonicamente gli spazi tangenti a una varietà solo in alcuni casi, mentre è possibile sempre costruire degli isomorfismi scegliendo delle basi: cosa succede quando esistono isomorfismi canonici?
Spero di essere stato chiaro e sufficientemente preciso...grazie a tutti!

Ora, i miei dubbi sono i seguenti:
1) Ho letto da qualche parte che è possibile formalizzare questa proprietà mediante la teoria delle categorie. Come si fa?
2) Questa domanda è direttamente collegata alla prima. Seguendo il discorso precedente, si può subito riconoscere un omomorfismo canonico e uno non canonico. Ma, quando l'omomorfismo (l'isomorfismo, di solito) esibito è non canonico, come si potrebbe provare che non ne esistono di canonici? E' chiaro che, fin quando non si formalizza una definizione, nessuna prova formale può essere data; tuttavia già dal primo anno gli studenti di matematica sentono frasi del tipo "lo spazio duale di uno spazio vettoriale $V$ di dimensione finita è isomorfo a $V$, ma non canonicamente", che restano, appunto, nozioni solo intuitive e dalla dubbia utilità.
3) Questa è più pratica. Cosa ci permette di fare un isomorfismo canonico, rispetto a uno non canonico? Ci sono delle costruzioni possibili solo in un caso? Ho letto che, in geometria differenziale, è possibile identificare canonicamente gli spazi tangenti a una varietà solo in alcuni casi, mentre è possibile sempre costruire degli isomorfismi scegliendo delle basi: cosa succede quando esistono isomorfismi canonici?
Spero di essere stato chiaro e sufficientemente preciso...grazie a tutti!
Risposte
Canonico è sinonimo di "naturale" in teoria delle categorie; e naturale significa che esiste una trasformazione naturale tra due opportuni funtori.
La ragione per cui hai incontrato molto spesso delle trasformazioni naturali è che esse sono un po' ovunque (opposte a quelle non naturali, che non sono interessanti e che dunque si tende a dimenticare: è una meta-regola piuttosto comune della pratica matematica). Sostanzialmente, la ragione per cui famiglie abbastanza vaste di corrispondenze sono trasformazioni naturali è che esse si possono (de)scrivere come le unità o counità di opportune coppie di funtori aggiunti. Tutte le costruzioni fatte in Algebra elementare che coinvolgono una struttura libera (magmi, semigruppi, monoidi, gruppi, R-moduli, algebre su un anello...) si costruiscono così: la "mappa canonica" che immerge un insieme nella struttura libera su quell'insieme è l'unità di una aggiunzione \(F\dashv U \colon \textbf{Cosi}\leftrightarrows \textbf{Set}\).
Il problema di mostrare che non esistono trasformazioni naturali tra due funtori dati non ha una soluzione generale, che io sappia: se \(\textbf{Hot}\) è la categoria dell'omotopia degli spazi topologici non si può, ad esempio, trovare una trasformazione naturale \(1_{\textbf{Hot}} \Rightarrow 1_{\textbf{Hot}}\) diversa dall'identità, ma questo è un risultato abbastanza inaspettato (click).
Un isomorfismo canonico, o in generale una trasformazione naturale, ci permettono infine di fare... tutto quello che è possibile fare con una trasformazione naturale, ovvero variare "coerentemente" la forma della tua corrispondenza $FX \to GX$ al variare dei morfismi $f : X\to Y$.
La ragione per cui hai incontrato molto spesso delle trasformazioni naturali è che esse sono un po' ovunque (opposte a quelle non naturali, che non sono interessanti e che dunque si tende a dimenticare: è una meta-regola piuttosto comune della pratica matematica). Sostanzialmente, la ragione per cui famiglie abbastanza vaste di corrispondenze sono trasformazioni naturali è che esse si possono (de)scrivere come le unità o counità di opportune coppie di funtori aggiunti. Tutte le costruzioni fatte in Algebra elementare che coinvolgono una struttura libera (magmi, semigruppi, monoidi, gruppi, R-moduli, algebre su un anello...) si costruiscono così: la "mappa canonica" che immerge un insieme nella struttura libera su quell'insieme è l'unità di una aggiunzione \(F\dashv U \colon \textbf{Cosi}\leftrightarrows \textbf{Set}\).
Il problema di mostrare che non esistono trasformazioni naturali tra due funtori dati non ha una soluzione generale, che io sappia: se \(\textbf{Hot}\) è la categoria dell'omotopia degli spazi topologici non si può, ad esempio, trovare una trasformazione naturale \(1_{\textbf{Hot}} \Rightarrow 1_{\textbf{Hot}}\) diversa dall'identità, ma questo è un risultato abbastanza inaspettato (click).
Un isomorfismo canonico, o in generale una trasformazione naturale, ci permettono infine di fare... tutto quello che è possibile fare con una trasformazione naturale, ovvero variare "coerentemente" la forma della tua corrispondenza $FX \to GX$ al variare dei morfismi $f : X\to Y$.