Algebra lineare

godx3
Salve a tutti,
volevo porvi qualche domandina di algebra lineare... Ho appena terminato un corso... ma alla fine di esso sento di essere insoddisfatto.. e che molte cose che sono state "esposte" (dicendo dimostrate pronuncerei una parolaccia...) non hanno un alcun che di... utile...
Per quanto riguarda una prima parte, che tratta lo studio dei dedterminanti, ranghi e sistemi lineari nessun problema...
I dubbi sono nati con lo studio di una seconda parte che in linea sintetica abbraccia autovalori, autovettori, diagonalizzazione (di matrici reali simmetriche e non). Bene...
Questa parte del corso è iniziato con l'esporre cosa è un autovalore, come trovare un autovettore...ma... da dove nascono tutte queste idee? La problematica finale qual'è? Forse sbaglio... ma preferisco un approccio di questo tipo ad una disciplina, perchè sprona, penso, a porsi domande a cui si cerca di rispondere...
L'unico esempio di utilità della diagonalizzazione che ho trovato e avevo intuito è stato riguardo la serie di fibonacci... Un'applicazione lineare che grazie alla diagonalizzazione si trasforma in una equivalente e più "utile" ai fini della ricerca dell'ennesimo termine della serie...
Il corso ha appena accennato alle applicazioni lineari...
Inoltre si è parlato anche di coniche e la relativa forma matriciale Xt*A*X dove A è una matrice reale simmetrica... non capisco (visto che non è stata fatta una minima giustificazione) il perchè basti diagonalizzare per ottenere una forma canonica da una conica già traslata...
Vi prego, illuminatemi... ritengo che questa sia una disciplina molto interessante e degna di qualche "giustificazione" in più...

Risposte
_Tipper
Provo a dirti qualche cosa a riguardo:

sia $\phi : \mathcal{V} \rightarrow \mathcal{W}$ un'applicazione, dove $\mathcal{V}$ e $\mathcal{W}$ sono due spazi vettoriali sullo stesso campo $\mathcal{K}$; $\phi$ è un'applicazione lineare se e solo se:

i) $\phi(v_1 + v_2) = \phi(v_1) + \phi(v_2)$, $\forall v_1, v_2 \in \mathcal{V}$ (additività)

ii) $\phi(\lambda v) = \lambda \phi(v)$, $\forall \lambda \in \mathcal{K}$, $\forall v \in \mathcal{V}$ (omogeneità)

Se una funzione rispetta queste due proprietà si dice lineare; ad esempio, le sole funzioni $f: \mathbb{R} \rightarrow \mathbb{R}$ lineari sono quelle del tipo $f(x) = \alpha x$ con $\alpha \in \mathbb{R}$.

Si dimostra che ogni applicazione lineare $\phi : \mathcal{V} \rightarrow \mathcal{W}$, con $\mathcal{V}$ e $\mathcal{W}$ spazi vettoriali su campo $\mathcal{K}$, e $\dim(\mathcal{V})=n$, $\dim(\mathcal{W})=m$, può essere rappresentata da una matrice di ordine $m \times n$ a coefficienti in $\mathcal{K}$.

Ad esempio, la funzione $f: \mathbb{R}^2 \rightarrow \mathbb{R}^3$, definita come $f(x,y) = (3x-y, y, 5x-7y)$, è rappresentata dalla matrice:

$((3, -1),(0, 1),(5, -7))$

in quanto

$((3, -1),(0, 1),(5, -7)) ((x),(y)) = ((3x-y),(y),(5x-7y))$

che è proprio l'immagine della funzione.

In generale, se $A$ è la matrice che rappresenta una certa applicazione lineare $\phi$, allora l'immagine di un certo vettore $v$, cioè $\phi(v)$, si calcola mediante il prodotto $Av$.

Un concetto importante è quello di autovettori: sia $\phi$ definita come sopra, allora si dice che un vettore $v \in \mathcal{V} \setminus \{O\}$, dove $O$ indica il vettore nullo di $\mathcal{V}$, si dice autovettore se e solo se esiste una costante $\lambda \in \mathcal{K}$ tale che $\phi(v) = \lambda v$, e in questo caso si dice che $\lambda$ è un autovalore di $\phi$.

In sostanza, detto in parole povere, un autovettore deve essere diverso dal vettore nullo, ed ha la proprietà di avere come immagine un vettore a lui stesso parallelo, mentre l'autovalore è il fattore di scala fra l'autovettore e la sua immagine. (Per inciso, si dice che $v$ è un autovettore relativo all'autovalore $\lambda$.)

Se $A$ è la matrice che rappresenta $\phi$, allora, se $v$ è un autovettore, risulta:

$Av = \lambda v$, quindi $(A - \lambda I) v = O$

dove, in questo caso, $O$ rappresenta il vettore nullo, e $I$ la matrice identità dello stesso ordine di $A$.

Dato che $v$ non può essere il vettore nullo, quell'uguaglianza è verificata se e solo se la matrice $A- \lambda I$ è singolare, quindi gli autovalori dell'applicazione $\phi$ sono tutti e soli i valori appartenenti al campo $\mathcal{K}$ tali che $A - \lambda I$ è singolare.
Quindi per il calcolo degli autovalori prima si costruisce la suddetta matrice, si calcola il determinante, detto polinomio caratteristico, e si uguaglia a zero; le soluzioni appartenenti a $\mathcal{K}$ sono gli autovalori.

Gli autovettori appartenenti all'autovalore $\lambda_i$ sono tutti e soli i vettori diversi dal vettore nullo tali che $(A - \lambda_i I)v = O$.

Lo spazio generato dagli autovettori relativi all'autovalore $\lambda_i$ si dice autospazio relativo all'autovalore $\lambda_i$.

L'applicazione lineare $\phi$, e quindi la matrice associata, si dice diagonalizzabile se e solo se gli autovettori formano una base di $\mathcal{V}$ (ha senso parlare di diagonalizzazione solo se la matrice è quadrata).

In tale caso, la matrice che rappresenta l'applicazione rispetto alla nuova base è una matrice diagonale.

Conviene diagonalizzare le applicazioni soprattutto perché è più comodo lavorare con matrici diagonali.

Si dice molteplicità algebrica di un autovalore la molteplicità con la quale tale autovalore azzera il polinomio caratteristico (è detto male, ma con un esempio capisci di sicuro):

se il polinomio caratteristico è $\lambda^3 (\lambda-1)^2 (\lambda-3)$ gli autovalori sono

- $\lambda = 0$ con molteplicità algebrica $3$

- $\lambda = 1$ con molteplicità algebrica $2$

- $\lambda = 3$ con molteplicità algebrica $1$

Si definisce molteplicità geometrica di un autovalore la dimensione dell'autospazio ad esso relativo.

Condizione necessaria e sufficiente affinché un'applicazione sia diagonalizzabile è che ogni autovalore sia regolare, ovvero che per ogni autovalore molteplicità algebrica e geometrica coincidano.

Detta $\mu_i$ la molteplicità algebrica di un autovalore, e $\nu_i$ la molteplicità geometrica, allora vale:

$0< \nu_i \le \mu_i$

quindi, nel caso particolare in cui ogni autovalore abbia molteplicità algebrica $1$, si può subito concludere che l'applicazione è diagonalizzabile.

Spero di essere stato abbastanza chiaro.

godx3
Ti ringrazio mille Tipper :wink:
Ci voleva proprio una visione generale come l'hai data tu...

Dust1
Mi accodo ai ringraziamenti di godx3, visto che le sto studiando anch'io proprio in questi giorni queste cose!!

_Tipper
Figuratevi :wink:

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