Elementi finiti
Qualcuno mi sa dare una infrinatura generale su cosa siano?
Risposte
Il metodo agli elementi finiti e' un metodo numerico per la risoluzione approssimata di equazioni alle derivate parziali. Sostanzialmente si fa a pezzettini lo spazio (o il dominio)e poi si manda il passo della discretizzazione a zero, sperando che la soluzione approssimata ad ogni passo converga a qualcosa. Purtroppo io non ne so molto di Analisi Numerica; se nessun altro rispondera', dai un'occhiata ad esempio a Comincioli, Analisi Numerica, della Mc Graw Hill.
Luca77
http://www.llussardi.it
Luca77
http://www.llussardi.it
Ok, ma faccio un po fatica a cogliere la differenza tra questo metodo e quello delle differenze finite
L'argomento è estremamente interessante... gli elementi finiti sono molto utili per problemi differenziali. Il metodo degli elementi finiti garantisce la convergenza se ben impostato. Non è roba da poco. Può però essere pesante dal punto di vista computazionale. Ti rimando ad un testo (forse un po' avanzato) che mi ha fatto apprezzare davvero questo metodo:
"Modellistica Numerica per problemi differenziali" di Alfio Quarteroni edito da "Springer-Verlag Italia", Milano 2000 (http://www.springer.it)
"Modellistica Numerica per problemi differenziali" di Alfio Quarteroni edito da "Springer-Verlag Italia", Milano 2000 (http://www.springer.it)
Nel metodo degli elementi finiti, comunque, le funzioni incognite sono riscritte come combinazione lineare di "funzioni base" definite appunto sugli elementi finiti... le derivate e gli integrali quindi si riversano su tali funzioni. Con le differenze finite invece la derivata si trasforma in una differenza... Concettualmente i due metodi sono lontanissimi.
Ti rispondo con sommo piacere in quanto è un argomento che mi interessa particolarmente.
Gli elementi finiti sono un metodo che si basa su due passi successivi:
il primo prevede di eliminare richieste di eccessiva regolarità sulle funzioni coinvolte nelle equazioni alle derivate parziali. Questo passaggio viene effettuato attraverso la cosiddetta formulazione debole, che come Luca potrà spiegarti anche meglio di me, ha i sui fondamenti nell'analisi funzionale.
Per semplicità partirò da un problema ellittico, ossia un problema che si incontra in generale studiando situazioni di equilibrio (non linciatemi, lo so che teoricamente si può avere un problema ellittico tempo-dipendente, ma parlo di casi ingegneristicamente significativi).
In parole comprensibili da un ingegnere (come me e te), si moltiplicano tutti i termini dell'equazione differenziale (i cui operatori sono da intendersi nel senso delle distribuzioni) per delle opportune funzioni test con regolarità "sufficiente".
A questo punto si integrano tutti i termini nel senso di Lebesgue.
Sfruttando la formula di integrazione per parti (mono o multidimansionale, a seconda della natura del problema) si abbatte di un grado la derivata di ordine massimo
Esempio:se consideri il comune problema di Poisson, prima di applicare la formula di int per parti avevi:
(-int(d^2u/dx^2)*v*dx)=(int(f*v)*dx) su tutto il dominio dove con u indico la funzione incognita, con f la forzante e con v la funzione test, mentre dopo aver usato l'int per parti ottieni: -du/dx(a)*v(a)+du/dx(b)*v(b)+int((du/dx)*dv/dx*dx)=int(f*v*dx) su tutto il dominio.
Supponiamo che il problema iniziale avesse condizioni al bordo di Dirichlet omogenee.
Dal momento che per applicare un teorema di cui ti dirò più tardi, la soluzione u e le funzioni test v devono appartenere allo stesso spazio, e dal momento che sai che u(a)=u(b)=0, puoi prendere le funzioni v appartenenti ad uno spazio V tale che v(a)=v(b)=0, quindi i due termini fuori dal segno di integrale scompaiono.
Rimane perciò int(du/dx*dv/dx*dx)=int(f*v*dx) sul dominio; questa è la cosiddetta formulazione debole.
Ciò che abbiamo fatto è bello solo a parole, perchè non ci siamo mai posti il problema della sensatezza delle nostre azioni. Affinchè tutto funzioni dobbiamo richiedere una certa regolarità alle funzioni integrande, sufficiente almeno a garantire l'esistenza dei suddetti integrali.
Per far questo si richiede che, sia la soluzione u che le funzioni test v, appartengano ad opportuni spazi. Nella fattispece si richiede che queste due funzioni appartengano allo spazio H^1, ossia lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile con derivata a quadrato sommabile. tale spazio è uno spazio di Hilbert e anche uno spazio di Sobolev. Per quanto riguarda la forzante, è sufficiente (anche se riduttivo) richiedere che appartenga ad H^0 (detto anche L^2) ossia lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile (in realtà abbiamo bisogno di una regolarità inferiore, ad esempio la delta di dirac va bene anche se non è a quadrato sommabile).
A questo punto ci si chiede se la soluzione esista, sia unica e dipenda con continuità dai dati.
dato che abbiamo scelto u e v appartenenti allo stasso spazio V definito come un sottospazio di H^1 tale che u e v siano nulle sulla frontiera del dominio, a patto di dimostrare qualche altra ipotesi (su cui non mi dilungo, perchè abbastanza pesanti da spiegare a parole ma che puoi trovare su ogni testo) possiamo applicare un fondamentale teorema di analisi funzionale, noto come Lemma di Lax-Milgram (la cui dimostrazione è particolarmente simpatica!) che garantisce la buona posizione del problema.
Gli elementi finiti sono un metodo che si basa su due passi successivi:
il primo prevede di eliminare richieste di eccessiva regolarità sulle funzioni coinvolte nelle equazioni alle derivate parziali. Questo passaggio viene effettuato attraverso la cosiddetta formulazione debole, che come Luca potrà spiegarti anche meglio di me, ha i sui fondamenti nell'analisi funzionale.
Per semplicità partirò da un problema ellittico, ossia un problema che si incontra in generale studiando situazioni di equilibrio (non linciatemi, lo so che teoricamente si può avere un problema ellittico tempo-dipendente, ma parlo di casi ingegneristicamente significativi).
In parole comprensibili da un ingegnere (come me e te), si moltiplicano tutti i termini dell'equazione differenziale (i cui operatori sono da intendersi nel senso delle distribuzioni) per delle opportune funzioni test con regolarità "sufficiente".
A questo punto si integrano tutti i termini nel senso di Lebesgue.
Sfruttando la formula di integrazione per parti (mono o multidimansionale, a seconda della natura del problema) si abbatte di un grado la derivata di ordine massimo
Esempio:se consideri il comune problema di Poisson, prima di applicare la formula di int per parti avevi:
(-int(d^2u/dx^2)*v*dx)=(int(f*v)*dx) su tutto il dominio dove con u indico la funzione incognita, con f la forzante e con v la funzione test, mentre dopo aver usato l'int per parti ottieni: -du/dx(a)*v(a)+du/dx(b)*v(b)+int((du/dx)*dv/dx*dx)=int(f*v*dx) su tutto il dominio.
Supponiamo che il problema iniziale avesse condizioni al bordo di Dirichlet omogenee.
Dal momento che per applicare un teorema di cui ti dirò più tardi, la soluzione u e le funzioni test v devono appartenere allo stesso spazio, e dal momento che sai che u(a)=u(b)=0, puoi prendere le funzioni v appartenenti ad uno spazio V tale che v(a)=v(b)=0, quindi i due termini fuori dal segno di integrale scompaiono.
Rimane perciò int(du/dx*dv/dx*dx)=int(f*v*dx) sul dominio; questa è la cosiddetta formulazione debole.
Ciò che abbiamo fatto è bello solo a parole, perchè non ci siamo mai posti il problema della sensatezza delle nostre azioni. Affinchè tutto funzioni dobbiamo richiedere una certa regolarità alle funzioni integrande, sufficiente almeno a garantire l'esistenza dei suddetti integrali.
Per far questo si richiede che, sia la soluzione u che le funzioni test v, appartengano ad opportuni spazi. Nella fattispece si richiede che queste due funzioni appartengano allo spazio H^1, ossia lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile con derivata a quadrato sommabile. tale spazio è uno spazio di Hilbert e anche uno spazio di Sobolev. Per quanto riguarda la forzante, è sufficiente (anche se riduttivo) richiedere che appartenga ad H^0 (detto anche L^2) ossia lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile (in realtà abbiamo bisogno di una regolarità inferiore, ad esempio la delta di dirac va bene anche se non è a quadrato sommabile).
A questo punto ci si chiede se la soluzione esista, sia unica e dipenda con continuità dai dati.
dato che abbiamo scelto u e v appartenenti allo stasso spazio V definito come un sottospazio di H^1 tale che u e v siano nulle sulla frontiera del dominio, a patto di dimostrare qualche altra ipotesi (su cui non mi dilungo, perchè abbastanza pesanti da spiegare a parole ma che puoi trovare su ogni testo) possiamo applicare un fondamentale teorema di analisi funzionale, noto come Lemma di Lax-Milgram (la cui dimostrazione è particolarmente simpatica!) che garantisce la buona posizione del problema.
quote:
Originally posted by GIOVANNI IL CHIMICO
Qualcuno mi sa dare una infrinatura generale su cosa siano?
La principale applicazione anche se non l'unica applicazione degli elementi finiti si trova nell'analisi strutturale. Il metodo che per altro è molto antico nei suo principi di base, ha avuto il suo sviluppo con i programmi spaziali della NASA. Tra l'altro il codice ad elementi finiti più noto e più diffuso è il NASTRAN (NASA STRuctural Analysis) che deriva proprio dal codice originale sviluppato per la NASA.
In estrema sintesi nell'analisi strutturale si approssima il campo di spostamenti incognito dovuto ad una distribuzione di carichi noti, con una funzione di tipo "spline" che e definita in ogni elemento finito (in genere un parallelepipedo non regolare) come un polinomio di grado n in x,y,z (coordinate spaziali). Queste funzioni sono costruite in modo da garantire la continuità al confine tra due elementi, degli spostamenti e delle sue derivate fino ad un certo grado, semplicemente imponendo l'uguaglianza degli spostamenti ai nodi dell'elemento (vertici del parallelepipedo).
A questo punto in analisi strutturale si applica un principio variazionale e imponendo il minimo di funzionale legato alla energia elastica immagazzinata si ottiene un sistema lineare nelle incognite "spostamenti nodali". Risolvendo il sistema si ha il campo degli spostamenti da cui poi si deduce tutto il resto (deformazioni, sollecitazioni interne etc...). Equivalentemente al principio variazionale si puo applicare il principio dei lavori virtuali ottenendo il medesimo sistema lineare.
Quando si entra nel campo di approssimazioni medianti funzioni spline ovviamente esistono molti modi di risolvere in maniera approssimata il problema. Il pregio degli elementi finiti in campo strutturale e di essere un metodo il cui l'intuizione del fenomeno fisico rimane molto importante. Tra l'altro il metodo degli elementi finiti può essere visto come una generalizzazione la soluzione delle travature iperstatiche dovuto a Castigliano/Menabrea/Betti...notare tutti Italiani.
Saluti
Mistral
Nota di riguardo che non ho fatto prima (mea culpa): l'ugluaglianza tra gli integrali deve valere per ogni funzione test appartenente allo spazio V!!!!!!!!!!!!!!
Tuttavia tu mi dirai: ok tanta bella analisi, tante menate di teoria, ma dov'è l'approccio numerico???
A questo punto interviene l'istrionico Galerkin che dice: bene, dato che lo spazio V è infinito dimensionale e la cui base (ammesso che esista) è composta da un numero infinito di funzioni, sarebbe bello approssimare tale spazio con un suo gemello a dimensione finita.
Allora sostituiamo lo spazio V con lo spazio Vh in cui vivono le funzioni vh e la soluzione approssimata uh. Se scegliamo Vh come un sottospazio proprio di V, le conclusioni di Lax-Milgram si applicano pari pari.
A questo punto arriva l'esperto di algebra e mi dice: ma, dato che ora Vh è a dimensione finita, ogni funzione vh può essere espressa mediante combinazione lineare di un numero finito di funzioni di base qi.
Illuminazione! Anzichè testare su infinite funzioni vh basta testare su n funzioni qi (dove n è la dimensione dello spazio Vh). Ma dato che anche uh può essere espressa come combinazione lineare delle qi, le incognite risultano essere solo i coefficienti di tale combinazione. (abbiamo n incognite SCALARI!).
Il problema da differenziale è diventato un problema di algebra lineare (la linearità dipende dalla linearità dell'EDP di partenza).
A questo punto si ha la distinzione tra metodi spettrali e metodi agli elementi finiti.
I metodi spettrali scelgono le funzioni di base qi ortogonali tra loro (polinomi trigonometrici, polinomi di Legendre, etc) in modo da ottenere una matrice diagonale (almeno nel caso 1D).
Questa scelta ha anche un difetto: tali funzioni si estendono su tutto il dominio, quindi il calcolo degli integrali risulta un po pesante (si usano le formule di integrazione gaussiane).
Una scelta alternativa è quella fatta con gli elementi finiti: le funzioni qi vengono scelte come polinomi di Lagrange (che ti ricorderai da calcolo numerico), ciè hanno supporto compatto (sono diverse da zero solo su un intervallo). In questo modo hai degli integrali semplicissimi da calcolare (per il caso 1D si fanno a mano in un attimo) e ottieni una matrice sparsa (tridiagonale in 1D). risolvendo il problema lineare Au=b ottieni il vettore u, ossia il vettore dei coefficienti della combinazione lineare che ti ridà la soluzione uk e il gioco è fatto.
Questa è veramente un'introduzione User Friendly; se vuoi qualcosa di più serio senza trascendere nel puramente formale ti consiglio "Modellistica Numerica per Problemi Differenziali" dell'onnipresente Quarteroni, mentre per la parte legata agli spazi funzionali guarda su "Equazioni a derivate parziali" dell'altrettanto ubiquo Salsa.
Un ottimo libro introduttivo se nn hai problemi con l'inglese è "Introductory Functional Analysis" di Daya Reddy.
Se ti serve qualche chiarimento o se qualcuno ha qualche appunto da farmi (ho scritto tutto in grande fretta, potrei aver dimenticato parti importanti), chiedi pure.
N.B. Ho omesso di introdurre la forma a(u,v) e il funzionale F(v) perchè sarebbero state veramente utili solo se avessi spiegato tutte le ipotesi di Lax-Milgram, ma in generale il problema viene affrontato in questa forma. Ripeto, questa voleva solo essere una breve introduzione.
Tuttavia tu mi dirai: ok tanta bella analisi, tante menate di teoria, ma dov'è l'approccio numerico???
A questo punto interviene l'istrionico Galerkin che dice: bene, dato che lo spazio V è infinito dimensionale e la cui base (ammesso che esista) è composta da un numero infinito di funzioni, sarebbe bello approssimare tale spazio con un suo gemello a dimensione finita.
Allora sostituiamo lo spazio V con lo spazio Vh in cui vivono le funzioni vh e la soluzione approssimata uh. Se scegliamo Vh come un sottospazio proprio di V, le conclusioni di Lax-Milgram si applicano pari pari.
A questo punto arriva l'esperto di algebra e mi dice: ma, dato che ora Vh è a dimensione finita, ogni funzione vh può essere espressa mediante combinazione lineare di un numero finito di funzioni di base qi.
Illuminazione! Anzichè testare su infinite funzioni vh basta testare su n funzioni qi (dove n è la dimensione dello spazio Vh). Ma dato che anche uh può essere espressa come combinazione lineare delle qi, le incognite risultano essere solo i coefficienti di tale combinazione. (abbiamo n incognite SCALARI!).
Il problema da differenziale è diventato un problema di algebra lineare (la linearità dipende dalla linearità dell'EDP di partenza).
A questo punto si ha la distinzione tra metodi spettrali e metodi agli elementi finiti.
I metodi spettrali scelgono le funzioni di base qi ortogonali tra loro (polinomi trigonometrici, polinomi di Legendre, etc) in modo da ottenere una matrice diagonale (almeno nel caso 1D).
Questa scelta ha anche un difetto: tali funzioni si estendono su tutto il dominio, quindi il calcolo degli integrali risulta un po pesante (si usano le formule di integrazione gaussiane).
Una scelta alternativa è quella fatta con gli elementi finiti: le funzioni qi vengono scelte come polinomi di Lagrange (che ti ricorderai da calcolo numerico), ciè hanno supporto compatto (sono diverse da zero solo su un intervallo). In questo modo hai degli integrali semplicissimi da calcolare (per il caso 1D si fanno a mano in un attimo) e ottieni una matrice sparsa (tridiagonale in 1D). risolvendo il problema lineare Au=b ottieni il vettore u, ossia il vettore dei coefficienti della combinazione lineare che ti ridà la soluzione uk e il gioco è fatto.
Questa è veramente un'introduzione User Friendly; se vuoi qualcosa di più serio senza trascendere nel puramente formale ti consiglio "Modellistica Numerica per Problemi Differenziali" dell'onnipresente Quarteroni, mentre per la parte legata agli spazi funzionali guarda su "Equazioni a derivate parziali" dell'altrettanto ubiquo Salsa.
Un ottimo libro introduttivo se nn hai problemi con l'inglese è "Introductory Functional Analysis" di Daya Reddy.
Se ti serve qualche chiarimento o se qualcuno ha qualche appunto da farmi (ho scritto tutto in grande fretta, potrei aver dimenticato parti importanti), chiedi pure.
N.B. Ho omesso di introdurre la forma a(u,v) e il funzionale F(v) perchè sarebbero state veramente utili solo se avessi spiegato tutte le ipotesi di Lax-Milgram, ma in generale il problema viene affrontato in questa forma. Ripeto, questa voleva solo essere una breve introduzione.
Beh Mistral, se credi che la principale, o unica, applicazione degli elementi finiti sia nell'analisi strutturale, mi sa che non li conosci molto a fondo (oppure che la tua conoscenza si è arrestata a risultati parecchio obsoleti).
Ad oggi il metodo degli elementi finiti ha superato anche tutti quei problemi che ne limitavano l'applicazione a problemi iperbolici o non lineari e, insieme ai metodi a volumi finiti, rappresenta lo stato dell'arte in campi quali la fluidodinamica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica, la trasmissione del calore, lo studio delle onde(in verità questo campo è molto di punta per gli elementi finiti, ma i risultati sono già nettamente superiori a quello ottenibili con le comuni differenze finite). Inoltre, visti gli interessi di Giovanni, è da segnalare come rappresentino pressochè lo standard per tutti i problemi in chimica di processo e problemi di diffusione, trasporto e reazione (grazie ai vari sistemi di stabilizzazione).
Ad oggi il metodo degli elementi finiti ha superato anche tutti quei problemi che ne limitavano l'applicazione a problemi iperbolici o non lineari e, insieme ai metodi a volumi finiti, rappresenta lo stato dell'arte in campi quali la fluidodinamica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica, la trasmissione del calore, lo studio delle onde(in verità questo campo è molto di punta per gli elementi finiti, ma i risultati sono già nettamente superiori a quello ottenibili con le comuni differenze finite). Inoltre, visti gli interessi di Giovanni, è da segnalare come rappresentino pressochè lo standard per tutti i problemi in chimica di processo e problemi di diffusione, trasporto e reazione (grazie ai vari sistemi di stabilizzazione).
quote:
Originally posted by Marco83
Beh Mistral, se credi che la principale, o unica, applicazione degli elementi finiti sia nell'analisi strutturale, mi sa che non li conosci molto a fondo (oppure che la tua conoscenza si è arrestata a risultati parecchio obsoleti).
Ad oggi il metodo degli elementi finiti ha superato anche tutti quei problemi che ne limitavano l'applicazione a problemi iperbolici o non lineari e, insieme ai metodi a volumi finiti, rappresenta lo stato dell'arte in campi quali la fluidodinamica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica, la trasmissione del calore, lo studio delle onde(in verità questo campo è molto di punta per gli elementi finiti, ma i risultati sono già nettamente superiori a quello ottenibili con le comuni differenze finite). Inoltre, visti gli interessi di Giovanni, è da segnalare come rappresentino pressochè lo standard per tutti i problemi in chimica di processo e problemi di diffusione, trasporto e reazione (grazie ai vari sistemi di stabilizzazione).
Sicuramente non ho la tua conoscenza approfondita e appassionata, e non uso gli elementi finiti da più di 10 anni, lascio a Luca fare, se vuole, altri commenti sui teoremi citati se ce ne sono.
Il mio intervento si poneva semplicemente l'obiettivo di dare una visione veloce dei principi che sottendono al metodo, più che alle sue applicazioni. I principi sono per me: il tipo di funzione che usi per approssimare la soluzione e il modo in cui trovi questa funzione (minimizzare un funzionale o altro).
Saluti
Mistral
Spero che Mistral non se la sia presa a male per il mio ultimo post. Non volevo essere offensivo in alcun modo.
Tengo però a precisare che il concetto di minimizzazione del funzionale dell'energia non è valido in assoluto.
La risoluzione del problema in forma debole è analoga alla minimizzazione del funzionale dell'energia solo se la forma a(u,v) è simmetrica, e questo non è vero in generale, mentre risulta verificato nel caso della meccanica dei solidi dove i problemi coinvolti sono fondamentalmente di tipo ellittico.
Tengo però a precisare che il concetto di minimizzazione del funzionale dell'energia non è valido in assoluto.
La risoluzione del problema in forma debole è analoga alla minimizzazione del funzionale dell'energia solo se la forma a(u,v) è simmetrica, e questo non è vero in generale, mentre risulta verificato nel caso della meccanica dei solidi dove i problemi coinvolti sono fondamentalmente di tipo ellittico.
Non mi sono assolutamente offeso stai tranquillo
si discute semplicemente ed è lo scopo di un forum.
Ti indico qua sotto due cose che hai detto che non mi tornano tanto, dagli un'occhiata.
Venendo a quanto hai scritto sopra mi sembra che i polinomi di Lagrange classici sui nodi x0,x1,...,xn valgano 1 sul nodo principale e zero su tutti gli altri però non sono nulli nell'intervallo tra due nodi. Considerando il caso più semplice in cui i nodi non sono coincidenti:
Li(X)=(X-x1)...(X-xi-1)(X-xi+1)...(X-xn)/(xi-x1)...(xi-xi-1)(xi-xi+1)...(xi-xn)
Per questo motivo nel mio intervento ho parlato di funzioni "spline" che effettivamente sono costruite in modo da valere 1 sul nodo xi ed essere nulle al di fuori dell'intervallo [xi-1,xi+1]. A seconda del grado di approssimazione che si vuole considerare si possono annullare anche un certo numero di derivate.
Ovviamente parlo degli elementi finiti a me più familiari cioè quelli usati nelle applicazioni del calcolo strutturale più in generale nella meccanica dei continui.
Relativamente al fatto che il problema sia di tipo ellittico o iperbolico o parabolico, rimane il fatto che tutta la dinamica dei corpi elastici soggetta a forze variabili nel tempo, si tratta sostanzialmente nello stesso modo del caso statico, solo che dopo la discretizzazione del fenomeno compaiono le matrici di massa (Principio di D'Alembert: puoi trattare le forze di inerzia con un particolare tipo di forze agenti sul tuo solido). Ad esempio le vibrazioni di una mensola incastrata a cui dai una sollecitazione impulsiva alla estremità, sono desritte da equazioni alle derivate parziali di tipo iperbolico che si risolvono più o meno con le stesse discretizzazioni del relativo caso statico.
Rimanendo nell'ambito della meccanica dei continui ritengo che gli elementi finiti funzionano meglio quando si ha una descrizione Lagrangiana del fenomeno (cioè si segue la particella).
Mi sembrano meno efficaci, ma non in senso assoluto, quando si ha a che fare con problemi per cui si usa una descrizione Euleriana (si sta fissi in un posto e si monitorizza i parametri delle varie particelle che passano di li). Tipico è il caso della fluidodinamica quando si hanno campi infiniti.
Comunque si tratta di intendersi sui termini perchè esistono formulazioni teoriche che consentono di descrivere anche le differenze finite con un particolare tipo di metodo ad elementi finiti con funzioni di forma molto particolari. Una di queste è proprio quella che fa uso dei polinomi di Lagrange come li ho scritti sopra.
Colgo l'occasione per segnalare due libri un pò datati
P.J. Davis "Interpolation and Approximation"
O.C. Zienkiewicz " Finite Element Method In Structural and Continuum Mechanics"
Saluti
Mistral

Ti indico qua sotto due cose che hai detto che non mi tornano tanto, dagli un'occhiata.
quote:
Originally posted by Marco83
....
Una scelta alternativa è quella fatta con gli elementi finiti: le funzioni qi vengono scelte come polinomi di Lagrange (che ti ricorderai da calcolo numerico), ciè hanno supporto compatto (sono diverse da zero solo su un intervallo).
....
Venendo a quanto hai scritto sopra mi sembra che i polinomi di Lagrange classici sui nodi x0,x1,...,xn valgano 1 sul nodo principale e zero su tutti gli altri però non sono nulli nell'intervallo tra due nodi. Considerando il caso più semplice in cui i nodi non sono coincidenti:
Li(X)=(X-x1)...(X-xi-1)(X-xi+1)...(X-xn)/(xi-x1)...(xi-xi-1)(xi-xi+1)...(xi-xn)
Per questo motivo nel mio intervento ho parlato di funzioni "spline" che effettivamente sono costruite in modo da valere 1 sul nodo xi ed essere nulle al di fuori dell'intervallo [xi-1,xi+1]. A seconda del grado di approssimazione che si vuole considerare si possono annullare anche un certo numero di derivate.
Ovviamente parlo degli elementi finiti a me più familiari cioè quelli usati nelle applicazioni del calcolo strutturale più in generale nella meccanica dei continui.
quote:
.....
e questo non è vero in generale, mentre risulta verificato nel caso della meccanica dei solidi dove i problemi coinvolti sono fondamentalmente di tipo ellittico.
....
Relativamente al fatto che il problema sia di tipo ellittico o iperbolico o parabolico, rimane il fatto che tutta la dinamica dei corpi elastici soggetta a forze variabili nel tempo, si tratta sostanzialmente nello stesso modo del caso statico, solo che dopo la discretizzazione del fenomeno compaiono le matrici di massa (Principio di D'Alembert: puoi trattare le forze di inerzia con un particolare tipo di forze agenti sul tuo solido). Ad esempio le vibrazioni di una mensola incastrata a cui dai una sollecitazione impulsiva alla estremità, sono desritte da equazioni alle derivate parziali di tipo iperbolico che si risolvono più o meno con le stesse discretizzazioni del relativo caso statico.
Rimanendo nell'ambito della meccanica dei continui ritengo che gli elementi finiti funzionano meglio quando si ha una descrizione Lagrangiana del fenomeno (cioè si segue la particella).
Mi sembrano meno efficaci, ma non in senso assoluto, quando si ha a che fare con problemi per cui si usa una descrizione Euleriana (si sta fissi in un posto e si monitorizza i parametri delle varie particelle che passano di li). Tipico è il caso della fluidodinamica quando si hanno campi infiniti.
Comunque si tratta di intendersi sui termini perchè esistono formulazioni teoriche che consentono di descrivere anche le differenze finite con un particolare tipo di metodo ad elementi finiti con funzioni di forma molto particolari. Una di queste è proprio quella che fa uso dei polinomi di Lagrange come li ho scritti sopra.
Colgo l'occasione per segnalare due libri un pò datati

P.J. Davis "Interpolation and Approximation"
O.C. Zienkiewicz " Finite Element Method In Structural and Continuum Mechanics"
Saluti
Mistral
Stimolato dall'intervento di Marco ho fatto una ricerca on-line e vi segnalo questo link che mi sembra abbastanza il linea con il suo intervento
http://www-ibt.etec.uni-karlsruhe.de/po ... ncf_11.pdf.
Saluti
Mistral
http://www-ibt.etec.uni-karlsruhe.de/po ... ncf_11.pdf.
Saluti
Mistral
1) Mea culpa per la svista sugli elementi Lagrangiani... Si tratta invece di polinomi continui a tratti e nulli al di fuori dell'intervallo [xi-1;xi+1] se lineari, [xi-2;xi+2] se quadratici e così via.
2)Non condivido appieno l'affermazione che il FEM funzioni meglio su problemi formulati secondo un osservatore lagrangiano piuttosto che euleriano.
I problemi di fluidodinamica sono molto più delicati di quelli di meccanica dei solidi principalmente per due motivi:
-magior livello di non linearità delle equazioni di Navier-Stokes rispetto alle equazioni di Navier.
-problemi dipendenti dalla formazione di strati limite in cui la soluzione presenta fortissimi gradienti e che costringerebbero ad infittire oltremodo la griglia (questi problemi sono anche peggiori se si usano le differenze finite). In generale sono problemi che affliggono ogni fenomeno a trasporto o reazione dominante e vengono risolti attraverso metodi di stabilizzazione detti crimini variazionali, cioè metodi che prevedono la modifica del sistema lineare ottenuto o dell'equazione integrale anche al di fuori della formulazione variazionale propria.
I problemi che affliggono i fenomeni su domini infiniti sono legati ad un fattore preciso.
Come credo tu saprai (mi rivolgo a Mistral), per dimostrare la coercività della forma bilineare si usa (quando possibile) la disuguaglianza di Poincarè. In tale disuguaglianza compare una costante dipendente dalle dimensioni del dominio: più il dominio è grande e più tale costante è grande. Questa costante compare successivamente con esponente -2 nella costante di coercività, perciò al crescere delle dimensioni del dominio, avremo una forma poco coerciva. Dal momento che a sua volta la costante di coercività compare nella stima dell'errore a priori di un corollario di Lax-Milgram con esponente -1 (in alcuni casi si riesce a scendere a -1/2) è ovvio che si avrà un controllo dell'errore tanto peggiore quanto più grande è il dominio.
Per quanto riguarda le risorsa on line non mi stancherò mai di segnalare l'OpenCourseWare dell'MIT. E' una risorsa pressochè inesauribile di informazioni nella maggioranza dei campi scentifici anche d'avanguardia.
2)Non condivido appieno l'affermazione che il FEM funzioni meglio su problemi formulati secondo un osservatore lagrangiano piuttosto che euleriano.
I problemi di fluidodinamica sono molto più delicati di quelli di meccanica dei solidi principalmente per due motivi:
-magior livello di non linearità delle equazioni di Navier-Stokes rispetto alle equazioni di Navier.
-problemi dipendenti dalla formazione di strati limite in cui la soluzione presenta fortissimi gradienti e che costringerebbero ad infittire oltremodo la griglia (questi problemi sono anche peggiori se si usano le differenze finite). In generale sono problemi che affliggono ogni fenomeno a trasporto o reazione dominante e vengono risolti attraverso metodi di stabilizzazione detti crimini variazionali, cioè metodi che prevedono la modifica del sistema lineare ottenuto o dell'equazione integrale anche al di fuori della formulazione variazionale propria.
I problemi che affliggono i fenomeni su domini infiniti sono legati ad un fattore preciso.
Come credo tu saprai (mi rivolgo a Mistral), per dimostrare la coercività della forma bilineare si usa (quando possibile) la disuguaglianza di Poincarè. In tale disuguaglianza compare una costante dipendente dalle dimensioni del dominio: più il dominio è grande e più tale costante è grande. Questa costante compare successivamente con esponente -2 nella costante di coercività, perciò al crescere delle dimensioni del dominio, avremo una forma poco coerciva. Dal momento che a sua volta la costante di coercività compare nella stima dell'errore a priori di un corollario di Lax-Milgram con esponente -1 (in alcuni casi si riesce a scendere a -1/2) è ovvio che si avrà un controllo dell'errore tanto peggiore quanto più grande è il dominio.
Per quanto riguarda le risorsa on line non mi stancherò mai di segnalare l'OpenCourseWare dell'MIT. E' una risorsa pressochè inesauribile di informazioni nella maggioranza dei campi scentifici anche d'avanguardia.
quote:
2)Non condivido appieno l'affermazione che il FEM funzioni meglio su problemi formulati secondo un osservatore lagrangiano piuttosto che euleriano.
I problemi di fluidodinamica sono molto più delicati di quelli di meccanica dei solidi principalmente per due motivi:
-magior livello di non linearità delle equazioni di Navier-Stokes rispetto alle equazioni di Navier.
-problemi dipendenti dalla formazione di strati limite in cui la soluzione presenta fortissimi gradienti e che costringerebbero ad infittire oltremodo la griglia (questi problemi sono anche peggiori se si usano le differenze finite). In generale sono problemi che affliggono ogni fenomeno a trasporto o reazione dominante e vengono risolti attraverso metodi di stabilizzazione detti crimini variazionali, cioè metodi che prevedono la modifica del sistema lineare ottenuto o dell'equazione integrale anche al di fuori della formulazione variazionale propria.
I problemi che affliggono i fenomeni su domini infiniti sono legati ad un fattore preciso.
Come credo tu saprai (mi rivolgo a Mistral), per dimostrare la coercività della forma bilineare si usa (quando possibile) la disuguaglianza di Poincarè. In tale disuguaglianza compare una costante dipendente dalle dimensioni del dominio: più il dominio è grande e più tale costante è grande. Questa costante compare successivamente con esponente -2 nella costante di coercività, perciò al crescere delle dimensioni del dominio, avremo una forma poco coerciva. Dal momento che a sua volta la costante di coercività compare nella stima dell'errore a priori di un corollario di Lax-Milgram con esponente -1 (in alcuni casi si riesce a scendere a -1/2) è ovvio che si avrà un controllo dell'errore tanto peggiore quanto più grande è il dominio.
Non ho detto in assoluto che non funzionano, comunque conosco poco l'argomento. Semplicemente concorderai con me non sono un esempio tipico per spiegare gli elementi finiti a chi non li conosce per niente

Saluti
Mistral
Su questo hai pienamente ragione. Infatti tutte le spiegazioni riguardanti gli elementi finiti (compresa la mia) partono dal classico problema di Poisson con dati omogenei, che è poi il campo in cui gli elementi finiti sono nati.
Sarei interessato a sapere se giovanni è rimasto soddisfatto delle spiegazioni date o se sono suonate solo come un'accozzaglia di parole buttate lì...
Sarei interessato a sapere se giovanni è rimasto soddisfatto delle spiegazioni date o se sono suonate solo come un'accozzaglia di parole buttate lì...
Ciao! Grazie a tutti per le risposte...che dire, sono rimasto letteralmente sbalordito dalle vostre parole, e mi sono subito procurato una dispensa sul sito del MIT, ora sto lavorando sulle differenze finite, poi piano piano...
Il problema è che ho anche iniziato il corso di fluidodinamica, da qui la curiosità, ma allo stesso tempo ho poco tempo per leggere e assimilare le informazioni contenute nei topic, magari tra qualche giorno vi farò domande più precise....cmq grazie!
Il problema è che ho anche iniziato il corso di fluidodinamica, da qui la curiosità, ma allo stesso tempo ho poco tempo per leggere e assimilare le informazioni contenute nei topic, magari tra qualche giorno vi farò domande più precise....cmq grazie!