Interpretazione geometrica integrale di superficie
Salve, volevo chiedervi, come da titolo, qual'è l'interpretazione geometrica di un integrale del tipo $ int F(x,y)dσ $ . L'integrale del tipo $ int dσ $ lungo D è l'area della figura ma questo che ho scritto a cosa corrisponde ??
Risposte
Ciao
ti ripeto una spiegazione che era stata data qui tempo fa. Purtroppo non sono riuscito a trovare il post
Immagina di avere una testa piena di capelli. La funzione $F(x,y)$ è la funzione che descrive la lunghezza del capello che si trova nel punto $P(x,y)$ della cuoio capelluto.
Se prendiamo un'area $D$ di una forma qualsiasi, l'integrale di superficie fatto sulla superficie $D$ ti da la somma delle lunghezze di tutti i capelli contenuti in questa superficie.
Spero di averti chiarito le idee.
Se hai ancora dei dubbi chiedi pure
Ciao
ti ripeto una spiegazione che era stata data qui tempo fa. Purtroppo non sono riuscito a trovare il post
Immagina di avere una testa piena di capelli. La funzione $F(x,y)$ è la funzione che descrive la lunghezza del capello che si trova nel punto $P(x,y)$ della cuoio capelluto.
Se prendiamo un'area $D$ di una forma qualsiasi, l'integrale di superficie fatto sulla superficie $D$ ti da la somma delle lunghezze di tutti i capelli contenuti in questa superficie.
Spero di averti chiarito le idee.
Se hai ancora dei dubbi chiedi pure
Ciao
Non ho capito una cosa
. Se i valori che la funzione $ F(x,y) $ assume (la lunghezza dei capelli) sono dei valori finiti la loro somma non dovrebbe darmi una quantità infinita?? Non riesco a verderci quantità infinitesime che sommate mi diano una quantità finita.


Consideriamo una superficie regolare \(S\) immersa in \(\mathbb{R}^3\), sulla quale sia definita una funzione continua \(f\).
In tal caso, è possibile dare senso all'integrale superficiale:
\[
\iint_S f\ \text{d}\sigma\; ,
\]
del quale si chiede un'interpretazione geometrica... Ci provo, anche se l'interpretazione giusta (secondo me) è un po' complicata.
Vorrei mostrare che, se \(f\) è non negativa e non assume valori "troppo grandi" (rispetto alle curvature della superficie), tale integrale è la misura del volume di un particolare solido \(\mathcal{R}\) di \(\mathbb{R}^3\) costruito in modo che \(S\) sia la sua "base" (in un certo senso).
Consideriamo l'insieme costruito come segue:
\[
\mathcal{R} := \bigcup_{\mathbf{p}\in S} \text{segmento normale a } S \text{ in } \mathbf{p} \text{ avente lunghezza } f(\mathbf{p})
\]
il quale, formalmente, è descritto come segue:
\[
\mathcal{R} := \big\{ \mathbf{q}\in \mathbb{R}^3:\ \exists \mathbf{p}\in S,\ \exists t\in [0,f(\mathbf{p})]:\ \mathbf{q} = \mathbf{p} + t\ \mathbf{n}(\mathbf{p})\big\}
\]
in cui \(\mathbf{n}(\mathbf{p})\) è il versore normale a \(S\) in \(\mathbf{p}\).
Tale insieme è una sorta di dominio normale alla superficie \(S\), poiché ogni retta condotta normalmente ad \(S\) incontra \(\mathcal{R}\) in un segmento (eventualmente degenere in un punto).
Intuitivamente (ma questa cosa si può rendere precisa facendo un po' di conti), se la superficie \(S\) non è troppo incurvata su sé stessa e se \(f\) non assume valori troppo grandi, i segmentini di cui è composto \(\mathcal{R}\) non collidono né si sovrappongono; questo fatto rende possibile calcolare il volume di \(\mathcal{R}\) usando un semplice integrale triplo:
\[
\operatorname{vol} (\mathcal{R}) = \iiint_\mathcal{R} \text{d} x\text{d} y\text{d} z\; ,
\]
e rende possibile anche applicare una sorta di formula di riduzione (un "integrazione per fili" curva, se vuoi):
\[
\begin{split}
\operatorname{vol} (\mathcal{R}) &= \iint_S \left( \int_0^{f(\mathbf{p})}\text{d} t\right)\ \text{d} \sigma \\
&= \iint_S \left[ t \right]_0^{f(\mathbf{p})}\ \text{d} \sigma\\
&= \iint_S f\ \text{d} \sigma
\end{split}
\]
(ho sottointeso la dipendenza di \(f\) dal punto \(\mathbf{p}\) variabile su \(S\) solo per ragioni estetiche).
In tal caso, è possibile dare senso all'integrale superficiale:
\[
\iint_S f\ \text{d}\sigma\; ,
\]
del quale si chiede un'interpretazione geometrica... Ci provo, anche se l'interpretazione giusta (secondo me) è un po' complicata.
Vorrei mostrare che, se \(f\) è non negativa e non assume valori "troppo grandi" (rispetto alle curvature della superficie), tale integrale è la misura del volume di un particolare solido \(\mathcal{R}\) di \(\mathbb{R}^3\) costruito in modo che \(S\) sia la sua "base" (in un certo senso).
Consideriamo l'insieme costruito come segue:
\[
\mathcal{R} := \bigcup_{\mathbf{p}\in S} \text{segmento normale a } S \text{ in } \mathbf{p} \text{ avente lunghezza } f(\mathbf{p})
\]
il quale, formalmente, è descritto come segue:
\[
\mathcal{R} := \big\{ \mathbf{q}\in \mathbb{R}^3:\ \exists \mathbf{p}\in S,\ \exists t\in [0,f(\mathbf{p})]:\ \mathbf{q} = \mathbf{p} + t\ \mathbf{n}(\mathbf{p})\big\}
\]
in cui \(\mathbf{n}(\mathbf{p})\) è il versore normale a \(S\) in \(\mathbf{p}\).
Tale insieme è una sorta di dominio normale alla superficie \(S\), poiché ogni retta condotta normalmente ad \(S\) incontra \(\mathcal{R}\) in un segmento (eventualmente degenere in un punto).
Intuitivamente (ma questa cosa si può rendere precisa facendo un po' di conti), se la superficie \(S\) non è troppo incurvata su sé stessa e se \(f\) non assume valori troppo grandi, i segmentini di cui è composto \(\mathcal{R}\) non collidono né si sovrappongono; questo fatto rende possibile calcolare il volume di \(\mathcal{R}\) usando un semplice integrale triplo:
\[
\operatorname{vol} (\mathcal{R}) = \iiint_\mathcal{R} \text{d} x\text{d} y\text{d} z\; ,
\]
e rende possibile anche applicare una sorta di formula di riduzione (un "integrazione per fili" curva, se vuoi):
\[
\begin{split}
\operatorname{vol} (\mathcal{R}) &= \iint_S \left( \int_0^{f(\mathbf{p})}\text{d} t\right)\ \text{d} \sigma \\
&= \iint_S \left[ t \right]_0^{f(\mathbf{p})}\ \text{d} \sigma\\
&= \iint_S f\ \text{d} \sigma
\end{split}
\]
(ho sottointeso la dipendenza di \(f\) dal punto \(\mathbf{p}\) variabile su \(S\) solo per ragioni estetiche).
Quindi $ int f(x,y)dσ $ definito sul domino $ D $ è il volume del solido avente come base il dominio $ D $ e come 'Bordo superiore' la funzione $ f(x,y) $? Quindi non c'è differenza tra l'integrale doppio e un integrale di superficie tipo quello che scritto?
Leggi bene, perché l'insieme \(\mathcal{R}\) non è costruito come un rettangoloide... 
Infatti, dato che \(S\subset \mathbb{R}^3\), se costruissi il rettangoloide di base \(S\) relativo alla funzione \(f\), che è l'insieme:
\[
\mathfrak{R} (f;S):=\big\{ (\mathbf{p},u)\in \mathbb{R}^4:\ \mathbf{p}\in S \text{ e } 0\leq u\leq f(\mathbf{p})\big\}\; ,
\]
ti troveresti con un oggetto di \(\mathbb{R}^4\) che sarebbe impossibile da visualizzare.
Invece, l'insieme \(\mathcal{R}\) è contenuto in \(\mathbb{R}^3\) e perciò è visualizzabile; il prezzo che paghi per poter avere un oggetto "concreto" è che devi fare i conti con il poco spazio che hai per fare questa costruzione (perché, in effetti, stai cercando di comprimere un oggetto essenzialmente quadridimensionale in uno spazio a tre dimensioni), il che si manifesta con le limitazioni sulla grandezza di \(f\) collegate al fatto che \(S\) è un oggetto essenzialmente "curvo".
Per farti capire la differenza che c'è tra l'insieme \(\mathcal{R}\) ed il rettangoloide \(\mathfrak{R}(f;S)\), bisogna prendere oggetti curvi con una dimensione in meno: ad esempio, si può sostituire la superficie \(S\) con un curva piana \(\gamma\).
Ad esempio, prendi un nastro di raso (o un metro da sarta) e tienilo steso su un tavolo; se provi, mantenendo il nastro poggiato sul tavolo, a piegarne uno dei bordi seguendo una curva troppo "stretta" (cioé, con una curvatura elevata), il nastro crea delle grinze e tende ad uscire dal piano... L'unico modo che hai per far rimanere tutto nel piano è assottigliare il nastro, tagliandone via le parti che formano le grinze. Questa operazione di taglio dello spessore del nastro nei punti di maggior curvatura equivale a prendere \(f\) "piccola" lì dove la curva \(\gamma\) è "troppo curva".
Invece, se metti il nastro in verticale rispetto al tavolo (quindi "esci" dal piano, per costruire un oggetto nello spazio), puoi seguire col bordo che è appoggiato sul tavolo tutte le curve che vuoi, senza creare grinze.
Ecco, per l'appunto, è questa la differenza che passa tra l'insieme \(\mathcal{R}\) (che forma grinze, se non stai attento) ed il rettangoloide \(\mathfrak{R}(f;S)\) (che non forma mai alcuna grinza, perché ha tutto lo spazio che vuole).
Inoltre, chi è \(D\)?
Se è il dominio base della rappresentazione parametrica della superficie \(S\), beh esso non c'entra granché nel discorso, perché l'integrale si può definire in modo sensato anche non passando necessariamente attraverso le parametrizzazioni.

Infatti, dato che \(S\subset \mathbb{R}^3\), se costruissi il rettangoloide di base \(S\) relativo alla funzione \(f\), che è l'insieme:
\[
\mathfrak{R} (f;S):=\big\{ (\mathbf{p},u)\in \mathbb{R}^4:\ \mathbf{p}\in S \text{ e } 0\leq u\leq f(\mathbf{p})\big\}\; ,
\]
ti troveresti con un oggetto di \(\mathbb{R}^4\) che sarebbe impossibile da visualizzare.
Invece, l'insieme \(\mathcal{R}\) è contenuto in \(\mathbb{R}^3\) e perciò è visualizzabile; il prezzo che paghi per poter avere un oggetto "concreto" è che devi fare i conti con il poco spazio che hai per fare questa costruzione (perché, in effetti, stai cercando di comprimere un oggetto essenzialmente quadridimensionale in uno spazio a tre dimensioni), il che si manifesta con le limitazioni sulla grandezza di \(f\) collegate al fatto che \(S\) è un oggetto essenzialmente "curvo".
Per farti capire la differenza che c'è tra l'insieme \(\mathcal{R}\) ed il rettangoloide \(\mathfrak{R}(f;S)\), bisogna prendere oggetti curvi con una dimensione in meno: ad esempio, si può sostituire la superficie \(S\) con un curva piana \(\gamma\).
Ad esempio, prendi un nastro di raso (o un metro da sarta) e tienilo steso su un tavolo; se provi, mantenendo il nastro poggiato sul tavolo, a piegarne uno dei bordi seguendo una curva troppo "stretta" (cioé, con una curvatura elevata), il nastro crea delle grinze e tende ad uscire dal piano... L'unico modo che hai per far rimanere tutto nel piano è assottigliare il nastro, tagliandone via le parti che formano le grinze. Questa operazione di taglio dello spessore del nastro nei punti di maggior curvatura equivale a prendere \(f\) "piccola" lì dove la curva \(\gamma\) è "troppo curva".
Invece, se metti il nastro in verticale rispetto al tavolo (quindi "esci" dal piano, per costruire un oggetto nello spazio), puoi seguire col bordo che è appoggiato sul tavolo tutte le curve che vuoi, senza creare grinze.
Ecco, per l'appunto, è questa la differenza che passa tra l'insieme \(\mathcal{R}\) (che forma grinze, se non stai attento) ed il rettangoloide \(\mathfrak{R}(f;S)\) (che non forma mai alcuna grinza, perché ha tutto lo spazio che vuole).
Inoltre, chi è \(D\)?
Se è il dominio base della rappresentazione parametrica della superficie \(S\), beh esso non c'entra granché nel discorso, perché l'integrale si può definire in modo sensato anche non passando necessariamente attraverso le parametrizzazioni.