Infinitesimi e differenziali: la mia opinione
non sapevo a quale thread fare riferimento per cui ne ho aperto uno nuovo (non me ne vogliano i mod, avrei continuato l'ultima discussione - metodo urang utang... - ma non volevo continuare l'ot)
come da titolo, volevo dire la mia in merito a infinitesimi e differenziali nelle manipolazioni tipiche della fisica; non che abbia chissà quale sorprendente verità da rivelare (il mio pensiero riprende per lo più le idee già espresse da altri utenti del forum), ma vorrei provare a vedere se ho colto il punto della questione
per prima cosa, in fisica più che infinitesimi si considerano variazioni/quantità infinitesime di grandezze fisiche comunemente espresse da funzioni (del tempo, delle variabili spaziali...). Pertanto non si presenta la necessità di conciliare il concetto di infinitesimo (successione/funzione che tende a zero) con quello di differenziale (forma differenziale associata ad una funzione); la necessità che si presenta è qualla di interpretare variazioni infinitesime di una quantità in termini del differenziale della funzione che attribuisce a tale quantità un valore numerico.
tale interpretazione è adeguata? ragioniamo. lessicalmente una variazione infinitesima è una variazione piccola, ma piccola quanto? piccola a piacere o, come spesso accade, quanto serve [nota]ad esempio, una variazione di posizione di un punto - spostamento - sufficientemente piccola affinchè la forza agente su tale punto possa essere considerata costante nell'intervallo di tempo durante cui avviene lo spostamento)[/nota]. il differenziale interpreta bene quest'idea di variazione piccola a piacere: a seconda del grado di approssimazione desiderato, prendiamo una variazione adeguatamente piccola.
il grado di approssimazione corrisponde, in termini matematici, all'argomento del differenziale (all'incremento delle variabili indipendenti). resta solo da considerare, ed è proprio per questo che si introduce il differenziale (che è una forma lineare) piuttosto che una semplice funzione, il carattere locale di questa approssimazione della variazione infinitesima di una quantità fisica: a seconda dello stato del sistema fisico, la variazione ha una determinata espressione funzionale.
per provare a dare un senso al discorso tortuoso che ho imbastito, facciamo un esempio.
un punto materiale è in moto nello spazio e la sua posizione è espressa dalla funzione del tempo \(\displaystyle \underline{r}(t) \) di componenti \(\displaystyle r^i(t) \). il suo differenziale è
\(\displaystyle \mathrm d \underline r = \frac{\mathrm d \underline r}{\mathrm d t} \mathrm d t\)
ora, la variazione della posizione dipende da due cose: (1) dal punto rispetto a cui "partiamo" nel considerare la variazione - a seconda di tale punto, la variazione avverrà in una determinata direzione (quella espressa dalla derivata in tale punto) (2) dal grado di approssimazione desiderato - più abbiamo bisogno di un'approssimazione accurata, più dobbiamo considerare piccole variazioni.
in termini matematici, (1) e (2) corrispondono alla scelta di un istante \(\displaystyle \hat t \) e all'assegnazione di un argomento \(\displaystyle h \) alla variazione della posizione rispetto all'istante \(\displaystyle \hat t \); otteniamo
\(\displaystyle \langle \mathrm d \underline r (\hat t), h \rangle = \frac{\mathrm d \underline r}{\mathrm d t} (\hat t) \mathrm d t (h)\)
dove con \(\displaystyle \langle , \rangle \) indico il cosiddetto pairing duale.
questo esempio banale, fa capire come le forme lineari siano l'oggetto matematico adeguato ad esprimere l'idea di variazione infinitesima di una grandezza fisica.
passiamo alle manipolazioni dei differenziali. saranno anche brutali, ma funzionano. pertanto sono legittime (questo esprime in parte il rapporto che secondo me intercorre tra la matematica e la fisica), ma chi ha una certa sensibilità per queste questioni (o, in casi estremi, un etica matematica puritana e reverenziale) sicuramente troverà una giustificazione formale e rigorosa a questi passaggi.
consideriamo un esempio classico: il teorema delle forze vive.
dato un campo di forze
\(\displaystyle \underline F: \mathbb R^3 \to \mathbb R^3 ; \underline F (\underline x)= (F^1(\underline x),F^2(\underline x), F^3(\underline x)) \)
definiamo la forma lineare (in generale non esatta)
\(\displaystyle \omega^F: \mathbb R^3 \to (\mathbb R^3)^* ; \omega^F(\underline x)=\sum_i F^i(\underline x) \mathrm d x^i\)
risulta quindi, in termini fisici, che il lavoro fatto dalla forza \(\displaystyle \underline F \) durante lo spostamento infinitesimo \(\displaystyle \mathrm d \underline r (t)\), spesso indicato con \(\displaystyle \delta W\), è dato da
\(\displaystyle \omega^F (\underline r (t))= \sum_i F^i(\underline r (t)) \mathrm d r^i (t)\)
questa è una funzione di una variabile reale a valori reali che mappa il numero \(\displaystyle h \) in
\(\displaystyle \langle \omega^F (\underline r (t)),h \rangle = \sum_i F^i(\underline r (t)) \langle \mathrm d r^i(t),h \rangle \)
voglio dimostrare che \(\displaystyle \delta W = \mathrm d T \) dove \(\displaystyle T(t)=\frac{m}{2} |\underline v (t)|^2 \) è il campo scalare energia cinetica
\(\displaystyle \omega^F (\underline r (t))= \sum_i F^i(\underline r (t)) \mathrm d r^i(t)=\)
\(\displaystyle =m \sum_i a_i(t) v^i(t) \mathrm d t = \)
\(\displaystyle =m \sum_i \frac{\mathrm d v^i}{\mathrm d t}(t) v^i(t) \mathrm d t=\)
\(\displaystyle =m \sum_i v^i(t) \mathrm d v^i (t)\)
nel primo passaggio ho usato la II legge di Newton (per componenti) \(\displaystyle F^i(t)=ma_i(t) \) e \(\displaystyle \mathrm d r^i(t)=v^i(t) \mathrm dt \); nel secondo che \(\displaystyle a_i \) è la derivata di \(\displaystyle v^i \); nel terzo che \(\displaystyle \mathrm d v^i(t)= \frac{\mathrm d v^i}{\mathrm d t} (t) \mathrm d t\)
spero di essere stato chiaro e di non aver scritto troppe stupidaggini. scusate il post lungo
come da titolo, volevo dire la mia in merito a infinitesimi e differenziali nelle manipolazioni tipiche della fisica; non che abbia chissà quale sorprendente verità da rivelare (il mio pensiero riprende per lo più le idee già espresse da altri utenti del forum), ma vorrei provare a vedere se ho colto il punto della questione
per prima cosa, in fisica più che infinitesimi si considerano variazioni/quantità infinitesime di grandezze fisiche comunemente espresse da funzioni (del tempo, delle variabili spaziali...). Pertanto non si presenta la necessità di conciliare il concetto di infinitesimo (successione/funzione che tende a zero) con quello di differenziale (forma differenziale associata ad una funzione); la necessità che si presenta è qualla di interpretare variazioni infinitesime di una quantità in termini del differenziale della funzione che attribuisce a tale quantità un valore numerico.
tale interpretazione è adeguata? ragioniamo. lessicalmente una variazione infinitesima è una variazione piccola, ma piccola quanto? piccola a piacere o, come spesso accade, quanto serve [nota]ad esempio, una variazione di posizione di un punto - spostamento - sufficientemente piccola affinchè la forza agente su tale punto possa essere considerata costante nell'intervallo di tempo durante cui avviene lo spostamento)[/nota]. il differenziale interpreta bene quest'idea di variazione piccola a piacere: a seconda del grado di approssimazione desiderato, prendiamo una variazione adeguatamente piccola.
il grado di approssimazione corrisponde, in termini matematici, all'argomento del differenziale (all'incremento delle variabili indipendenti). resta solo da considerare, ed è proprio per questo che si introduce il differenziale (che è una forma lineare) piuttosto che una semplice funzione, il carattere locale di questa approssimazione della variazione infinitesima di una quantità fisica: a seconda dello stato del sistema fisico, la variazione ha una determinata espressione funzionale.
per provare a dare un senso al discorso tortuoso che ho imbastito, facciamo un esempio.
un punto materiale è in moto nello spazio e la sua posizione è espressa dalla funzione del tempo \(\displaystyle \underline{r}(t) \) di componenti \(\displaystyle r^i(t) \). il suo differenziale è
\(\displaystyle \mathrm d \underline r = \frac{\mathrm d \underline r}{\mathrm d t} \mathrm d t\)
ora, la variazione della posizione dipende da due cose: (1) dal punto rispetto a cui "partiamo" nel considerare la variazione - a seconda di tale punto, la variazione avverrà in una determinata direzione (quella espressa dalla derivata in tale punto) (2) dal grado di approssimazione desiderato - più abbiamo bisogno di un'approssimazione accurata, più dobbiamo considerare piccole variazioni.
in termini matematici, (1) e (2) corrispondono alla scelta di un istante \(\displaystyle \hat t \) e all'assegnazione di un argomento \(\displaystyle h \) alla variazione della posizione rispetto all'istante \(\displaystyle \hat t \); otteniamo
\(\displaystyle \langle \mathrm d \underline r (\hat t), h \rangle = \frac{\mathrm d \underline r}{\mathrm d t} (\hat t) \mathrm d t (h)\)
dove con \(\displaystyle \langle , \rangle \) indico il cosiddetto pairing duale.
questo esempio banale, fa capire come le forme lineari siano l'oggetto matematico adeguato ad esprimere l'idea di variazione infinitesima di una grandezza fisica.
passiamo alle manipolazioni dei differenziali. saranno anche brutali, ma funzionano. pertanto sono legittime (questo esprime in parte il rapporto che secondo me intercorre tra la matematica e la fisica), ma chi ha una certa sensibilità per queste questioni (o, in casi estremi, un etica matematica puritana e reverenziale) sicuramente troverà una giustificazione formale e rigorosa a questi passaggi.
consideriamo un esempio classico: il teorema delle forze vive.
dato un campo di forze
\(\displaystyle \underline F: \mathbb R^3 \to \mathbb R^3 ; \underline F (\underline x)= (F^1(\underline x),F^2(\underline x), F^3(\underline x)) \)
definiamo la forma lineare (in generale non esatta)
\(\displaystyle \omega^F: \mathbb R^3 \to (\mathbb R^3)^* ; \omega^F(\underline x)=\sum_i F^i(\underline x) \mathrm d x^i\)
risulta quindi, in termini fisici, che il lavoro fatto dalla forza \(\displaystyle \underline F \) durante lo spostamento infinitesimo \(\displaystyle \mathrm d \underline r (t)\), spesso indicato con \(\displaystyle \delta W\), è dato da
\(\displaystyle \omega^F (\underline r (t))= \sum_i F^i(\underline r (t)) \mathrm d r^i (t)\)
questa è una funzione di una variabile reale a valori reali che mappa il numero \(\displaystyle h \) in
\(\displaystyle \langle \omega^F (\underline r (t)),h \rangle = \sum_i F^i(\underline r (t)) \langle \mathrm d r^i(t),h \rangle \)
voglio dimostrare che \(\displaystyle \delta W = \mathrm d T \) dove \(\displaystyle T(t)=\frac{m}{2} |\underline v (t)|^2 \) è il campo scalare energia cinetica
\(\displaystyle \omega^F (\underline r (t))= \sum_i F^i(\underline r (t)) \mathrm d r^i(t)=\)
\(\displaystyle =m \sum_i a_i(t) v^i(t) \mathrm d t = \)
\(\displaystyle =m \sum_i \frac{\mathrm d v^i}{\mathrm d t}(t) v^i(t) \mathrm d t=\)
\(\displaystyle =m \sum_i v^i(t) \mathrm d v^i (t)\)
nel primo passaggio ho usato la II legge di Newton (per componenti) \(\displaystyle F^i(t)=ma_i(t) \) e \(\displaystyle \mathrm d r^i(t)=v^i(t) \mathrm dt \); nel secondo che \(\displaystyle a_i \) è la derivata di \(\displaystyle v^i \); nel terzo che \(\displaystyle \mathrm d v^i(t)= \frac{\mathrm d v^i}{\mathrm d t} (t) \mathrm d t\)
spero di essere stato chiaro e di non aver scritto troppe stupidaggini. scusate il post lungo