Perchè meno per meno dà più?
Forse sarà banale, ma mi tormenta un dubbio su un concetto elementare dei primordi dell'algebra a livello di scuola secondaria: perchè $ - x - = +$? Ossia: la moltiplicazione è definibile come "un'addizione abbreviata", quindi fare 3 x 4 significa o contare 3 volte 4 cose o viceversa, ottenendo sempre 12. Se mettiamo un segno + significa: contare 3 volte 4 numeri positivi o viceversa. Anche + x - è ben comprensibile: non consederando il segno +, sommo un certo numero di volte i numeri negativi ottenendo quindi un numero negativo. Ma le "volte" in cui sommo possono essere "negative"? Non so se ho reso il concetto, ma la regola - x - = + non la so giustificare. Forse imposto male la cosa, ma, sembrerà banale, e me ne scuso, ma alla richiesta di una spiegazione compatibile con la definizione "elementare" di moltiplicazione, non mi viene in mente nulla (forse ho dimenticato ...). Qualcuno può gentilmente aiutarmi?
Risposte
Ciao non sapendo che scuola o facoltà frequenti oppure se è solo curiosità non so con che grado di approfondimento rispondere.
In ogni caso ti copio pari pari dei miei appunti del quinto anno del Liceo Scientifico (non ricordo se li ho scritti io o li copiai da qualche parte)
In ogni caso ti copio pari pari dei miei appunti del quinto anno del Liceo Scientifico (non ricordo se li ho scritti io o li copiai da qualche parte)
Conoscendo le proprietà delle operazioni + e x sull’insieme dei numeri relativi (un anello commutativo) possiamo dare una semplice dimostrazione delle quattro regole di moltiplicazione dei segni spesso presentate come definizioni o, peggio, convenzioni. Identificando i numeri relativi positivi con i numeri naturali, osserviamo che la definizione di prodotto incontrata in N ci porta a concludere che
(+) • (+) = (+) e proviamo a derivare da questa le altre regole di moltiplicazione per i segni.
1. Abbiamo dimostrato in precedenza che
$0 = a•0= a•[b+(–b)]= ab+a•(–b)$
quindi
$ab+a•(–b)=0$
cioè
a•(–b) = –ab
e quindi
(+) • (-) = (-)
2. In modo analogo risulta:
(–a)•b = –ab,
cioè
(-) • (+) = (-)
3. Consideriamo ora la seguente espressione:
[(-a) + (+a)] • (-b)
essendo [(-a) + (+a)] = 0, tutta l’espressione deve essere tutta uguale a 0 perché qualunque numero moltiplicato per zero diventa zero (lo abbiamo dimostrato per i numeri naturali, ma potremmo rifarlo allo stesso modo per i relativi), cioè
[(-a) + (+a)] • (-b) = 0
che per la proprietà distributiva diventa
[(-a) • (-b)] + [(+a) • (-b)] = 0
sappiamo già che l’espressione [(+a) • (-b)] = -ab perché dimostrato in precedenza, quindi
[(-a) • (-b)] + (-ab) = 0
ma l’esistenza del simmetrico ci garantisce che
[(-a) • (-b)] = ab
e quindi
(-) • (-) = (+)
La dimostrazione è perfetta, ti ringrazio molto. Però è un po' complicato presentarla, ad esempio, a dei ragazzi di terza media, che in genere trattano l'algebra a livelli superficiali e per i quali le strutture (quali l'anello) vengono appena accennate. Pensavo quindi a qualcosa di più breve e semplice, perchè altrimenti le regole del prodotto dei segni restano per loro una specie di tabellina da mandar giù e basta, cosa didatticamente poco felice. Da anni, pur essendo laureato in matematica, mi occupo ormai di altro, ma ogni tanto mi vengono questi "dubbi". Ne potremo riparlare (convinto che la matematica sia soprattutto semplicità). Grazie ancora.
In effetti dal punto 3 e sulla base della considerazione che la somma di 2 numeri relativi opposti è 0, applicando la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma e "distribuendo" un numero negativo, ne consegue una verifica immediata, fermo restando che + x - dà -. In pratica, mettendo numeri anzichè lettere, anche per il ragazzino si potrà dimostrare che - x - dà +.
Ok, mille grazie ancora, per me la questione è a posto!
Ok, mille grazie ancora, per me la questione è a posto!
Non si dimostra la regola dei segni; è una definizione. Sul fatto che sia così scelta invece che in altro modo è solo una questione di convenienza: il modo con cui è stata scelta è l'unico che permette di conservare le proprietà delle operazioni quando si passa da $\NN$ a $\ZZ$.
innanzitutt ho trovato il link da cui presi le note che ho scritto qualche giorno fa.
http://web.tiscali.it/pilosumateriali/M ... lativi.pdf
Poi se Luca dice che si tratta di definizione...definizione è sicuramente. Dalle mie parti si dice alzo le mani! (non ho trovato un'emoticon adatta)
Io credevo che le cose erano così:
definisco l'insieme dei numeri relativi in un cero modo
questi numeri godono di certe proprietà
quindi grazie a queste proprietà vale la regola dei segni
ed è quello che ho postato l'altro giorno
invece le cose dovrebbero stare così:
definisco i numeri relativi e dico che per definizione vale la regola dei segni
quindi faccio vedere che valgono certe proprietà.
http://web.tiscali.it/pilosumateriali/M ... lativi.pdf
Poi se Luca dice che si tratta di definizione...definizione è sicuramente. Dalle mie parti si dice alzo le mani! (non ho trovato un'emoticon adatta)
Io credevo che le cose erano così:
definisco l'insieme dei numeri relativi in un cero modo
questi numeri godono di certe proprietà
quindi grazie a queste proprietà vale la regola dei segni
ed è quello che ho postato l'altro giorno
invece le cose dovrebbero stare così:
definisco i numeri relativi e dico che per definizione vale la regola dei segni
quindi faccio vedere che valgono certe proprietà.
In realtà la questionè è più profonda.
Ci sono almeno due modi di definire un anello ordinato.
Il primo è dire: nell'anello [tex]$(A,+,\cdot)$[/tex] ho definita una relazione d'ordine [tex]$\leq$[/tex] compatibile con le operazioni, nel senso che valgono le proprietà:
a. [tex]$\forall a,b,c,d \in A,\quad a\leq c \text{ e } b\leq d\ \Rightarrow\ a+b\leq c+d$[/tex];
b. [tex]$\forall a,b,c \in A,\quad a\leq b \text{ e } 0_A\leq c\ \Rightarrow\ a\cdot c\leq b\cdot c$[/tex].
Il secondo è dire: nell'anello [tex]$(A,+,\cdot)$[/tex] esiste una parte [tex]$P\subset A$[/tex] stabile rispetto alle operazioni e vale il principio di tricotomia, nel senso che:
A. [tex]$\forall a,b\in P,\quad a+b\in P \text{ e } a\cdot b \in P$[/tex];
B. la classe [tex]$\{ P,\{ 0_A\}, -P\} \subseteq \mathcal{P}(A)$[/tex] (ove [tex]$-P:=\{ -x, \text{ con $x\in P$}\}$[/tex]) è una partizione di [tex]$A$[/tex].
Tali due definizioni sono equivalenti; ciò si dimostra in una paginetta.
In entrambi gli scenari, la cosiddetta regola dei segni è un teorema, cioè si dimostra partendo dalla definizione.
Ci sono almeno due modi di definire un anello ordinato.
Il primo è dire: nell'anello [tex]$(A,+,\cdot)$[/tex] ho definita una relazione d'ordine [tex]$\leq$[/tex] compatibile con le operazioni, nel senso che valgono le proprietà:
a. [tex]$\forall a,b,c,d \in A,\quad a\leq c \text{ e } b\leq d\ \Rightarrow\ a+b\leq c+d$[/tex];
b. [tex]$\forall a,b,c \in A,\quad a\leq b \text{ e } 0_A\leq c\ \Rightarrow\ a\cdot c\leq b\cdot c$[/tex].
Il secondo è dire: nell'anello [tex]$(A,+,\cdot)$[/tex] esiste una parte [tex]$P\subset A$[/tex] stabile rispetto alle operazioni e vale il principio di tricotomia, nel senso che:
A. [tex]$\forall a,b\in P,\quad a+b\in P \text{ e } a\cdot b \in P$[/tex];
B. la classe [tex]$\{ P,\{ 0_A\}, -P\} \subseteq \mathcal{P}(A)$[/tex] (ove [tex]$-P:=\{ -x, \text{ con $x\in P$}\}$[/tex]) è una partizione di [tex]$A$[/tex].
Tali due definizioni sono equivalenti; ciò si dimostra in una paginetta.
In entrambi gli scenari, la cosiddetta regola dei segni è un teorema, cioè si dimostra partendo dalla definizione.
Sì, sono tutte osservazioni corrette, ma sono tutti cani che si mordono la coda secondo me: perchè mai $\ZZ$ è un anello? proprio perchè si adotta la regola dei segni. Per questo secondo me è "sbagliato" dire che è una regola che si dimostra; è vero che si dimostra in un anello, ma non si dimostra per i numeri interi. Io per essa mi affido alla teoria degli insiemi ZF dentro la quale si costruisce $\NN$ e quindi $\ZZ$.
"Luca.Lussardi":Una volta definite le operazioni in [tex]\mathbb{Z}[/tex] la regola dei segni si dimostra. Definito [tex]\mathbb{Z}[/tex] come il quoziente [tex]\mathbb{N} \times \mathbb{N} / \sim[/tex] dove [tex](a,b) \sim (c,d)[/tex] se e solo se [tex]a+d=b+c[/tex] con le operazioni [tex](a,b)+(c,d) = (a+c,b+d)[/tex] e [tex](a,b) \cdot (c,d) = (ac+bd,ad+bc)[/tex], indicato [tex](a,0)[/tex] con [tex]a[/tex] e [tex](0,a)[/tex] con [tex]-a[/tex] la regola dei segni segue facilmente. Infatti [tex](-1)(-a) = (0,1) \cdot (0,a) = (a,0) = a[/tex]. Non vedo problemi di interpretazione.
Sì, sono tutte osservazioni corrette, ma sono tutti cani che si mordono la coda secondo me: perchè mai $\ZZ$ è un anello? proprio perchè si adotta la regola dei segni. Per questo secondo me è "sbagliato" dire che è una regola che si dimostra; è vero che si dimostra in un anello, ma non si dimostra per i numeri interi. Io per essa mi affido alla teoria degli insiemi ZF dentro la quale si costruisce $\NN$ e quindi $\ZZ$.
Sì, Martino, hai ragione, è corretto, ma anche questo è un cane che si morde la coda: la definizione che dai di somma nasconde la regola dei segni. Sono d'accordo anche io che la regola dei segni letteralmente ha una dimostrazione che discende da come uno definisce i numeri interi e le operazioni con essi, ma le operazioni in $\ZZ$ vengono definite in quel modo proprio per rispettare la regola, che a sua volta viene scelta proprio per conservare la struttura algebrica.
"Luca.Lussardi":Beh certo, su questo siamo d'accordo. L'operazione di moltiplicazione in Z non è altro che la traduzione dell'idea intuitiva che deve valere la regola dei segni.
Sì, Martino, hai ragione, è corretto, ma anche questo è un cane che si morde la coda: la definizione che dai di somma nasconde la regola dei segni.
Mi è sorto un dubbio sull'espressione \(\displaystyle {0}={a}•{0}={a}•{\left[{b}+{\left(–{b}\right)}\right]}={a}{b}+{a}•{\left(–{b}\right)} \) scritta nella dimostrazione. Non sarebbe più corretto (non che sia sbagliato scriverla così, cerco solo di capire se è più corretto) scrivere [b-b]=0 (e poi proseguire da lì) visto che quando scrivo +(-b) è come se in un certo senso userei la regola dei segni?
con \(-b\) si indica l'inverso di \(b\) rispetto all'operazione \(+\).
in realtà la scrittura \(a-b\) sarebbe "scorretta" in quanto nell'anello \((\mathbb Z,+,\cdot)\) abbiamo solo le operazioni \(+\) e \(\cdot\), mentre non esiste l'operazione \(-\).
tuttavia è un problema più di forma che di sostanza...
in realtà la scrittura \(a-b\) sarebbe "scorretta" in quanto nell'anello \((\mathbb Z,+,\cdot)\) abbiamo solo le operazioni \(+\) e \(\cdot\), mentre non esiste l'operazione \(-\).
tuttavia è un problema più di forma che di sostanza...
A distanza di qualche anno mi sono posto anch'io la stessa domanda, dopo una regressione che partiva dal perché la funzione logaritmo non ammetta basi negative, da cui la domanda "perché la funzione esponenziale non ammette basi negative (con esponenti reali o frazionari con denominatore pari)?" essendo la prima funzione inverso della seconda; il passo successivo è chiedersi perché fare un quadrato di un numero negativo non mi dà un numero negativo più grande (in valore assoluto) simmetricamente a quanto succede ai numeri positivi. Infine la domanda clou: perché meno per meno dà più?
Dopo averci ragionato un po' sono giunto a questa conclusione, la quale, mi perdonerete, è molto in prosa e priva di notazioni scientifiche.
Prendete l'insieme dei numeri Naturali. Valori assoluti privi di segno che identificano quantità univoche. Metteteli in una semiretta a sé. Sotto, (o sopra, o dietro, comunque da un'altra parte) immaginate la retta dei numeri Interi. I positivi significano "aggiungere" o "trovare" o "esistere" o anche un generico "avanti" rispetto ad un punto di riferimento "zero". Ci sono "tre passi in avanti" o "dieci pecore". Nell'altra direzione c'è "togliere", "sottrarre all'esistenza" oppure "indietro". Troviamo concetti come "tre passi indietro" oppure "togli otto mele (da un gruppo)". Tre passi in avanti e tre passi indietro fa zero. Non c'è alcuna ragione per considerare che il primo "tre" sia più importante dell'altro solo perché sono passi in avanti. Mettere un meno davanti significa scambiare i due concetti. Trasformare tre passi "avanti" in "indietro" e viceversa, e sembra logico poter avere un'operazione che lo fa istantaneamente dato che, abbiamo visto, i valori assoluti delle due quantità sono equivalenti.
Il nodo cruciale si incontra in questo frangente: devo mettere un meno davanti al valore assoluto x. Quale numero nella retta degli Interi me lo rappresenta univocamente, così che io possa associarlo, partire da lì e in seguito eseguire l'operazione relativa al "mettere un meno davanti", ovvero un salto simmetrico sullo zero e infine posizionarmi sul suo "opposto"? Questa è la domanda senza risposta. Perché dovrebbe il +x possedere maggiore dignità in fatto di valore assoluto quantitativo rispetto al -x? Non c'è risposta, eppure nel passare da un grado di esistenza neutra (i numeri Naturali senza segno) ad un altro (gli Interi con segno) non posso non scegliere da dove partire.
Posto per definizione che "si parte" dai numeri positivi, assegnando loro una maggiore dignità assoluta, più per convenzione che per reale esperienza, allora va da sé che mettere un meno davanti corrisponde a spostarmi nella metà dei negativi. Mettere un altro meno davanti mi fa, ça va sans dire, spostarmi di nuovo nella metà opposta ovvero i positivi. Meno per meno = più.
Se decidessimo in partenza che sono i negativi i migliori incaricati a fungere da punto di partenza, -x (con x negativo a priori) darebbe come risultato = +x. E poco male se il segno meno messo davanti indica sia l'operazione, sia l'appartenenza ai numeri negativi (un'omonimia dei termini tutt'altro che scontata). Bisognerebbe poi ricordarsi che un numero privo di segno è sottinteso negativo perciò 5 + 3 = 2 e altre varie finte stramberie, che in realtà sono tali solo per i nostri usi radicati. In ultimo potremmo finalmente costruirci il nostro amato quadrato negativo, ma saremmo adesso impossibilitati a farne uno positivo. Perciò forse il gioco non vale la candela.
Finché ci sarà da dover fare quella scelta a priori, ci sarà sempre un disequilibrio, compensato a livelli più alti di potenze e radici dall'aggiunta di quel famoso numero immaginario.
Chissà se, aggiungendo un terzo segno e dovute operazioni tra neutri, positivi e negativi, si potrebbe fare a meno di immaginari e complessi?
Dopo averci ragionato un po' sono giunto a questa conclusione, la quale, mi perdonerete, è molto in prosa e priva di notazioni scientifiche.
Prendete l'insieme dei numeri Naturali. Valori assoluti privi di segno che identificano quantità univoche. Metteteli in una semiretta a sé. Sotto, (o sopra, o dietro, comunque da un'altra parte) immaginate la retta dei numeri Interi. I positivi significano "aggiungere" o "trovare" o "esistere" o anche un generico "avanti" rispetto ad un punto di riferimento "zero". Ci sono "tre passi in avanti" o "dieci pecore". Nell'altra direzione c'è "togliere", "sottrarre all'esistenza" oppure "indietro". Troviamo concetti come "tre passi indietro" oppure "togli otto mele (da un gruppo)". Tre passi in avanti e tre passi indietro fa zero. Non c'è alcuna ragione per considerare che il primo "tre" sia più importante dell'altro solo perché sono passi in avanti. Mettere un meno davanti significa scambiare i due concetti. Trasformare tre passi "avanti" in "indietro" e viceversa, e sembra logico poter avere un'operazione che lo fa istantaneamente dato che, abbiamo visto, i valori assoluti delle due quantità sono equivalenti.
Il nodo cruciale si incontra in questo frangente: devo mettere un meno davanti al valore assoluto x. Quale numero nella retta degli Interi me lo rappresenta univocamente, così che io possa associarlo, partire da lì e in seguito eseguire l'operazione relativa al "mettere un meno davanti", ovvero un salto simmetrico sullo zero e infine posizionarmi sul suo "opposto"? Questa è la domanda senza risposta. Perché dovrebbe il +x possedere maggiore dignità in fatto di valore assoluto quantitativo rispetto al -x? Non c'è risposta, eppure nel passare da un grado di esistenza neutra (i numeri Naturali senza segno) ad un altro (gli Interi con segno) non posso non scegliere da dove partire.
Posto per definizione che "si parte" dai numeri positivi, assegnando loro una maggiore dignità assoluta, più per convenzione che per reale esperienza, allora va da sé che mettere un meno davanti corrisponde a spostarmi nella metà dei negativi. Mettere un altro meno davanti mi fa, ça va sans dire, spostarmi di nuovo nella metà opposta ovvero i positivi. Meno per meno = più.
Se decidessimo in partenza che sono i negativi i migliori incaricati a fungere da punto di partenza, -x (con x negativo a priori) darebbe come risultato = +x. E poco male se il segno meno messo davanti indica sia l'operazione, sia l'appartenenza ai numeri negativi (un'omonimia dei termini tutt'altro che scontata). Bisognerebbe poi ricordarsi che un numero privo di segno è sottinteso negativo perciò 5 + 3 = 2 e altre varie finte stramberie, che in realtà sono tali solo per i nostri usi radicati. In ultimo potremmo finalmente costruirci il nostro amato quadrato negativo, ma saremmo adesso impossibilitati a farne uno positivo. Perciò forse il gioco non vale la candela.
Finché ci sarà da dover fare quella scelta a priori, ci sarà sempre un disequilibrio, compensato a livelli più alti di potenze e radici dall'aggiunta di quel famoso numero immaginario.
Chissà se, aggiungendo un terzo segno e dovute operazioni tra neutri, positivi e negativi, si potrebbe fare a meno di immaginari e complessi?
Una volta che definisci la moltiplicazione induttivamente e riesci a capire la dimostrazione del fatto che sulla motliplicazione vale la proprietà distributiva, vedrai che la regola del segno: $ a * -a = -(a*a) and -a*-a = a*a$ è una cosa che salta fuori da se, diciamo un altra proprietà. La puoi dimostrare così oppure semplicemente per assurdo:
- Assumi che la regola del segno non valga
- Trovi che non vale la proprietà distributiva
- Ma sai che la proprietà distributiva vale perchè segue dalla definizione di moltiplicazione
- Ne deduci che la regola del segno è vera.
- Assumi che la regola del segno non valga
- Trovi che non vale la proprietà distributiva
- Ma sai che la proprietà distributiva vale perchè segue dalla definizione di moltiplicazione
- Ne deduci che la regola del segno è vera.
"Vitalluni":
Una volta che definisci la moltiplicazione induttivamente e riesci a capire la dimostrazione del fatto che sulla motliplicazione vale la proprietà distributiva, vedrai che la regola del segno: $ a * -a = -(a*a) and -a*-a = a*a$ è una cosa che salta fuori da se, diciamo un altra proprietà. La puoi dimostrare così oppure semplicemente per assurdo:
- Assumi che la regola del segno non valga
- Trovi che non vale la proprietà distributiva
- Ma sai che la proprietà distributiva vale perchè segue dalla definizione di moltiplicazione
- Ne deduci che la regola del segno è vera.
Parlando della proprietà distributiva potrei porre che:
\(\displaystyle -a*(b-b)= -a *b+ (-a*-b) = 0 \) e da qui affermare che \(\displaystyle (-a)*(-b)=a*b \). In questo modo sarebbe dimostrata la regola del segno grazie alla proprietà distribuitiva.
Tuttavia potremmo lamentarci di non avere una dimostrazione del fatto che quel "\(\displaystyle - \)" davanti la "\(\displaystyle a \)" non invalidi la proprietà distribuitiva. Di conseguenza dovremo accettare la regola del segno solo per validare la proprietà distributiva anche nel caso di numeri negativi. Quindi questa non mi sembra una dimostrazione, ma un assecondare.
Io non sono un matematico, e non ho idea se esistano altre strade con cui la regola dei segni sia stata dimostrata. Quel che è certo è che nel momento in cui impostiamo una equazione in cui concepiamo l'esistenza di numeri negativi, ed attribuiamo ad essi un significato (ad esempio anni al passato, metri indietro, ecc.), solo ed unicamente usufruendo della regola \(\displaystyle -*-=+ \) possiamo ottenere un risultato che sia corretto.
Supponiamo di avere una funzione comunque complessa, e di sostituire tutti i numeri possibili nelle incognite cercando gli zeri.
Supponiamo di riuscire a trovare tali zeri.
Svolgendo regolarmente l'equazione ci accorgeremmo che solo rispettando la regola del "\(\displaystyle -*-=+" \) otterremmo lo stesso risultato (quello corretto).
Potremmo dire che non esiste algebra senza regola dei segni, e non esiste regola dei segni senza algebra.
Un conto algebrico eseguito infrangendo la regola dei segni porterebbe sempre a risultati sbagliati.
A livello matematico ha certo importanza poter dimostrare che quanto appena detto valga sempre e per qualunque calcolo si faccia. Il fatto che tutti i calcoli svolti dagli albori degli studi sull'algebra abbiano confermato il fatto che è giusto fare \(\displaystyle -*-=+ \) non rappresenta una dimostrazione, eppure ha sempre funzionato.
Sottolineo comunque che la regola dei segni mi fu insegnata con le dimostrazioni già proposte dagli altri utenti in questo thread. Se qualcuno conosce un dimostrazione che non lasci spazio a repliche lo esorto a presentarla, in quanto certamente interessante.
Beh, no ... non è frutto del caso ma di come definisci gli interi ...
Presupponendo di conoscere solo i naturali e le operazioni di addizione e moltiplicazione ivi definite puoi definire gli interi come le coppie ordinate $(a,b)$ di naturali in cui l'addizione (di interi) e la moltiplicazione (di interi) siano definite in questo modo:
Addizione di interi: dati due interi $M=(a,b)$ e $N=(c,d)$ la loro somma $(p,q)=S=M+N$ viene definita così $(p=a+c, q=b+d)$
Moltiplicazione di interi: dati due interi $M=(a,b)$ e $N=(c,d)$ il loro prodotto $(p,q)=P=M*N$ viene definito così $(p=a*c+b*d, q=a*d+b*c)$
Se mi ricordo bene ...
Attenzione al fatto che ho usato lo stesso simbolo per operazioni differenti, cioè l'addizione intera è cosa diversa dall'addizione naturale ma sono in pratica la stessa cosa (formalmente credo si dica che sono isomorfe).
Cordialmente, Alex
Presupponendo di conoscere solo i naturali e le operazioni di addizione e moltiplicazione ivi definite puoi definire gli interi come le coppie ordinate $(a,b)$ di naturali in cui l'addizione (di interi) e la moltiplicazione (di interi) siano definite in questo modo:
Addizione di interi: dati due interi $M=(a,b)$ e $N=(c,d)$ la loro somma $(p,q)=S=M+N$ viene definita così $(p=a+c, q=b+d)$
Moltiplicazione di interi: dati due interi $M=(a,b)$ e $N=(c,d)$ il loro prodotto $(p,q)=P=M*N$ viene definito così $(p=a*c+b*d, q=a*d+b*c)$
Se mi ricordo bene ...

Attenzione al fatto che ho usato lo stesso simbolo per operazioni differenti, cioè l'addizione intera è cosa diversa dall'addizione naturale ma sono in pratica la stessa cosa (formalmente credo si dica che sono isomorfe).
Cordialmente, Alex
Ti riferisci alla proprietà distribuitiva? Non ho ben capito se hai espresso la riprova che la proprietà valga anche avendo un numero negativo a moltiplicare la parentesi.
Poi avrei una domanda:
Per quale motivo far si che la proprietà distributiva sia valida anche nel caso dei numeri negativi significa allo stesso tempo far si che la regola dei segni conduca a risultati corretti svolgendo le equazioni?
Ad esempio: svolgendo l'equazione per gli zeri di una parabola:
Delta = \(\displaystyle (b)*(b) - 4*a*c \)
In "\(\displaystyle -4*a*c \) "capita spesso di dover usare la regola dei segni. Dove è il nesso tra il fatto che la regola dei segni renda valida la proprietà distribuitiva con tutti i numeri interi e il fatto che l'equazione risulterà correttamente svolta?
Poi avrei una domanda:
Per quale motivo far si che la proprietà distributiva sia valida anche nel caso dei numeri negativi significa allo stesso tempo far si che la regola dei segni conduca a risultati corretti svolgendo le equazioni?
Ad esempio: svolgendo l'equazione per gli zeri di una parabola:
Delta = \(\displaystyle (b)*(b) - 4*a*c \)
In "\(\displaystyle -4*a*c \) "capita spesso di dover usare la regola dei segni. Dove è il nesso tra il fatto che la regola dei segni renda valida la proprietà distribuitiva con tutti i numeri interi e il fatto che l'equazione risulterà correttamente svolta?
"tmox":
Ti riferisci alla proprietà distribuitiva?
No, ho semplicemente scritto come si costruisce l'insieme dei numeri interi partendo dall'insieme dei naturali (uno dei modi per farlo ...).
Quello che ho scritto è sufficiente per capire perché "meno per meno = più".
Aggiungo solo che due numeri interi $M=(a,b)$ e $N=(c,d)$ sono uguali [$M=N$] se e solo se $a+d=b+c$
Prova a rifletterci sopra ... e fare un po' di prove ...
Cordialmente, Alex
"axpgn":
l'addizione intera è cosa diversa dall'addizione naturale ma sono in pratica la stessa cosa (formalmente credo si dica che sono isomorfe).
Che io sappia due strutture algebriche posso essere isomorfe (isos=stessa, morphe=struttura) non due operazioni.