Tanti modi di introdurre le derivate
Non mi piace il modo in cui è introdotta la derivata nei corsi di analisi in una variabile (sia alle superiori che all'università), per vari motivi.
Sia \( f\colon \mathbb R\to \mathbb R \) una funzione, e sia \( a\in \mathbb R \). Lasciato un attimo da parte il solito asservimento schiavistico alla storiella dell'interpretazione numerica[nota]Cit.[/nota], di solito l'intenzione è di trovare una funzione, \( g \), che soddisfi alle seguenti proprietà:
[list=3]
[*:2nupy7xq] dev'essere
\[
g(a) = f(a)\text{;}
\][/*:m:2nupy7xq]
[*:2nupy7xq] per ogni \( h \) l'incremento di \( g \) a partire da \( a \) dev'essere lineare delle forma \( \alpha h \) per una qualche costante \( \alpha\in \mathbb R \), e cioè deve valere
\[
g(a + h) - g(a) = \alpha h
\] per ogni \( h\in \mathbb R \);[/*:m:2nupy7xq]
[*:2nupy7xq]\( g \) ed \( f \) devono essere sufficientemente uguali in \( a \), nel senso che la differenza \( f - g \) dev'essere un \( o \)-piccolo di \( (x - a) \) in \( a \):
\[
\lim_{x\to a}{\frac{f(x) - g(x)}{(x - a)}} = 0\text{;}
\][/*:m:2nupy7xq][/list:o:2nupy7xq]
Una tale funzione \( g \) deve necessariamente essere della forma
\[
g(x) = g(a + (x - a)) = f(a) + \alpha (x - a)
\] per ogni \( x\in \mathbb R \), quindi è ovvio che \( f \) è derivabile nel senso classico se e solo se esiste una funzione \( g \) che soddisfa alle tre richieste precedenti.
Nel caso di funzioni \( f\colon E\to F \) tra spazi di Banach generali, poi, l'approccio che si segue è esattamente questo: la "derivata" di \( f \) è una funzione lineare sufficientemente decente da potersi interpretare come l'incremento di \( f \) vicino al punto preso in considerazione.
Se a me le derivate fossero state spiegate così, le avrei comprese subito. Il bello di questo approccio (espando su questo punto dopo, quando riesco a prednere in mano una tastiera decente) è che non mischia considerazioni geometriche ("la derivata è il coefficiente angolare della retta tangente al grafico di \( f \) nel punto \( (a,f(a)) \)") con considerazioni analitiche, nel senso che mette bene in chiaro qual è lo scopo di calcolare le derivate: approssimare funzioni.
Arrivato qui, voglio chiedere due cose:
1) Esiste qualche libro (no note scritte ieri per oggi da chi ha scoperto all'ultimo minuto che deve tenere analisi 1, ma testi sufficientemente meditati come sono alcuni libri di calculus americani) dove si usi questo approccio? Va bene (qualsiasi cosa significhi "va bene") spiegare le derivate così a chi non le ha mai viste, o voi lo migliorereste/usereste l'approccio classico?
2) In che altro modo si può mettere [più] in chiaro il ruolo della linearità nella definizione precedente? Ho chiesto che l'incremento sia lineare, ma così non è ben chiaro perché lo voglio.
Sia \( f\colon \mathbb R\to \mathbb R \) una funzione, e sia \( a\in \mathbb R \). Lasciato un attimo da parte il solito asservimento schiavistico alla storiella dell'interpretazione numerica[nota]Cit.[/nota], di solito l'intenzione è di trovare una funzione, \( g \), che soddisfi alle seguenti proprietà:
[list=3]
[*:2nupy7xq] dev'essere
\[
g(a) = f(a)\text{;}
\][/*:m:2nupy7xq]
[*:2nupy7xq] per ogni \( h \) l'incremento di \( g \) a partire da \( a \) dev'essere lineare delle forma \( \alpha h \) per una qualche costante \( \alpha\in \mathbb R \), e cioè deve valere
\[
g(a + h) - g(a) = \alpha h
\] per ogni \( h\in \mathbb R \);[/*:m:2nupy7xq]
[*:2nupy7xq]\( g \) ed \( f \) devono essere sufficientemente uguali in \( a \), nel senso che la differenza \( f - g \) dev'essere un \( o \)-piccolo di \( (x - a) \) in \( a \):
\[
\lim_{x\to a}{\frac{f(x) - g(x)}{(x - a)}} = 0\text{;}
\][/*:m:2nupy7xq][/list:o:2nupy7xq]
Una tale funzione \( g \) deve necessariamente essere della forma
\[
g(x) = g(a + (x - a)) = f(a) + \alpha (x - a)
\] per ogni \( x\in \mathbb R \), quindi è ovvio che \( f \) è derivabile nel senso classico se e solo se esiste una funzione \( g \) che soddisfa alle tre richieste precedenti.
Nel caso di funzioni \( f\colon E\to F \) tra spazi di Banach generali, poi, l'approccio che si segue è esattamente questo: la "derivata" di \( f \) è una funzione lineare sufficientemente decente da potersi interpretare come l'incremento di \( f \) vicino al punto preso in considerazione.
Se a me le derivate fossero state spiegate così, le avrei comprese subito. Il bello di questo approccio (espando su questo punto dopo, quando riesco a prednere in mano una tastiera decente) è che non mischia considerazioni geometriche ("la derivata è il coefficiente angolare della retta tangente al grafico di \( f \) nel punto \( (a,f(a)) \)") con considerazioni analitiche, nel senso che mette bene in chiaro qual è lo scopo di calcolare le derivate: approssimare funzioni.
Arrivato qui, voglio chiedere due cose:
1) Esiste qualche libro (no note scritte ieri per oggi da chi ha scoperto all'ultimo minuto che deve tenere analisi 1, ma testi sufficientemente meditati come sono alcuni libri di calculus americani) dove si usi questo approccio? Va bene (qualsiasi cosa significhi "va bene") spiegare le derivate così a chi non le ha mai viste, o voi lo migliorereste/usereste l'approccio classico?
2) In che altro modo si può mettere [più] in chiaro il ruolo della linearità nella definizione precedente? Ho chiesto che l'incremento sia lineare, ma così non è ben chiaro perché lo voglio.
Risposte
Questa è una visione ancora un po' troppo parziale del concetto di derivata; prova a leggere qui https://ncatlab.org/nlab/show/differentiation
Dico parziale soprattutto perché questo punto:
Sai cos'è l'oggetto dei differenziali di Kähler?
Dico parziale soprattutto perché questo punto:
mette bene in chiaro qual è lo scopo di calcolare le derivate: approssimare funzioni.è opinabile. Ci sono altri punti di vista, che in alcuni contesti sono più efficaci di altri.
Sai cos'è l'oggetto dei differenziali di Kähler?
Ciao marco, poni domande interessanti su cui si potrebbero dire tante cose.
Io distinguerei un piano didattico da un piano matematico/sostanziale.
Su un piano sostanziale:
-La tua definizione di derivata in una variabile c'è già in effetti nei libri di Analisi 2, se la vedi in più variabili.
La tua definizione in una variabile in effetti mi sembra analoga alla definizione che si dà di differenziale, come 1-forma, per funzioni di più variabili, applicata a una funzione in una sola variabile.
Poiché in funzioni di una variabile derivabilità e differenziabilità coincidono, è anche una definizione di derivata.
-Non so bene perché pensi che lo scopo di definizione della derivata sia approssimare le funzioni. Non ne sarei sicura.
Quello secondo me è uno scopo successivo, sia logicamente, sia andando a guardare da un punto di vista storico.
L'esigenza di approssimare le funzioni con polinomi, cioè la formula di Taylor, viene dopo anche temporalmente, Taylor e Mac Laurin sono di una generazione successiva, quando Newton e Libnitz hanno già elaborato le derivate.[nota]Caso mai, boh, ci sono dei precursori, ma i precursori di qualcosa ci sono sempre.[/nota]
L'idea della introduzione delle derivate mi sembra sia diversa, intuitivamente è di quantificare un incremento di una funzione, in seguito a un incremento della variabile indipendente, quando quest'ultimo sia infinitesimo.[nota]Qualunque cosa voglia dire 'infinitesimo, non è che ci possiamo qui addentrare in una questione epocale.[/nota]
In Newton ad esempio è legato a una idea di movimento e di velocità, con le 'flussioni', in Leibnitz era legato più a problemi geometrici, come il problema di trovare la tangente, ma sempre legato a questioni infinitesimali, a incrementi infinitesimali.
-Ma perché uno per approssimare una funzione deve decidere con cosa la vuole approssimare, qui scegli di approssimarla con una funzione lineare, se la volessi approssimare con un polinomio di secondo grado o cinquattontesimo grado faresti una scelta diversa.
Dal punto di vista didattico:
-Il tuo modo di introdurre la derivata ti sembra più chiaro perché hai in mente la derivata come approssimazione di funzione in un punto, e se per te è meglio va bene così,.
Ma secondo me una persona che non ha mai visto le derivate dà la testa nel muro, perché deve imbarcarsi in contemporanea in concetti non immediati, tipo l'$o$ piccolo e l'idea di approssimazione di una funzione.
Nella mia esperienza personale, anche didattica, a persone che non sono matematici, l'idea di derivata è intuitivamente molto facile da spiegare.
La difficoltà l'ho sempre vista nel concetto di limite e nella sua definizione $epsilon-delta$, quella è la cosa ostica.
- In seguito alla reintroduzione degli infinitesimi con l'analisi non standard, molti hanno sostenuto che certi concetti dell'analisi è più facile insegnarli e farli comprendere usando gli infinitesimi.
Per cui gli infinitesimi sono tornati nell'insegnamento, a opera di alcuni autori che hanno svincolato l'analisi non standard dall'apparato logico che la rende ostica, e introdotta in testi di Calculus.
Un riferimento standard è: Keisler, Elementary Calculus.
Non ne so granché, ma è probabile che così si introducano concetti dell'analisi in maniera più intuitiva, perché si torna all'idea intuitiva 'quanto aumenta una funzione se la variabile indipendente aumenta di una quantità piccola piccola piccola, ma mooolto piccola'.
Certo con la $epsilon-delta$ analisi di Weierstrass & c. si è raggiunto un rigore maggiore, e ci si è sbarazzati del tutto degli imbarazzanti infinitesimi, ma non ne ha guadagnato la perspicuità dal lato intuitivo per i neofiti.
[nota]La derivata, in certi contesti, e per le esigenze di non matematici, si può spiegare anche senza la definizione di limite. Ho un articolo di parecchi anni fa sul Bollettino dell'unione matematica italiana, che 'autorizzava' proprio a spiegare la derivata senza limiti (a non matematici) e illustrava come farlo.[/nota]
Bene, fine del papiello e cari saluti a tutti
.
Io distinguerei un piano didattico da un piano matematico/sostanziale.
Su un piano sostanziale:
"marco2132k":
Esiste qualche libro (no note scritte ieri per oggi da chi ha scoperto all'ultimo minuto che deve tenere analisi 1, ma testi sufficientemente meditati come sono alcuni libri di calculus americani) dove si usi questo approccio?
-La tua definizione di derivata in una variabile c'è già in effetti nei libri di Analisi 2, se la vedi in più variabili.
La tua definizione in una variabile in effetti mi sembra analoga alla definizione che si dà di differenziale, come 1-forma, per funzioni di più variabili, applicata a una funzione in una sola variabile.
Poiché in funzioni di una variabile derivabilità e differenziabilità coincidono, è anche una definizione di derivata.
-Non so bene perché pensi che lo scopo di definizione della derivata sia approssimare le funzioni. Non ne sarei sicura.
Quello secondo me è uno scopo successivo, sia logicamente, sia andando a guardare da un punto di vista storico.
L'esigenza di approssimare le funzioni con polinomi, cioè la formula di Taylor, viene dopo anche temporalmente, Taylor e Mac Laurin sono di una generazione successiva, quando Newton e Libnitz hanno già elaborato le derivate.[nota]Caso mai, boh, ci sono dei precursori, ma i precursori di qualcosa ci sono sempre.[/nota]
L'idea della introduzione delle derivate mi sembra sia diversa, intuitivamente è di quantificare un incremento di una funzione, in seguito a un incremento della variabile indipendente, quando quest'ultimo sia infinitesimo.[nota]Qualunque cosa voglia dire 'infinitesimo, non è che ci possiamo qui addentrare in una questione epocale.[/nota]
In Newton ad esempio è legato a una idea di movimento e di velocità, con le 'flussioni', in Leibnitz era legato più a problemi geometrici, come il problema di trovare la tangente, ma sempre legato a questioni infinitesimali, a incrementi infinitesimali.
"marco2132k":
In che altro modo si può mettere [più] in chiaro il ruolo della linearità nella definizione precedente? Ho chiesto che l'incremento sia lineare, ma così non è ben chiaro perché lo voglio.
-Ma perché uno per approssimare una funzione deve decidere con cosa la vuole approssimare, qui scegli di approssimarla con una funzione lineare, se la volessi approssimare con un polinomio di secondo grado o cinquattontesimo grado faresti una scelta diversa.
Dal punto di vista didattico:
-Il tuo modo di introdurre la derivata ti sembra più chiaro perché hai in mente la derivata come approssimazione di funzione in un punto, e se per te è meglio va bene così,.
Ma secondo me una persona che non ha mai visto le derivate dà la testa nel muro, perché deve imbarcarsi in contemporanea in concetti non immediati, tipo l'$o$ piccolo e l'idea di approssimazione di una funzione.
Nella mia esperienza personale, anche didattica, a persone che non sono matematici, l'idea di derivata è intuitivamente molto facile da spiegare.
La difficoltà l'ho sempre vista nel concetto di limite e nella sua definizione $epsilon-delta$, quella è la cosa ostica.
- In seguito alla reintroduzione degli infinitesimi con l'analisi non standard, molti hanno sostenuto che certi concetti dell'analisi è più facile insegnarli e farli comprendere usando gli infinitesimi.
Per cui gli infinitesimi sono tornati nell'insegnamento, a opera di alcuni autori che hanno svincolato l'analisi non standard dall'apparato logico che la rende ostica, e introdotta in testi di Calculus.
Un riferimento standard è: Keisler, Elementary Calculus.
Non ne so granché, ma è probabile che così si introducano concetti dell'analisi in maniera più intuitiva, perché si torna all'idea intuitiva 'quanto aumenta una funzione se la variabile indipendente aumenta di una quantità piccola piccola piccola, ma mooolto piccola'.
Certo con la $epsilon-delta$ analisi di Weierstrass & c. si è raggiunto un rigore maggiore, e ci si è sbarazzati del tutto degli imbarazzanti infinitesimi, ma non ne ha guadagnato la perspicuità dal lato intuitivo per i neofiti.
[nota]La derivata, in certi contesti, e per le esigenze di non matematici, si può spiegare anche senza la definizione di limite. Ho un articolo di parecchi anni fa sul Bollettino dell'unione matematica italiana, che 'autorizzava' proprio a spiegare la derivata senza limiti (a non matematici) e illustrava come farlo.[/nota]
Bene, fine del papiello e cari saluti a tutti

"megas_archon":No no, arrivo ad analisi 2.
Sai cos'è l'oggetto dei differenziali di Kähler?
Derivata alla Caratheodory, ad esempio.
È un approccio di cui parlammo tanto tempo fa qui.
P.S.: Che intendi con "interpretazione numerica"?
P.P.S.: "Ad occhio" stai confondendo derivata e differenziale.
È un approccio di cui parlammo tanto tempo fa qui.
P.S.: Che intendi con "interpretazione numerica"?
P.P.S.: "Ad occhio" stai confondendo derivata e differenziale.
\( \newcommand{\abs}[1]{\lvert{#1}\rvert} \)\( \newcommand{\norm}[1]{\lVert{#1}\rVert} \)Questo è il modo migliore possibile nel quale sono riuscito a formulare il mio problema. Il punto è che non sono in grado di fare la giusta domanda, e aprire questo e forse qualche altro thread (forse in Analisi perché è più appropriato) è il modo con il quale spero di arrivarci.
Mi aiuto con un esempio che mette in luce benissimo una delle questioni che ho intenzione di approfondire.
Sia \( f\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) una funzione, e sia \( a\in \mathbb R^2 \) un punto. Sia \( g \) una funzione \( g\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) tale che \( g(a) = f(a) \); 2) tale che la funzione \( T\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) definita ponendo \( T(\xi) = g(a - \xi) - g(a) \) per ogni \( \xi\in \mathbb R \) sia lineare; e 3) tale che la funzione \( \abs{f - g} \) sia un \( o \)-piccolo della funzione \( \norm{x - a} \) in \( a \).
Se disegniamo il grafico di \( f \) e di \( g \), viene fuori che \( g \) "è" (attenzione a questa affermazione) il piano tangente a \( g \) nel punto \( a \).
Ora. La richiesta dell'esistenza di una trasformazione lineare \( T\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) tale che
\[
\lim_{x\to a}{\frac{\abs{f(x) - f(a) - T(x - a)}}{\norm{x - a}}} = 0
\] (è equivalente alla richiesta che esista una \( g \) come l'ho definita io prima ed) è equivalente all'esistenza di un piano -il quale vive in \( \operatorname{dom}(f)\times \operatorname{cod}(f) = \mathbb R^2\oplus \mathbb R \)- tangente al grafico di \( f \); questo piano è identificato dalla funzione lineare \( T \), e ne è di fatto il grafico
\[
\operatorname{graph}(T) = \{x + T(x) : x\in \mathbb R^2\}\leqq \mathbb R^2\oplus \mathbb R\text{.}
\](i vettori \( T(x) \) che compaiono nella formula sopra sono "frecce verticali" che "alzano" le frecce 2d "del pavimento" date dagli \( x\in \mathbb R \)).
Ebbene, vorrei comprendere meglio la relazione che c'è tra gli oggetti geometrici -i piani o le rette-, e le funzioni lineari che (danno luogo a funzioni affini che) approssimano la funzione \( f \) vicino al punto considerato.
Il perché e il come delle seconde mi è più o meno chiaro, ed è per questo che preferisco quando la derivata è introdotta "alla Taylor"; per quanto riguarda i primi mi sa invece che non ho capito nulla :o
Più in generale, vorrei comprendere meglio la relazione tra "cose fatte in un certo modo che vivono in \( \mathbb R^3 \)" e "funzioni \( \mathbb R^2\to \mathbb R \) che soddisfanno a certe proprietà strutturali". Da quello che ho capito, forse è meglio se pospongo la domanda fino a che non mi mostrano un po' di geometria differenziale, perché il contesto più naturale dove approfondire questa questione è la materia che parla di (sotto)varietà di varietà di differenziabili e di funzioni implicite. Ah, neanche a dirlo: se non riesco a vedere la cosa prima ad un livello di generalità appropriato (che, ad esempio, nel contesto di un corso di analisi 2 significa che perlomeno specifica a quale spazio appartiene cosa, e quindi necessariamente parla di spazi normati generali e non di "\( \mathbb R^n \)"), è probabile che la mia testa si rifiuti di capirla.
Per funzioni di una sola variabile reale la situazione mi sembra ancora più incasinata di così (chi ha intenzione di dirmi che la derivata -intendo qui proprio il numero reale \( f^\prime(a) \)- è la "variazione istantanea" della grandezza \( f \), dica tra se e se molto lentamente "variazione istantanea" davanti allo specchio).
Devo aggiungere una cosa in merito: secondo me (e stando comunque alla mia stra-limitata esperienza), il limite del rapporto incrementale standard è solo un "pezzo" dell'oggetto che si ha intenzione di definire quando si cerca di formalizzare l'idea di derivata - un pezzo col quale è semplice fare i conti. Credo che sia diventato la definizione di derivata comunemente accettata per l'abitudine degli analisti ad assumere come definizioni, appunto, gli accrocchi con i quali è semplice fare i conti.
Mi aiuto con un esempio che mette in luce benissimo una delle questioni che ho intenzione di approfondire.
Sia \( f\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) una funzione, e sia \( a\in \mathbb R^2 \) un punto. Sia \( g \) una funzione \( g\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) tale che \( g(a) = f(a) \); 2) tale che la funzione \( T\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) definita ponendo \( T(\xi) = g(a - \xi) - g(a) \) per ogni \( \xi\in \mathbb R \) sia lineare; e 3) tale che la funzione \( \abs{f - g} \) sia un \( o \)-piccolo della funzione \( \norm{x - a} \) in \( a \).
Se disegniamo il grafico di \( f \) e di \( g \), viene fuori che \( g \) "è" (attenzione a questa affermazione) il piano tangente a \( g \) nel punto \( a \).
Ora. La richiesta dell'esistenza di una trasformazione lineare \( T\colon \mathbb R^2\to \mathbb R \) tale che
\[
\lim_{x\to a}{\frac{\abs{f(x) - f(a) - T(x - a)}}{\norm{x - a}}} = 0
\] (è equivalente alla richiesta che esista una \( g \) come l'ho definita io prima ed) è equivalente all'esistenza di un piano -il quale vive in \( \operatorname{dom}(f)\times \operatorname{cod}(f) = \mathbb R^2\oplus \mathbb R \)- tangente al grafico di \( f \); questo piano è identificato dalla funzione lineare \( T \), e ne è di fatto il grafico
\[
\operatorname{graph}(T) = \{x + T(x) : x\in \mathbb R^2\}\leqq \mathbb R^2\oplus \mathbb R\text{.}
\](i vettori \( T(x) \) che compaiono nella formula sopra sono "frecce verticali" che "alzano" le frecce 2d "del pavimento" date dagli \( x\in \mathbb R \)).
Ebbene, vorrei comprendere meglio la relazione che c'è tra gli oggetti geometrici -i piani o le rette-, e le funzioni lineari che (danno luogo a funzioni affini che) approssimano la funzione \( f \) vicino al punto considerato.
Il perché e il come delle seconde mi è più o meno chiaro, ed è per questo che preferisco quando la derivata è introdotta "alla Taylor"; per quanto riguarda i primi mi sa invece che non ho capito nulla :o
Più in generale, vorrei comprendere meglio la relazione tra "cose fatte in un certo modo che vivono in \( \mathbb R^3 \)" e "funzioni \( \mathbb R^2\to \mathbb R \) che soddisfanno a certe proprietà strutturali". Da quello che ho capito, forse è meglio se pospongo la domanda fino a che non mi mostrano un po' di geometria differenziale, perché il contesto più naturale dove approfondire questa questione è la materia che parla di (sotto)varietà di varietà di differenziabili e di funzioni implicite. Ah, neanche a dirlo: se non riesco a vedere la cosa prima ad un livello di generalità appropriato (che, ad esempio, nel contesto di un corso di analisi 2 significa che perlomeno specifica a quale spazio appartiene cosa, e quindi necessariamente parla di spazi normati generali e non di "\( \mathbb R^n \)"), è probabile che la mia testa si rifiuti di capirla.
Per funzioni di una sola variabile reale la situazione mi sembra ancora più incasinata di così (chi ha intenzione di dirmi che la derivata -intendo qui proprio il numero reale \( f^\prime(a) \)- è la "variazione istantanea" della grandezza \( f \), dica tra se e se molto lentamente "variazione istantanea" davanti allo specchio).
P.P.S.: "Ad occhio" stai confondendo derivata e differenziale.Sì hai ragione ma è fatto deliberatamente, non è questo che mi interessa ora.
P.S.: Che intendi con "interpretazione numerica"?Lascia perdere, era una citazione da un libro di analisi che avevo citato in un altro post.
Devo aggiungere una cosa in merito: secondo me (e stando comunque alla mia stra-limitata esperienza), il limite del rapporto incrementale standard è solo un "pezzo" dell'oggetto che si ha intenzione di definire quando si cerca di formalizzare l'idea di derivata - un pezzo col quale è semplice fare i conti. Credo che sia diventato la definizione di derivata comunemente accettata per l'abitudine degli analisti ad assumere come definizioni, appunto, gli accrocchi con i quali è semplice fare i conti.
Il punto, almeno per quel che riguarda lo spoiler ed almeno per come la vedo io, è che usualmente l'esposizione dell'Analisi procede per generalizzazioni presentandole quando queste servono.
Per il resto devo leggere bene (cosa che non ho fatto in tempo a fare) per capire cosa vuoi davvero.
Per il resto devo leggere bene (cosa che non ho fatto in tempo a fare) per capire cosa vuoi davvero.
"marco2132k":
Per funzioni di una sola variabile reale la situazione mi sembra ancora più incasinata di così (chi ha intenzione di dirmi che la derivata -intendo qui proprio il numero reale \( f^\prime(a) \)- è la "variazione istantanea" della grandezza \( f \), dica tra se e se molto lentamente "variazione istantanea" davanti allo specchio).
Guarda Marco, qui nessuno ha mai detto che la derivata è la 'variazione istantanea' della grandezza, basta avere fatto il liceo scientifico, ma nemmeno Analisi I, e non essere completamente cretini, per sapere cosa è una derivata secondo la definizione rigorosa attuale in un primo corso di Analisi.
Leggi quello che uno scrive con un minimo di attenzione, anche perché io ho risposto specificamente a una tua domanda, non è che ho fatto un trattato astratto.
Stai sorvolando, tra l'altro, su qualche secolo di dibattito sugli infinitesimi.
Tu nel primo post hai posto una domanda molto chiara e specifica (ora nel tuo post ultimo ne stai ponendo altre, che non c'entrano con la prima), a cui ho risposto.
Hai detto che introdurre la derivata come hai fatto tu nel post era più chiaro concettualemente e intuitivamente, perché hai detto che secondo te l'idea della derivata era quella di approssimare una funzione. E hai chiesto se il tuo modo di introdurre la derivata fosse un modo più comprensibile e migliore per chi vede le derivate la prima volta.
Io ti ho risposto che secondo me no, che penso che l'idea intuitiva di derivata, per i neofiti, è più quella di un incremento della variabile indipendente per un incremento 'infinitesimo' (lasciando a 'infinitesimo' un significato intuitivo) della variabile indipendente.
Mentre introdurre in una definizione per principianti l'$o$ piccolo o l'idea di approssimazione di funzioni è confondente.
E questo è anche più in linea con le origini storiche della derivata, legata ad esempio in Newton a idee di movimento e velocità (c'è bisogno di ricordare la fisica, forse, nello sviluppo dell'analisi moderna?)
E non schiferei tanto il concetto di 'variazione istantanea', cioè di infinitesimi, perché il dibattito sugli infinitesimi ha percorso tutta la storia dell'analisi, creando non pochi problemi, e c'era gente come Berkeley che li schifava (come te

E non è nemmeno un caso che, nonostante le rogne che causavano, siano stati comunque utilizzati per tanto tempo: quando Cauchy scrisse il suo Course d'Analyse per l'Ecole Polytechnique, 1821, da parte dell'Ecole ci fu la richiesta esplicita di non espungere gli infinitesimi, perché preferibili dal punto di vista dell'insegnamento. Quindi, niente di nuovo sotto il sole.
Non devo inoltre ricordare di nuovo che gli infinitesimi sono stati ripresi con l'analisi non standard, e che comunque c'è tuttora una notevole letteratura che si occupa di infinitesimi, o ritiene ad esempio che non è vero che gli infinitesimi siano spariti dall'analisi una volta che c'è stata la formulazione $epsilon-delta$ di Weierstrass. E che molti analisti dell'800 lavoravano in un insieme numerico che, con terminologia attuale, non è il continuum archimedeo dei reali, ma qualcosa di analogo all'insieme numerico dell'attuale analisi non standard.
Tu sei molto bravo, le tue riflessioni sono giustissime, e le tue esigenze di comprensioni ottime, anche nell'idea di capire le cose nel contesto della geometria differenziale, ma bisogna anche ricordare che le derivate non sono arrivate con un pacchettino sotto l'albero di Natale, con le derivate di Gateaux, di Fréchet, le distribuzioni, la geometria differenziale, e ogni ben di Dio, ma hanno tanto alle spalle di non meno nobile.
Altri tempi, in cui caso mai l'idea di rigore e di astrazione era diversa dalla nostra, ma non da buttare come roba 'superata'.
E anche se ci fosse quel pacchettino, non è quello da mettere in mano come prima cosa a uno studente che vede le derivate per la prima volta, credo.
Tutto qui.
"gabriella127":
[quote="marco2132k"]
Per funzioni di una sola variabile reale la situazione mi sembra ancora più incasinata di così (chi ha intenzione di dirmi che la derivata -intendo qui proprio il numero reale \( f^\prime(a) \)- è la "variazione istantanea" della grandezza \( f \), dica tra se e se molto lentamente "variazione istantanea" davanti allo specchio).
Guarda Marco, qui nessuno ha mai detto che la derivata è la 'variazione istantanea' della grandezza, basta avere fatto il liceo scientifico, ma nemmeno Analisi I, e non essere completamente cretini, per sapere cosa è una derivata secondo la definizione rigorosa attuale in un primo corso di Analisi.
Leggi quello che uno scrive con un minimo di attenzione, anche perché io ho risposto specificamente a una tua domanda, non è che ho fatto un trattato astratto.
Stai sorvolando, tra l'altro, su qualche secolo di dibattito sugli infinitesimi.[/quote]
Pose snob di una certa scuola... Volevo scrivere qualcosa in merito, ma ho lasciato correre: da uno studentello del secondo anno è ancora accettabile; è quando queste pose vengono adottate dai "grandi" che diventano preoccupanti.
Piccola chiarificazione (poi rispondo dopo un po').
@gabriella127 Quello che volevo dire è che pensare a una variazione istantanea è dannatamente paradossale (guarda anche questo); e lo è sia per me che tanto più (immagino) per chi vede le derivate per la prima volta. Col passaggio che hai quotato volevo rispondere a te che hai hai parlato di come storicamente le derivate siano state prima rapporto di infinitesimi o giù di lì, e poi strumenti di approssimazione: secondo me (e come ho già detto), l'interpretazione giusta della derivata dell'analisi 1 non è quella quella di una misura di una variazione istantanea, perché "variazione istantanea" è appunto un ossimoro. Nota anche che la domanda iniziare riguardava in un certo senso quale dovesse essere l'interpretazione giusta della derivata, non di come definirla. E la risposta a questo non può che essere data dal senno di poi. Morale: quello che ho scritto non era una presa per il culo, come invece l'hai interpretato.
Riguardo invece il fatto che con l'ultimo post ho divagato: sì, è vero. Però non saprei come separare le due domande: insomma, il piano didattico è vicino a quello sostanziale (una cosa la definisci in un certo modo perché vuoi formalizzare un'idea che hai in testa; ma qual è questa idea: una variazione istantanea o altro?)
P.S. Sono sicuro di aver appena scritto un aborto incomprensibile ma ho una certa fretta; se ho tempo correggo qualcosa dopo.
@gabriella127 Quello che volevo dire è che pensare a una variazione istantanea è dannatamente paradossale (guarda anche questo); e lo è sia per me che tanto più (immagino) per chi vede le derivate per la prima volta. Col passaggio che hai quotato volevo rispondere a te che hai hai parlato di come storicamente le derivate siano state prima rapporto di infinitesimi o giù di lì, e poi strumenti di approssimazione: secondo me (e come ho già detto), l'interpretazione giusta della derivata dell'analisi 1 non è quella quella di una misura di una variazione istantanea, perché "variazione istantanea" è appunto un ossimoro. Nota anche che la domanda iniziare riguardava in un certo senso quale dovesse essere l'interpretazione giusta della derivata, non di come definirla. E la risposta a questo non può che essere data dal senno di poi. Morale: quello che ho scritto non era una presa per il culo, come invece l'hai interpretato.
Riguardo invece il fatto che con l'ultimo post ho divagato: sì, è vero. Però non saprei come separare le due domande: insomma, il piano didattico è vicino a quello sostanziale (una cosa la definisci in un certo modo perché vuoi formalizzare un'idea che hai in testa; ma qual è questa idea: una variazione istantanea o altro?)
P.S. Sono sicuro di aver appena scritto un aborto incomprensibile ma ho una certa fretta; se ho tempo correggo qualcosa dopo.
"marco2132k":
@gabriella127 Quello che volevo dire è che pensare a una variazione istantanea è dannatamente paradossale (guarda anche questo); e lo è sia per me che tanto più (immagino) per chi vede le derivate per la prima volta. [...] quello che ho scritto non era una presa per il culo, come invece l'hai interpretato.
I latini avrebbero detto est modus in rebus.
Il "dire bene" non è solo un atteggiamento da tenere a livello tecnico, ma anche a livello di comunicazione personale.
"marco2132k":
Nota anche che la domanda iniziale riguardava in un certo senso quale dovesse essere l'interpretazione giusta della derivata, non di come definirla.
Ad essere sincero, l'incipit dello OP recitava:
"marco2132k":
Non mi piace il modo in cui è introdotta la derivata nei corsi di analisi in una variabile [...]
e seguiva poi una definizione di derivata/differenziale (non si capisce bene, perché non fai distinzione... E quindi non spieghi cosa non ti è chiaro).
"marco2132k":
Riguardo invece il fatto che con l'ultimo post ho divagato: sì, è vero. Però non saprei come separare le due domande: insomma, il piano didattico è vicino a quello sostanziale (una cosa la definisci in un certo modo perché vuoi formalizzare un'idea che hai in testa; ma qual è questa idea: una variazione istantanea o altro?)
Il piano didattico non è poi tanto vicino a quello sostanziale, o almeno non sempre. Se ci rifletti, la didattica è mediazione (anche se in tanti, per le ragioni più disparate, tendono a dimenticarlo).
Sì, gugo, da un lato ti dò ragione, ma io non ce l'ho affatto con Marco, che secondo me fa benissiimo a porsi certi problemi, possono anche essere 'pose', ma non credo che nel caso di Marco sia un atteggiamento superficiale, c'è
una reale voglia di capire e di pensare, e ognuno deve seguire il proprio carattere e la propria strada.
Quello che mi sembra è che Marco, anzi, mi rivolgo direttamente a lui, che tu Marco, ami l'astrazione e il 'volare alto', e questo probabilmente ti indirizza verso alcune materie più che verso altre, non so. E questo ti fa merito.
Ma non bisogna volere la complicazione a tutti i costi, fino a restarci male (perdonami se te lo dico) se la questione può avere risposte (apparentemente) semplici, senza attingere ai massimi sistemi della matematica attuale, a nozioni avanzate e parole altisonanti. E credimi, non è una critica, tu hai diritto al tuo carattere e alla tua forma mentis, ma devi accettare che ci siano altre persone che non procedono così.
E non ti devi offendere se uno dà spiegazioni che si mantengono a un livello 'più basso', come se uno sminuisse quello che dici (e metto il 'più basso' tra diecimila virgolette').
Perché la semplicità non è una cosa facile da raggiungere ed è spesso il segno di maturità intellettuale, mentre la complicazione a tutti i costi sembra, come dire, una 'malattia infantile del matematico', che può oscurare le questioni invece di consentire di andare avanti in profondità a mano a mano in una una materia così complessa come la matematica.
E' una cosa che hanno detto anche i poeti, non mi ricordo chi diceva che da ragazzi si apprezza 'Romagna solatìa dolce paese', per poi passare all'intellettualismo degli ermetici, per poi ritornare con la maturità a 'Romagna solatìa dolce paese'-
Ecco Marco, non schifare 'Romagna solatìa dolce paese', vedrai che arriverai ad apprezzarlo
Perdonami se mi permetto questo discorso personale, lo dico solo da persona più avanti di te con gli anni, non certo migliore o più intelligente di te. E lo dico perché il tuo contributo e il tuo dialogo qui sul Forum, che io apprezzo molto, possa continuare nella maniera migliore per tutti.
@ gugo Per quanto riguarda i 'grandi', ripeto che ognuno ragiona e contribuisce secondo la propria personalità e va bene così, la pluralità degli atteggiamenti e delle argomentazioni non può che fare bene al Forum.
[edit] Marco, vedo solo ora il tuo ultimo post sugli infinitesimi, rileggo con calma e poi ne riparliamo
una reale voglia di capire e di pensare, e ognuno deve seguire il proprio carattere e la propria strada.
Quello che mi sembra è che Marco, anzi, mi rivolgo direttamente a lui, che tu Marco, ami l'astrazione e il 'volare alto', e questo probabilmente ti indirizza verso alcune materie più che verso altre, non so. E questo ti fa merito.
Ma non bisogna volere la complicazione a tutti i costi, fino a restarci male (perdonami se te lo dico) se la questione può avere risposte (apparentemente) semplici, senza attingere ai massimi sistemi della matematica attuale, a nozioni avanzate e parole altisonanti. E credimi, non è una critica, tu hai diritto al tuo carattere e alla tua forma mentis, ma devi accettare che ci siano altre persone che non procedono così.
E non ti devi offendere se uno dà spiegazioni che si mantengono a un livello 'più basso', come se uno sminuisse quello che dici (e metto il 'più basso' tra diecimila virgolette').
Perché la semplicità non è una cosa facile da raggiungere ed è spesso il segno di maturità intellettuale, mentre la complicazione a tutti i costi sembra, come dire, una 'malattia infantile del matematico', che può oscurare le questioni invece di consentire di andare avanti in profondità a mano a mano in una una materia così complessa come la matematica.
E' una cosa che hanno detto anche i poeti, non mi ricordo chi diceva che da ragazzi si apprezza 'Romagna solatìa dolce paese', per poi passare all'intellettualismo degli ermetici, per poi ritornare con la maturità a 'Romagna solatìa dolce paese'-

Ecco Marco, non schifare 'Romagna solatìa dolce paese', vedrai che arriverai ad apprezzarlo

Perdonami se mi permetto questo discorso personale, lo dico solo da persona più avanti di te con gli anni, non certo migliore o più intelligente di te. E lo dico perché il tuo contributo e il tuo dialogo qui sul Forum, che io apprezzo molto, possa continuare nella maniera migliore per tutti.
@ gugo Per quanto riguarda i 'grandi', ripeto che ognuno ragiona e contribuisce secondo la propria personalità e va bene così, la pluralità degli atteggiamenti e delle argomentazioni non può che fare bene al Forum.
[edit] Marco, vedo solo ora il tuo ultimo post sugli infinitesimi, rileggo con calma e poi ne riparliamo

"gabriella127":
Sì, gugo, da un lato ti dò ragione, ma io non ce l'ho affatto con Marco, che secondo me fa benissiimo a porsi certi problemi, possono anche essere 'pose', ma non credo che nel caso di Marco sia un atteggiamento superficiale, c'è una reale voglia di capire e di pensare, e ognuno deve seguire il proprio carattere e la propria strada.
Figurati se io ce l'ho con Marco... Solo che di certi atteggiamenti/pose/espressioni meno ce n'è, meglio è: non contribuiscono alla serenità del discorso.
"gugo82":
Il piano didattico non è poi tanto vicino a quello sostanziale, o almeno non sempre. Se ci rifletti, la didattica è mediazione (anche se in tanti, per le ragioni più disparate, tendono a dimenticarlo).
Sono molto d'accordo.
Io ho insegnato non matematica, ma economia ai miei cari somaroni (somaroni non perché fossero stupidi, anzi, ma l'economia è ostica per studenti di giurisprudenza), devo dire sempre con ottimo rapporto con gli studenti.
C'è bisogno di un momento più sofisticato, più approfondito, in cui si spiegano le cose più col cesello, ma poi c'è bisogno anche della zappa: "Fate così così e cosà, mettete due assi in croce e scrivete questo e quello, non avete capito? Fatelo lo stesso, crepate a fare bene i grafici e poi ne parliamo". Non proprio così, ma il succo è quello.
Come dire, col nostro insuperato maestro Carlo Verdone, sta mano po esse fero e po esse piuma"

"gugo82":
Il piano didattico non è poi tanto vicino a quello sostanziale, o almeno non sempre. Se ci rifletti, la didattica è mediazione (anche se in tanti, per le ragioni più disparate, tendono a dimenticarlo).
Sono assolutamente d'accordo anche io, se fosse in quel modo nei corsi di topologia bisognerebbe innanzitutto fare anche gli spazi uniformi, ma soprattutto prima degli spazi metrici, cosa che non fa praticamente nessuno (direi anche giustamente), l'unico caso che conosco che lo fa è il Bourbaki nel suo libro di topologia.
Visto che mi sono un attimo schiarito le idee riguardo a che cosa chiedere, volete che si chiuda questo thread confusionario e che ne apra un altro appena ho tempo (entro domani spero) di fare delle domande concrete?
Perché anche se rispondeste a quello che ho scritto qui, è improbabile che imbrocchiate la risposta giusta, perché è vero che non è per nulla chiaro quello che non mi è chiaro.
Perché anche se rispondeste a quello che ho scritto qui, è improbabile che imbrocchiate la risposta giusta, perché è vero che non è per nulla chiaro quello che non mi è chiaro.
Secondo me è meglio continuare qui, anche se non è chiaro quello che non è chiaro, la mancanza di chiarezza qui può aiutare a far diventare più chiaro ciò che non è chiaro

"marco2132k":
Piccola chiarificazione (poi rispondo dopo un po').
@gabriella127 Quello che volevo dire è che pensare a una variazione istantanea è dannatamente paradossale (guarda anche questo); e lo è sia per me che tanto più (immagino) per chi vede le derivate per la prima volta.
P.S. Sono sicuro di aver appena scritto un aborto incomprensibile ma ho una certa fretta
No no, si capisce benissimo.
Hai ragione a dire che l'idea di variazione istantanea[nota]Scusami, ho visto solo l'inizio del video, un video di 17 minuti al momento è superiore alle mie forze

Ma qua siamo nell'ambito della questione, con secoli di storia alle spalle, del comprendere le nozioni di infinito e di infinitamente piccolo, che tanti paradossi e discussioni hanno portato, sia in filosofia sia in matematica.
In analisi matematica quale noi la studiamo, la soluzione è stata nel concetto di limite, è quello che ha spianato la strada all'uscita dai paradossi, ma che ha, per così dire, addomesticato l'infinito riportandolo al finito, il cosiddetto infinito potenziale. Poi, l'infinito attuale (nel senso di 'in atto', contapposto all'infinito potenziale, non nel senso di 'presente') è tornato con Cantor, ma non senza polemiche.
Ma ripeto, non è che la questione degli infinitesimi sia chiusa e consegnata ai nostri antenati, c'è tutt'ora una letteratura in merito, anche filosofica. E, ripeto, c'è la loro riabilitazione, anche nella didattica, con l'analisi non standard.
Mi viene in mente, tanto per un esempio, un articolo in cui mi sono imbattuta, dal titolo Infinitesimal as an Issue of Neokantian Philosophy of Science, nel cui abstract si dice:
"[...] Our main thesis is that Marburg neo-Kantian philosophy formulated a sophisticated position towards the problems raised by the concepts of limits and infinitesimals. The Marburg school neither clung to the traditional approach of logically and metaphysically dubious infinitesimals, nor whiggishly subscribed to the new orthodoxy of the “great triumvirate” of Cantor, Dedekind, and Weierstrass that declared infinitesimals conceptus nongrati in mathematical discourse, etc. etc. etc.".
Mi fermo qui per non prendermi una secchiata di acqua in testa, ma comunque è solo per dire che non è che sono questioni che si possono liquidare come bruscolini.
E qui comunque siamo nell'ambito del capire matematicamente o filosoficamente questi concetti.
Ma qui stiamo parlando di didattica per persone alle prime armi, e secondo me e nella mia esperienza l'idea di istante e di infinitamente piccolo è abbastanza naturale, spontanea, dà quell'idea di "Ah ah, ho capito".
Poi che sia questa comprensione, non è dato saperlo bene, che sia questo 'capire intuitivamente'.
E prescinde da comunque si vogliano definire rigorosamente gli infinitesimi, perché qui casca l'asino.
Poi, sai, se ci sia una comprensione immediata intuitiva di questi concetti attiene più alle scienze cognitive e all'antropologia, che alla matematica e alla filosofia.
Ma il fatto che si parli di infinito e di infinitamente piccolo fin dall'antichità fa pensare che è qualcosa che si impone spontaneamente al pensiero umano.
Allora, se non crollo prima dopo mi leggo il tuo post.
Comunque ho deciso di iniziare a mettere giù del materiale per un nuovo thread che sarà più propriamente matematico e che posterò nella sezione di analisi, così qui si può parlare di didattica (e si potrà parlare di didattica anche meglio, dopo che avrò chiarito quelle cose; vedrete perché insisto!
). Però faccio con calma.
Comunque ho deciso di iniziare a mettere giù del materiale per un nuovo thread che sarà più propriamente matematico e che posterò nella sezione di analisi, così qui si può parlare di didattica (e si potrà parlare di didattica anche meglio, dopo che avrò chiarito quelle cose; vedrete perché insisto!

Con tutto il tempo che vuoi, aspettiamo tue notizie, e grazie sempre dei tuoi interventi.
