Vita da PhD (o da dottorandi)

Intermat
Sono uno studente di ing. Gestionale (trascurabile al fine del discorso) e mi avvio ad iniziare l'ultimo anno (con buona/buonissima probabilità) di università. Arrivato a questo punto devo decidere cosa fare dopo. Ecco, se è difficile scegliere l'università, figurarsi scegliere cosa fare una volta finita!
Sinceramente a me piace studiare, sin da quando ero piccolo. Quindi l'idea, un giorno, di "essere pagati" per studiare sarebbe la cosa più gratificante di tutte, sarebbe oggettivamente una cosa me mi piacerebbe molto.
A questo punto comincio a chiedermi (in verità ci penso da tempo) se la mia strada debba proseguire con un PhD (magari per poi iniziare una carriera accademica, compatibilmente con la fattibilità di tale idea) oppure se, più normalmente, continuare con una ricerca di un lavoro quanto più possibile attinente al mio campo di studi (cosa in linea teorica non molto difficile da farsi).

Volevo chiedere dunque a voi come avete vissuto la vostra vita durante il PhD (o il dottorato). Insomma, arrivati a 24/25 anni e magari laureati con ottimi voti, si vorrebbe iniziare anche ad essere più indipendenti. Quindi, da chi ha avuto una esperienza di Phd (all'estero) o di dottorato (in Italia), volevo sapere come ha vissuto questa esperienza (non mi interessa il fatto che il 95% di voi avrà fatto il dottorato in Fisica o Matematica, la disciplina non credo incida), quanto è effettivamente una esperienza formativa, quante soddisfazioni vi ha dato e quanto è economicamente sostenibile.
Quest'ultimo è un punto importante, io propenderei a scegliere una soluzione estera, per due motivi: in Italia il dottorato è scarsamente considerato fuori dal mondo accademico e, da un punto di vista economico, è trattato in modo ridicolo (800/900€ se vinci una borsa, più o meno, e niente se non la vinci). All'estero la situazione non mi pare rosea ma almeno gli stipendi (o le borse di studio, a seconda del trattamento previsto dal singolo stato) sono un po' più alti, in UK almeno 1100/1200 £ al mese (che però per Londra, ad es., sono insufficienti per vivere), in Svizzera si va anche oltre i 2000 € (ma anche qui il costo della vita è notevole).

Trovo inutile andare avanti nel parlare da solo, le mie idee (e forse anche alcuni preconcetti) li ho chiari. Ora vorrei sapere, da chi di voi ha vissuto un esperienza di PhD o dottorato, come avete vissuto quegli anni. Mi vanno bene anche semplicemente le sensazioni e le soddisfazioni ottenute. Insomma, vorrei capire, da voi, cosa il dottorato mi potrebbe dare che un normale lavoro invece non potrebbe.

Dopo aver risposto come meglio credete ai miei dubbi vi vorrei chiedere una risposta sintentica (in stile questionario): "Pensate che il dottorato sia (auto)sostenibile da un punto di vista economico?" (SI-NO)

PS: Mi aspetto delle risposte, il forum è popolato da docenti e dottorandi, è impossibile che non riceva risposte. Vi, prego, non deludetemi... :smt023

PPS: Il campo che io vorrei approfondire, nonostante non sia a me molto prossimo, è il Machine Learning oppure quella parte di Ricerca Operativa che sfocia nell'Ottimizzazione.

Risposte
Intermat
"gugo82":

[quote="Intermat"]Gugo82, tu sei nel mondo accademico, se non sbaglio, come lo hai trovato il dottorato? E quanto è difficile entrare nelle "gerarchie" accademiche senza rimanere precario (sottopagato) a vita? (ovviamente se ti va di rispondere!).

Ne parliamo in privato, se vuoi.[/quote]
Credo di averti inviato un MP, ma non riesco a capire se è stato effettivamente inviato!

Intermat
Era una società di consulenza di medio-piccola dimensione e la prospettiva di carriera ce la spiegava sia il capo HR sia il senior partner (nonché fondatore della società). Ora le figure erano importanti per l'azienda ma tra qui e prendere per oro colato ciò che ci dicevano ce ne passa! In ogni caso le grandi società (tipicamente anglosassoni) hanno sempre (in linea teorica) un ingresso per i PhD da un livello (almeno) pari ai 3 anni di esperienza fatta dai neolaureati assunti. Poi come si comportino gli addetti HR non ne ho la più pallida idea.

PS: Leggendo su internet però noto che all'estero, specie nei paesi anglosassoni, il PhD è visto molto di più come un qualcosa di applicativo e vicino alle imprese (che talvolta finanziano i progetti di ricerca).

PPS: Le aziende spesso chiedono consulenze alle università per molti loro bisogni. Non è che i professori e i ricercatori siano completamente avulsi dal mondo industriale. Ovvio che un ricercatore in matematica non ha rapporti con la Peroni o la Unilever (ad esempio) mentre un ricercatore di Ingegneria (meccanica, gestionale, energetica) invece si. Insomma immagino che dipenda molto da cosa si stia facendo durante il dottorato ed eventualmente nella carriera accademica.

Cmax1
"Intermat":
Solitamente le grandi aziende (specie nella consulenza) assumono PhD (quando lo fanno) facendoli partire da livelli gerarchici superiori rispetto ai neolaureati. Questo in linea teorica (ce lo spiegava un dirigente HR), in pratica non so.

Capisco che non sia un'informazione divulgabile, ma sarei veramente curioso di sapere a quale azienda appartiene il dirigente HR menzionato. In realtà non è raro che in ambito aziendale e industriale il dottore di ricerca venga visto come un perdigiorno che aspira a un posto pagato di non-lavoro. Non ho sufficiente esperienza di partecipazione a selezioni per dire se un simile atteggiamento sia prevalente, ma purtroppo l'ho incontrato. Posso invece dire con maggiore confidenza che, in relazione ai posti gerarchici, l'inquadramento di un laureato con esperienza lavorativa di durata pari a quella di un dottorato è in genere superiore a quello di un neo-Ph.D. Lo stesso in realtà si può dire dei cosiddetti Master, anche quelli prestigiosi: si tratta di abbellimenti che sono efficaci per quei profili destinati per altri motivi (parentele, raccomandazioni, o anche riconoscimenti professionali, non escludiamolo) sono destinati a posizioni remunerative, al limite possono valere come titolo preferenziale per l'assunzione in posizioni entry-level, ma non molto di più.
Suppongo, ma questa è una mia generica convinzione (quindi prendila come tale, non ho certo svolto analisi sociologiche a riguardo), che dipenda dalla modifica di atteggiamento nei confronti del mondo della ricerca e dell'accademia: in passato era un mondo da cui potevano provenire preziosi suggerimenti da tradurre in business (un tardo esempio sono alcune componenti del web), mentre ora la sua importanza viene vista prevalente negli appalti che può assegnare (sempre meno, in questo frangente economico).
Sugli sviluppi di carriera, la percentuale di coloro che riescono a stabilizzarsi in lavori di ricerca è progressivamente diminuita e credo il trend rimarrà questo, e tieni conto che la selezione si gioca ormai quasi esclusivamente sugli aspetti relazionali: riuscire a inserirsi nella linea di lavoro di un relatore influente e ben posizionato è importante non tanto per il livello della ricerca (si trovano molti ottimi lavori anche in ambienti periferici) ma per il riconoscimento ai concorsi.

gugo82
"Intermat":
[quote="gugo82"]
D'altra parte, un ingegnere con dottorato è visto in maniera davvero strana dalle aziende... La domanda frequente ai colloqui è "Ah, hai il dottorato... E che sai fare, a parte studiare?". [True story...]

Non so se gli incentivi all'assunzione di personale altamente qualificato (cioè con titoli superiori alla laurea) invertiranno questa tendenza[nota]Cosa possibile a breve termine, dato che le aziende italiane vanno sempre in cerca di manodopera pagata da altri (vedi incentivi statali sull'assunzione di personale a t.d., sull'assunzione a t.d. di categorie protette, sull'assunzione di personale altamente qualificato, etc...).[/nota], altrimenti la vedo dura trovare un lavoro qui dopo tre anni di dottorato.

Solitamente le grandi aziende (specie nella consulenza) assumono PhD (quando lo fanno) facendoli partire da livelli gerarchici superiori rispetto ai neolaureati. Questo in linea teorica (ce lo spiegava un dirigente HR), in pratica non so.[/quote]
"In pratica" due consigli: 1) non credere a tutte le cazzate che dicono quelli dei settori HR; 2) le grandi aziende di consulenza in Italia sono due, tre, il resto è media impresa; dunque, ciò che fanno le grandi aziende è del tutto irrilevante sul nostro mercato del lavoro.

"Intermat":
Gugo82, tu sei nel mondo accademico, se non sbaglio, come lo hai trovato il dottorato? E quanto è difficile entrare nelle "gerarchie" accademiche senza rimanere precario (sottopagato) a vita? (ovviamente se ti va di rispondere!).

Ne parliamo in privato, se vuoi.

Intermat
"gugo82":

D'altra parte, un ingegnere con dottorato è visto in maniera davvero strana dalle aziende... La domanda frequente ai colloqui è "Ah, hai il dottorato... E che sai fare, a parte studiare?". [True story...]

Non so se gli incentivi all'assunzione di personale altamente qualificato (cioè con titoli superiori alla laurea) invertiranno questa tendenza[nota]Cosa possibile a breve termine, dato che le aziende italiane vanno sempre in cerca di manodopera pagata da altri (vedi incentivi statali sull'assunzione di personale a t.d., sull'assunzione a t.d. di categorie protette, sull'assunzione di personale altamente qualificato, etc...).[/nota], altrimenti la vedo dura trovare un lavoro qui dopo tre anni di dottorato.

Solitamente le grandi aziende (specie nella consulenza) assumono PhD (quando lo fanno) facendoli partire da livelli gerarchici superiori rispetto ai neolaureati. Questo in linea teorica (ce lo spiegava un dirigente HR), in pratica non so.

Gugo82, tu sei nel mondo accademico, se non sbaglio, come lo hai trovato il dottorato? E quanto è difficile entrare nelle "gerarchie" accademiche senza rimanere precario (sottopagato) a vita? (ovviamente se ti va di rispondere!).

gugo82
"Luca.Lussardi":
Riguardo al phd stesso, per tradizione si tratta di un percorso di studi atto a introdurre un giovane nel mondo della ricerca scientifica, quindi lo scopo principe del dottorato e' quello di formare un ricercatore. Ultimamente a causa di una scarsissima capacita' di assorbimento da parte dell'accademia (non solo da noi ma ovunque l'assunzione in universita' e' in difficolta') ci si ripiega su altri versanti lavorativi

A Napoli mi capita sempre di più di notare, almeno tra gli ingegneri (ed alcuni fisici), il percorso inverso: in altri termini, stanno ripiegando sui dottorati sempre più ex studenti, ormai 30-40enni, che in precedenza lavoravano in azienda ed avevano contratti di collaborazione con i dipartimenti... Per quel che ne capisco, né le aziende né i dipartimenti hanno abbastanza soldi per mantenere personale in queste condizioni e l'unica cosa per avere una fonte di reddito accettabile (unita ad una, minima, chance di entrare nel mondo universitario) è buttarsi sui dottorati.
Ad esempio, già tre anni fa, in un concorso di dottorato almeno la metà dei partecipanti non era fresco di laurea e l'anno scorso si sono dottorati, tra quelli del suddetto concorso, almeno due ingegneri che avevano alle spalle un percorso del genere; un altro, invece, ha chiesto la proroga e prenderà il titolo quest'anno (se relatore vuole).
E, si badi bene, 3 su 20 studenti è una buona percentuale.

D'altra parte, un ingegnere con dottorato è visto in maniera davvero strana dalle aziende... La domanda frequente ai colloqui è "Ah, hai il dottorato... E che sai fare, a parte studiare?". [True story...]

Non so se gli incentivi all'assunzione di personale altamente qualificato (cioè con titoli superiori alla laurea) invertiranno questa tendenza[nota]Cosa possibile a breve termine, dato che le aziende italiane vanno sempre in cerca di manodopera pagata da altri (vedi incentivi statali sull'assunzione di personale a t.d., sull'assunzione a t.d. di categorie protette, sull'assunzione di personale altamente qualificato, etc...).[/nota], altrimenti la vedo dura trovare un lavoro qui dopo tre anni di dottorato.

fields1
Anche adesso alcuni scelgono l'università senza interessarsi prima al relatore, e anche adesso in Italia c'è il concorso. Ma io sconsiglio questo approccio. E d'altra parte se si vuole fare il dottorato all'estero, in molti Paesi è il singolo relatore che bandisce un posto, e il futuro dottorando non deve far altro che rispondere a questo annuncio. Diciamo che il principio che vale universalmente è questo: per studiare bisogna scegliere un'ottima università, per dottorarsi un ottimo relatore, se possibile in un'ottima università (ma solo a garanzia che l'università non "regali" i dottorati, prassi piuttosto diffusa nelle università scadenti).

Luca.Lussardi
Non so, forse perche' ai miei tempi funzionava diversamente, io sono arrivato a pavia non perche' avevo scelto pavia ma solo perche' avevo vinto il concorso li'... ho scelto il mio relatore perche' mi interessavano gli argomenti che lui studiava (il calcolo delle variazioni) e lui mi ha indirizzato verso le tematiche che riteneva piu' idonee... ma ripeto, forse oggi e' diverso.

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"fields":
Inoltre, come si fa a valutare quali argomenti sono significativi?
Nel senso che ad uno studente potrebbe interessare un argomento che, di per se, potrebbe non essere così fecondo come tu dici. A questo punto cosa pensi dovrebbe fare? E come potrebbe capire che quell'argomento forse "non vale" tre anni di vita?


Lo studente dovrebbe avere in mente un non troppo vago campo di ricerca. Ad esempio, sapere di voler fare Machine learning sarebbe già un'ottima base di partenza. Il compito del relatore è appunto quello di indirizzarti verso conoscenze, linee di ricerca e problemi significativi all'interno della area scelta. Uno studente da solo non lo può fare, a meno che non abbia un talento e una fortuna straordinarie, cosa che può accadere, ma è meglio non affidarsi al caso nella vita :wink:

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"Luca.Lussardi":
E' infatti verissimo quanto dici: quando uno prende servizio nel dipartimento dove ha vinto il posto da dottorando non conosce nessuno, non conosce la ricerca di frontiera e soprattutto non sa valutare chi e' meglio di chi e cosa e' meglio di cosa.


Io il mio relatore me lo sono andato a cercare. Insomma, se si chiede in giro chi siano i migliori scienziati in un particolare settore di ricerca alle persone che conoscono il settore stesso, si otterrano le risposte esatte. Chiunque sa chi sono i migliori nel proprio campo di ricerca. Io ho trovato il mio così. Non sono andato a caso in un dipartimento. Ho scelto prima l'università e il dipartimento, certo che la persona con cui volevo lavorare fosse disponibile.

Luca.Lussardi
Sul punto 1 della risposta di Fields concordo, forse sul punto 2 io non sarei cosi' drastico, sembra che se uno va in mano al professore sbagliato abbia le gambe tagliate da subito, non so quanto sia vero questo, alla fine la ricerca e' sempre ricerca, e' vero che se fai cose troppo di nicchia poi in futuro potresti avere qualche problema ma questo non incide in genere in modo decisivo. E' infatti verissimo quanto dici: quando uno prende servizio nel dipartimento dove ha vinto il posto da dottorando non conosce nessuno, non conosce la ricerca di frontiera e soprattutto non sa valutare chi e' meglio di chi e cosa e' meglio di cosa.

Intermat
Vi ringrazio ad entrambi per le risposte.

"fields":

2. E' essenziale scegliere un relatore di tesi brillante, di valore internazionale. Altrimenti il dottorato e' uno spreco di tempo. Guardo spesso con pena e compassione quei magari volenterosi studenti che buttano al vento tre anni per lavorare su argomenti mediocri e insensati. E' essenziale un relatore che guidi verso le frontiere della ricerca in modo rapido e efficiente, che indirizzi lo studente verso argomenti significativi e direzioni di ricerca feconde, dove si trovano problemi non banali, importanti, ma nel contempo maturi per essere risolti. Non molti sono in grado di farlo.

Il problema è che, a priori, un povero studente neolaureato come fa a sapere quale è questo "brillante" professore che lo guidi verso la frontiera della ricerca? Inoltre, come si fa a valutare quali argomenti sono significativi?
Nel senso che ad uno studente potrebbe interessare un argomento che, di per se, potrebbe non essere così fecondo come tu dici. A questo punto cosa pensi dovrebbe fare? E come potrebbe capire che quell'argomento forse "non vale" tre anni di vita?

PS: Ogni altro spunto di discussione è ben accetto...da parte di chiunque!

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Il dottorato di ricerca e' molto diverso dagli studi universitari pre-laurea. Affinche' l'esperienza sia positiva, per non dire eccitante, ci sono due requisiti fondamentali.

1. Talento per la ricerca. Bisogna averlo. Bisogna aver ben chiaro che nel dottorato di ricerca non si “studia” nel senso classico del termine, ma “si fa ricerca”. Sono due cose ben diverse. Tra le due c'e' la stessa differenza che intercorre tra un pittore e un critico d'arte. Esistono brillanti critici che studiano e scrivono brillantemente sulle opere d'arte altrui, ma non saprebbero tenere in mano un pennello. Parimenti, ci sono pittori che non hanno mai fatto critica. In generale, nello studio si analizza un prodotto finito, mentre nella ricerca si produce quello stesso prodotto, dopo un percorso spesso tortuoso e frustrante. Studiare significa godersi il prodotto di un altro, ricercare significa spaccarsi la testa su un problema, rimanere bloccati anche per mesi senza nessun apparente progresso. Durante il dottorato, spessissimo si studia il minimo indispensabile per poter lavorare su un problema, e poi si prende il largo verso mari ignoti. Ci sono alcuni a cui piace lo studio, ma non la ricerca. Ho incontrato piu' persone che se ne sono accorte durante il dottorato, e hanno abbandonato la ricerca.

2. E' essenziale scegliere un relatore di tesi brillante, di valore internazionale. Altrimenti il dottorato e' uno spreco di tempo. Guardo spesso con pena e compassione quei magari volenterosi studenti che buttano al vento tre anni per lavorare su argomenti mediocri e insensati. E' essenziale un relatore che guidi verso le frontiere della ricerca in modo rapido e efficiente, che indirizzi lo studente verso argomenti significativi e direzioni di ricerca feconde, dove si trovano problemi non banali, importanti, ma nel contempo maturi per essere risolti. Non molti sono in grado di farlo.

Per quanto mi riguarda, ho avuto un'ottima esperienza, perche' penso soddisfassi le due condizioni, che a mio avviso sono necessarie e sufficienti. Per quanto riguarda l'aspetto economico, il dottorato obbliga a vivere in condizioni spartane in Italia (1000 euro al mese), mentre ad esempio in Francia si prendono 1500/1800 euro, e il costo della vita e' comparabile (non a Parigi pero'!!). In Austria le cose vanno ancora meglio, e si vive bene, perche' si viene pagati (relativamente) tanto e il costo della vita non e' alto, nemmeno a Vienna.

Luca.Lussardi
Rispondo io anche se sono passati un po' di anni da quando ero dottorando... prima di tutto sulla borsa di studio, credo che non ci siano sostanziali differenze al netto tra Italia e resto del mondo (sviluppato), tu stesso hai spiegato come mai, devi tenere conto del costo della vita, e' vero che in certi paesi prendi di piu' al mese ma se la vita costa il doppio che in Italia sei punto a capo; in ogni parte del mondo si tratta comunque di una borsa di studio, e come tale non ti permette di fare una vita da miliardario, se vuoi una cosa di questo tipo non devi certo guardare al phd. Riguardo al phd stesso, per tradizione si tratta di un percorso di studi atto a introdurre un giovane nel mondo della ricerca scientifica, quindi lo scopo principe del dottorato e' quello di formare un ricercatore. Ultimamente a causa di una scarsissima capacita' di assorbimento da parte dell'accademia (non solo da noi ma ovunque l'assunzione in universita' e' in difficolta') ci si ripiega su altri versanti lavorativi, e questa e' una cosa di cui dovrai tenere conto se intraprenderai questa strada.

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